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[jū go] aishiteru

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nei media: butterfly - sogyumo acacia band





Unable to open
my eyes, I sleep
buried beneath your 
wings て疫汚ゕ越しぎさ マじ









AISHITERU


La notte del diciottesimo compleanno di Yerin sua madre non tornò a casa. Non l'aveva nominata più di una volta quella sera, né aveva provato a chiamarla al cellulare, ma era evidente: Yerin l'aspettava, tamburellando nervosamente le unghie mangiucchiate sul tavolo di legno. A ogni rintocco dell'orologio le sue gote impallidivano un po' di più; i suoi grandi occhi da cerbiatto si ridussero a due fessure per il sonno e non smettevano di contemplare la bottiglia vuota che stringeva tra le dita. Di tanto in tanto lasciava ciondolare la testa in avanti e si concedeva qualche secondo di riposo, prima di rialzarsi di scatto e imporsi di restare sveglia ancora un po'. Lottava contro la stanchezza, contro la tristezza, con una dignità che non avevo mai visto prima, ma presto su quel viso da bambina la speranza lasciò il posto alla disillusione. Era da poco passata l'una quando si addormentò, e Taehyung era lì, al suo fianco, per afferrarla un attimo prima che crollasse sul pavimento.

La prese in braccio, stringendosela al petto come se avesse paura di farle male, e sparì nel buio del corridoio. Lo seguii con lo sguardo, e poi le mie gambe si mossero da sole, spinte da una curiosità che mi faceva tremare le ginocchia e il cuore a ogni passo. Mi fermai sul ciglio, nascosto dalla penombra.
Fu allora che la vidi, stesa sul letto di una minuscola cameretta tinta di azzurro, accovacciata in posizione fetale come i bambini nel grembo delle madri.

Taehyung stava seduto accanto a lei. La guardava con la stessa tristezza che gli avevo visto negli occhi quel pomeriggio. Le rimboccò le coperte e poi si sporse in avanti per lasciarle un bacio sulla fronte. Fu lieve, la sfiorò appena e poi si ritirò, come l'oceano quando bacia la riva. Mi vergognai per essermi intrufolato in quel momento intimo a cui non avevo alcun diritto di assistere.

Il rimorso mi fece arretrare. Il corridoio era così stretto che mi ritrovai spalle al muro, vulnerabile, intrappolato in un sentimento che, come un gomitolo, avevo involto con le mie mani e del quale adesso volevo disfarmi. Volevo buttarlo via come tutte le cose di cui mi ero liberato per fuggire dai miei problemi e dalle responsabilità. Volevo andarmene, dimenticare tutto, riuscire a vedere Taehyung come un amico - un amico e basta - e non cercare in lui tutti i colori che la vita mi aveva sempre negato. Avrei accettato persino che il blu tornasse a soffocarmi pur di non chiudere gli occhi e vedere ogni volta l'azzurro dei suoi capelli sotto le palpebre.

Mamma, è così che ci si sente?
È così che ti senti quando guardi papà e lui non ti guarda?

E quasi come se avesse ascoltato i miei pensieri, Taehyung in quel momento alzò lo sguardo su di me. Non smise di guardarmi neppure quando si alzò per raggiungermi, chiudendosi la porta alle spalle. Avrei voluto essere bravo quanto lui a indovinare i suoi pensieri, ma fallivo ogni volta.
Si fermò davanti a me, così vicino che quasi riuscivo a sentire il suono dei suoi respiri, e mi asciugò le guance con la manica della felpa. Solo allora mi accorsi delle lacrime che mi bagnavano il viso. Mi ritrassi di scatto, allontanandomi da lui quel tanto che bastava per nascondergli il rossore sulle mie gote.

«Ti riaccompagno a casa» disse a un tratto, e la sua voce era profonda. Le parole venivano fuori lente e strascicate, appesantite da quell'improvvisa stanchezza che sembrava aver risucchiato tutte le sue energie.
«Yerin», sussurrai a capo chino. «Yerin ha bevuto. Non dovresti lasciarla da sola».
Taehyung scosse il capo. «Ho promesso a tua madre che ti avrei riaccompagnato a casa entro l'una».
Feci un sospiro un po' tremante e lo guardai con l'espressione più risoluta che riuscii a simulare. «La chiamerò».
Ero certo che sarebbe morta di paura a sapermi fuori casa, di notte, insieme a persone che non conosceva nemmeno, eppure decisi di ignorare quel pensiero, pur di dimostrargli che per una volta poteva non prendersi cura di me come se fossi il suo fratellino, o un bambino da accudire e proteggere.

