18. Fers omnia - tutto si porta
18. Fers omnia – tutto si porta
Alluene
Non aveva chiuso occhio tutta la notte.
Quell'allocco doveva provare una specie di malata soddisfazione nel vederla in difficoltà.
Ma perché tutte a me, pensò emettendo uno sbuffo sconsolato quella mattina.
Erano trascorsi tre giorni dalla loro ultima conversazione e, seppure abitassero provvisoriamente sotto lo stesso tetto, lui era più un fantasma fluttuante che spariva e appariva dal nulla, quasi trasparente, per quanto poco l'aveva incrociato, più che la presenza ingombrante che aveva temuto.
Quell'improvvisa bandiera bianca non la convinceva, e infatti, il cinghiale in quei giorni era stato sfuggente come al solito e lei, aveva preferito prendere tempo piuttosto che stuzzicarlo.
Fiorellino.
Le sembrava di poter sentire il graffio frastagliato della sua voce, rovente quanto l'inferno più profondo, ogni volta che pronunciava quel nome. Digrignò i denti mentre si allisciava con le mani i capelli per cercare di renderli meno gonfi, meno spettinati, meno tutto. Invece il suo riflesso allo specchio parlava chiaro, le occhiaie gonfie, souvenir della notte insonne, il viso pallido di stanchezza e gli occhi, beh, quelli non parlavano più da tanto tempo. Non un luccichio, non una scintilla, come se con le stelle, si fossero spenti anche loro.
Harry Staiden sembrava trovare una subdola gioia di vita nel provocarla e, seppure quel soprannome scucito dalle sue labbra, dalla sua voce, fosse un richiamo verso l'inferno, provocatorio, schernitore, avrebbe sopportato il bruciore sulla pelle, il bollore del sangue pur di non dargliela vinta. Pur di non cedere.
Così, vestita con il suo solito comodo abbigliamento composto da jeans stretti, felpa calda e scarpe da ginnastica, si diresse a passo di marcia verso la stanza degli ospiti. Che poi, era la sua stanza, quando era bambina.
«Alla buonora»
L'urlo che le sfuggì dalla gola si propagò tra le pareti, tanto da infastidire persino il suo, di udito. Il cuore stava toccando velocità impensabili, l'ossigeno aveva preso residenza altrove, perché la gola era talmente contratta che respirare era l'ultimo dei problemi. Per poco non le era venuta una sincope.
Per tutti i piumini spiumati!
«Lo fai apposta!» gracchiò rauca, la gola accartocciata alla ricerca di aria. Affacciandosi oltre il parapetto della scala trovò lui poggiato dove finiva la balaustra, le braccia conserte che gli attribuivano quello stato perennemente svogliato, le gambe accavallate segnavano l'impazienza e quell'espressione costantemente crucciata sembrava voler minare la sua, di pazienza.
«Andiamo?» replicò lui suonando frettoloso.
«Dov...» Alluene schiacciò la domanda istintiva per correggersi immediatamente «Certo» un corno, con lui, di certo, non c'era proprio nulla. Congelò in gola il flusso di stupore tramutandolo in fasulla accondiscendenza.
«Non è oggi il giorno destinato a perdersi da qualche parte» Alluene decise di ignorare il suo riferimento sarcastico fingendosi superiore, ma lui le rivolse uno sguardo severo. «Sai già dove andare?» quel finto garbo le provocò la pelle d'oca.
Che falso.
«Ovvio» decise di imitarlo mentendo con tanta spavalderia da convincere quasi se stessa. Lui invece, subdolo malfidato, piegò la testa da un lato, scettico, e lei allora lo incitò «Andiamo?» scese le scale in un lampo per superarlo e fargli strada.
***
Fortunatamente per entrare e uscire da Tibula era necessario passare solo per una strada. Ed era tremendamente spopolata nei primi giorni di Novembre.
Aveva tempo fino alla prima rotatoria dopo il lungo rettilineo per decidere dove dirigersi e l'ansia senz'altro non era di aiuto. Perciò, si affidò totalmente al destino, quando decise all'ultimo secondo di svoltare a sinistra. Nella zona costiera dell'est, qualcosa da vedere, sicuramente l'avrebbero trovato.
Forse, in quel caso, perdersi non era un'idea così malvagia, dopotutto.
***
Avevano setacciato una quantità imprecisa di chilometri e, in tutto il tragitto, avevano incrociato si e no una manciata di veicoli. Ma la vivacità delle strade in quel periodo non era per nulla paragonabile a quella all'interno dell'abitacolo, in cui sembrava che emettere un solo fiato sarebbe costato il taglio della lingua.
Non si erano rivolti una parola, come al solito, ma, quella volta, Alluene non aveva neanche tentato di instaurare una conversazione civile. Era stanca di combatterlo, d'ora in poi l'avrebbe solo tollerato.
