Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

𝐗𝐗𝐈𝐗. 𝐏𝐫𝐨𝐦𝐞𝐬𝐬𝐚

Thought I found a way
Thought I found a way out (found)
But you never go away (never go away)
So I guess I gotta stay now
Oh, I hope some day I'll make it out of here
Even if it takes all night or a hundred years
Need a place to hide, but I can't find one near
Wanna feel alive, outside I can't fight my fear
Isn't it lovely, all alone?
Heart made of glass, my mind of stone
Tear me to pieces, skin to bone
Hello, welcome home
Walkin' out of time
Lookin' for a better place (lookin' for a better place)
Something's on my mind (mind)
Always in my head space





Il viaggio di ritorno era silenzioso. Atlas avrebbe voluto spezzare quel momento, con qualche parola adatta alla situazione, ma non ne era capace.
Era più bravo ad avvelenare l'aria con qualche commento sarcastico.
Non aveva mai odiato la sua natura quanto in quel momento. E non avrebbe mai pensato di poter dire che preferiva Hercule sorridente.
Avrebbero escogitato un piano, qualcosa per risolvere quella questione, naturalmente. Shayla li avrebbe raggiunti al suo appartamento. Nel frattempo erano in treno insieme ad Isak ed Ida. Non aveva mai trovato così imbarazzante e pesante il silenzio.
Hercule, seduto al suo fianco, sospirava di tanto in tanto, guardando fuori al finestrino. Poteva sentire quasi gli ingranaggi del suo cervello arrovellarsi su tutti i problemi.
Odiava non vedere le sue rughe d'espressione agli angoli della bocca, né poter fissare le fossette quando sorrideva. Non poteva far a meno di pensare che tutta quella storia fosse solo colpa sua e, che se non fosse mai nato o fosse morto, non si troverebbero a quel bivio. Avrebbe risolto ogni cosa, soprattutto avrebbe riportato Heaven tra le braccia di suo padre, di Shayla poco gli importava. L'aveva risparmiata solo per non rendere una bambina orfana di madre, sapeva abbastanza bene quanto fosse doloroso.

Hercule sospirò, ancora. Era la nona volta che lo faceva. Si sentiva pazzo a contare. Si tirò poi in piedi, col capo abbassato come se lo avessero appena riempito di pugni allo stomaco. «Scusate, vado un momento in bagno.» Seguì la sua figura allontanarsi e aggrottò la fronte, preoccupato.

Tornò a voltarsi verso i suoi amici, entrambi seduti di fronte, e si passò una mano in volto. Sentì Ida armeggiare con il piede all'altezza delle sue gambe e inarcò un sopracciglio. «Capisco di essere dannatamente attraente, ma lo sai che non mi piacciono le donne? E poi come faremmo con Be-»
Le parole gli si mozzarono in gola per il dolore, dopo un ben assestato calcio agli stinchi. Si fece sfuggire un rantolo di dolore. «Mi dici che cazzo di problemi hai?»

«Io?!» Ida sbuffò scocciata. «Dovresti dircelo tu!»

Atlas si massaggiò la gamba, maledicendola in tutte le lingue che conosceva. Socchiuse gli occhi e scosse il capo. «Vuoi che ti faccia una lista in ordine cronologico o alfabetico? O preferisci la mia cartella medica?»

Isak tossicchiò. A volte era assurdo pensare che fosse lui a dover mettere un punto alle loro liti da cane e gatto. «Forse, però, Ida ha ragione, no? Credo tu debba dire qualcosa a Hercule.»

Atlas sentì la gola secca. Certo che avrebbe voluto farlo, ma sapeva benissimo di essere capace di rovinare tutto. Aveva paura di sgretolare qualcosa di già abbastanza fragile e instabile. Non avrebbe sopportato l'odio anche nello sguardo di Hercule. «E cosa dovrei dirgli? Che mi dispiace che sua figlia sia nella merda per causa mia? Che se probabilmente fossi morto e non si fosse ostinato a salvarmi, magari adesso non saremmo qui?» Strinse le mani in una morsa e si tirò in piedi. Aveva bisogno di andare al bagno e di distrarsi dai suoi pensieri opprimenti. Aveva bisogno di fumare e non vedeva l'ora che arrivassero. Quel viaggio in treno lo aveva innervosito già abbastanza.
Iniziò a camminare lungo il corridoio del treno, verso lo scompartimento coi bagni. Si appoggiò contro la parete aspettando si liberasse e si bloccò per un istante quando Hercule uscì, fermandosi sull'uscio a guardarlo.