Taehyung scrutò nei miei occhi come faceva sempre quando tentavo di nascondergli le mie paure, perché sapeva che gli occhi mi tradivano sempre.

E mi tradirono anche quella volta.

«Mi dispiace» mormorò. Poi mi raggiunse e mi strinse in un abbraccio tanto forte da farmi mancare il respiro. «Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace tanto» ripeté, sussurrando tra i miei capelli. «Sono stato egoista a farti venire qui. Speravo di fare del bene a entrambi. Yerin è sempre così sola. E anche tu sei sempre così solo... Ma la verità è che sono io, sono io che non riesco a sopportarla, tutta questa solitudine che mi penetra nelle ossa. Mi fa male, Kookie, mi fa tanto male». Parlò veloce e flebilmente, come se non avesse abbastanza fiato, come se gli avessero sferrato un pugno nello stomaco.

Mossi un braccio per cingergli la schiena, ma stavo tremando e fui troppo lento. Taehyung si scostò da me prima ancora che riuscissi a toccarlo. Lo fece con dolcezza, poggiando le mani sulle mie spalle e sfiorandomi la guancia con la punta del naso. E quel gesto involontario bastò a farmi arrossire.
«Hyung», mormorai con lo sguardo fisso sulla sua felpa. Nel buio il suo sguardo sembrava trapassarmi da parte a parte più che alla luce. «Sono venuto perché volevo. Per me è già tanto essere riuscito a uscire dalla mia stanza. Senza il tuo aiuto-».
«Jungkook», mi interruppe, inclinando il capo per incontrare il mio sguardo. «Con me puoi essere te stesso. Puoi dirmi tutto quello che vuoi. Dimmi che hai paura, che sei arrabbiato con me o qualsiasi altra cosa tu stia pensando in questo momento, ma non abbassare lo sguardo. Non tremare. Parlami». Disse quell'ultima parola in un soffio, come se sospirasse per la fatica di averla pronunciata.
Ma io non gli risposi, non potevo. La voce mi mancava e anche se l'avessi avuta gli avrei detto cose di cui poi mi sarei pentito. Allora volevo soltanto stargli vicino, passare il mio tempo insieme a lui, ma non volevo che sapesse del mio cuore di bambino che batteva forte per il suo cuore di adulto.

Solo due anni di differenza, hyung.
Solo due anni di differenza bastano a negarmi la speranza che tu possa vedermi come io vedo te.

Poi Taehyung mi toccò; appena un dito sotto il mento, quanto bastava per guardarmi negli occhi, perché io vedessi il suo volto contratto dalla tristezza, come se tra i due fossi io quello che gli stava spezzando il cuore. La sua mano era grande, soffice sulla mia pelle, calda e mai esitante.
«Ti metto a disagio? Hai paura di me?» chiese con voce incerta.
Scossi rapidamente il capo e indietreggiai di un passo. La sua mano ricadde nel vuoto e io tornai a fissare il pavimento. Il naso mi pizzicava già e gli occhi si erano inumiditi, ma mi imposi di non piangere. Trattenni. Trattenni i singhiozzi in gola. Trattenni le risposte che voleva.

Non ce la faccio a guardarti.
Quando ti guardo mi viene da piangere.

«Devo chiamare mia madre. Potrei usare la toilette?» bofonchiai in fretta e con un tono che era infantile persino alle mie orecchie.
Osservai Taehyung con la coda dell'occhio e vidi che mi scrutava un po' interdetto, con la bocca dischiusa e le sopracciglia aggrottate. Poi all'improvviso il suo volto si rilassò, e si morse il labbro inferiore per trattenere un sorrisetto divertito.
«La toilette?» ripeté facendomi il verso.
Annuii goffamente con le guance in fiamme.
Rise di gusto. Evidentemente trovava strano il mio modo di esprimermi - e io sarei morto d'imbarazzo per molto meno - eppure non riuscivo ad avercela con lui.

Taehyung rideva spesso, ma le sue risate avevano sempre un retrogusto amaro, una nota stonata in quella dolce melodia. Adesso la sua risata era così limpida, profonda e quasi bambinesca, che non riuscii a trattenere io stesso un sorriso. Mi venne una gran voglia di ridere con lui, per nessun motivo in particolare, soltanto per sentire che suono facevano le nostre risate insieme.

Non ci riuscii.

Taehyung mi fece un segno del capo. «In fondo. Prima porta sulla destra» disse, ancora col sorriso sulle labbra. Fissai quell'immagine nella mia mente con un'ultima occhiata timida, e pregai di non dimenticarla mai. Poi, gli diedi le spalle.







