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[ni-jū] monochrome

dark mode: ON/OFF
nei media: myth by beach house










What comes after this
Momentary bliss 押し英ざう

























HELP ME TO NAME IT
[monochrome]




Quella notte mi segnò. Da qualche parte dentro di me c'è ancora un luogo che odora di pioggia, di asfalto bagnato, di lui. Mi capita di tornarci spesso, quando le domande sono più delle risposte, quando mi perdo dentro me stesso e non trovo altra via d'uscita. La sua mano nel buio si tende ancora verso di me, oggi come allora.

Pensarci è doloroso, ma mi fa provare uno strano senso di equilibrio, come se soffrissi di vertigini e quel ricordo fosse per me il pavimento che mi strappa all'aria per riconsegnarmi alla terra.

Il dolore di quella notte mi riconsegnò alla realtà.
Sentii il cuore, come quando ero bambino, pulsare tra le mie mani. Fu un momento di profonda onestà verso me stesso, verso i miei sentimenti e le mie paure. Per la prima volta abbracciai il bambino che mi abitava dentro, gli asciugai le lacrime, gli baciai le guance e lo strinsi forte a me.

Gli dissi quello che per molto tempo avevo tenuto nascosto. Il mio unico desiderio, da quando ho urlato il primo vagito al mondo, e che mai ero riuscito a spiegare a parole, ma solo con le lacrime che mi bagnavano le guance.
Qualcosa che mi porto dietro dalla nascita, e prima della nascita, che si corica al mio fianco ogni notte e mi segue come un'ombra ogni giorno, ovunque io vada. Qualcosa che mi ha fatto sentire vuoto, incompleto, per tutta la vita.
Il pezzo mancante della mia anima frammentaria.

Amore.

Un bisogno viscerale d'amore.
Amarmi, amare, essere amato.
Lasciarmi alle spalle l'odio, il dolore, la solitudine, e ricominciare da capo, ricominciare da un bacio, sulla fronte di un bambino, sulle labbra di un ragazzo.

Amami.
Ti prego, amami.













«Sei sicuro che non è un problema che io salga a casa tua a quest'ora?» gli chiesi, torturandomi le mani nascoste nelle maniche troppo lunghe della sua giacca. Me l'aveva ceduta subito, anche se era zuppo di pioggia quanto me, mentre camminavamo in silenzio verso la sua auto.
Mi aveva gettato occhiate preoccupate di tanto in tanto dallo specchietto retrovisore, probabilmente perché tremavo come una foglia ed ero appena guarito dalla mia febbre improvvisa e inspiegabile.

Ma quelle occhiate non le aveva riservate solo a me.
Yerin, seduta accanto a lui, non gli aveva rivolto la parola, neppure quando era scesa dall'auto per rientrare in casa, sbattendo la porta. I suoi occhi erano colmi di risentimento, le guance solcate da lacrime ormai secche e dipinte di nero.
Sapevo di aver rovinato la serata a tutti, e mi vergognavo di non sentirmi neppure in colpa mentre inspiravo a pieni polmoni il profumo di Taehyung che impregnava la sua giacca.

Mi accorsi di essermi addormentato, cullato dal lento ondeggiare dell'auto e dal dolce ticchettio della pioggia che s'infrangeva sul parabrezza, soltanto quando sentii una mano familiare accarezzarmi la spalla. Era stato a quel punto che Taehyung, con una strana indecisione dipinta in volto, mi aveva chiesto di salire a casa sua.

Per asciugarci i capelli.
Ti presto dei vestiti puliti.
Ti va?

E il mio cuore smise di battere per una frazione di secondo. Oggi, dinanzi alla stessa domanda e a quell'espressione sul suo viso, il mio cuore cesserebbe di battere per tanti motivi diversi, ma allora la mia mente riuscì a elaborare un unico pensiero: finalmente potrò vedere la casa in cui è cresciuto, saprò di che colore sono le pareti della sua camera, quali libri ci sono sul suo comodino e quali invece colmano i suoi scaffali.

Accettai, con le guance in fiamme e senza riuscire a nascondere il sorriso che mi tremava sulle labbra. Bastava davvero una sua parola, un suo gesto, anche quello apparentemente più insignificante, e il mio umore mutava, come i cieli camaleontici dell'Islanda durante l'aurora boreale.

Anche se fremevo dalla voglia di correre con lui in camera sua, la buona educazione che i miei genitori mi avevano plasmato addosso ebbe la meglio sull'euforia. Così gli chiesi più volte se a suo padre non desse fastidio, se non era un problema per lui, e altre mille domande stupide che avrei voluto tanto non fargli. Ma Taehyung non sembrò farci troppo caso. Per la verità non mi rispose neppure, scese dall'auto e si avviò in direzione di una palazzina dall'aspetto insolitamente vintage per una città come Busan. Mi guardai rapidamente intorno, cercando di cogliere anche i dettagli più ordinari di quel posto. Scorsi per lo più condomini; doveva essere un quartiere residenziale, anche piuttosto tranquillo a giudicare dall'aspetto pulito e ordinato, anche se ben distante dal lusso asettico e monotono del quartiere in cui ero cresciuto io. Forse erano soltanto i miei occhi a vedere tutto sotto una luce diversa, speciale, ma lo trovai un bel posto in cui crescere, farsi degli amici con cui giocare nel piccolo parco con le altalene, con cui imparare ad andare in bici o sullo skateboard.

Sorrisi tra me e me, ma quando il mio sguardo si posò di nuovo su Taehyung pensai alle parole che mi aveva detto, a quel poco che sapevo su sua madre, ai suoi occhi sempre tristi, alle lacrime mute e alla malinconia che gli aleggiava in volto quando fumava tutto solo.
Non sapevo niente sulla sua infanzia, ma in quel momento mi ritrovai a pregare che fosse stato felice, che avesse avuto buoni amici con cui condividere il pezzo più grande della sua torta di compleanno, che non avesse conosciuto la solitudine nell'età in cui si è più fragili e indifesi.

Immaginai un bambino dallo sguardo vispo e la carnagione color miele, circondato d'amore e affetto, e pregai per lui, per la sua infanzia, per l'infanzia che io non avevo avuto mai.
Accelerai il passo e lo raggiunsi per camminare al suo fianco.












Non vidi molto di casa sua, perché era avvolta nel buio. Entrammo in punta di piedi, cercando di non far rumore e facendoci luce con la torcia del telefono, dopo aver lasciato le scarpe all'ingresso. Taehyung mi disse che suo padre aveva il sonno leggero e che non voleva svegliarlo a quell'ora, perché l'indomani aveva il turno di mattina presto. Così, lo seguii in camera sua.

La prima cosa che notai fu la parete tappezzata di fotografie e polaroid, alcune attaccate direttamente con il nastro adesivo, altre con delle puntine colorate. Le pareti, di un grigio scolorito, si vedevano a malapena; dove non c'erano foto, infatti, c'erano i poster. Erano stampe di diverse dimensioni di schizzi, quadri astratti e impressionisti, con una evidente preferenza per Vincent van Gogh. La Notte stellata si ergeva al di sopra della scrivania, su cui era poggiato un portatile abbellito con degli adesivi, abbandonato in mezzo a una catasta di libri e matite colorate.
Accanto c'era una piccola libreria che conteneva più volumi del dovuto, tanto che uno scaffale col tempo aveva ceduto sotto quel peso. Taehyung sembrava aver risolto quel problema un po' alla bohémien, usando altri libri, più spessi e con la copertina rigida, come supporto inferiore. Sullo scaffale in alto, invece, c'erano innumerevoli vinili e dischi, tra cui riconobbi AM degli Arctic Monkeys e l'album cult dei The xx.

Taehyung rise della mia espressione più volte, mentre tentavo di cogliere anche il dettaglio più effimero di quel posto. Si sedette sul letto, seguendomi con lo sguardo mentre curiosavo tra i suoi scaffali. Sfiorai con i polpastrelli i suoi libri, memorizzai i titoli di tutti quelli che non conoscevo, ripromettendomi che li avrei letti in futuro per poterne parlare con lui.

Mi fermai solo quando Taehyung mi porse una tuta nera accuratamente piegata.
«Credo possa andarti bene. Cambiati, vado a prendere l'asciugacapelli. Tranquillo, busso prima di entrare» disse con una risatina, e le mie guance presero fuoco.

La tuta era di un tessuto soffice e pesante. Mi stava un po' larga, soprattutto le maniche, ma tutto sommato sembrava della mia taglia. Provai ad annusarla, ma non riuscii a sentire il suo solito odore, di tabacco, cloro e colonia maschile. Doveva averla lavata da poco, perché profumava di bucato fresco.

Quando Taehyung tornò, ci asciugammo i capelli insieme. Mi fece sedere sulla sedia girevole posta di fronte alla scrivania e si mise in piedi alle mie spalle. La sensazione del getto d'aria caldo sulla cute e delle sue mani tra i miei capelli mi rilassò, tanto che iniziai a sentire le palpebre pesanti.

Fu lui a rompere il silenzio per primo.