Probabilmente avrebbe dovuto dire qualcosa. «Mi dispiace.» Non sapeva se provava davvero rimorso. Era difficile cercare di capire le emozioni degli altri, non riusciva ad essere empatico e a comprendere il dolore degli altri. Sapeva solo che odiava vedere Hercule così. Non gli piaceva e questo lo aiutava soltanto a non fare commenti inappropriati.

Hercule scrollò le spalle. «Non è colpa tua...» Sospirò. «A furia di voler aiutare tutti, sembra che ne sto pagando io le conseguenze.»

Atlas scosse il capo deciso. «Risolveremo. Ho un'idea in mente e ti assicuro che ti riporterò tua figlia.»

Il medico storse il naso. Non sembrava tranquillo, nonostante tutto. Lo ringraziò flebilmente e si allontanò. Avrebbe voluto prenderlo per un braccio e fare qualcosa di utile, probabilmente abbracciarlo sarebbe stata una buona idea, ma i suoi muscoli si erano bloccati, intorpiditi dal nervosismo.
Era frustrante sentirsi sempre inadatto in certe situazioni. Vedere le persone che amava stare male e non sapere in nessun modo cosa fare. Quella sensazione di inutilità faceva impazzire, si sentiva inerme.
Promise solo a sé stesso che avrebbe smembrato Perez appena ne avrebbe avuto l'occasione. Avrebbe prima di tutto salvato Heaven e gli altri bambini, poi si sarebbe occupato della propria vendetta.
Spinse in avanti la porta del bagno e si rinchiuse all'interno, lasciandosi consolare da quei pensieri sanguinosi.

Non appena arrivati a casa, Isak e Ida uscirono a comprare qualcosa per la cena, Atlas gettò il giaccone sul divano e si passò le mani in volto. Lanciò un'occhiata ad Hercule. Sapeva che avrebbe voluto andarsene a casa, probabilmente a nascondersi da qualche parte o a fare qualche follia per riprendersi Heaven. Proprio per questo aveva voluto che restasse da lui. Dovevano ragionare sul suo piano, accettare che avrebbe funzionato e ascoltarlo per forza di cose. Non avrebbe tollerato bocciature alle sue idee, era l'unica soluzione e lo sapeva benissimo.
Gli si affiancò e gli fece cenno di dargli il suo cappotto.

Hercule sembro ridestarsi appena e annuì. «Credo di aver bisogno di fare una doccia.»

Atlas lo guardò. «Il bagno sai dov'è. Ti presto i miei vestiti.»

Hercule sorrise appena, eppure sembrava un'ombra sbiadita della sua vera immagine. Si incamminò verso il bagno. Pareva quasi si trascinasse a forza. Non aveva soluzioni, ma solo sensi di colpa, era chiaro perfino ad Atlas che di emozioni non ci capiva assolutamente nulla.

Non appena lo vide chiudersi in bagno, andò in cucina. Iniziò ad aprire ogni mobile, fino a quando non trovò del cacao amaro. Prese il latte dal frigorifero e iniziò a riscaldare il tutto. Lanciò un'occhiata all'orologio a parete. I suoi amici sarebbero tornati sicuramente dopo poco più di un'oretta.
Shayla li avrebbe raggiunti dopo cena e, dopo essersi accordati, avrebbe telefonato a Perez, mettendo in atto il loro piano. Il tutto solo dopo averne discusso insieme. Atlas sperava vivamente gli dessero ascolto, altrimenti avrebbe dovuto utilizzare maniere più forti.
Andò a sistemare sul letto della camera un maglione e dei pantaloni da tuta comodi per Hercule e ritornò poi in cucina.