Distratta dai suoi stessi pensieri, i suoi riflessi si svegliarono quando lesse di striscio un cartello interessante.
«Ecco!» svoltò all'ultimo minuto e si accorse che il passeggero non aveva indossato la cintura solo quando per poco non le volò addosso «A New York non si usa la cintura di sicurezza?» lo punzecchiò gustandosi i suoi grugniti di fastidio.
«Non ce ne sarebbe bisogno se tu non guidassi come un'incapace» brontolò lui stirandosi il cappotto.
«Se guidassi davvero male, farei così» prima che lui potesse sospettare, iniziò a girare il volante a destra e sinistra a scatti, dando un'andatura all'auto a zig zag. Ridacchiò sotto i baffi nel vedere il cinghiale aggrapparsi con forza alla maniglia di sicurezza, sbattendo comunque a destra sinistra.
«La vuoi smettere!»
«E tu allora piantala di insultarmi!» proruppe in protesta, prima di accontentarlo, comunque.
«Questa carriola già ha un andamento precario senza che tu faccia questi stupidi scherzi».
«Bada a come parli» Alluene sbuffò, tutta quella serietà era davvero noiosa «Comunque siamo arrivati».
Feronia era uno dei centri più antichi di quella zona dell'isola. Prendeva il nome dalla dea della fertilità, forse per l'abbondanza di quelle aree, per i terreni fertili, le montagne a pochi chilometri e il mare sul fronte.
Ma la particolarità di quella cittadina, ormai quasi del tutto disabitata, era il fascino medievale del labirinto di pietra che si diramava in intricati viottoli, vicoli nascosti, ripide scalinate scavate nella roccia, che nascondevano fughe e rappresaglie di tutte le conquiste che quel piccolo gioiello che splendeva nella costa per chiunque lo ammirasse dal mare, aveva dovuto subire.
Erano incassate lì le storie passate, tra quelle vie, quelle case disabitate e quei passaggi segreti.
Camminare su quel lastricato impregnato di storia donava un'emozione unica.
Certe volte si divertiva ad immaginarsi una dama di quei tempi, sedotta o seduttrice di pirati e cavalieri, guerrieri leggendari, ballare danze dell'epoca nella piazza del belvedere. Persa e adorante nelle sue fantasticherie, non si premurò di adocchiare le espressioni dell'orco-cinghiale mentre si affacciava dal parapetto, le avrebbero solo fatto tornare il malumore.
Eccola la bellezza.
Il vento sfrecciò lungo il collo e quando girò la testa le sconvolse i capelli. Trovò la montagna alle sue spalle, come a proteggerla con la sua corazza di pietra, poi si voltò ancorta per assecondare le folate e vide il mare che, bagnato di argentea luce, segnava l'orizzonte e quieto l'avvolgeva nel suo lento movimento che tutto perdeva e tutto portava via.
Sotto di sé, oltre il parapetto, la vallata pianeggiante si estendeva in certezze e rigogliosità.
Incastonata nel centro, Feronia, conservava il suo fascino abbandonato, la sua storia secolare per coloro che desideravano percorrere le sue piccole venature per restituirle un po' di antica gloria, riportandola in vita con il suono dei propri passi, con la luce dei loro sguardi accesi.
Buttò un'occhiata veloce all'orco-cinghiale, appollaiato a pochi metri di distanza con il capo rivolto verso l'orizzonte. I capelli erano legati in alto e alcuni riccioli color caffè sfuggivano dalla stretta per inseguire il vento. Alluene cercò di non soffermarsi troppo a studiarlo, anzi, gli fece un cenno con qualche leggero colpo di tosse per indurlo a seguirla.
Feronia era famosa anche per il suo castello che si ergeva ancora in parte integro sul vertice del colle calcareo.
Il cellulare non aveva segnale, ma Alluene confidò nelle dimensioni ridotte della cittadina prima di inoltrarsi in una delle sue irte salite.
E, come al solito, doveva aver sottovalutato qualcosa.
Dopo l'ennesimo giro in tondo fatto di salite e discese, vicoli ciechi, irruzioni improvvisate e non previste in abitazioni dissestate in cui per poco al cinghiale non era caduto un pezzo di muro in testa, finalmente avevano imbucato la direzione corretta verso il castello.
Ma non fece in tempo neppure ad esultare per aver trovato la strada, che il moto di gloria fu stroncato sul nascere da un cancello in metallo che si interponeva tra loro e la prosecuzione della via.
Chiuso.
Per tutte le rape lesse!
Harry
«Non posso crederci!» ululò la selvaggia aggrappandosi con disperazione ed entrambe le mani alle sbarre arrugginite del cancello.
