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|| 𝚂𝙴𝚂𝚃𝙰 𝙽𝙾𝚃𝚃𝙴 ||

L'accampamento era in fermento come di rado capitava. Il giorno successivo, al calar del sole, un asgardiano e una Zekos si sarebbero promessi amore eterno e la tribù voleva che tutto fosse perfetto. I matrimoni misti, se pur non impossibili, erano molto rari e la maggior parte delle unioni tra Zekos non era celebrata con riti religiosi altrettanto sentiti. La tribù riteneva infatti che l'antico Kalì-Aka scegliesse per ogni essere un'anima gemella all'interno del proprio popolo ed una proveniente da un corpo celeste differente, lasciando poi ad ogni sua creatura la possibilità di scegliere se continuare la pura stirpe del suo popolo o se dar origine a nuove creature miste. Molti esseri, incapaci di lasciare il proprio pianeta o addirittura all'oscuro dell'esistenza di altre forme di vita nel cosmo, vivevano costretti a scegliere il proprio concittadino, mentre per coloro a cui i viaggi intergalattici non erano oscuri avevano la possibilità di cercare la propria metà nell'intero universo, a loro rischio e pericolo. Quando perciò uno Zekos decideva di abbandonare la ricerca di pianeta in pianeta, rivolgendo il proprio cuore ad un altro zingaro, le leggi della tribù non prevedevano feste superiori alla media, poiché ritenevano quel legame un semplice obbedire all'ordine del loro creatore. Ma i matrimoni misti avevano un valore ben superiore. Riuscire anche solo ad incontrare la propria anima gemella era un'impresa assai ardua ed essere in grado in quei pochi giorni di convivenza di capire che si era entrati in contatto con l'altra metà del proprio spirito era ancora più difficile. Perciò i matrimoni misti erano considerati una notevole conquista degna di grandi festeggiamenti.
Secondo questa leggenda, alla creazione del cosmo e alla nascita dei primi esseri viventi, solamente due creature furono modellate trasgredendo questa sacra legge: il Grande Sciamano e la Principessa degli Zekos; lo Sciamano, guida del suo popolo e consigliere degli zingari, era stato creato perfetto, perché non avesse bisogno di un'anima al suo fianco, se non quella della figlia. Non necessitava di un amore differente da quello paterno. Non sentiva il desiderio di costruire una relazione di affetto profondo al di fuori di quella con la principessa. Lui non possedeva nemmeno un'anima gemella. Sua figlia, invece, al contrario di qualsiasi altro abitante dell'universo, possedeva una sola anima gemella, un unico maschio in grado di rendere completo il suo essere. Per questo gli Zekos erano costretti a girare le galassie alla ricerca di un re: l'unica anima predestinata alla loro futura regina era esterna al loro popolo e, per quanti giovani Zekos e non si fossero mai innamorati di lei o viceversa, la ragazza non avrebbe mai potuto avere una relazione con essi, poiché essa non era destinata a durare, a meno che essi non fossero a conoscenza della soluzione dell'enigma.

Proprio questo stava narrando Melodia ai propri fratellini minori, che ancora non avevano avuto l'onore di assistere ad un matrimonio misto, arricchendo la sua favoletta con dettagli superflui e grandi colpi di scena immaginari.
“Non c'è nessun drago pronto a comparire per essere cavalcato dalla principessa e da suo marito, Melodia, smettila di raccontare sciocchezze.” lo rimproverò con una mezza risata Sosia, quando gli passò dietro trasportando una mezza dozzina di armi da cerimonia che avrebbero dovuto essere utilizzate durante la celebrazione.
“Non rovinarmi la festa!” la riprese il fratello, rituffandosi subito nel suo racconto che diventava via via sempre più lontano dalla realtà, ma che pareva affascinare i bimbi e ammaliarli molto più della verità. La zingara dagli occhi viola scosse la testa con affettuosa rassegnazione, proseguendo fino alla tenda del capo arcere, che, accerchiato da diversi giovani eccitati, stava lucidando con cura maniacale ogni singolo arco cerimoniale e affilando tutte le frecce che sarebbero state scagliate nel cielo.
“Se le lucidate abbastanza e ne affilate la punta nella giusta maniera, si trasformeranno in stelle.” spronava i suoi più giovani apprendisti, cossiché essi si concentrassero al massimo in quell'importantissimo compito.