Attese per qualche minuto, fino a quando sentì la porta del bagno aprirsi e i passi di Hercule spostarsi verso la camera.
Doveva ammettere di non trovare fastidiosa quella normale quotidianità, solo che non gli piaceva poterla vivere in quelle circostanze.
Girò ancora un po' la cioccolata calda e la versò poi in una tazza.
A volte credeva di essere un alieno per come pensava. Non era un'amante dei dolci, preferiva di gran lunga il salato, ma aveva spesso sentito dire che le cioccolate calde erano un toccasana per l'umore. Di certo non tutti preferivano pestare e farsi pestare a sangue come lui. Per Atlas l'unico modo per tornare a sentirsi vivo e sorridere era uccidere, torturare o gli incontri di boxe illegali.

Entrò in camera, con la tazza ancora fumante e fissò Hercule seduto sul letto a contemplare il vuoto. Tossicchiò, attirando la sua attenzione. Rabbrividì quando quegli occhi chiari si posarono su di lui. «Ti ho fatto una cioccolata calda.» Gli porse la tazza. Hercule sorrise appena e la afferrò, soffiandoci sopra e riscaldandosi le mani contro la ceramica calda. Atlas si sedette al suo fianco, sfiorandogli la spalla con la propria. «Quando ero in orfanotrofio c'erano questi due amici, Killian e Natalia. Andavano d'accordo e ricordo che Natalia ci preparò una cioccolata calda di nascosto, nelle cucine dell'orfanotrofio, quando Killian ed io eravamo stati punito per essere tornati dopo il coprifuoco. Diceva che la cioccolata aiuta a stare meglio. Non so se sia vero, mi piacque all'epoca.»

Hercule sorseggiò appena. «Non hai più bevuto cioccolata calda da allora?»

Atlas scosse il capo. «Ci punirono abbastanza violentemente. L'ho aggiunta all'elenco di cose che non ho più mangiato.»

«Un elenco?» Hercule inarcò un sopracciglio. «Cos'altro c'è?»

Perlomeno stava riuscendo a tenerlo distratto. Giocherellò con le mani, cercando di non entrare in agitazione. «Non mangio più caramelle, perché il giorno in cui mia madre morì mi aveva comprato un pacco di quelle gommose e avremmo dovuto finirlo assieme davanti a un cartone animato.» Abbassò lo sguardo. «Mi sembra scorretto nei suoi confronti.»
Hercule deglutì. Fece per avvicinarsi, ma Atlas alzò lo sguardo, anticipando qualsiasi sua parola. «Senti, dottore, probabilmente non capirò mai cosa senti, per quanto io mi possa sforzare. Forse continuerò a essere inopportuno, a non essere empatico, a fare battute stupide e sarcasmo poco corretto per evitare discorsi scomodi. Molto probabilmente non mangerò mai una cioccolata calda con te o non vorrò mai condividere un pacco di caramelle gommose. Molto probabilmente ucciderò sempre, non avrò mai idea di cosa dire in momenti difficili e sicuramente ti metterò sempre in imbarazzo, al punto che desidererai non avermi voluto conoscere, ma ti assicuro che ti riporterò tua figlia. Fosse l'ultima cosa che faccio.»

Hercule lo guardò e gli prese una mano. Poggiò il capo sulla sua spalla. «Grazie...» Intrecciò le dita alle sue. Atlas seguiva solo il loro movimento, in silenzio. «Spero che si sistemi tutto.»

«Avrai di nuovo Heaven tra i piedi, te l'ho promesso.» Di lui si potevano dire tante cose, ma non che non fosse un uomo di parola. Non era abituato a gesti gentili e romantici, in quelli era una frana. Non gli era mai interessato capire più di tanto i sentimenti degli altri, ma urtare quelli di Hercule non gli piaceva.

Hercule sorseggiò la cioccolata calda, dopo aver soffiato un po' sulla superficie, perché ancora troppo calda. Sorrise appena, sebbene il suo volto fosse solcato da stanchezza e preoccupazione. «Comunque, evitando cose simili, si spiega il fisico allenato. Io non riesco ad avere un equilibrio ormai.»

Atlas inarcò un sopracciglio. «Mangi sempre insalate e roba dietetica, ci credo...»

«Sai non passo le mie giornate ad allenarmi. Vuoi per caso prestarmi la tua dieta?»

Atlas scrollò le spalle. «Beh al mattino caffè amaro. A pranzo birra e sarcasmo. A cena omicidio. Funziona, anche perché quando quegli idioti scappando, c'è molto da correre. Poi alzare i corpi è come fare tanti pesi. Mi mantengo allenato.»

