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Capitolo 2

Zaira༻꧂
Salem, Massachusetts

Basta un attimo e tutto finisce per avere un inizio che si conclude solo con la parola fine

«E dai svegliati! Zaira, svegliati!» strinsi gli occhi un paio di volte per i raggi del sole che rientravano dalla finestra, mia nonna mi scosse per la spalla urlandomi di alzarmi.

Con la voce impastata dal sonno risposi: «Dai nonna, sono sveglia che ora sono?» Alzai la testa dal cuscino e presi il cellulare che avevo appoggiato sulla pila di libri in un comodino improvvisato.

«Ma sono le sei meno venti, nonna! È l'alba!», strillai con gli occhi spalancati. Sbuffai e mi rimisi a dormire girandomi dall’altra parte.

«Alzati, abbiamo ospiti giù di sotto e tra poco verranno anche i costruttori», disse con voce ferma. Aprii un occhio curiosa.
Ha detto ospiti? A quest’ora?

«È arrivata della gente a quest’ora?», chiesi incredula. Mia nonna andò verso la porta non ammettendo repliche. Dovevo alzarmi.

«Ti aspetto di sotto. C’è già la colazione pronta» aggiunse sbattendo la porta dietro di sé e a me sembrò che una nube di polvere si mosse nell’aria.

Stanca e con gli occhi ancora semi chiusi mi alzai dal letto, mi misi una tuta nera che raccattai dentro il baule con cui ero arrivata una settimana fa e me lo misi al bel è buono prima di scendere di sotto.

Sentivo un macigno nel petto, sembrava come se il mio cuore fosse di pietra e non stesse realmente battendo, scossi la testa facendo un respiro profondo.

“Sciocchezze, è soltanto colpa di questa stanza inquietante”.

Scesi giù per le scale che scricchiolarono chiedendo pietà e mi tenni al corrimano di legno altrettanto consumato. Mi fermai e avvicinai la mano al viso, mi sembrò di vedere muovere le mie vene, erano nere e ben visibili che si diramavano lungo il polso fino al gomito.

Le dita erano sporche come se avessi tritato l’erba verde e mi fosse rimasto addosso il colore. Aggrottai la fronte e strabuzzando gli occhi, lo avvicinai di più.

In un battito di ciglia sparii tutto, sbattei due volte ancora per mettere a fuoco la mia mano affusolata perfettamente intatta. Non c’era nulla, assolutamente normali. Strinsi le labbra, confusa, forse ero davvero stanca dopotutto. Dovevo dormire di più.

«Eccola!», strillò una voce giovale in fondo alle scale, alzai la testa di scatto, di fronte a me c’era una ragazza dai capelli rossi lunghi e lisci, gli occhi dolci del colore ambra esprimevano una felicità assurda per le sei meno un quarto del mattino, il corpo minuto coperto da un abito bordeaux con le finiture in argento lungo fino ai piedi.

Sembrava appena uscita da un ballo dell’epoca. Mi venne di fronte con passo svelto, e si fermò dopo il secondo gradino. Ero così maledettamente confusa.

«Allora sei tu», mi abbracciò squittendo. «Io sono la rossa», disse stimolandomi le spalle. Aggrottai la fronte. “La rossa?”

Si spostò e prendendomi per mano, mi condusse giù fino all’ultimo gradino. Poi mi abbracciò di nuovo. Ero così confusa che non ci capii più nulla. Una volta che mi ebbe lasciata stare disse: «Tu non puoi capire quanto ti ho aspettata mia cara. Oh guardati, sei così bella». Aggiunse avvicinandosi ancor di più, tanto che i nostri nasi si potessero toccare, mi fissò negli occhi.

Aprii e rinchiusi la bocca incredula. “Ma che diavolo…?” «Guarda quegli occhi…» bisbigliò incredula. «Verde, oro e argento tutto insieme. Wow», concluse squittendo ancora.

Ero terribilmente a disagio. Non sapevo chi era questa ragazza, ma lei sapeva chi ero io, e soprattutto mi guardava e sprigionava una felicità assurda a cui non riuscivo a rendermi partecipe.

