Capitolo 42
Ægon
«Ho una proposta.» Ægon avanzò in direzione di Doom. Miguel, al suo fianco, annuì con un cenno deciso del capo.
Doom si passò una mano tra i capelli d'argento. Le luci del salotto tessevano strane striature d'oro tra le sue ciocche. Gli occhi erano puntati su di lui, con nervosismo, come fossero due lame affilate pronte a trafiggerlo. «Ti ascolto.»
«Manda me a salvarli.» Ægon prese un grosso respiro. L'aria era tesa. Il silenzio era calato sulle loro teste come un cattivo presagio, una notte scura e dolorosa pronta a divorarli, a smembrarli in mille pezzi. «Jacob Schultz perderà la fiducia del governo. Non gli crederanno più. Aveva detto di aver fatto il possibile per salvarci, invece non siamo morti. Siamo stati catturati. Io sono scappato e posso essere loro d'aiuto.»
Ares scoppiò in una fragorosa risata. «Certo, e noi siamo degli idioti nati ieri. Rivelerai la nostra posizione, fottendoci tutti.»
Ægon serrò la mandibola. Forse l'avrebbe fatto, sì. Ma non avrebbe mai condannato Aaliyah. non avrebbe mai permesso che le accadesse qualcosa. Non era quel genere di persona. E, in fondo, non era sicuro di voler vendere quella banda di pazzi. Ma Thanatos... di lui non gli importava. Gli aveva strappato via una delle persone più importanti della sua vita. Se fosse rimasto loro prigioniero, come un povero condannato a morte, non gli sarebbe interessato. Neanche un po'. Forse avrebbe assistito alla sua esecuzione con un sorriso, nella consapevolezza di aver avuto la propria vendetta.
«Fin dove sei disposto a spingerti per riavere Aaliyah indietro?» Doom lo guardò con un ghigno a contorcergli le labbra, non avrebbe saputo come interpretarlo. Il suo sguardo era serio.
Ægon non si fidava di lui, ma che alternative aveva?
Eros se ne stava seduto su un divanetto del salotto. Era ancora pallido come un cadavere e in effetti era scampato alla morte per poco. Si accostò ad Ægon per potergli sussurrare: «Pensaci prima di prendere decisioni affrettate.»
Ægon gonfiò il petto. «Voglio solo riportarla qui. Nient'altro.»
Doom annuì con un cenno del capo. Ares lo guardava come se fosse impazzito a prendere in considerazione la sua proposta. «Ma che cazzo dici-»
Doom alzò una mano nella sua direzione. Poi inclinò il capo e inchiodò lo sguardo su Ægon. «Ci sto. Ma venderai la tua anima a me.»
Ægon deglutì. Era una possibilità a cui aveva pensato. D'altronde, Doom non era un idiota, non si sarebbe fidato di lui poi così facilmente. «Affare fatto.» Tese la mano nella sua direzione. Miguel lo guardava teso. I suoi occhi ambrati, però, scintillavano di devozione. Gli era grato. Aaliyah era pur sempre la sua gemella ritrovata. Ægon gli aveva promesso che l'avrebbero portata a casa. E l'avrebbe cercata per sempre, se fosse stato necessario.
Doom ridacchiò. «Non così in fretta, soldato.» Gli girò attorno. «Il patto prevede un chip per controllarti. Se so che mi stai fregando, io ti faccio morire all'istante. Una sola scarica elettrica inviata alle tue vene e diventi uno spiedino.»
Ægon sentì il cuore schizzargli in gola. Non poteva morire. Ma quel patto gli avrebbe impedito di ignorare Thanatos. «E perché?»
«Perché questa missione vede te come il nostro cavallo di Troia. Poi subentriamo noi. Credi davvero che abbandoneremo il nostro uomo migliore?» Doom rise e Ægon rabbrividì. Era una risata fredda, che riecheggiava tra le pareti del salotto e l'avrebbe tormentato per tutte le notti a seguire. L'avrebbe cacciato in ogni angolo, l'avrebbe trovato e spaventato.
Doom fece poi un sorriso. Indifferente. Come se non gli avesse appena detto che non avrebbe esitato ad ammazzarlo se solo avesse avuto il sentore di un doppio gioco. «Allora, cosa decidi di fare, soldatino?»
Ægon serrò la mandibola. «Non credo di aver scelta, a questo punto.»
«Mi sorprende che tu sia così perspicace.»
Ægon strinse i denti, fino a sentirli scricchiolare. «Va bene.»
Eros si drizzò di colpo. Lo guardò confuso. «E ora? Cioè, posso aiutarvi in qualche modo, io?»
Doom lo ignorò per una frazione di secondo, continuando a tenere lo sguardo fisso su Ægon. Poi sussultò e si voltò verso Eros. «Tu ci servi come altra esca. Attirerai chi ti ha assoldato e lo elimineremo. Un membro in meno intorno.»
Ægon fissò per un istante Eros. L'uomo era a disagio. Spostò il peso del proprio corpo sul divano, che cigolò scricchiolante. «E quindi? È stato lui a trovare me, non saprei come contattarlo.»
Doom storse il naso, infastidito. «Di questo ci occuperemo dopo.» Si lisciò la camicia, giocherellando poi coi gemelli ai polsi. «Adesso dobbiamo occuparci di Ægon e del suo patto.» Fece un cenno ad Ares. Ægon non aveva idea di quale fosse l'ordine silenzioso impartito, ma il ribelle sembrò capirlo al volo. Con un piccolo movimento del capo verso il basso, Ares si congedò da tutti loro, lasciandoli soli.
Ægon strusciò più volte i palmi sudati sui pantaloni. Si era spinto ben oltre, lo sapeva. E tornare indietro era pericoloso, Doom avrebbe capito che non era un suo alleato e chissà cosa gli avrebbe fatto succedere. Era finito dritto nella tana del lupo, in una ragnatela crudele ben tessuta attorno a lui, pronta a strangolarlo, senza che se ne rendesse effettivamente conto.
Ægon si guardò intorno. Ripensò a perché lo faceva. Ma sì, Aaliyah valeva sempre la pena. Avrebbe dovuto trovare comunque una soluzione.
Ares fece ritorno poco dopo. Teneva tra le mani una sorta di pistola. Ægon la ricordava. L'aveva vista alla cerimonia di iniziazione di Djævel.
Deglutì. Stava davvero vendendo la propria anima. Sospirò piano, riprendendo fiato.
«Eccoci qui.» Ares fece un mezzo sorriso.
«Da' qua.» Doom gliela strappò da mano.
Ægon serrò la mandibola. «Va bene.»
Eros li guardò confuso. «Che diavolo state facendo? Davvero vuoi fargli vendere l'anima?! Ma è un ragazzino!»
Doom gli riservò un'occhiata truce. «Hai qualcos'altro di cui lamentarti? Non credo tu sia nella posizione di dirmi cosa fare e cosa no, Eros. Ricorda il tuo posto.»
«Tranquillo.» Ægon lo guardò. «È tutto okay. Ho accettato.»
Doom gli andò incontro. «Ægon Flame, accetti di servirmi come uno dei più fedeli dei miei uomini, senza rimorsi e senza ripensamenti? Accetti di essere una delle mie armi, una delle mie tante carte nel mazzo? Quando io chiamerò, tu correrai. E quando morirò, sarai libero.»
Ægon tremò nervoso. Osservò l'uomo di fronte a sé caricare la pistola. Inserì un chip, che, alle sue parole, prese a illuminarsi, emettendo una piccola spia bluastra.
Prese un grosso respiro. «Accetto. Ti servirò e seguirò ovunque. Sarò il tuo uomo, la tua arma.» Abbassò il capo, in segno di riverenza. Serrò la mandibola. Non amava quella situazione, ma che soluzioni aveva?
Incrociò lo sguardo preoccupato di Miguel, che prese a scuotere il capo, in tensione.
Doom fece un sorrisetto. Avvicinò la canna della pistola al suo polso. «Farà un po' male.»
Ægon era convinto che quella storia lo divertisse. Era uno psicopatico sadico, non c'era molto altro da dire. Doom premette il grilletto e dalla punta schizzò, più rapido di un proiettile, il chip. Silenzioso, Ægon lo sentì infilarsi sottopelle. Delle gocce di sangue cremisi iniziarono a colare a terra, piccoli zampilli rossi. Ægon rabbrividì, quando una fitta di dolore riverberò per tutto il braccio, facendogli quasi venir voglia di vomitare. Mandò ancora una volta giù quella fatica, mentre la sensazione di un filo spinato alla gola si faceva sempre più forte.
Doom sfilò un pugnale dal proprio cinturone. Accostò la lama al palmo della mano e si procurò un taglio. Espose la ferita a una delle gocce cadenti di Ægon e poi si fasciò il punto dolente. Teneva sempre lo sguardo di ghiaccio inchiodato al suo. Ægon non ci vide nulla. Nessun sentimento. Non c'era rabbia, non c'era dolore. Nulla.
E forse la cosa lo terrorizzava ancora di più. Chi diavolo era quell'uomo?
«Miguel, cura il tuo migliore amico. Ho bisogno di uomini in forma.»
Ægon sbatté le palpebre, riprendendosi da quello sguardo disincantato. Scosse la testa e si sedette sul divano, aiutato da Eros e Ares, quando la vista prese ad annebbiarsi. Si sentiva debole.
Eros scattò verso le cucine. Tornò pochi istanti dopo, porgendogli una barretta di cereali e cioccolato. «Ecco, prendi. È normale se ti senti stanco e confuso. Potresti anche svenire. Tranquillo, ci siamo noi.»
Ægon fece un mezzo sorriso. Si stava fidando di lui. Forse erano dalla stessa parte. Odiavano entrambi Thanatos. Anche se Eros ne era uscito a pezzi, dopo il tradimento.
Il respiro era accelerato. Non gli era mai successo e socchiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un rantolo di dolore. Si teneva il polso. Mollò la presa, quando Miguel si accucciò di fronte a lui e iniziò a medicargli la ferita con attenzione, cercando di non fargli sentire ulteriore dolore.
«Non hai idea di quanto ti sia debitore, Ægon. Grazie.» Miguel mormorò con un soffio di voce.
Ægon fece un piccolo sorriso. «Ho bisogno di riposare...» Arricciò il naso.
Guardò Doom in un angolo del salotto. L'uomo beveva del whisky e teneva lo sguardo perso nel vuoto. C'era qualcosa di strano nella sua figura. A volte Ægon dubitava che fosse reale. Era una di quelle immagini mostruose da cui stare attenti e tenersi alla larga. E invece lui era caduto dritto nelle sue fauci, ci si era tuffato.
Poi pensò agli occhi ambrati di Aaliyah e si disse che l'avrebbe fatto almeno un'altra infinità di volte.
***
Non si era reso conto neanche di essersi addormentato, ma di colpo si risvegliò in una stanza diversa. Non gli era nemmeno familiare, neanche un po'.
Si tirò immediatamente a sedere. A risvegliarlo fu la paura viscerale che tutto quello fosse stato una finzione, uno stupido scherzo della sua fantasia, e che in realtà era ancora quel bambino terrorizzato, che aveva trascorso le ore e i giorni interi ancora nella casa, dove il cadavere violentato di sua madre giaceva in cucina.
Il cuore gli schizzò in gola e le lacrime presero a premere ai margini degli occhi.
«Ehi, sono io. Come ti senti?» Qualcuno lo osservò serio, mordicchiandosi un labbro in tensione.
Ægon si tirò immediatamente a sedere e fissò l'uomo. Sbatté più volte le palpebre prima di riconoscere il tono caldo di Eros. «Io-io mi dispiace.» Si passò una mano dietro il collo. Come aveva fatto Djævel a non accusare minimamente il patto alla cerimonia? Anzi, lo aveva incontrato nel suo ufficio, intento a bere come se nulla fosse successo poco prima. Ægon aveva la sensazione di essersi appena svegliato dopo un'esperienza di premorte.
Eros sorrise. «Dispiace a me di tutto questo casino, in realtà. Se non avessi tradito tutti, Aaliyah non sarebbe stata catturata, adesso non starebbe vivendo alla Mostra e tu-» la voce gli tremò. «tu non saresti in questa situazione di merda.»
Ægon sospirò piano. «Avrei fatto la stessa cosa. Ho accettato il patto solo per salvare lei. Di Thanatos non mi importa nulla. Ha ucciso tutto ciò che mi restava.»
Eros fece per parlare, poi si richiuse in se stesso. «Ti assicuro, Ægon. Te ne pentirai anche tu. Non prendere le mie stesse decisioni. Sono state devastanti.» Prese a coprirsi in modo nevrotico le braccia pallide, abbassando le maniche della casacca. Ægon aveva notato le lividure rosse e viola, dove la siringa aveva squarciato la carne.
Pochi istanti dopo sentirono entrambi bussare alla porta. Herica aprì, affacciandosi. Fece un enorme sorriso, quando incrociò lo sguardo di Ægon. «Stai bene...» Si lanciò in camera per travolgerlo in un abbraccio.
«Ægon! Oh, menomale! Sono ancora un ottimo curatore!» Miguel li raggiunse, unendosi a loro.
Eros si spostò appena, restando con un piccolo sorriso a incorniciargli il volto triste.
«Mi dispiace interrompere questo momento a quanto pare toccante.» Il tono freddo di Doom fece rabbrividire Ægon. E in quell'istante arrivò. La realizzazione si abbatté sulla sua mente come fosse stato investito da un treno in corsa. Da adesso era schiavo di Doom, dipendeva da lui, dai suoi umori e dai suoi desideri. Deglutì. «Io e Asclepio abbiamo trovato un modo per contattare il Messaggero.»
«Oh...» Miguel si sistemò accanto a Ægon, imitato da Herica.
Doom si rivolse a Eros. «Gli dirai che vuoi vendere me. Vi incontrerete e gli darai coordinate e ti mostrerai disperato alla ricerca di soldi.» inclinò il capo e fece un sorrisetto antipatico. «Su quest'ultima parte non credo tu debba recitare, eh?»
Ægon avrebbe voluto spaccargli la faccia. Incrociò lo sguardo di Eros, che si accartocciò su sé stesso, quasi chiudendosi a riccio. Ægon l'aveva sempre visto diverso da loro. era buono. Troppo. E ora il senso di colpa lo divorava come un parassita dall'interno. Si stava nutrendo di tutta la sua anima. Si alzò in piedi, ignorando i giramenti di testa. «Cosa devo fare?»
«Tu nulla, caro. Anzi mi servi ora. Qui dovrà fare tutto il nostro caro Eros.» Doom sospirò piano. Poi lo guardò di sbieco. «Non appena avremo incontrato il Messaggero, Eros dovrà collegarsi al suo quadrante. Noi saremo nei paraggi per accertarci che non gli succeda nulla.»
Ægon storse il naso, ma annuì. «Perché ci interessa il suo, di quadrante?»
«Perché i membri del governo sono tanti. È un consiglio vasto. Alcuni siamo riusciti a rintracciarli dalle lettere che ho trovato dal Colosso. Altri comunicano solo con quelli ai piani più alti. E il messaggero è la chiave. Comunica con tutti e ci aiuterà ad arrivare a chi ci manca, senza che se ne accorga.»
Ægon spostò il peso del proprio corpo da un piede all'altro, ciondolando. «Tu come sai tutte queste cose?» Era una domanda che lo affliggeva da fin troppo tempo.
L'uomo lo ignorò e gli posò una mano sulla spalla. «Perdonami, non posso restituirti in ottima forma.» Gli assestò un pugno in pieno volto. Ægon si lasciò sfuggire un rantolo, mentre un fuoco d'artificio doloroso riverberava per tutto il suo naso, costringendolo a serrare gli occhi per il fastidio.
Si portò le mani al punto colpito e osservò le sue dita macchiarsi di sangue. «Perché?!»
Ares scosse la testa. «Perché devi tornare da loro, all'Akademie, dicendo di essere scappato, di essere stato nostro prigioniero. Non possiamo permetterci errori. Devono crederci. Devono credere che Jacob Schultz sia davvero il codardo che è e che tu sia il loro salvatore, che avrai tutte le informazioni utili e che ormai Thanatos per loro è inutile, non riceveranno nulla da lui e vorranno giustiziarlo.»
Doom annuì con un cenno del capo. «E sarà allora che agiremo noi.»
Ægon sgranò gli occhi. «Durante la ghigliottina? È da folli, ci sarà sorveglianza ovunque.»
Doom fece un sorriso sghembo. «E tu credi davvero che noi siamo normali?»
Ægon aggrottò la fronte. Loro si sarebbero occupati di Thanatos. Lui aveva un solo obiettivo. Avrebbe trascinato via dalla mostra Aaliyah. Se anche fosse rimasto senza gambe, paralizzato, avrebbe strisciato per raggiungerla. Alzò lo sguardo su Doom, sfidandolo con un'espressione spavalda. Allargò poi le braccia. «Avrò bisogno di più lividi per essere convincente, furetto.» Inclinò il capo. Le meningi gli pulsavano dal dolore. Il naso continuava a sanguinare e i muscoli erano stanchi, intorpiditi. Ma era meglio così. Non avrebbe dovuto recitare una farsa. Era davvero distrutto. E si sarebbe presentato a pezzi. «Non sai fare niente di meglio?»
L'angolo della bocca di Doom ebbe un guizzo. «Fatti sotto, pivello.»
Gli occhi gli si chiudevano dalla stanchezza, mentre arrancava per le strade di Sol di notte, come un vecchio stanco appoggiato al proprio bastone.
Ægon sbatté le palpebre, ancora una volta, strusciando le suole delle scarpe sul pavimento. Si manteneva lo stomaco. In effetti, aveva sottovalutato i colpi di Doom. Arrivò davanti alle porte della Mostra.
Andare all'Akademie avrebbe comportato che non sarebbe riuscito a vedere Aaliyah, perché l'avrebbero portato d'urgenza in infermeria.
Alla mostra, invece, lo avrebbero accolto come il figliol prodigo. Anche lì, a detta di Doom, c'erano importanti reparti di medicina e avrebbe avuto l'occasione per vedere sia la ragazza che Thanatos. Non che gli importasse di quest'ultimo. La parte più crudele di lui sperava -stupidamente- che fosse già morto. Anche perché, se così fosse stato, il Governo l'avrebbe pubblicizzata come la loro migliore mossa, finalmente il male era stato represso.
Batté le mani insanguinate contro i portoni della Mostra. «Aiuto!» Urlò a squarciagola.
Una telecamera ebbe un piccolo scatto. Sentì il fruscio metallico rivolgersi nella sua direzione.
«Sono Ægon Flame. Sono vivo. Sono scappato. Vi prego, apritemi. Prima che vengano a prendermi di nuovo-» Singhiozzò con un filo di voce.
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