“Ecco qui, Precisione, questi dovrebbero essere gli ultimi.” dichiarò la giovane, lasciando cadere con attenzione gli archi su una pila di coperte e sbuffando dalla fatica. Aveva attraversato l'intero accampamento almeno cinque volte, carica di quegli enormi affari che, per quanto belli e maestosi fossero, pesavano un quintale.
“Grazie Sosia, qui avremo da lavorare ancora per un po'. Riflesso stai attento! Quell'arco vale più di entrambe le nostre vite!”
Sosia osservò con un sorriso compiaciuto il lavoro dei fratelli, mentre per la mente le passavano le immagini dell'ultimo matrimonio a cui aveva assistito e a quelli che erano al tempo gli addetti alla cura della armi sacre. Ricordava quanto fosse agitato l'allora giovane Precisione, che avrebbe dovuto scagliare una di quelle frecce magnifiche tendendo la corda di un arco perfetto. Ricordandosi di quanto ancora aveva promesso di fare, la giovane si voltò verso l'uscita della grande tenda, pronta a gettarsi a capofitto nella sera scura per svolgere la commissione successiva. Ma la voce tonante e sempre autoritaria del capo arcere la richiamò indietro, facendola voltare quando già metà del suo corpo era fuori dall'abitazione. L'uomo, il cui volto squadrato era attraversato da una profonda cicatrice simbolo del suo valoroso compito, smise per un istante di lucidare il proprio Arco Massimo, da sempre spettante al più capace dei tiratori, e puntò i suoi brillanti occhi arancioni sulla giovane. Una voce che girava tra i discepoli del capo arcere sosteneva che fosse proprio grazie a quel colore acceso, che gli animali tendevano a confondere con quello delle iridi di una bestiola più mite, che in pianeti di tutti i tipi Precisione era in grado di tornare dalla propria caccia con un bottino spaventoso.
“Vorrei che tu ti unissi alla schiera che lancerà questi dardi al matrimonio di Mente.” le disse lo zingaro con un tono, se possibile, ancora più serio di quanto già non fosse abitualmente, lasciando interdetta la giovane Sosia, che mai si sarebbe aspettata una richiesta del genere. Nel mentre, all'interno della tenda esplosero le proteste. Nessuno dei giovani che si trovavano lì dentro avrebbe avuto tale onore, ma tutti lo desideravano ardentemente.
“Perché lei?” sbraitò uno tra i più grandi degli apprendisti, ottendendo l'attenzione del proprio mentore, che lo fulminò con lo sguardo.
“Sai benissimo il perché.” rispose e ciò parve bastare per far zittire tutti quanti, anche se un sussurato “Ed è pure una ragazza!” si udì alla perfezione in tutta la tenda, nonostante tutti facessero finta di non aver sentito. Il capo arcere tornò a guardare Sosia e la ragazza riuscì a cogliere un evidente segno di supplica in quegli occhi dal colore acceso, che tendeva a catturare l'attenzione di chiunque, quasi ipnotizzandolo.
“Sei una dei migliori arceri dell'accampamento e so che Mente sarebbe molto felice se tu lo facessi.” insistettè Precisione, nonostante il suo tono non fosse affatto petulante e supplichevole, volto al persuadere la zingara scorbutica in maniera dignitosa e non invadente. Lei ci pensò su. Si immaginava perfettamente a fissare il cielo laddovè l'arancio si tramutava in indaco, tendendo un arco d'argento che pareva fatto di pura luna, accarezzando quella corda che si diceva provenisse dal cuore di una bestia magnifica e purissima. Si vide nell'atto di scagliare quella freccia fatata, osservandola tramutarsi in astro prima di riabbassare l'arma con portamento fiero. Qualunque Zekos avesse mai impugnato un arco aveva sempre sognato di essere scelto per quel dovere, non poteva negarlo.
“Questo compito dovrebbe spettare solo agli arceri scelti.” ricordò a Precisione. Nonostante quel desiderio le ardesse ora con forza nel petto, temeva di infrangere qualche antica legge, venendo privilegiata agli occhi dei suoi fratelli.