«Io mi chiamo Zaira», dissi infine dopo aver raccattato un attimo di tranquillità. La ragazza–la rossa, si strinse in spalle e i suoi occhi si spalancarono di nuovo.

«So chi sei. Oh bellezza, tutti in questa città sanno chi sei», aggiunse con gli occhi brillanti. Deglutii confusa.

“Tutti chi?”
“E perché mai dovevano saperlo?” 
Forse la nonna aveva parlato di me a tutti.

«Venite, la colazione è pronta», ci interruppe mia nonna.

«Arriviamo Babel», rispose la rossa.

«E tu, come ti chiami?», chiesi curiosa, essendo che era alquanto strano chiamarla “La rossa”. Ci avviamo verso la cucina alla destra.

La ragazza mi sorrise. «Io sono Guen. Guendalina La Rossa» disse entrando nella cucina.

Il tavolo di legno, con mille rune intagliate ai lati di ogni sedia e del tavolo stesso era guarnito con dei pancake al sciroppo d’acero e delle frutta, c’erano anche pagnotte appena sfornate al burro, muffin ai mirtilli e alla fragola e delle uova sode ancora fumanti. Mi brontolò lo stomaco. Avevo molta fame.

«Lei è Guen, Zaira, spero tento che ti piaccia la sua loquacità perché è la tua nuova futura amica deciso dalla prima congrega di Salem. Gli astri dicevano che sareste diventate amiche per la vita, ma ora, sono dormienti, quindi è una decisione che solo il tempo lo potrà dire». Disse la nonna sedendosi sulla sedia a capotavola.

Avevo gli occhi fuori dalle orbite. “Congrega?”
“Astri?”

«Che cosa significa ciò che hai detto nonna? Saresti così gentile da iniziare di nuovo da capo? Non credo di aver afferrato molto bene». Le chiesi leccandomi le labbra.

Mi sedetti alla sua destra, una Guen sorridente di fronte a me alla sinistra. «Zaira, ti avevo già parlato della nostra congregazione. Ti ricordi? Facciamo parte di un ordine di streghe con un lignaggio antico e tu sei l’unica discendente nata nei tempi odierni. Le streghe non ascese ti hanno aspettata per così tanto tempo che si può dire… ecco, che sei una benedizione in pratica».

Concluse con una tranquillità nauseante. Avevo il cuore a mille e mi pulsavano le tempie, così me li sfregai chiudendo gli occhi.

“Ok, forse la nonna è andata davvero fuori di testa dopotutto”.

Guardai la ragazza di fronte a me che aveva gli occhi sognanti, le pupille ambra erano talmente dilatate che si vedevano le pagliuzze dorate qua e là. Le labbra distese in un sorriso sincero.

«Nonna…», deglutii «che cosa stai dicendo, queste cose non esistono veramente», risposi confusa e per nulla convinta.

«Oh, sì che esistono invece io solo la tua–» la ragazza si fermò, guardò mia nonna e nel mentre il sorriso giovale che aveva in volto le sparì completamente, si drizzò sulla sedia.

«La mia?» Chiesi curiosa.

«Lei non lo sa? Mi stai dicendo Babel che tua nipote non sa nulla di noi?» chiese la ragazza coi pugni chiusi sopra il tavolo, le tremava il mento e il fatto che stesse per piangere da un momento all’altro mi generò un dispiacere che si diffuse nel mio petto. Non volevo vederla piangere.

Mia nonna sospirò chiudendo gli occhi. «No, Zaira non sa niente…», mi osservò stringendo le labbra in disapprovazione.

Alzai un sopracciglio.

«Ecco perché sei qui Guen, per istruirla quando io non posso.» si volse verso la ragazza che raccolse le mani al petto e i suoi occhi si dilatarono brillando.

«Ed è meglio farla credere prima, altrimenti sarà tutto vano», rispose col mento in alto.

Dire confusa, era troppo poco in confronto a ciò che mi sentivo in quel momento. Ero indubbiamente incredula, che avessero intavolato un discorso del genere alle sei del mattino e per di più, parlavano come se fosse così normale dire “streghe”.