Mia madre rispose al primo squillo. Aveva la voce stanca, ma non assonnata. Capii subito che mi stava aspettando e che non aveva chiuso occhio.
«Okaasama» mormorai in un sussurro. «Mi dispiace se ti faccio sempre preoccupare».
«Jungoo, che succede? Dove sei?» rispose allarmata. Persino attraverso il telefono riuscivo a percepire la paura nel suo tono di voce.
«Sono a casa dell'amica di Taehyung. C'è anche lui, ma non può riaccompagnarmi a casa adesso» spiegai cercando di tranquillizzarla.
«Ti vengo a prendere io» disse immediatamente.
«Okaasama, va tutto bene. Sto bene. Posso... posso restare qui ancora un po'? Posso restare a dormire qui?».
Il silenzio che seguì le mie parole mi incoraggiò. Mi aspettavo un rifiuto secco, ma lei mi ascoltò per tutto il tempo senza dire una parola. Le spiegai che Yerin non si sentiva bene, che sua madre non era a casa il giorno del suo compleanno e che Taehyung non poteva lasciarla da sola in quel momento.

«Taehyung è gentile con me. Noi siamo... amici». Pronunciai quell'ultima parola e poi mi mordicchiai l'interno della guancia. Era una verità che sulle mie labbra aveva il retrogusto amaro di una bugia.
Io che avevo sempre desiderato un amico, adesso non lo volevo più. Scoprii in me stesso un egoismo che non credevo mi sarebbe mai appartenuto, perché desideravo tutto o niente, e la fame di attenzioni l'avevo trasformata in fame d'affetto. Fame d'amore... fame di lui.
E ogni giorno mi sentivo più vuoto per l'assenza di qualcosa che non c'era mai stato, che avevo creato con la disperazione della solitudine e che mi faceva sentire persino più solo. Pensai che fosse un paradosso crudele.
Me ne addossai tutte le colpe.

A mia madre però piacque quella parola. Amici. Mi disse che mi avrebbe aspettato l'indomani mattina per fare colazione insieme. Prima di chiudere la telefonata mi disse "aishiteru", con quell'accento giapponese che aveva soltanto lei in tutto l'universo. Ricordo che ricambiai, le dissi anch'io che le volevo bene. Quando ero bambino, era stata proprio mia madre a spiegarmi che in giapponese esiste una parola che esprime la più alta dichiarazione d'amore. Una parola che si riserva ai figli o a chi si ama dal profondo del cuore. Aishiteru.

«In Giappone hanno tutti paura di dire aishiteru, perché significa confessare i sentimenti più profondi - mi aveva detto quella volta - ma quando verrà il momento, Jungoo, tu non devi avere paura. Amare qualcuno non è mai una vergogna, ma sempre un privilegio, anche quando non si è ricambiati. E la mamma ti ama. Troverai sempre l'amore della tua mamma proprio qui - continuò picchiettando l'indice sul mio petto - dove batte forte il cuore».







Althougt my eyes 
are closed,I can 
feel you beside me,
and then, you fly 
液ザヮ医 員意ッ生ヮロ価む ヤ







a/n

ciao lettori e lettrici di rapsodia in blu
e buon anno a tutti ✨ mi dispiace tanto
di essere sparita di punto in bianco,
ma a dicembre avevo un impegno
molto importante. chi mi segue sul
mio account instagrampersonale
probabilmente sa a cosa mi riferisco...

a parte questo, ho pensato di lasciare
wattpad, di smettere di pubblicare
quello che scrivo, perché stare qui non
mi rendeva più felice, per diversi
motivi che però non riguardano né voi
né rapsodia. anzi, voi siete stati carinissimi.
mi avete lasciato tanti messaggi di supporto
e affetto, ed è per questo che oggi sono qui, con un nuovo aggiornamento che spero
vi tenga compagnia in questo periodo
difficile. è un capitolo corto perché ho dovuto
spezzarlo per mantenere i ritmi narrativi
brevi di rapsodia in blu, ma il prossimo
sarà più bello (per me ovviamente,
ma spero anche per voi, perché
ci saranno SOLO blue boy Taehyung
e piccolo Jungkookie).

non lascerò rapsodia incompleta,
questa è una promessa. è la mia
comfort story e torno sempre qui
quando sono triste. ogni tanto ho
bisogno di perdermi nell'anima
bella di Jungkook 💙

se il capitolo vi è piaciuto,
fatemelo sapere con un commentino.
io torno presto,
sto già scrivendo il prossimo.

vi abbraccio,
Maddie

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