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[jū hachi] ali di cera

dark mode: ON/OFF
nei media: freaks - surf curse










I dream of you
almost every 
night 隠恩そメョゾ 意
















ALI DI CERA





Per un solitario come me avere degli amici era un privilegio che non potevo permettermi di perdere. Avevo passato tutta la mia vita a desiderare l'accettazione dei miei coetanei, senza mai trovare il coraggio di cercarla davvero, di impegnarmi nelle relazioni con la stessa determinazione con cui mi impegnavo negli studi. Mi accorsi di essere sempre stato solo quando scoprii, ironia della sorte, di non essere più solo.
Mi accorsi al contempo di non averla mai desiderata questa mia solitudine, ma di averla passivamente accettata, di averla fatta mia, scavando dentro di me un posto per confinarla tutta, per illudermi di riuscire a sopportarla. Ne avevo preso coscienza come si prende coscienza di una ferita, o di una cicatrice. Lei era lì, potevo sfiorarla con le dita e sentirla sotto i polpastrelli. È carne recisa, marchio indelebile sul corpo, come indelebile è il dolore che trascina con sé. La mia solitudine era la mia ferita, causa ed effetto, me l'ero procurata da solo, l'avevo scelta.

Se sono solo, è perché ho deciso di esserlo, ma è davvero così? Avevo davvero avuto il potere di scegliere la solitudine, di confinarla in me? O ero io ad essermi confinato in essa, lasciando che si impossessasse di me?

Avevo cominciato a pormi queste domande sin dal primo momento in cui l'avevo conosciuto.
Taehyung aveva cambiato tutto il mio mondo. L'aveva stravolto. Con lui avevo sfiorato per la prima volta la felicità, non ero mai stato così vicino a quella sensazione di euforia che colma il cuore e illumina gli occhi. Ero felice, e per i motivi più banali: mi bastava essergli vicino, parlargli e sentire quella sua voce profonda, osservarlo mentre leggeva, mentre rideva, mentre cantava le sue canzoni preferite quando passavano alla radio. Potevo, qualche volta, persino toccarlo, quando per puro caso nostre dita si sfioravano durante una conversazione. E non potevo, non volevo perderlo, perdere quel barlume di normalità che mi aveva regalato dopo anni trascorsi a sentirmi sbagliato, un alieno sulla Terra, inadatto a questo mondo. Avevo scoperto l'esistenza di persone come Taehyung, come Yerin, che avevano convissuto con la loro alienazione fino a farla diventare una parte di loro, una loro peculiarità. Insieme a loro mi sentivo vivo. Insieme a loro avevo scoperto la vita, avevo scoperto di voler vivere, come loro, con loro, per la prima volta.

Iniziammo a vederci, noi tre, quasi ogni sera, girovagando per Busan e facendo le cose che facevano tutti i normali ragazzi della mia età. Andavamo al cinema, a mangiare carne di pessima qualità e a bere soju fino a farci venire il mal di stomaco. Parlavo poco, o non parlavo affatto, ma adoravo ascoltare i loro discorsi. Amavo la loro compagnia, e amavo ancora di più vederli prendersi in giro a vicenda e ridere delle futilità. Cercavo di nascondere le occhiate furtive che gettavo intorno a me, ancora in cerca di uno sguardo o una risatina di scherno tra tutti quei volti sconosciuti che per tanto tempo avevo tenuto lontani da me, barricandomi in camera mia. Sapevo però che Taehyung mi osservava, costantemente. Mi seguiva con la coda dell'occhio, convinto che io non lo notassi, ed io nascondevo il tremore delle mie mani infilandole nelle tasche delle mie felpe nere tutte uguali, altrettanto convinto che lui non mi notasse. Ma Taehyung sapeva. Sapeva quando ero lì con loro e quando invece ero invischiato nel bosco oscuro dei miei pensieri, perché ogni volta che ci finivo dentro, sentivo la sua mano sulla coscia che lentamente, una carezza dopo l'altra, mi riportava alla realtà.