«Non c'è altro modo per raggiungerlo?» aveva intuito la loro direzione fin da quando aveva svoltato verso quella cittadina semi abbandonata.
Il castello svettava fin dalla vallata, quando ancora il colle oscurava la vista del paesino. Quella località, nascosta così bene agli occhi di visitatori inesperti, aveva un fascino singolare, come tutti i posti in cui la selvaggia, volente o nolente, aveva deciso di condurlo.
Avrebbe voluto volentieri boicottare i suoi piani, ma dopo una serie infinita di salite e discese, e aver rischiato la vita in più di un'occasione, riteneva fosse quasi d'obbligo almeno avvicinarsi al fulcro del loro viaggio.
«Che peccato, era l'unico modo per arriva...Che stai facendo?» il suo urlo improvviso gli costò un momento di pausa, mentre si accingeva ad aggrapparsi alle sbarre del cancello.
«Scavalco» disse ovvio.
«Ma sei impazzito!» una stretta alla gamba bloccò il movimento sul nascere. Non aveva bisogno di voltarsi, ovviamente, ma quando lo fece, gli occhi della ragazza lo stavano puntando con un ardore violento «Non puoi!»
«Vedi qualcuno che possa fermarmi?» saettò ironico, riferendosi al deserto che avevano intorno.
«Vuoi dire a parte me?»
«Non fare la guastafeste» con uno slancio arrivò a poggiare entrambi i piedi sui riccioli di ferro che dovevano avere la presunzione di abbellire quel cancello logoro e traballante. Quasi stentava a reggere il suo peso, avrebbe potuto buttarlo giù con un calcio, ma in quella terra, non era lui il selvaggio.
«Potrebbe non essere sicuro!» tentò ancora lei, indietreggiando mentre lui scavalcava agilmente, atterrando con un balzo dalla parte opposta della strada.
«Non succederà nulla» Harry si lasciò scappare un ghigno appena accennato delle labbra mentre lei lo fissava silenziosa dalla parte opposta. Era meno minacciosa lei, quando c'era qualcosa tra loro a dividerli «Che fai vieni?»
«E se non mi reggesse?» si appese alle sbarre scuotendole con vigore come a testarne la solidità.
«Ci sono riuscito io, non credo tu sia più pesante di me»
«Accidentaccio!» imprecò lei lasciando trapelare un vibrato inquieto.
«Coraggio Fiorellino, non ti farò cadere» incrociò le braccia, poggiando una spalla contro il muro di cinta che delimitava un lato della strada.
Vederla in difficoltà, con quell'espressione accigliata attraverso la quale trasparivano nitidamente tutti gli insulti segreti che gli stava rivolgendo, per lui era una grossa soddisfazione.
Percepiva nitidamente anche tutto il fastidio quando pronunciava quel nomignolo.
Come si era ridotto male, pensò socchiudendo gli occhi per un istante. Procurarsi stupide distrazioni era esattamente ciò che voleva evitare, ma sarebbe servito anche quello ai suoi scopi, molto presto.
«Peccato l'abbia già fatto e ti ho detto di non chiamarmi così!» Harry raggrinzì il viso quando lei alzò i decibel nella chiusura finale della frase.
«Non ricordo la circostanza».
«Hotel allagato» la selvaggia ringhiò a denti stretti mentre cominciava la sua arrampicata. Harry la guardò in silenzio e, ancora una volta, inevitabilmente, si ritrovò distratto nella contemplazione.
Sembrava un raro esemplare di scimmia che non aveva ancora imparato a saltare sugli alberi e cercava di arrotolare gambe e braccia intorno ai rami. Era un'immagine che sicuramente non aveva mai visto.
Come poteva una ragazza essere tanto scoordinata e goffa?
«Se la memoria non mi inganna, mi sembra di averti salvata» replicò pacato, godendosi lo spettacolo come uno spettatore al cinema. Lei ancora che spostava i piedi da una parte all'altra per cercare il punto giusto prima di darsi lo slancio e scavalcare.
«La tua memoria fa cilecca perché, infatti, poi mi hai lasciata» era talmente preso dall'osservarla che si lasciò scivolare persino la sua frecciata.
Lei alzava la gamba, poi la rimetteva giù, poi cambiava gamba, spostava i piedi da un ricciolo all'altro, le mani da una sbarra all'altra ed era ancora lì, dalla parte sbagliata del cancello. Forse sarebbe rimasta appesa lì per sempre e non sarebbe stata una grande perdita dopotutto.
Poi un dettaglio destò i suoi sensi, la curiosità si accese come un fiammifero. Era così strano sentirla ardere per uno che tendeva a spegnere ogni focolaio di inutilità.
«Mi dici perché non guardi mai in alto?»