«Perché sei scappato via in quel modo?» mi chiese, avvicinando la bocca al mio orecchio per sovrastare il rumore dell'asciugacapelli. I suoi polpastrelli mi sfioravano appena, mentre faceva scivolare le dita tra le ciocche umide appiccicate alla mia fronte.

«C'era troppa gente» risposi dopo un po', perché quella mi sembrò l'unica scusa plausibile che non avrebbe richiesto altre spiegazioni. Dopotutto ero davvero quell'amico timido e introverso che rovina le serate agli amici, quello che sta sempre in disparte in una stanza piena di gente, quello che trovi in un angolino alle feste scolastiche, ammesso che per qualche strano e assurdo motivo ci sia andato. O forse no, io non ero quel tipo di amico, perché a una festa scolastica non c'ero neppure mai stato. Avevo sempre avuto troppa paura di tornare a casa in lacrime e con un occhio nero. Se mio padre mi avesse visto, allora mi avrebbe costretto a fare lo stesso, a sferrare un pugno a chi lo aveva sferrato a me. Occhio per occhio, dente per dente. Così fanno i veri uomini.

Come avrei potuto spiegare a un uomo come lui che non lenisci il dolore con altro dolore?

Non mi conosci. Delle mie lacrime non ti è mai importato, ma vorrei che sapessi che non è stata la voglia di vendicarmi di un mio compagno di classe a condurmi a una festa stanotte, ma l'amore che provo per un'altra persona. L'amore che ha vinto la paura, stavolta.
Come te lo spiego, papà?
Anche ora che sono felice, che sono con lui, la tua ombra mi alita sul collo come il mostro che quando ero bambino si coricava sotto al mio letto e mi terrorizzava.
Quel mostro oggi ha la tua faccia.

«Non è vero. Ti ho visto ballare con Yerin, ti stavi divertendo». La voce di Taehyung arrivò tanto improvvisa da farmi sussultare. Sbattei le palpebre e reclinai la testa all'indietro per poterlo guardare. Stava sorridendo, e mi chiesi come potesse essere così bello anche da quella strana angolazione.

Arrossii e abbassai il capo di scatto. «Allora hai visto male» mugugnai, sperando di lasciar cadere l'argomento.

Taehyung non disse niente. Spense l'asciugacapelli, staccò la spina e lo poggiò sulla scrivania. Poi mi scompigliò i capelli e con una mano voltò la sedia girevole su cui ero seduto.

«Impossibile» mormorò, poggiando le mani sui braccioli e abbassandosi verso di me per incontrare i miei occhi. Mi osservava con la sicurezza nello sguardo e l'incertezza sulle labbra dischiuse, che tremavano impercettibilmente a ogni respiro.

«C-che vuoi dire?» sussurrai senza fiato, spingendomi all'indietro contro lo schienale.

Mi guardò senza fiatare, col respiro accelerato che somigliava più a un sospiro intermittente, come se provasse dolore.
«Non ho visto male» mormorò dopo un po'. «Non ti ho tolto gli occhi di dosso neppure per un secondo. E lo sai».

La sua espressione era tanto seria da farmi tremare i polsi. Era troppo vicino, sentivo il suo profumo, il suo respiro sulle guance, e non riuscivo più a sostenere il suo sguardo.

Deglutii e voltai la testa di scatto, guardando tutto meno che i suoi occhi. «Quando ti sei allontanato ho avuto paura, così sono scappato via. Tutto qui». Parlai lentamente, cercando di sembrare convincente, ma una parte di me era certa che sentisse il mio cuore battere all'impazzata. Batteva così forte che lo sentivo rimbombare nelle orecchie.

Taehyung sospirò pesantemente, raddrizzandosi appena, e io ne approfittai per alzarmi in piedi e scivolare lontano da lui.
Incredibile come il nostro corpo faccia l'esatto opposto di ciò che vuole il nostro cuore, talvolta.

Mi fermai davanti alla libreria, con una strana sensazione di déjà-vu che mi percorse tutto il corpo come un brivido, perché ci eravamo già trovati in quella situazione in passato, a parti invertite, quando io ero ancora rinchiuso in camera mia.
Feci allora una cosa stupida, di cui però non mi sono mai pentito. Cercai un titolo con lo sguardo, certo che l'avrei trovato: Norwegian Wood di Haruki Murakami. Lo individuai subito: era una copia più vecchia e malandata, ma uguale alla mia, con la spina ruvida e piegata che hanno soltanto i libri che sono stati riletti molte volte. Lo aprii a una pagina qualsiasi e immersi il naso tra le pagine, inspirando l'odore della carta. Poi guardai Taehyung, e ci ritrovammo a fissarci, proprio come quella volta.

Fu allora che gli confessai davvero i miei sentimenti, nell'unico modo che conoscevo, un po' strano per un ragazzo della mia età, forse infantile e anche troppo ambiguo per considerarlo una confessione, ma lo feci davvero, senza pensarci neppure per un istante. Lo feci quasi con rabbia, con rassegnazione, scagliandogli addosso tutto ciò che avevo custodito gelosamente fino ad allora.

Tanto non ti avrò mai, ripetevo a me stesso. Mi dissi che a quel punto niente aveva più importanza, che sarei stato sempre il suo amico problematico e null'altro, e forse neppure quello, ma dentro di me non riuscivo a non sperare che un giorno lui avrebbe potuto essere davvero mio. Riposi la mia ultima speranza in quella confessione, in quel libro che stringevo al petto, in quel ricordo così importante per me. Se fosse stato importante anche per lui, allora avrebbe capito. Avrebbe capito ogni cosa, ogni sguardo mancato, ogni parola non detta, ogni respiro spezzato.

Taehyung restò immobile, con gli occhi fissi nei miei e i pugni chiusi, l'espressione bianca e illeggibile come tutte le volte che si chiudeva in se stesso, lasciando il resto del mondo fuori. Inafferrabile, inarrivabile, irraggiungibile.

Deglutii a vuoto, tentando di ricacciare indietro le lacrime che sentivo già scorrere sulle mie guance. Riposi il libro e gli diedi le spalle.

Basta così.
Adesso la smetterai di elemosinare amore come un disperato? Lo fai da quando sei nato.
Stanne fuori, o ti farai male.
Lei ti aveva avvertito, e invece tu...
Oh, povero, patetico, Jungoo.

Sentii i suoi passi dietro di me, rapidi sul parquet. Mi prese per mano e mi fece voltare verso di lui. Aveva anche lui gli occhi lucidi.
«Qualsiasi cosa ti abbia detto Yerin, non è vera», disse in un sospiro un po' tremante.

«Tu cosa pensi che mi abbia detto?» sussurrai, asciugandomi in fretta le guance con le mani.

«Non lo so». I suoi occhi mi scrutavano con insistenza, con curiosità. «Yerin non è quella che vuole apparire. Vorrei soltanto che andaste d'accordo, voi due. Lei avrebbe bisogno di qualcuno-» s'interruppe improvvisamente, come per cercare le parole giuste. Lo vidi vacillare, mordersi le labbra, mentre la sua mano si intrecciava sempre di più alla mia. «-come te. E anche tu... Quello che voglio dire è che siete più simili di quanto pensiate» disse d'un fiato.

Lo guardai senza capire, tentando invano di elaborare ciò che mi aveva detto. Siete più simili di quanto pensiate. Non mi accorsi neppure della risata amara che per un attimo aveva lasciato le mie labbra, perché la trovai una frase brutalmente vera.
«Hai ragione... siamo proprio simili» mormorai lasciando la sua mano. Siamo due stupidi innamorati.

Gli diedi le spalle e mi appoggiai con i gomiti al davanzale della sua finestra. Fuori aveva smesso di piovere, il cielo si stava aprendo, e la luna era più luminosa.

«Non vuoi parlare di lei» disse Taehyung alle mie spalle.
«No, non voglio» mormorai a capo chino.
«Lei ti piace?» mi chiese in un sussurro.
Mi voltai di scatto con gli occhi sgranati.
«Cosa!?»

Si avvicinò ancora e si fermò solo quando ci ritrovammo faccia a faccia. Taehyung mi fissò con gli occhi di chi sa di essere già sconfitto. Poi, lentamente, macchinalmente, con voce molto bassa, stanca e rotta dall'angoscia, ripeté: «Yerin, ti piace?».
«Lei... è una bella persona» risposi dopo un po', senza capire.
«Non in quel senso».
Aggrottai la fronte e dischiusi le labbra.
«E in quale senso, allora?».

Taehyung si avvicinò ancora di più, non c'era più alcuna distanza tra noi. Il suo petto aderì al mio, e lo sentii vibrare quando parlò.
«Nell'unico senso che ti fa tremare le ginocchia ogni volta che incroci il suo sguardo, e che ti impedisce di pensare razionalmente in una situazione come questa, quando la tua bocca si trova a un centimetro dalla sua e senti il suo respiro sulla faccia».

«Perché mi stai dicendo queste cose, hyung?» chiesi con un filo di voce. «Cosa vuoi sentirti dire?».

«Non lo so. Dimmi qualcosa, non mi importa più che sia una bugia oppure la verità. Forse cerco soltanto una scusa per sbagliare ancora, perché so cosa è giusto fare, ma so anche che non è quello che voglio. Mi metti in difficoltà. Quando sono con te non riesco a pensare» disse con la voce che tremava, mentre avvicinava le labbra alle mie.

«Non farlo, allora. Non pensare a niente» sussurrai.
«Perché non mi allontani, Kookie?» chiese, e la sua bocca toccò la mia mentre parlava. «Perché adesso non mi stai allontanando come fai sempre?».
«Perché non ho più niente da perdere. Yerin ha capito tutto. E anche tu.»

«Posso baciarti?» sussurrò, e il suo respiro caldo mi solleticò la pelle.
Annuii, e d'istinto chiusi gli occhi. Avevamo smesso di parlare nel momento in cui avevano iniziato a farlo i nostri corpi. Quando mi baciò, lo sentii sospirare sulla mia bocca. Le sue labbra erano morbide e piene sulle mie, ruvide e mangiucchiate. Mi baciò con lentezza, come se avesse paura di spingersi troppo oltre, ma quando gli cinsi il collo con le braccia, lo sentii tremare forte. Poggiò le mani sulla mia vita, mi strinse a sé, e le nostre lingue si sfiorarono per la prima volta.

Le labbra di Taehyung erano i confini di una galassia. Le baciavo e tutto il resto spariva. C'eravamo soltanto io e lui, bocca contro bocca.

Quando ci staccammo, ormai senza fiato, Taehyung mi baciò le guance, la fronte, la punta del naso.
Lo abbracciai forte e nascosi il viso sul suo petto.
«Il nostro primo...» sussurrai, così piano che temetti non mi avesse neppure sentito.
«Non è il primo» mormorò tra i miei capelli.
Ci guardammo ancora, come se ci vedessimo per la prima volta.

«Non guardarmi così...» mormorai arrossendo e nascondendomi dietro le maniche della felpa.
Taehyung rise come un bambino.
«Vorrei che potessi guardarti con i miei occhi anche solo per un istante. Non ti nasconderesti mai più come stai facendo adesso».
Lo abbracciai ancora, e restammo avvinghiati così per un tempo infinito.
«Hyung... Non sto sognando, vero?» mugugnai contro il suo petto, stringendomi di più a lui. «Sei davvero qui, ti sto davvero abbracciando? È tutto vero?».

Sentii il suo cuore perdere un battito, e poi accelerare di colpo, battendo all'impazzata, anche attraverso il tessuto pesante della sua maglia. «Sì, Kookie... è tutto vero».

Quando ci scostammo, Taehyung mi guardò con gli occhi arrossati. Aveva le guance umide, le lacrime secche sotto agli occhi e la bocca gonfia dei miei baci.
«Kookie, Yerin non deve sapere quello che ci siamo detti stasera. Non voglio che soffra. Ha già sofferto tanto. Ho promesso che l'avrei protetta sempre, che l'avrei resa felice... e ho fallito. Non sono in grado di proteggere nessuno, neppure te. In questo momento io non ti sto proteggendo» disse d'un fiato, asciugandosi il viso con una mano e portandosi indietro i capelli con un gesto nervoso.

Scossi il capo e, timidamente, gli baciai la guancia. «Ti sbagli. Lo fai tutti i giorni da quando ti ho incontrato».

Allora non potevo capire quanta verità ci fosse in quelle parole.














What you do to me
Help me to name it 右ベ俺 ポ 偉ル畝ハピ











a/n

Dedico questo capitolo di Rapsodia in Blu a tutti i suoi lettori più affezionati. Un grazie speciale va a Paola @emozionisempreconme e Ema @_taernith, il vostro affetto mi lascia sempre senza parole. Leggo e rileggo i vostri commenti e soprattutto i messaggi che mi avete scritto su instagram. Ho le lacrime agli occhi anche adesso, perché grazie a voi ho capito quanto Jungoo e Taehyung siano diventati importanti per me e per tante altre persone. Questa non è più soltanto una storia, ma un rifugio per tutti coloro che non hanno ancora trovato il loro posto nel mondo, per le anime sensibili, per chi vive di emozioni.

Sarò ripetitiva nel dirvi che non trovo altre parole per spiegarvi ciò che voi e questa storia mi avete regalato. Le ho lasciate tutte qui, in questo capitolo, che vi dedico con tutto il cuore.

Vi aspetto nei commenti per rileggere come sempre il capitolo insieme a voi. Le vostre emozioni per me sono la cosa più importante. Spero di avervi emozionat* e di essere stata all'altezza di questo capitolo importantissimo per la storia.

Grazie, grazie, grazie.
Vi abbraccio,
Maddie 💙

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