Ero… senza parole. Le osservai entrambe alternando lo sguardo. «Fatemi capire. Voi due siete streghe e fate parte della stessa congrega…» alzai le sopracciglia incredula delle parole che uscivano dalla mia bocca. «… nel duemila ventiquattro? Esistono le streghe? Cioè gli spettacoli che facevano mamma e papà nei villaggi dove andavamo, erano tutto vero? Le storie?»

Chiesi a nonna che mi osservò con occhi nostalgici.
«Gli spettacoli servivano a uno scopo tesoro. Però sì la maggiore parte degli spettacoli che inscenavano erano informazioni vere». Concluse decisa guardandomi negli occhi.

I suoi erano di un nero intenso, a volte mi mettevano i brividi.

«Ora mangia, avremmo tempo per discutere di tutto. Guen la rossa ti resterà accanto per istruirti su tutto ciò che ti serve da sapere.» concluse mettendo fine ad ogni mia richiesta di saperne di più subito.

Non che ci credessi davvero in realtà, ero troppo realista, insomma, credevo nella scienza e nella matematica, non avrei mai davvero creduto a quelle assurdità. Perché erano quello per me, delle vere assurdità. Mandai giù un muffin alla fragola, ma avevo lo stomaco chiuso, troppi pensieri alle prime luci dell’alba.

Ero incredula, le streghe non esistevano veramente. All’improvviso Guen si alzò dal tavolo, mi osservò con gli occhi vitrei, le pupille si erano strette ma le palpebre erano spalancate.

Il corpo divenne di pietra mia nonna si alzò imitandola, ma lei almeno aveva il colore nel volto anche se sembrava curiosa e preoccupata allo stesso tempo.

«Parla Rossa» le chiese con voce ferma.

«Il bosco ti chiama…», bisbigliò la ragazza tremando. Il cuore mi tamburellò nel petto, come se sentisse le sue parole senza senso fino nel profondo. «L’acqua vuole tornare a scalare le montagne, e le radici vogliono continuare a far pulsare la terra. Il fuoco ti reclama e l’aria sussurra nel vento, che sei sua. Lui ti sta cercando, ogni elemento di questo mondo guarda verso di te, ma tu sei troppo lontana e allo stesso tempo troppo vicina perché riescano ad afferrarti davvero. Un corvo. C’è un corvo alla porta.» concluse poggiando le mani con un tonfo sul tavolo, la testa china, la schiena ricurva. Iniziò a fare grossi respiri per riempire i polmoni di ossigeno, il colorito le tornò in volto.

Io ero sconvolta. Era una veggente. Se fosse vero, lei era una veggente e mi aveva guardata negli occhi per ogni parola che aveva bisbigliato.

Un brivido freddo mi corse lungo la spina dorsale e un formicolio leggere mi fece tremare la forchetta che stringevo in mano. Non potevo crederci.

«Alzati!», mi ordinò di scatto. «Alzati e vattene di sopra. Vattene da qui».

Qualcuno bussò alla porta nello stesso momento del suo ordine. Due tocchi uno dietro l’altro, e benché avessi le gambe cedevoli, le diedi retta quando la nonna, si stirò il vestito nero e fece un lungo respiro.

Corsi fino alla cima delle scale, ma ero troppo curiosa per nascondermi. Non capivo nulla. Forse era tutto uno scherzo o qualcosa del genere.

Stavo impazzendo? Magari sì, magari ero una pazza sclerata chiusa in un manicomio e mi ero creata un mondo tutto mio per sfuggire alla realtà.

Forse ero fuori di testa, ma la voce roca e potente fuori dalla porta, mi fece intuire che invece era tutto vero.

Un brivido simile a un battito d’ali mi corse dallo stomaco fino al mignolo dei piedi quando quella voce parlò.

«Le chiedo davvero perdono per l’ora, ma mi è stato riferito che eravate in possesso di una mappa di cui ne sono disperatamente alla ricerca e volevo venure di persona per conoscerla», disse quello.

La voce era tranquilla, sembrava davvero dal canto suo dispiaciuto, e gli avrei anche creduto, se non fosse per quella sensazione alla base del collo.

Era come se lui sapesse che ero in cima alle scale, era come se avessi i suoi occhi addosso che mi osservavano curiosi di capire che cosa ero. Era come se l’avessi di fronte e una sensazione di inquietudine mi fece quasi urlare ma mi tappai la bocca con entrambe le mani, il cuore batteva impazzito.

La sensazione restava lì. Fissavo un punto vuoto nel muro, come se stessi guardando qualcuno che non esisteva, eppure lo sguardo la sensazione che mi lasciavano addosso sembrava che lui fosse invisibile a me, ma io non a lui.

Io ero in piena vista e mentre parlava con mia nonna, sembrava guardarmi e guardarmi e ancora guardarmi, scrutarmi come se fossi qualcosa da comprendere, un rompicapo, un cubo di Rubik. Un problema matematico.

«Mi dispiace se ne saprò di più le farò sapere. Proverò a chiedere in giro». Rispose la nonna.

Eppure non riuscivo a smettere di guardare il nulla di fronte a me.

«Mh... lei dice?» ci fu una pausa come se stesse riflettendo. «Allora se è così le auguro una buona giornata. Non vi disturbo oltre», lo sentì dire.

Aveva una voce gentile nonostante il timbro potente che esprimeva sicurezza.

«Anche io a lei», disse la nonna in tono deciso quanto il suo.

Continuai a tapparmi la bocca il petto sempre più pesante. Chiusi gli occhi, non riuscivo più a tenerli aperti, altrimenti avrei gridato.

«Ah…», disse l’uomo quando la porta cigolò segno che la nonna lo stava chiudendo, ma lui avesse messo il piede in mezzo per tenerlo aperta.

«C’è un profumo di gelsomino qui dentro. Mi chiedo cosa ha preparato di così sublime da pervadere l'intera casa con un sentore così particolare». La voce scese di due note, il timbro divenne più pericoloso, anche se non ci fu nulla da dire, ancora non riuscivo a capire perché dovevo stare nascosta e come aveva fatto a sentire un profumo del genere.

«La colazione», rispose prontamente la nonna. «Di solito lo uso spesso per tenere alla larga i demoni da questa casa. Ma forse non sta funzionando a dovere». Concluse con una nota di fastidio nella voce. Aggrottai la fronte, anche se tenevo bene le orecchie per captare ogni piccolo movimento.

Non seppi che cosa fece quell'uomo, ma presupposi stesse misurando lo sguardo fendente di nonna. Comunque sia, alla fine disse: «Vorrei che oggi pomeriggio le vendeste un po’ al mio uomo quando verrà a chiedere informazioni riguardo la mappa. Vorrei farle sapere, che non mi fermerò finché non l'avrò trovata» detto questo, sparì. E quando la porta si chiuse con un tonfo anche la sensazione di essere osservata fino all’osso smise di esserci.

Mi accasciai al muro facendo un grosso respiro per riprendermi. Qualcuno corse veloce per le scale. Guen si fermò di fronte a me.
«Stai bene?» Mi chiese preoccupata.

«Chi era lui?» avevo ancora il respiro corto. Guen si appoggiò alla mia destra, mi sedetti per terra, lei fece lo stesso.

«Credimi Zaira. È meglio non saperlo». La osservai inespressiva: «Buono a sapersi. Ora mi sento più tranquilla».

«Finché ci saranno le rune in questa casa, sarai al sicuro. E devi imparare ad intagliartele il prima possibile altrimenti ci saranno guai».

Aggiunse come se io ne dovessi poi essere convinta di queste cose. Feci un lunghissimo respiro e annuii pur non comprendendo un cavolo.

Avevo ancora gli occhi e la sua voce nella testa. Occhi: incolore, celati da qualcosa di incomprensibile, ma bene in vista per la sensazione che mi avevano lasciato dentro.

Freddo. Freddo glaciale e morte assoluta.

꧁༺SPAZIO AUTRICE ༻꧂

Amori miei so che volete saperne di più ma è questo il bello, voglio continuare a mantenere il mistero.

Baci, baci
🔮Kappa 07🔮

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