«No!» lei teneva gli occhi fissi verso il basso, sempre. Non aveva mai osato alzarli oltre l'orizzonte e anche quello era qualcosa di singolare, inusuale.
«È strano, hai una qualche malattia?» chiese ancora con testardaggine assecondando l'impulso di voler davvero dare una motivazione e quella stranezza.
«Ma piantala» lo freddò rigida, quando finalmente una gamba arrivò dalla parte opposta del cancello.
E proprio quando cominciava a rinnegare il dispiacere che quel ridicolo teatrino fosse sul punto di terminare, qualcosa non andò come previsto.
Alluene
Non era neanche riuscita a formulare la frase "il difficile è terminato" che un piede le era scivolato via dall'appoggio tanto agognato. Senza capire esattamente come, perse l'equilibrio e finì per volare in aria per qualche istante, starnazzando urla e strepiti, prima di cadere in picchiata contro di lui.
Gli finì addosso in modo irruento, rotolando insieme a lui sul terriccio ruvido e polveroso, continuando a urlare, fin quando non si bloccarono.
Fortuna che aveva attutito lui la caduta!
Alluene aveva tenuto gli occhi serrati da quando aveva iniziato a fluttuare in aria, con lo stomaco in gola come se fosse stato centrifugato.
Trovò il coraggio di aprirli solo per assicurarsi con sollievo di essere tutta intera e solo allora si accorse che quella "cosa" morbida sulla quale si trovava, sdraiata esattamente sopra, era lui.
Nei film solitamente, in momenti simili a quello, ogni registra si sarebbe concentrato in un primo piano dei volti dei protagonisti che, adoranti, si guardavano negli occhi a distanza ravvicinata e, conquistati da una scintilla di sentimento travolgente, finivano per abbandonarsi alla passione.
Nella realtà invece, tutto rimase immobile per qualche istante. Nessuna canzone romantica avvolse la loro aria, nessuna scintilla accese le pupille color sottobosco del ragazzo, anzi. La sua espressione contrariata sembrava volerla incenerire e lei, una volta atterrata nella realtà che esprimeva in ogni modo la loro bassa sopportazione reciproca, fu avvolta da un moto di inquietudine che le fece scattare i muscoli.
«Allontanati!»
«Mi sei saltata addosso tu!» lei iniziò ad agitarsi come in preda alle convulsioni per cercare di allontanarsi il più in fretta possibile e toccarlo meno del dovuto. Ma nel suo dimenarsi furibondo, finì per sbattere il ginocchio contro qualcosa di morbido, appena sporgente e l'urlo disperato che le colpì i timpani la congelò sul posto.
Le guance le andarono a fuoco quando si accorse che il punto incriminato che aveva colpito con vigore coincideva proprio con la congiunzione delle gambe del cinghiale.
Oh cielo...L'aveva centrato!
Colta da una fiammata di imbarazzo, Alluene rotolò sul terriccio arido, in cerca di distanza.
Come avrebbe potuto guardarlo in faccia!
Inevitabilmente invece lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite mentre lui si lamentava e contorceva con braccia e gambe tese e la schiena arcuata, dolorante.
«Lo fai apposta?» biascicò lui con la voce incrinata dal dolore.
«Scusami, scusami!» balbettò lei in preda all'ansia, coprendosi il viso con le mani come se non avesse voluto vedere «Certo che no!»
Rimasero seduti per terra per un tempo che non avrebbe saputo misurare.
Alluene aveva ancora entrambe le mani sul viso per nascondere la pelle che stava andando a fuoco, mentre lui, a pochi centimetri di distanza, se ne stava sdraiato in posizione fetale, ancora reduce allo schianto contro la zona intima.
Accidentaccio!
Harry
«Il castello serviva come vedetta perché a causa della posizione privilegiata, Feronia veniva spesso attaccata e saccheggiata, per questo la torre è così alta».
Avevano ripreso la loro marcia non appena il pulsare del suo attrezzo si era fatto meno doloroso.
Con la selvaggia rischiava persino le parti intime.
Lei, dopo essersi scusata un centinaio di volte, aveva ripreso a spiegare con vigore, senza mai farsi sminuire dal suo silenzio, dalla sua scarsità di domande e apparente disinteresse. Visto da vicino, il castello era più imponente, conservava la cinta muraria e i resti della torre che svettava su di loro.
«Come fai a dirlo se neanche l'hai guardata» azzardò affilato, alzando lo sguardo verso il cielo per scorgere la torre. Era talmente alta che doveva stendere tutto il collo, per poterne scorgere la cima.
«Non ho bisogno di misurarla» quando si voltò per guardarla, lei era ancora immobile, con le braccia poggiate sul parapetto del belvedere.