“Sono secoli che ti si chiede di farne parte e tu rifiuti. Anche se l'attuale divisione è maschile, tu riusciresti a bucare le cinture di tutti questi imbranati ancora prima che il primo di essi si accorga di essere rimasto senza braghe.” ribatté il capo arcere, abbassando la voce per non farsi sentire dai ragazzi, evitando così ulteriori lamentele. Nonostante fossero tra i più bravi della tribù intera, sapere di essere perennemente un passo indietro ad una semplice ragazza – che per lo più non faceva parte della squadra – li rendeva molto irascibili sull'argomento, e questo Precisione lo sapeva bene.
“Lo farò.” rispose allora Sosia, mentre dentro di sé quel matrimonio assumeva ancora più valore. Precisione le sorrise amichevolmente, con quel sorriso un po' sgangherato che avevano gli adulti che un tempo erano stati teppisti e avevano creato confusione ovunque.
“Fantastico. Se poi ti volessi anche unire alla Freccia Argentea...” propose lui, mettendo subito in fuga la ragazza, in una maniera che tuttavia lo fece ridere. Erano anni che Precisione tentava di convincere la zingara ad unirsi alla squadra di cacciatori scelti della tribù ed erano anni che lei rifiutava. Non certo perché non lo volesse, l'idea di essere l'unica femmina in una squadra maschile la ammaliava terribilmente, ma odiava essere messa sotto un nome, far parte di un'entità più grande che si sarebbe sempre aspettata da lei qualcosa. Nemmeno se fosse stata una squadra di donne si sarebbe lasciata persuadere.
Dunque Sosia si allontanò dalla tenda del capo arcere, osservando i suoi fratelli e le sue sorelle affaccendarsi un po' dappertutto nell'organizzazione del grande evento, mentre si dirigeva verso i focolari, dove avrebbe reclutato Melodia, strappandolo contro la sua volontà dal raccontare storie spaventose ai piccoli. Il successivo incarico di cui si era assunta la responsabilità era chiedere in prestito all'altro popolo un animale che si potesse cavalcare, in quel caso un cavallo. La strada fino ad Asgard era lunga e lei non aveva alcuna voglia di spostarsi tra le viuzze della città da sola, nonostante amasse viaggiare in solitudine. Ma giunta nel largo spiazzo davanti alle tende scoprì che al cerchio di marmocchi ora terrorizzati si era aggiunto un volto nuovo, che stava aiutando Melodia nel raccontare storie che avrebbero tenuto svegli i piccoli zingari per giorni. Senza che se ne accorgesse, un piccolo sorriso nacque sulle labbra di Sosia quando riconobbe il pallido viso di Loki illuminato dalle fiamme, intento a traumatizzare i suoi poveri fratellini con le più macabre vicende mai accadute su quel pianeta.
“D'accordo Sciamani del male,” li richiamò la ragazza, brancando al volo un piccoletto che stava già per scappare in lacrime dall'adulto più vicino, riferendosi allo straccio scuro che Melodia si era avvolto intorno al capo, nascondendo la sua lunga chioma di treccine. “L'ora dei mostri è terminata.”
Loki alzò lo sguardo su Sosia, mentre Melodia districava la propria massa di capelli dalla sorta di turbante che si era creato, facendo luccicare i fili d'argento incastrati tra ile trecce sotto la luce del fuoco. Il principe di Asgard sorrise all'amica, mentre essa teneva stretto a sé il marmocchio spaventato, che le piantava le unghie nella spalla e nascondeva la testolina riccia nel suo collo. Il gruppo di spettatori si dissolse, mentre ora tutti i piccoletti avevano una tremenda paura di camminare al buio di quel pianeta.
“Ci stavamo divertendo.” si lamentò Melodia, gettando via lo straccio lacerato che aveva usato per interpretare un viandante cannibale, un brigante assassino e un terrificante angelo della morte divora-bambini, lasciandosi contemporaneamente cadere sul tronco dove Loki aveva sfruttato la macabra illuminazione delle fiamme per apparire ugualmente spaventoso ai fratellini dell'amico.
“Abbiamo un matrimonio da preparare e mentre tu ti diverti a raccontare favole, noi altri lavoriamo sodo.” lo rimproverò con il solito fastidio che sembrava sempre provare Sosia nel rivolgersi al fratello maggiore, nascondendo così il reale affetto che provava per lui. La zingara lasciò un bacio sui ricci del fratellino e lo lasciò scendere a terra, le lacrime ormai sparite dagli occhi azzurri e la paura attenuata.