Hercule scosse il capo e tornò a bere. «Decisamente non è il mio tipo di dieta.» Sospirò piano. Posò la tazza sul comodino al suo fianco e si distese a fissare il soffitto della sua stanza. Atlas seguiva tutti i suoi movimenti, restandosene in silenzio. «... comunque grazie. Non avrei avuto nessuno a chi rivolgermi.» Si passò una mano in volto.

Atlas sbuffò piano e si lasciò cadere sul materasso al suo fianco. «Menomale, perché il piano b era parlarti dei metodi di tortura che avrei potuto usare su Perez per cercare di distrarti.»

Hercule non riuscì a nascondere un sorriso divertito. Non appena sentirono il campanello di casa e le voci di Isak e Ida, appena tornati, uscirono entrambi dalla stanza. Atlas decise di isolarsi un altro po', rifugiandosi in cucina per preparare. In sottofondo poteva sentire le voci dei suoi amici, che cercavano di tranquillizzare Hercule. Tutti erano certi che sarebbero riusciti a recuperare Heaven. Atlas non aveva alcuna intenzione che le si facesse del male, non l'avrebbe mai permesso e non se lo sarebbe nemmeno perdonato.
Attesero quasi una mezz'ora prima dell'arrivo di Sheyla.
Atlas non la trovava particolarmente simpatica, ma forse era dovuto anche al fatto che avesse raggirato, come un calzino, Martin, che dopo, tanto dolore a causa della sua ex moglie, non meritava affatto un trattamento simile.

Hercule le aprì la porta. La osservò scettico. Sembrava abbastanza infastidito da tutto quello che era successo e risentito nei confronti dell'ex moglie, se non anche sua migliore amica. Atlas, però, era terrorizzato dai rapporti e non aveva idea di come poter gestire tutta quella situazione. Continuava a ripetersi che era un argomento che sarebbe stato sempre rimandato, eppure aveva la sensazione che avrebbe dovuto affrontarlo prima o poi.
Era stanco, anche di fare commenti al veleno. Voleva chiudere il prima possibile quella situazione.

Aprì il frigorifero, dopo uno sbuffo scocciato, e prese alcune birre. Si avvicinò al tavolo del salotto, dov'erano tutti seduti. Ne stappò alcune e iniziò a bere. «Sebbene sembriamo gli amici stupidi dei cavalieri della tavola rotonda-» Bevve un altro sorso di birra, facendo scontrare poi la propria bottiglia con quella di Isak, sotto le occhiatacce di Ida. «- è inutile discutere, perché ho un piano e seguiremo quello.» Si accomodò accanto ad Hercule, che lo fissava di sbieco. Forse era una sua impressione, ma appariva ancor più preoccupato di prima.
Si sporse sul tavolo, schioccando il collo e posando la bottiglia. «Mi consegnerò insieme a Shayla.» Socchiuse gli occhi. «Aspetto le vostre lamentele e poi continuerò, prego-» Allargò le braccia, con un mezzo sorriso.

Isak si era incupito. Scosse il capo infastidito. «Non se ne parla proprio, brutto idiota. Ti ricordi che hai tentato di spararti una pallottola in testa l'ultima volta?!»

«Infatti, Atlas. Non se ne parla, studieremo un piano d'attacco tutti insieme e faremo così-»

Hercule si mosse nervoso sulla propria sedia. Gli posòc da sotto il tavolo, una mano sulla gamba che aveva preso ad agitare su e giù. «Non credo sia un'ottima id-»

«Invece lo è. Penserà che voglia consegnarmi. Con me si infilerà anche uno di voi due-» Indicò Isak ed Ida. «L'altro aspetterà fuori insieme ad Hercule, nel caso dovesse reagire qualche guardia o queste stronzate varie. Anzi Isak entra, Ida resta fuori.» Agitò la mano. «Una volta dentro, Isak, coi miei vestiti addosso e un sacco a coprirgli il volto, verrà presentato da Shayla al posto mio.» Bevve un altro sorso di birra. Aveva tutte le loro attenzioni addosso. «Mentre Shayla verrà allontanata per non avere testimoni, io cercherò i bambini e li farò uscire. Isak sarà legato molto male, così potrà liberarsi, sparare un po' e scappare. Non deve uccidere nessuno.» Si prese un attimo. «Quando tutti i bambini saranno fuori, voi ve ne andrete in pace. Perez è mio. Mio e di nessun altro.»
Non gli importava quanto fossero pronti a lamentarsi. Era una questione personale e lui soltanto avrebbe dovuto chiuderla. Non voleva l'intervento di nessuno.