Quel gesto mi dava speranza, la patetica illusione che forse anche per lui non ero soltanto un amico, un amico e basta, un ragazzino qualunque con cui uscire qualche volta e fingere insieme di non essere soli, di essere normali.
Eppure ogni volta che timidamente cercavo il suo sguardo, non riuscivo mai ad incontrarlo per più di qualche secondo. Taehyung aveva smesso di guardarmi in quel suo modo speciale - come quando ti specchi nell'oceano e vedi te stesso, ma mai dall'altra parte - dalla sera del compleanno di Yerin, ed io tremavo solo al pensiero di chiedergli per quale motivo.

Lo diceva sempre mio padre: le cose belle non durano mai a lungo, soprattutto per quelli come me. Se vieni dal fondo, potrai illuderti di volare, costruirti ali di cera per mentire a te stesso, ma quando il Sole si alzerà alto nel cielo, più in alto di te, più in alto di quanto tu possa persino immaginare, allora ti schianterai al suolo. Sarai Icaro sulla terra, e mai tra le nuvole. Mai leggero, mai celestiale, sempre terreno, umano, e come tutte le cose terrene sarai mortale, potrai sbagliare, fare del male, farti del male. Il tuo mondo di cera si sgretolerà davanti ai tuoi occhi e tu potrai soltanto guardare.

Accadde anche a me di fluttuare come Icaro in quei giorni, che ancora oggi ricordo come i più felici di tutta la mia vita. Accadde una sera di fine novembre. Ero con lui. Ero felice, credevo di esserlo. Credetti persino di star bene, di essere finalmente guarito.

Ma cos'è la guarigione?
È forse un paio di ali di cera?



















«Prendiamo qualcosa da bere?» gridò Yerin, tentando di sovrastare la musica che suonava a volume intollerabilmente alto nel locale.
Era affollato, troppo affollato. C'erano gruppi di ragazzi ovunque mi girassi, in ogni angolo, accanto a ogni bancone, seduti ai tavoli e al centro della pista. Ero agitato e covavo un profondo rimorso per aver accettato l'invito di Yerin.

Mi ero comportato da bambino capriccioso, ancora una volta. Taehyung aveva negato categoricamente la possibilità di andare insieme in un locale, nonostante l'insistenza di Yerin. Era pronto a litigare con lei, l'avevo sentito alzare la voce per la prima volta in quel modo, pur di farle cambiare idea sui piani per quella sera. Mi sentii disgustosamente felice per questo, e subito dopo anche infinitamente triste, sbagliato, il solito guastafeste.

Così avevo acconsentito alla proposta di Yerin, mi ero schierato dalla sua parte, recitando il copione del ragazzo normale che avrebbe potuto gestire quella situazione senza problemi, come se non fossi stato confinato in camera mia per mesi, come se non avessi il terrore dei luoghi affollati, come se fossi un altro Jungkook. Il ragazzo che avevo sempre desiderato essere.

E Taehyung mi guardò davvero come se non mi riconoscesse. Il cipiglio sulla sua fronte era profondo, volevo accarezzarlo con le dita, vederlo rilassarsi sotto il mio tocco. Volevo confortarlo, io che ero incapace di confortare persino me stesso dal giorno in cui ero venuto al mondo. Patetico.

Taehyung negò ancora, si rifiutò di portarmi in quel dannato locale, perché sapeva tutto. Me lo leggeva negli occhi, ma io fui troppo stupido per capire che lo faceva per me. Fui troppo stupido e sbagliai ancora, feci ancora una volta la sola cosa di cui mi fossi mai davvero pentito in tutta la mia vita: lo ferii.

Non sono un bambino, non devi proteggermi.

Quelle parole mi incendiarono la gola. In un attimo eravamo di nuovo soli, noi due, nella mia cameretta, immersi tra i miei libri e le mie paure. Sentivo, come allora, lo sguardo triste di Taehyung su di me. Quella volta Taehyung non si era arreso, aveva continuato la sua lotta per tirarmi fuori dall'oscurità in cui ero impantanato. Non aveva lasciato andare la mia mano.

Stavolta lo fece.
Si arrese, e mi lasciò andare.

Mi stai lasciando volare?
O mi stai lasciando cadere?

«Yah, Jungkookie! Mi hai sentita?». Yerin mi toccò la spalla e sgranai gli occhi.
Era successo di nuovo. Mi ero perso nei miei pensieri. Taehyung mi guardò di sottecchi e si lasciò cadere a peso morto su un divanetto lì accanto. Distolse subito lo sguardo non appena incontrò il mio e prese a giocherellare con i suoi braccialetti.

Le sue mani.

Prima che m'incantassi a guardarle, mi sbrigai a prestare attenzione a Yerin, rosso in viso.
«A-ah, sì, va bene» balbettai mordendomi l'interno della guancia un attimo dopo.
Mi chiesi esattamente a cosa avessi acconsentito, ma era troppo tardi, perché Yerin mi rivolse un sorrisone, disse qualcosa a Taehyung e sfrecciò rapida come un fulmine verso il bancone. Ero così fuori di me che avevo dimenticato la sua domanda un attimo dopo averla sentita.

Bere forse non era una grande idea. Non dopo il compleanno di Yerin.

Avevo sbagliato ancora, avevo acconsentito a qualcosa senza rifletterci per davvero, senza pensare alle conseguenze. Mi pizzicai la pelle della mano, dapprima piano e poi più forte, affondando le unghie nella carne, e provai una sensazione di sollievo che mi attraversò tutto il corpo come una scarica elettrica. Lasciai andare solo quando sentii che stavo tornando lucido, solo quando i miei pensieri si fecero un po' meno incasinati.

Allora alzai lo sguardo, e trovai Taehyung che fissava la mano su cui ormai c'era un solco nitido e rosso scuro, a forma di mezzaluna. Sarebbe stato carino se non fosse stato tanto simile a una ferita o a una cicatrice. Alzò gli occhi e incontrò i miei.

Lo so, lo so cosa stai pensando.
Avevi ragione tu.
Sbaglio sempre.

Mi aspettavo uno sguardo carico di delusione, o di compassione, oppure di rabbia per il modo in cui l'avevo trattato, per il mio capriccio stupido che mi si era già ritorto contro. Eppure Taehyung non mi guardò in quel modo, la sua espressione era bianca. Impossibile decifrare il sentimento dietro quegli occhi lucidi puntati contro di me.
Per un brevissimo istante - tanto breve da farmi temere di averlo soltanto immaginato - lo vidi far scivolare lo sguardo su di me, sulla bocca ruvida che mordicchiavo senza tregua, sulla felpa che avevo lasciato aperta perché lì dentro faceva troppo caldo, sui jeans che mi fasciavano le cosce che solo di recente avevano ripreso un po' di tono.

Si passò una mano sui capelli e poi sui viso, strofinandosi gli occhi come aveva già fatto in precedenza, e tentai di convincere me stesso che fosse esasperazione la sua, preoccupazione per me, o forse stanchezza, e non la stessa sensazione che provavo io, che mi faceva tremare le ginocchia ogni volta che mi sfiorava.

Mi fece segno di raggiungerlo accanto a lui sul divanetto. Mi sedetti abbastanza distante da lui da non tremare come una foglia, nel caso in cui, per puro caso, le nostre braccia si fossero sfiorate.
Ma Taehyung non sembrò capire le mie intenzioni, o forse non volle farlo, come non aveva mai voluto prendere le distanze da me, o starmi lontano.
Scivolò più vicino, abbastanza perché io percepissi il suo respiro, ma non da toccarmi.

Allora mi fu chiaro.
Mi fu chiaro che non avevo capito niente.
Taehyung non mi aveva mai lasciato andare.
Ero io ad aver lasciato andare la mano che lui sin dal primo momento mi aveva offerto.

Mi aveva sempre cercato, trovato, curato, in tutti i modi in cui una persona può essere curata.
Gli dicevo di andarsene, e lui invece restava.
Gli gridavo di starmi lontano, e lui si avvicinava di più. Eppure la sua invadenza non mi parve mai tale.
Il suo abbattere tutti gli infiniti muri che ci separavano non mi sembrò mai una forzatura.

Aveva le chiavi per aprire le porte di tutte le prigioni in cui mi ero sempre confinato.

Ci guardammo, lui calmo come il mare del mattino, io tremulo come la sabbia agitata dalla brezza.
Lasciami entrare, sembravano dirmi i suoi occhi.
Lascia che io ti stia vicino. Lasciamelo fare.

«Taehyung» mormorai al suo orecchio. Tentai di emulare un tono di voce fermo, ma ero sicuro che fosse rauco e spezzato dal pianto trattenuto che incessantemente mi abitava il petto.
«Scusami per prima».
Non dissi altro, mi scostai lentamente per scrutare la sua espressione e ci trovai un sorriso a fior di labbra, un sorriso che raramente raggiungeva i suoi occhi, sempre stanchi e tristi.

Stavolta sorrideva davvero, con le labbra e con lo sguardo. Un sorriso vero, rivolto a me, tutto per me.
Avrei voluto imbottigliarlo in un'ampolla color cielo, per poterci guardare dentro tutte le volte che volevo e rivedere - ancora e ancora e ancora - quel sorriso meraviglioso, che proprio in quell'istante aveva risvegliato, una ad una, le farfalle nel mio stomaco.

Non mi accorsi neppure di aver ricambiato il suo sorriso. Lo capii dalla sua espressione e da quello che sussurrò in seguito. Non lo sentii, la musica era troppo alta, ma riuscii a leggere le sue labbra, che si mossero impercettibilmente per pronunciare una parola che mi aveva già detto in passato.

Kawaii.

Tremai così forte che riuscii a percepire la pelle d'oca contro i vestiti. Avrei voluto baciarlo in quell'istante, volevo che lui lo sapesse. Cercai dentro di me il coraggio di parlarne con lui, ma prima che potessi persino pensare a come confessargli i miei sentimenti, Taehyung avvicinò la bocca al mio orecchio.

Il suo respiro caldo mi solleticò il collo mentre mi sussurrava: «È tutto ok. Non tremare, Kookie. Non avere paura. Sarò sempre accanto a te, te lo prometto».

Sapessi perché tremo, Taehyung.
Ho smesso di avere paura nel momento stesso in cui mi sono seduto accanto a te.
Con te non ho mai paura.

Si scostò da me e sentii i suoi capelli sfiorarmi il viso. Il suo profumo mi fece chiudere gli occhi, mentre una dolce e terrificante sensazione di deja-vu si faceva strada dentro di me.

Questo profumo, quella bocca, i suoi capelli contro le guance. Li ricordo.
Dimmi che non è stato solo un sogno.

«Hyung-» tentai di dire, ma la voce si bloccò in gola, soffocata dai miei stessi ingestibili sentimenti.
Mi sentivo un vaso pronto a traboccare, o a rompersi definitivamente.
Taehyung non distolse mai lo sguardo dal mio, in attesa che continuassi, ma con i miei occhi nei suoi non avrei mai trovato la forza di parlargli di quella sera. Così li abbassai sulle mie mani.
Il suo mignolo prese a carezzare il mio, come a darmi coraggio, e quel semplice tocco bastò a calmare tutte le maree che abitavano il mio cuore.

Potevo parlargliene, potevo farlo.
Forse lui voleva che lo facessi. Forse come me non trovava le parole per dare un nome a quello che c'era tra noi, qualsiasi cosa fosse. Forse anche lui si sentiva come me, forse anche il suo cuore batteva tanto forte contro il petto da far male.

Andrà tutto bene.
Lui forse... lui forse davvero...

Il suo mignolo sfiorava ancora il mio quando decisi di riprovarci. «Hyu-».

«Dio, c'era una fila infinita al bancone. Spero che almeno non facciano schifo!» gridò seccata Yerin. Reggeva tra le sue piccole mani tre cocktail, di cui uno era decisamente in procinto di cadere.

Espirai lentamente il fiato che avevo trattenuto fino a quel momento, quando la mano di Taehyung si allontanò dalla mia per aiutarla a poggiare i bicchieri sul tavolino.
«Dovevo immaginare che fossi andata a prendere da bere» le disse alzando gli occhi al cielo. «Non ti è bastata la sbronza del tuo compleanno?».

I suoni intorno a me si fecero ovattati, mentre i pensieri facevano rumore nella mia testa.
Sentivo Yerin e Taehyung battibeccare come facevano sempre, ma non li ascoltai davvero.

La prossima volta, dissi a me stesso.
Di sicuro, la prossima volta... ci sarà un'altra occasione per me... di sicuro...
Abbassai lo sguardo sui miei piedi e sbattei le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. Una ad una le ingoiai, anche se faceva più male che piangere per davvero.

Quella sera imparai qualcosa che sin da bambino non ero mai riuscito a fare.
Trattenere il pianto.
Nascondere il proprio dolore per il bene di qualcun altro.

Mi risvegliai dal torpore dei miei pensieri solo quando sentii Taehyung dire: «No, Kookie non beve».
Yerin sbuffò. «Sembri suo padre, Tae-tae. Rilassati» ribatté annoiata, dondolandosi a ritmo di musica e bevendo il suo cocktail. Pensai, con una fitta al petto, che era davvero bellissima, con i suoi lunghi capelli di seta e sua spensieratezza senza freni.

«Qual è il mio?» le chiesi, alzandomi in piedi.
Yerin si voltò sorpresa verso di me. «Oh, Kookie, mi piaci da morire! Vedi, Tae-tae? Rilassati».
Con un sorriso euforico mi mise un bicchiere tra le mani e iniziò a ballare accanto a me.

Mi sarei divertito. Avrei dimostrato a Taehyung che sapevo essere più di un ragazzo solo e triste, che c'era ancora in me qualcosa da amare, qualcosa che valeva la pena di scoprire.

Sentivo il suo sguardo addosso mentre bevevo quel liquido amaro che mi pizzicava la lingua.
Lo sentivo bruciare come se fosse fuoco sulla pelle.

Allora, iniziai a ballare anch'io.













Hopefully I won't
wake up this time 
ケ慰 壱くヽまき










a/n

Dedico questo capitolo alla mia famiglia blu, che non mi ha mai lasciata sola e ha sempre regalato amore e belle parole a questa mia piccola storia. Grazie infinite per essere qui nonostante le attese, gli alti e i bassi e le mie - talvolta troppo - lunghe assenze.

Sono felice di darvi il bentornat* con un capitolo più lungo così che possiate godervelo come meritate.
Sono molto curiosa di conoscere i vostri pensieri, perché presto qualche nodo verrà al pettine.

Il prossimo capitolo sarà un po' particolare.
Avete qualche idea in merito a quello che potrebbe accadere?

Dal canto mio, devo dirvi che ho pianto un "pochino" all'inizio di questo capitolo, e anche ora che sto per cliccare su "pubblica" sento una grande tristezza nel cuore. Mi mancano già.
Il prossimo capitolo però arriva presto, perché è già tutto organizzato e non vedo l'ora di farvelo leggere.

Come sempre, non dimenticate di lasciare una stellina e un commento. Amo leggervi 💙
Se vi va seguitemi su Instagram, dove pubblico edit e altri contenuti extra su rapsodia in blu!
@\manami.desu

Vi abbraccio,
Maddie 🦋

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