“Su Incubo, vai nella mia tenda, per questa notte dormo io con te.” gli sussurrò dolcemente, con il tono che riservava unicamente ai più piccoli, verso i quali era da sempre molto protettiva. Ogni ragazza che sognava di diventare madre finiva per adottare, metaforicamente, i propri fratellini, approfittando del fatto che all'interno della tribù i legami di sangue effettivi contassero nulla. Guardò il bimbo correre via verso il cuore dell'accampamento e poi si sedettè sul tronco, stanca dalla lunga giornata e dai lavori che l'avevano tenuta occupata sin da prima che tramontasse il sole.
“Mi stai dicendo che abbiamo terrorizzato uno che si chiama Incubo?” rise Loki, stupito e quasi emozionato dalla sua bravura nello spaventare bambini, rivolgendosi a Melodia. I due ragazzi si complimentarono tra loro, in quella maniera che Sosia aveva sempre trovato imbarazzante che avevano i ragazzi di interagire l'uno con l'altro.
“Quando smetterete di compiacervi per aver fatto piangere un bimbo, io avrei bisogno.” richiamò la loro attenzione la zingara quando decise che avevano gioito abbastanza, incrociando le braccia e scrutando con occhi di fuoco i due adolescenti attraverso il falò che li divideva – e che probabilmente le impediva di afferrare il fratello per un orecchio e trascinarlo così fino ai limiti della grande città d'oro. A fatica, i due smisero di sghignazzare e la guardarono, in attesa di ordini.
“Ci serve il cavallo, Melodia.” gli ricordò lei, lasciando un istante perplesso il fratello, che dovette attendere che le sue sinapsi si colleggassero prima di capire a cosa stesse alludendo la sorella.
“Oh, il cavallo! Certo, certo, il cavallo.”
Sosia si spolverò le ginocchia dalla cenere e si rialzò, pronta a ripartire per l'ennesima fatica.
“Che cavallo vi serve?” chiese Loki, corrugando le sopracciglia.
“Oh, è una di quelle scemenze per il matrimonio.” sminuì Melodia, assolutamente incline all'abbandonare il suo posticino caldo per andare alla ricerca di un equino stanco tanto quanto lui e con altrettanta voglia di percorrere tutta la strada che separavava l'accampamento Zekos da Asgard. Sosia lo fulminò con lo sguardo, correggendolo.
“E' una tradizione. La compagna della sposa ha il compito di preparare il destriero con cui condurrà la futura moglie al luogo del matrimonio, dopo la Purificazione.”
Loki alzò le mani, frenando le parole dell'amica.
“D'accordo, d'accordo. Sinceramente, ho paura di scoprire tutte le vostre usanze, sopratutto perché temo possano essere peggiori delle nostre.” disse, fingendo di rabbrividire. La ragazza rise, pensando a quante strane usanze avesse incontrato in giro per il cosmo e come a confronto le loro sembrassero più che banali e normali, per quanto questo termine suonasse privo di significato in tale contesto.
“In ogni caso, se mi prometti che non mi racconterai come preparate le spose al matrimonio, posso accompagnarti io a cercare un cavallo. Ricordi che ti avevo già parlato di una stalla qua vicino?” propose Loki e Sosia si diede mentalmene della stupida per aver totalmente rimosso dalla memoria la scusa con la quale il principe di Asgard era riuscito a trovarla in piena caccia il secondo giorno, rovinando totalmente i suoi piani, ma facendole passare, tutto sommato, delle ore gradevoli. Accettò l'invito, lanciando uno sguardo al pigro fratello, che esultò alla notizia di poter restare seduto a far niente ancora per svariati minuti, almeno finché un altro adulto non si fosse accorto che ancora nessuno gli aveva scaricato addosso un po' di lavoro da svolgere. Così Loki precedette Sosia fuori dai territori dell'accampamento, diretto alla foresta dove avevano legato propriamente per la prima volta, con la differenza che il silenzio mattutino era stato sostituito dai versi dei gufi e che il cielo era ora scuro come l'ebano. Il buio era molto più fitto nel bosco e gli alti tronchi degli alberi impedivano non solo alla luce delle lune di illuminare il loro sentiero, ma anche al lontano riflesso dei focolari del campo di raggiungerli. Così, i due giovani procedevano in un buio pressoché assoluto, da quando Loki le aveva detto che erano arrivati in corrispondenza della scuderia e che non gli restava che addentrarsi nella boscaglia. Nonostante Sosia non avesse mai avuto paura di niente che fosse stato creato dalla Natura, quel luogo aveva un che di sinistro e il non vederci la irritava parecchio, rendendo i suoi movimenti esitanti e troppo lenti. Concentrata com'era nel non poggiare i piedi su sassi troppo acuminati o animali addormentati, la ragazza quasi urlò quando qualcosa si insinuò nella sua mano, scaldandole il palmo sudato e imprigionandole due dita.
“Siamo quasi arrivati al fiume. Da qui ti guido io.” sussurrò la voce della sua guida, quasi temendo di spezzare il silenzio del bosco, mentre il cuore di Sosia batteva fuori controllo per lo spavento. Fino ad allora aveva proceduto la sua avanzata seguendo il rumore del respiro di Loki e cercando di cogliere ogni minimo spostamento di ombre davanti a lei e quando proprio usciva dal radar dei suoi sensi allora allungava una mano davanti a sé, sfiorandogli la schiena per assicurarsi che ci fosse ancora e per apprendere la direzione in cui la stava conducendo. Loki avanzò tenendola per mano per cinque minuti buoni, prima di cominciare a rallentare. Il terreno sotto i loro piedi divenne spugnoso e viscido e ben presto il rumore lieve del fiume che si rigira nel proprio letto arrivò anche alle orecchie di Sosia, che rese la sua andatura ancora più cauta.
“Bene, qui davanti c'è una piccola discesa e dopo di essa tre sassi distanti un passo l'uno dall'altro che permettono di attraversare il fiume, ma che sono molto scivolosi. Arrivati sull'altra sponda, il terreno si fa molto friabile e bisogna stare attenti a non appoggiarsi su una radice.” spiegò, sempre in un bisbiglio, il ragazzo, fermandosi. Ora il rumore del fiume proveniva proprio da sotto di loro e qualche piccola apertura tra le fronde degli alberi permetteva a piccoli raggi di luna di colpire la superficie di specchio, illuminando qua e là l'acqua e facendo scintillare le sporgenze acuminate dei tre sassi di cui aveva parlato il principe di Asgard.
“Vado prima io. Tu non lasciarmi la mano per nessuna ragione.” ordinò il ragazzo e prima che potesse rispondere, Sosia si sentì tirata leggermente in avanti, nel momento in cui Loki cominciava a scivolare lungo le due spanne di terra brulla mista a sabbia e sassi che costituiva la riva del corso d'acqua dolce. Il dio apparve nella porzione di territorio in cui la seconda luna riusciva ad infilarsi e Sosia scorse i riflessi simili a quelli del fiume che la tenue luce creava sui suoi capelli, tirati indietro con violenza da qualche tipo di grasso o gel. Quando fu sicuro di avere essere stabile, Loki alzò il capo verso la ragazza, porgendole entrambe le mani, e i suoi occhi verde smeraldo brillarono come fiaccole nel buio del bosco.
“Attaccati.”
Sosia si aggrappò ai polsi del ragazzo, che l'aiutò a scendere, consigliandole di tenere i piedi in orizzontale e fungendo da appiglio solido una volta giunta anche lei sulla porzione di terra ancora esistente ai piedi della discesa. Piccoli schizzi d'acqua raggiunsero le caviglie dei due adolescenti, mentre Loki si voltava verso il fiume e saltava sulla prima pietra tenendo ancora ben stretta la mano della zingara. I due ragazzi saltarono da una pietra all'altra, attraversando il fiume laddovè si faceva più profondo e scuro, finché Loki non raggiunse l'altra sponda, indietreggiando di un passo e lasciando inevitabilmente la mano di Sosia. Da quella parte del corso d'acqua gli alberi si diradavano di un poco, per assurdo, e la prima luna passava molto più facilmente, illuminando metà della figura del principe e permettendo alla zingara di vedere la terra sulla riva franare come l'aveva avvertita il giovane dio, andando ad unirsi alla superficie scura e venendo trascinata via dalla corrente per qualche metro, prima di sgretolarsi o depositarsi sul fondo, tra i sassi e il terriccio trasportato dagli animali.
“Ora devi saltare.” la invitò lui, allungando ancora una volta le braccia nella sua direzione. “E stai attenta a non fermarti sul bordo.”
Sosia diede un'occhiata alle spalle dell'amico, riuscendo a distinguere con chiarezza il percorso tra la boscaglia e scorgendo già un tenue bagliore, se pur ancora lontano, che doveva appartenere alle torce della scuderia. Il viaggio di ritorno, pensò la ragazza, sarebbe stato molto più semplice e veloce e loro due non avrebbero dovvuto brancolare nel buio della foresta, lasciando che fosse il cavallo a stancarsi per loro e non dovendo passare di nuovo per quel tratto insidioso del fiume.
“Avanti Sosia, vuoi aspettare che faccia giorno?” la stuzzicò con impazienza Loki, ottenendo una smorfia che però non riuscì a scorgere, ma che poté benissimo immaginare. Sosia osservò la roccia – non particolarmente spaziosa – su cui si trovava e l'acqua nera che scorreva tra lei e la riva opposta, poi saltò. Sentì la terra franarle sotto i piedi e perse l'equilibrio, non riuscendo ad afferrare le mani di Loki, che all'improvviso non vedeva più, forse per via di una nuvola fermatasi davanti alle uniche due fonti di luce nel bosco. Sosia sentì il vuoto dietro di lei e pensò che una volta caduta nel fiume, oltre a un bagno freddo, avrebbe inevitabilmente sbattuto contro la sporgenza acuminata della roccia che, anche se non l'avrebbe di certo uccisa, avrebbe procurato la sua bella dose di dolore e probabilmente le avrebbe impedito di ballare al matrimonio di sua sorella. Ma prima che ogni sua infausta predizione potesse avverarsi, sentì le mani di Loki afferrarle la vita e tirarla indietro sul terreno più stabile, nonostante la zingara sentisse ancora pezzetti di suolo sbriciolarsi sotto i propri talloni, riducendo sempre di più il bordo della sponda e allargando il letto del fiume. La nuvola che aveva coperto la seconda luna si spostò lentamente e Sosia tornò a vedere con più chiarezza, trovandosi davanti il volto del principe, gli occhi brillanti a pochi centimetri dal proprio naso.
“Sei una frana.” la apostrofò lui, mentre un sorrisetto sarcastico si dispiegava sulle sue labbra pallide e la punta del suo naso sfregava leggermente contro quella di Sosia. La zingara nel frattempo si era aggrappata alle spalle del ragazzo, cercando con le dita dei piedi di guadagnare terreno solido, nonostante il ragazzo la stesse teneno ancora sul bordo del fiume.
“Oh, questa era veramente brutta.” rispose lei. “Avresti potuto fare di meglio.”
Loki inclinò il peso in avanti, facendo piegare di poco all'indietro il corpo di Sosia. Altra terra franò sotto la pianta dei suoi piedi e la zingara sentì di nuovo il vuoto sotto di lei, mentre a trattenerla da cadere in acqua c'erano soltanto le braccia del principe, strette sui suoi fianchi.
“Non ti conviene prenderti gioco di me, non sei nella posizione per farlo.”
“D'accordo, questa faceva un po' meno schifo.” insistetté lei, facendo spostare ancora più in avanti il busto di Loki. La terra sotto il piede sinistro della ragazza si staccò in un blocco uniforme e Sosia perse l'appiglio. Con un movimento fulmineo Loki lasciò andare il suo fianco e portò la mano sotto la coscia di Sosia, tenendola in equilibrio ancora più precario. Un briviso freddo attraversò la zingara nel momento in cui la mano gelida del figlio di Odino si posò sulla sua pelle.
“Vuoi rimanere a ballare sulla riva del fiume o hai intenzione di andare a prendere quel cavallo?” domandò Sosia, accorgendosi solo dopo che la sua voce era di nuovo tornata un sussurro, come quella di Loki nel fitto del bosco. Lui parve pensare ad una risposta, ma poi lasciò perdere. La ritirò sulla riva e la lasciò andare, precedendola verso la scuderia. Dietro di lui, Sosia rimase zitta per il resto della strada, mentre i brividi le attraversavano il corpo nonostante non facesse affatto freddo. Si scoprì più di una volta a scrutare il profilo del ragazzo che camminava qualche passo dinanzi a lei, mentre le sembrava ancora di percepire la sensazione del vuoto alle sue spalle, come se ancora fosse sul bordo del fiume. Uno sbadiglio la colpì impreparata quando ormai riusciva a distinguere i cavalli nei box e Sosia attribuì la colpa di quello stato al sonno. Si disse che a matrimonio finito avrebbe potuto di nuovo riposarsi e tutto sarebbe tornato normale.
“Penso che vi lascerò il cavallo di Thor, tanto lui è troppo occupato a pensare alla vostra principessa per curarsi del proprio destriero.” dichiarò con tono divertito il principe e la sua voce raggiunse come da lontano il cervello di Sosia, riuscendo tuttavia a ridestarla dal torpore in cui era precipitata e dalla stanchezza che stava veramente cominciando ad avvolgerla. Lei emise un semplice verso di consenso al quale Loki si voltò con un sorriso sfacciato.
“Cosa ti succede, o fortissima guerriera? Non vorrai dirmi che hai avuto paura?” domandò il ragazzo, senza lasciarsi sfuggire l'opportunità di prendersi amichevolmente gioco di lei. La zingara gli rivolse una smorfia quasi di disgusto e un'occhiataccia, che fecero risuonare la risata del minore dei figli di Odino nel bosco. Le cortecce degli alberi parvero vibrare sotto quel suono e da qualche parte un gufo gridò indignato, di rimando.
“Oh ma non devi temere, il tuo principe è qui!” continuò a deriderla Loki, girandole intorno con allegria e improvviso vigore, mentre lei si avvicinava alla scuderia e vi entrava, osservando i box dei vari cavalli alla ricerca di quello che sarebbe risultato più adatto per Mente. Non ven'erano molti, meno di una decina, ma visto l'orario e la strada che avrebbe dovuto fare per andare alla ricerca di un altro cavallo, Sosia decise che uno di quelli sarebbe andato benissimo. Mentre lei controllava le criniere, osservava i denti e studiava il colore del manto dei vari equini, Loki si appoggiò ad uno degli steccati, imitando alla perfezione una delle migliori pose che il fratello assumeva durante le feste, quando posava gli occhi su una particolare ragazza e tentava di persuaderla.
“Non voglio un principe, non sono una principessa.” risposo con tono piatto la ragazza, quasi annoiata, nonostante trovasse divertente il modo in cui Loki prendeva in giro costantemente suo fratello, quando esso non era nei dintorni. Il dio le scivolò davanti, approfittando del fatto che lei stava attraversando il largo corridoio di paglia e terra che divideva le due file di box, bloccandole la strada e continuando la sua scenetta teatrale.
“Anche le guerriere necessitano di affetto.” le bisbigliò con finto tono suadente, ma per la prima volta Sosia sospettò che il ragazzo non stesse più recitando, non completamente almeno. Qualcosa nel modo in cui i suoi occhi brillavano o in cui le sue labbra si piegavano le diceva che quello che le stava parlando era di nuovo Loki, e non una divertente caricatura di Thor. Quasi spaventata da questa possibilità, decise lei di calarsi in una parte, di interpretare la feroce guerriera indipendente che, per antonomasia, rappresentava il perfetto opposto di una principessa fragile e in cerca del proprio principe. Rizzò le spalle e gonfiò il petto, indossando un finto sguardo fiero e deciso, guardandolo dal basso verso l'alto, ora che le era perfettamente davanti.
“L'amore è per i deboli.”
L'espressione che caratterizzava il personaggio delprincipe-coraggioso che Loki stava interpretando parve evaporare con stupore – e un briciolo di timore – di Sosia, mentre il viso di Loki si faceva molto più di vicino di quanto non lo fosse stato prima al fiume e il suo naso sfregava contro quello della ragazza.
“Allora lasciami essere debole per un minuto.” bisbigliò il ragazzo e prima che Sosia potesse assimilare quelle parole le labbra di Loki si trovavano sulle sue.

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