Isak scosse il capo, dopo aver tamburellato com le dita sul tavolo. «Non mi piace, non voglio lasciarti da solo lì con quel pazzo.»

«A me sta bene. Basta che Heaven torni a casa.» Atlas non prese nemmeno in considerazione le parole di Shayla, Hercule, invece, strinse i pugni.

«Non mi interessa cosa avrete da dire. Se necessario vi sparerò addosso, senza uccidervi ovviamente. Non vi lascerò dentro con me. È il mio incubo, è il mio cazzo di Inferno personale, e solo io voglio metterci un punto. Ti è chiaro, Isak?» Si alzò nervosamente dal tavolo e prese la bottiglia di birra.

Hercule lo seguì con lo sguardo. Tossicchiò. «E anche se facessimo così, dove dovremmo incontrarli?»

Shayla accese una sigaretta e guardò fuori alla finestra, disinteressata. «Al vecchio orfanotrofio dove Atlas è cresciuto. A quanto pare è così ossessionato da te, che ritorna sempre in posti che ti ricordano.»

Atlas fece un mezzo sorriso sghembo. «Bene, la messa è finita, andate in pace o a fottervi. Domani sera andremo lì secondo il mio piano, senza lamentele.» Si allontanò dal salotto, tenendo la bottiglia di birra semivuota in mano, e si diresse verso la propria camera.
Si sedette sul letto e socchiuse gli occhi.
Andava tutto bene, poteva farcela.
Sentiva i bisbigli contrariati dei suoi amici nel salotto. Sapeva che Isak non gli avrebbe dato più di tanto retta, ma quello sarebbe stato un problema da sistemare improvvisando, necessariamente. Fece schioccare le dita della mano.
Riconobbe i passi lenti e felpati di Hercule. Fin da ragazzino aveva imparato a distinguere i diversi andamenti delle persone, come a prepararsi psicologicamente alla tortura o di Perez o di suo padre. Con Hercule era diverso, sentiva il suo animo risollevarsi appena.

La porta si aprì e il medico entrò in stanza. La richiuse alle proprie spalle e si sedette accanto a lui, nella stessa identica posizione in cui erano prima. Restò per qualche attimo in silenzio.
Prese poi un grosso respiro. «Devi promettermi una cosa.»

Atlas inarcò un sopracciglio e si voltò a guardare il suo volto preoccupato nella penombra della stanza. Avrebbe voluto che quelle iridi chiare fossero sempre accompagnate e contornate da espressioni sorridenti, perché altrimenti non sarebbe stato davvero lui. «Non sono bravo con le promesse, dottore.»

«Mi devi promettere che non cercherai ancora una volta di auto distruggerti, Atlas.» Lo fissò intensamente. «Non è vero che non c'è nessuno che ti ama o che ti vuole bene.»

Atlas sorrise sarcastico e fece schioccare la lingua contro il palato. «Ne dubito.»

Hercule gli posò una mano sul braccio. «Promets-moi.» (Promettimelo.) Poggiò poi il capo sulla sua spalla, lasciandosi cullare un po' dal suo profumo. «Promettimi che staremo bene.»

Atlas sapeva che la vita con lui era un inferno, dolorosa e devastata. Con sé veniva soltanto la Morte e il male, non c'era spazio ad altro. Eppure, era sempre stato un ottimo bugiardo. Di solito usava le bugie per ferire gli altri e tenere se stesso al sicuro, nel proprio mondo dove non c'era spazio per nessuno. «Je vous le promets, nous serons en sécurité.» (Te lo prometto, staremo bene.)
Hercule restò così, fermo e vicino a lui.
E Atlas non poté far a meno di pensare che quella bugia stesse facendo tanto bene al dottore, quanto male a se stesso.






Angolino
Come va?
Ho avuto un po' di giorni impegnativi, ma ci avviciniamo alla fine, manca pochissimo e credo che la prossima settimana dovremmo spuntare la storia come "completa".
Alla prossima 💕🙏🏼

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro