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𝐄𝐩𝐢𝐥𝐨𝐠𝐨

You must think that I'm stupid
You must think that I'm a fool
You must think that I'm new to this
But I have seen this all before
I'm never gonna let you close to me
Even though you mean the most to me
'Cause every time I open up, it hurts
So, I'm never gonna get too close to you
Even when I mean the most to you
In case you go and leave me in the dirt
But every time you hurt me, the less that I cry
And every time you leave me, the quicker these tears dry
And every time you walk out, the less I love you
Baby, we don't stand a chance, it's sad, but it's true
I'm way too good at goodbyes
I know you're thinking I'm heartless
I know you're thinking I'm cold
I'm just protecting my innocence
I'm just protecting my soul

Era un incoerente.
Ogni giorno si prometteva di mettere fine a qualsiasi legame e pochi istanti dopo fingeva che quel compito non fosse mai esistito.
Erano trascorse un paio di settimane, in cui si era illuso di poter provare a vivere una vita normale e felice.
Atlas non era capace di rendere la vita facile a qualcuno ed era consapevole, fin dalla nascita, di non meritare poi così tanto l'amore. Non era bravo e non lo sarebbe mai stato. Era più semplice per lui ferire e uccidere che dimostrare di essere capace di provare altro.

Credeva fermamente che avrebbero dovuto creare un corso su come lasciare andar via le persone. Sicuramente ne avrebbe preso parte, dato che era una frana e stava provando a crearsi un discorso mentalmente. Ne aveva sentite tante di scuse: "il problema non sei tu, ma sono io." E mai come quella volta credeva che fosse vero. Non meritava l'amore di nessuno, non era all'altezza di certi sentimenti, né tantomeno, a maggior ragione, di Hercule. Erano agli antipodi e non poteva sopportare che tutta quella serenità venisse oscurata e inquinata dalla sua natura.
Era stato di sicuro bello, avrebbe rimpianto per un po' di tempo quella decisione, perché si era sentito normale, ma sapeva che fosse la cosa giusta da fare.

Continuava a ripetersi quelle parole come un mantra, mentre zoppicava verso casa di Hercule, aggrappandosi alle stampelle. Ancora non riusciva a camminare come avrebbe voluto e spesso e volentieri aveva pensato che sarebbe stato divertente spaccarle sulla testa di tutte quelle persone che provavano a superarlo alle file delle casse al supermercato.
Trovava l'uso delle stampelle davvero utile per far male a qualcuno e, a giudicare dal nervosismo degli ultimi tempi, non vedeva l'ora di poter ritornare in azione come una volta.
Questo era solo uno dei tanti motivi per cui non poteva andare bene quella sorta di relazione in cui si era incastrato da solo. Atlas aveva bisogno di uccidere, non poteva farne a meno, e per quanto Hercule fingesse di non esserne infastidito, prima o poi gli avrebbe chiesto di smettere.

Sbuffò piano e chiamò un taxi, dando l'indirizzo del palazzo di Hercule. Probabilmente il medico già aveva iniziato ad avere qualche sentore del suo distacco. Non a caso aveva ripreso a rispondergli a sprazzi, non restava quasi più a casa sua negli ultimi giorni. Atlas aveva iniziato a rimuginare sulla propria vita, arrivando alla conclusione che il lieto fine non esisteva per quelli come lui. E tutto sommato ci era abituato da tutta la vita.
Una volta arrivato, pagò l'autista e iniziò a guardarsi attorno. Bussò al citofono e sentì Hercule dirgli che aveva appena aperto.
Una volta sul pianerottolo, trovò la porta aperta ed entrò in casa, chiudendola poi.

«Ehi, buongiorno. Vuoi qualcosa da bere?» Hercule gli sorrise tranquillo. Era il suo giorno di riposo e stava iniziando ad addobbare per Natale, d'altronde mancava poco e con gli ultimi avvenimenti non aveva trovato poi così tanto tempo.

Atlas scosse il capo e si sedette su una sedia. Sbuffò scocciato, posando le stampelle contro il tavolo. «Bimba paradiso non c'è?»

«Ultimi giorni di scuola.» Hercule scrollò le spalle. Si accomodò di fronte a lui. Inclinò il capo, iniziando a scrutare il suo volto. «Allora, cosa vuoi dirmi? È da giorni che leggo sul tuo sguardo una strana espressione. Vai tira questo cerotto.»

Atlas deglutì. A volte dimenticava quanto Hercule riuscisse a prevedere molte delle sue mosse. Lo detestava, perché probabilmente avrebbe preferito non conoscerlo mai, sarebbe stato più semplice. Non avrebbe aggiunto l'ennesima ferita da lasciar cicatrizzare col tempo. «Questa relazione, noi, qualsiasi dannata cosa sia, non può andare avanti.»
Si morse l'interno guancia. Aveva pensato a parole meno aggressive, invece, ancora una volta, il suo nervosismo aveva avuto il sopravvento.

Hercule si passò una mano sul volto. «Immaginavo che volessi arrivare a questo, forse mi illudevo di no. O meglio ci speravo.» Si grattò il mento. «Cosa ti terrorizza?»

«Niente, dottore.» Atlas prese le stampelle per tirarsi in piedi. «Semplicemente è stato bello finché è durato? Quanto due settimane? Un record per me.» Sbuffò. Forse se fosse riuscito a farsi odiare sarebbe stato più semplice, Hercule avrebbe capito a cosa sarebbe andato incontro per una vita intera. «Non sono tagliato per le relazioni. Non voglio... non posso.»

Hercule inarcò un sopracciglio. «Eppure mi pare che avessi promesso-»

«Ho promesso anche tante volte a Dio che sarei stato un bravo bambino, eppure guarda com'è finita.»

«Mi dici perché fai sempre così?»

«Non ti seguo.» Atlas cercò nella tasca dei pantaloni il pacchetto di sigarette e ne sfilò una, accendendosela dopo. Hercule lo guardava male, infastidito. Almeno stava riuscendo a farlo arrabbiare, il che era un traguardo.

«Di auto distruggerti la vita.»

«Non psicanalizzarmi, dottore. Credo che con la camicia di forza tu abbia fatto già abbastanza.» Atlas era sempre stato rancoroso, ma con Hercule no, non ci riusciva. Semplicemente era il momento migliore per rinvangare il passato e cercare di ferirlo, almeno sarebbe stato più facile allontanarlo.

«Oh non ci provare a fare tutte quelle manipolazioni mentali.»

«Quello lo hai sempre fatto tu.» Atlas espirò il fumo, affummicando il volto di Hercule, che tossì infastidito.

«Non posso costringerti a restare, ma sarebbe carino se fossi onesto con me e anche con te, una volta tanto.» Si alzò in piedi e andò a bere un bicchiere d'acqua in cucina. Lo sentì sospirare frustrato. Ritornò da lui, fissandolo negli occhi. «Io non mentirò, dicendoti che da parte mia so che ci sono sentimenti forti. Tu fingerai e scapperai? Come quando hai concluso un lavoro sporco?»

Atlas roteò gli occhi al cielo. Doveva rendere tutto più difficile, ovviamente. «Io non sento nulla. Non sentirò nemmeno il senso di colpa andandomene da qui.» Prese le stampelle. «Vi auguro solo un Natale abbastanza felice, perché è giusto che vada così.»

Hercule arretrò, ferito abbastanza da starsene in silenzio per qualche istante. Lo accompagnò comunque alla porta. «Sai? Quando deciderai che non è colpa tua il male del mondo e accetterai che anche tu possa meritare qualcosa, chiamami. Ma se fossi in te mi darei anche una mossa.»
Atlas annuì, sistemandosi meglio sulle stampelle. «Joyeux Noël, Atlas. J'allais te dire que je t'aimais.» (Buon Natale, Atlas. Stavo per dirti che ti amo.)

«Joyeux Noël, docteur.» (Buon Natale, dottore).

Atlas si allontanò dall'appartamento di Hercule. Uscì dal palazzo e abbandonò definitivamente quella zona di Edimburgo per molto tempo, probabilmente non aveva voglia di rischiare di incrociarlo.



༄༄༄


Come ogni Natale che si rispetti, aveva deciso di restarsene a casa da solo, nonostante Isak e Bendik lo avessero chiamato in continuazione pur di convincerlo ad andare da loro a trascorrere le feste, così che non rimanesse in solitudine con i suoi pensieri invasivi.
Atlas aveva minacciato tutti che li avrebbe bloccati e sarebbe sparito per sempre dalla circolazione se avessero insistito ancora, così era riuscito a fermarli per un po'. Tranne Ida, che, anziché chiamarlo, gli scriveva tutti i giorni qualche messaggio per chiedergli come stesse.
Quando era un bambino, all'inizio, adorava il Natale. Le luci, i colori, gli alberi e la neve lo rendevano felice, lo facevano sentire importante e al centro dell'attenzione. Col tempo lo aveva solo detestato, sebbene rappresentasse uno dei pochi periodi dell'anno in cui non veniva brutalmente torturato.

Era la sera del ventiquattro. Poteva sentire le persone per strada intonare cori natalizi, così come le risate di alcuni bambini felici. Ancora i rumorosi vicini che mangiavano tutti in famiglia.
Atlas, invece, se ne stava disteso sul divano, con il piede ancora dolorante e una coperta addosso, mentre girava annoiato i diversi canali della tv. Aveva poi deciso che avrebbe optato per qualche solito cartone animato che lo tenesse abbastanza distratto da farlo addormentare e risvegliare direttamente alla fine di quelle stupidissime feste.
Sentì la porta bussare e inarcò un sopracciglio. Istintivamente portò la mano alla propria pistola e si tirò in piedi.

«Chi è?»

«Ehm corriere signore.»
Atlas non ricordava che si lavorasse anche a quell'ora, ma per qualche mancia extra tutto era possibile. Aprì appena la porta, tenendo nascosta la mano che impugnava la pistola. «Mi hanno chiesto di lasciarle questo pacco qui fuori.»

Atlas attese che l'uomo se ne fosse andato per prendere il pacco. Era anche abbastanza pesante e il coperchio era forato, come a far passare aria. E cosa ancora peggiore si muoveva. Per un attimo ringraziò che non fosse un cesto con un bambino appena nato e un biglietto con scritto: "questo è tuo figlio, prenditene cura".
Menomale che non gli piacevano le donne.

Richiuse la porta con un calcio e alzò il coperchio, spinto anche dal muso del cucciolo, che a quanto pare era il suo nuovo regalo.
Inclinò il capo, sorridendo appena. Non era altro che una femmina di pastore tedesco nero. Balzò fuori dalla scatola, avvicinandoglisi e annusandolo. Atlas le accarezzò il capo, sorridendo al contatto col pelo morbido. «Ciao anche a te, suppongo.»
Mentre la cucciola iniziava a guardarsi attorno, studiando l'aria, Atlas individuò un biglietto attaccato alla scatola e lo strappò, per leggere.

Avevo deciso da tempo di farti un regalo e adesso che sicuramente sei da solo, auto convincendoti di aver fatto la scelta giusta, credo che la piccola Thelma sia l'unica compagnia che accetteresti di buon grado.
So quanto ami i cani e i pastori tedeschi e lei era l'ultima della cucciolata, nessuno la voleva e né tantomeno voleva farsi adottare da qualcuno. C'è voluto un po' perché la convincessi a seguirmi.
Penso siate anime affini, a questo punto.
Credo vi salverete a vicenda.
Magari sarà la volta buona per aiutarti a capire che non sei solo e non lo sarai mai.
Buon Natale.

-Dottorino.

Atlas posò il biglietto sul divano e si voltò a guardare Thelma, che gli si avvicinò. Posò il muso sulle sue gambe e la accarezzò.
Sbuffò piano.
Non era solo.




































𝐀𝐭𝐥𝐚𝐬 𝐒𝐩𝐞𝐜𝐭𝐨𝐫 𝐖𝐢𝐥𝐥 𝐑𝐞𝐭𝐮𝐫𝐧

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