Preferiva tuffare lo sguardo verso il vuoto piuttosto che al cielo. Come se non osasse sfidare l'altezza, in senso contrario però.
Ancora una volta si ritrovò a pensare ad una di quelle stranezze che mai aveva avuto modo di scoprire prima di allora e che forse, solo per quel motivo sembrava attirarlo tanto da chiedersi di cosa veramente si trattasse.
«Perché non guardi mai in alto?» involontariamente il suo tono si flesse, ammorbidito da un'autentica scia di interesse che gli tese lo stomaco. Imprevista. Ma lei, ancora una volta ignorò la sua domanda.
«È il Castello de sa Fae e deve il suo nome ad una leggenda» proseguì caparbia e Harry trovò lo stimolo inaspettato di offrile un ghigno perverso, ma spontaneo, quando lei levò uno sguardo fugace verso di lui.
«Non avevo dubbi».
L'antica leggenda trattava di una flotta musulmana che intorno al 1300 aveva cercato di conquistare il paese tentando di sfinire gli abitanti per fame. "Fae" significava fava poiché gli abitanti, avrebbero dato da mangiare le ultime fave rimaste ad un piccione. Quando i musulmani trovarono il piccione morto pieno di fave, sopravvalutarono le scorte di cibo del castello e decisero di allontanarsi.
Gli raccontò la leggenda con il suo solito modo fatto di enfasi e teatralità e lui non aveva emesso un fiato, si era limitato ad ascoltare passivo, sorbendosi tutti i suoi scossoni di volume e timbrici, fino alla fine.
E lei aveva ripagato la sua pazienza offrendogli lo stesso trattamento durante il tragitto di ritorno.
Per fortuna la seconda volta era riuscita a scavalcare il cancello in modo, sempre poco agile, ma scongiurando tentativi di evirazione o omicidi. Tra l'altro, seduto sul sedile scomodo di quell'auto, gli si erano accentuati i dolori nelle parti intime.
Una cosa doveva ammettere, di quelle gite apprezzava quasi di più il tragitto delle mete. Le strade erano selvagge, spesso carreggiate abbandonate che tagliavano radure, boschi, che si infilavano tra montagne di roccia seguendone i contorni e le fantasiose forme.
Erano scenari così diversi da qualsiasi luogo avesse mai visto.
Alluene
Tornare a casa era quasi un sollievo.
Lui come al solito si chiudeva in camera dopo aver racimolato qualcosa da mangiare fuori, o in cucina, e spariva come se fosse stato inghiottito da un buco nero.
Nessun suono, rumore, nessun segnale di vita, tanto che spesso immaginava veramente che venisse risucchiato da una dimensione ultraterrena dove ricaricava i suoi demoniaci poteri per scaraventarli su di loro, poveri mortali.
Ma quei silenzi erano l'unico aspetto positivo. Le concedevano il lusso di dimenticarsi di lui per qualche istante. Almeno.
Si distese sul letto con un sospiro, tirando la coperta ancora leggera fin sopra le spalle, e proprio quando le palpebre cominciavano a farsi pesanti, una serie di rumori furtivi le fece spalancare gli occhi di colpo.
Alluene si tirò a sedere, con il respiro spezzato dal martellare assillante della paura.
Per tutte le barbabietole da zucchero, cosa poteva essere?
E dove accidenti era finita la famosa tranquillità di Tibula?!
Si lanciò fuori dalla stanza, scalza e senza neanche ricordarsi di accendere la luce, e ciò che trovò ad aspettarla per poco non fu causa di un infarto istantaneo.
Persino l'urlo di puro terrore le rimase soffocato in gola, uscendo come un rantolo strozzato, quando l'armonia sfumata di ombra e penombra notturna si agglomerò intorno ad una sagoma massiccia che la schiacciò contro il muro.
Il cuore le vibrò nel petto con una potenza inaspettata quando, tra gli occhi serrati e la mente spenta del terrore, riuscì a riconoscere le note di un profumo familiare.
Quanto poteva raccontare un profumo?
Erano pure e semplici sensazioni olfattive, ma penetravano le narici per infilarsi tra le corde dei pensieri, della memoria, contorcevano immagini, persino suoni. E ogni forma, ogni pensiero e ogni odore andarono a sbattere contro una roccia fatta di oscurità, di ali spezzate, di un passato infranto.
Lui.
Alluene alzò la testa, sbattè le palpebre per lasciare che la vista si abituasse a quella penombra che, come una nuvola di fuliggine, galleggiava intorno a loro.
Lui era così vicino che la sua stazza, la sua altezza, riuscivano ad oscurare tutta la flebile luce che volteggiava nel corridoio, dalle due finestre ai lati dell'armadio che lei aveva il vizio di lasciare sempre aperte.
Essergli ad una distanza così fragile le faceva girare la testa. Era sempre troppo. Così invadente che sembrava trasportarla in un'altra dimensione, in un'altra atmosfera.
La sua era fuoco, fumo, una fitta voragine di detriti e vento, così densa da darle la sensazione di affondare come se fosse stata nelle sabbie mobili.
Lei era mare, una massa profonda di calma e tempesta che poteva tenere a galla o portare alla deriva.
E tra i due non esisteva alcun collegamento.
«Che accidenti stai facendo?» l'orco-cinghiale sussultò appena, come se il suono stridulo e spaventato della sua voce l'avesse infastidito.
O svegliato.
Il respiro divenne precario quando si rese conto di essere bloccata contro il muro, con entrambe le braccia di lui tese ai lati del suo viso, le mani poggiate alla parete, che le impedivano ogni movimento.
La testa del ragazzo sporgeva in avanti, penzolava come inanimata, ma tanto vicino che le ciocche dei capelli arrivavano a sfiorarle la fronte.
Erano così vicini che i loro corpi potevano sfiorarsi come nel più timido e incerto degli abbracci e invece, erano così lontani i loro modi di essere.
Avrebbe dovuto allontanarlo, spingerlo fuori dal suo spazio, invece rimase ipnotizzata da quel silenzio, in quell'immobilità.
Come attratti da una forza misteriosa, gli occhi caddero in una contemplazione malsana, cercando di distinguere le linee contratte del viso del ragazzo, scesero a solcare la vena tesa lungo, fino a soffermarsi sui lembi della camicia che giacevano in una profonda scollatura sul torace. Alluene deglutì a vuoto mentre si lasciò indugiare sulle porzioni di pelle scoperta con uno sguardo compromettente.
«Non lo senti?» le gambe vacillarono quando lui interruppe bruscamente il suo vagheggiamento.
Harry si sporse più avanti, il fiato a pungerle la pelle del viso. Il suo tono abissale le provocò un fremito, che lei cercò di contenere stringendo i muscoli. Era macabro e quasi incosciente.
«Chi?» tentennò confusa «Cosa?»
«È pericoloso» la sua mano prese a scorrere contro la parete e lei si girò per seguire con uno sguardo carico di tensione quella lenta discesa.
«Chi, Patrick?» la voce si sfaldò mentre cercava di mantenere salda la lucidità.
Ma a chi voleva darla a bere.
Infatti il suo intero organismo tremò quando lui spostò il capo verso di lei in un movimento scoordinato come quello di un burattino guidato da mani diverse.
Le sue labbra sbatterono contro i capelli arruffati che si nascondevano dietro l'orecchio.
«Il tuo profumo» fu come un colpo secco, quando invece era solo un sussurro grattato tra i denti. Ma le chiuse la gola e le cristallizzò ogni facoltà. Persino respirare o deglutire sembrò impossibile mentre lui inspirava tra i suoi capelli come una bestia che pregustava la preda prima di distruggerla. «Mi fa venire voglia di...» il rauco suono si interruppe brusco e lei incassò lo stupore in un sussulto interno che sbatté contro le pareti dello sterno.
Le mani del ragazzo erano ancora premute contro il muro, talmente vicine alle sue spalle che quasi ne poteva percepire il sudato calore «Dobbiamo sbrigarci, o ci troverà» sibilò lui strascicando le parole con fatica e lei parve destarsi, fare capolino da quella dimensione parallela in cui sembrava non solo tollerare quella vicinanza così intima, ma anche, in qualche modo...desiderarla.
Riprenditi, accidentaccio!
«Sei ubriaco» affermò secca, pizzicando le labbra schifata.
La vista ormai si era abituata a quella condizione di semibuio, tanto che lesta si abbassò per superare la barriera delle sue braccia.
Lui rimase immobile invece, come se non l'avesse neppure vista. Eppure i suoi occhi erano aperti, il verde delle sue iridi era spento come una foresta seppellita dalla notte.
«C'è sangue» quella nota abissale giunse alle sue orecchie defluendo in un brivido freddo «Sangue ovunque».
«Nel tuo cervello forse, andiamo» fu nel millesimo di secondo in cui intrecciò l'inquietudine con la lucidità che realizzò cosa stava accadendo. Così, senza molti preamboli lo afferrò per un lembo della camicia con impazienza, tanto che quasi rischiò di strappargliela se solo lui avesse opposto anche solo una leggera resistenza. Invece la seguì senza opporsi. «Non muoverti» Alluene lo spinse con poco garbo sul letto e dovette bloccarlo per le spalle quando lui cercò di alzarsi «Ho detto giù! Ma perché tutte a me!»
«Devo avvertirla» continuò lui in quello stato di semicoscienza che proiettava il sogno nella realtà. Lei mugugnò infastidita.
«Cominci a mettermi paura».
«Devo scappare» e cercò davvero di farlo, tanto che Alluene dovette spingerlo con entrambe le mani contro il petto per impedirgli la fuga.
«Ma che fai! Torna giù!» i palmi pruderono come incendiati al contatto con la sua epidermide rovente, sempre più scoperta dalla camicia quasi del tutto aperta. I muscoli erano tesi, gli incavi che li delineavano erano pronunciati, il calore che emanava il suo corpo era così acceso che sembrava fosse stato appena risputato dalle fauci dell'inferno.
Alluene si pizzicò le labbra. «Ci mancava il sonnambulismo» si lamentò parlottando con se stessa «Perché non tieni le mani dritte come fanno nei film?»
«Devo andare» tentò ancora lui deciso, il fiato corto seghettò le parole. Approfittando dello stato poco lucido del ragazzo, Alluene riuscì a precederlo, spingendolo sul letto fino a farlo sdraiare.
«Si, a letto. Dormi!» doveva tenerlo fermo a qualunque costo, pensò determinata.
Lo trattenne appoggiandoglisi contro, bloccando ogni scatto sempre con più fatica, fin quando il respiro di Harry parve calmarsi.
Poco dopo lui chiuse gli occhi.
Alluene rimase seduta sul bordo del letto, di guardia, per assicurarsi di non trovarlo di nuovo a vagare in stato di sonnambulismo.
Se fosse uscito per strada, avrebbe rischiato di far prendere un infarto anche alle vecchiette!
La luce della luna era talmente nitida che illuminava i contorni di tutto l'ambiente, trapelando oltre le persiane. Compreso il bellissimo e letale aspetto dell'orco-cighiale.
Quel soprannome non gli si addiceva in effetti, pensò mentre l'osservava con un senso di inquietudine che andava a frantumarsi contro quella voglia di spiarlo ancora, di rubargli attimi preziosi proprio in quel momento di incoscienza.
Era piegato su un lato, proprio verso di lei, come se sapesse che era lì, la schiena appena ricurva lo faceva assomigliare ad un bambino spaventato che cercava di proteggersi. I lunghi riccioli scuri erano portati indietro, lasciandogli la fronte scoperta, il viso completamente libero, tanto che, così assopito e fuori dagli schemi rigidi della normalità, sembrava quasi innocuo.
Per un momento, un frammento sconsiderato e insignificante di tempo, desiderò toccare i suoi capelli. Come una magia, quella brama le scorreva tra le dita, che si tesero sul lenzuolo quasi inconsciamente, per sfiorarli.
Alluene sgranò gli occhi, irrigidendosi di colpo.
Neanche prigioniero del sonno lui sarebbe stato innocuo.
E lei doveva andarsene da lì, prima di fare qualche stupidaggine.
Accidenti ai molluschi fritti! Sembrava una psicopatica che prima gli aveva quasi strappato la camicia di dosso e poi restava a fissarlo imbambolata mentre dormiva.
Riprenditi, idiota.
Ma proprio quando realizzò che era arrivato il momento di defilarsi, un attimo prima di alzarsi, come se fosse bastato il movimento del materasso ad allertarlo, lui la bloccò, arpionandole un polso.
Alluene trasalì e il cuore volò in gola.
Per tutte le minestre!
Qualcuno si voleva prendere gioco di lei, dei suoi benedetti nervi!
Immobilizzata ancora una volta, cercò di riprendere il comando delle sue facoltà, ma quel dannato contatto, il calore delle sue dita che si diramava sulla pelle, rese flebile il respiro,
come spezzato in mille frammenti disconnessi.
Bastava solo quel misero e insignificante contatto, secondo dopo secondo, per destabilizzarla.
Ma la sua presa sapeva anche dell'arroganza di chi non si curava delle volontà altrui; sapeva di prigione, perché stringeva evitando che potesse liberarsi; di possesso, di chi aveva la presunzione di poter comandare tutto e tutti.
E lei detestava quel tipo di persone.
Stava studiando un modo per liberarsi, quando uno strattone improvviso la costrinse a spalancare gli occhi di colpo, facendola cadere sul letto.
Atterrò su un fianco, proprio di fronte a lui, con la gola chiusa per lo spavento che non le fece uscire neanche un sibilo.
Da quella vicinanza oltraggiosa poteva sentire perfino il suono del suo respiro.
Erano lì, l'uno di fronte all'altra, così vicini da sembrare quasi intimi, ma sempre separati dal confine di due dimensioni inconciliabili.
Lui apparentemente quieto, in cerca di sonno e lei che respirava a mala pena, con lo stomaco in preda a convulsioni, e abbassava le palpebre pur di non guardarlo.
Perché rischiava di restare prigioniera del suo fascino pericoloso.
L'unica consolazione era che sarebbe stata l'unica spettatrice di quella rovinosa situazione.
Ma poi lui aprì gli occhi.
Lei trasalì impreparata, il corpo teso, impietrito e inerme come sotto un incantesimo, mentre stregata fissava i filamenti di luce riflettersi in cerchi perlacei dentro le sue iridi.
Per un momento le sembrò lucido. Presente.
Non può essere.
Sigillò ogni movimento, ogni parco sospiro, persino il battito sembrò sottrarsi a quel continuo martellare spaventato. Quasi si dimenticò di esistere, concentrata unicamente su di lui, lui che scivolò sul materasso, che affondò creando una voragine sotto il suo peso, facendosi ancora più vicino e lei che cristallizzò ogni pensiero quando i loro corpi andarono a combaciare in ogni punto.
Gambe, ginocchia, fianchi, busto, braccia.
Quando le punte dei loro nasi si sfiorarono, lui non osò andare oltre e Alluene rimase assorbita completamente dai suoi occhi composti dalle striature di una notte limpida e carica di stelle.
In quel silenzio spettrale e avvolgente, il suono del battito di Harry era robusto, ammaliante. Così lento rispetto al ritmo serrato e disperato del suo.
La vista si annebbiò depredata dall'uragano di emozioni che aveva preso il sopravvento sulla sua razionalità, sulle sue promesse.
In uno spiraglio di ragionevolezza, come se avesse voluto sottrarsi persino a se stessa e al suo corpo traditore, Alluene chiuse gli occhi.
Vigliacca.
«Ti troverò sempre» un sussurro sbiadito le fece spalancare le palpebre e il cuore parve sfracellarsi nel costato. Gli occhi si inumidirono di un mantello di aria trasparente.
Lui era ancora immobile dove lo ricordava pochi istanti prima, con le labbra sporgevano in avanti increspate, come se parlare fosse stato faticoso.
O come se avesse voluto parlare ancora. Invece lui percorse quella distanza quanto bastasse per sfiorarle la bocca con la sua.
Un sibilo di sorpresa aspirò via l'aria che andò ad agglomerarsi in una sacca di vuoto. «Anche quando non saprò chi sei, o non lo saprai neanche tu».
Harry si fermò sulla soglia delle sue labbra schiuse, che tremanti si sforzavano di non spingersi oltre, di non desiderare nulla di più.
Invece lui sembrava a suo agio in quel limbo di semi coscienza, di realtà artefatta, di intimità congelata. In equilibrio anche su quel confine, mentre lei si sentiva aspirata dentro ad un buco nero.
Quel cuore traditore collassò dentro la cassa toracica quando percepì le labbra di Harry muoversi sulle sue in uno sfioramento di aria assordante che si propagò all'interno di ogni cellula come l'esplosione di mille bombe, quando lui parlò ancora «Ti troverò, perché sei l'unica cosa di cui non posso sopportare la mancanza».
***
Aprì gli occhi a fatica, le palpebre scendevano pesanti come pietre incastonate nella terra.
La vista si diramò appannata, solo poche venature di luce a penetrare quella membrana di fitta oscurità.
Solo i suoni volteggiavano assordanti nelle orecchie.
Un fracasso, uno schianto. Il colpo.
Il corpo intero dolorava, scollegato da impulsi e lasciato penzolare in uno spazio che riconosceva solo a causa della gravità che verteva sulla sua sofferenza.
La sagoma di un volto umano che si sporgeva verso di lui.
«Perché?» lo bisbigliò a fatica, segnato come se avesse riconosciuto l'identità di quella presenza. Come se avesse avuto un significato.
La sua risposta arrivò secca, determinata quanto la sciabola della morte prima di colpire le sue sfortunate vittime.
«Mi dispiace.» Silenzio. «Ma la mia vita vale di più».
Spazio Ila 🐿 :
Ragazze, so di essere in un ritardo mostruoso, ma questo capitolo è stato un parto!
Era importante per diversi motivi che capirete andando avanti... Però, per farmi perdonare, posso dire che è davvero pieno eheh!
Vi stanno piacendo questi due protagonisti? Nascondono ancora tanti misteri e particolarità che piano piano andremo a scoprire.
Ve lo immaginavate Harry sonnambulo? E avete capito qual è il problema di Alluene nel guardare in alto?
Ricordate che siamo sull'isola della "magia" e tutto può succedere ❤️
Grazie sempre di cuore per passare di qui e per il vostro sostegno di cui non potrei fare a meno!
Vi ricordo sempre la stellina ⭐️ se vi è piaciuto il capitolo ❤️
E nel finale...un enigma, vediamo se più avanti capirete ❤️
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro