𝙋𝙖𝙧𝙩𝙚 𝙄 ☀︎︎ 𝘿𝙤𝙢𝙚𝙣𝙞𝙘𝙤.
Maurizio era l'unico entusiasmato all'idea di trasferirsi a Danewis, sembrava un punto di svolta finalmente.
Per chi crede nell'oroscopo e solo per loro, poiché a me interessa poco, nacqui il 26 maggio di diciassette anni prima dell'anno in cui accadde la storia che mi accingerò a raccontare.
All'una e mezza del pomeriggio, mio padre che, a quel tempo lavorava in ufficio dovette correre tra i corridoi dell'ospedale mentre in una mano teneva quella di suo figlio di mezzo e, nell'altra una ventiquattrore strabordante di fogli.
Molto presto quei pezzi di carta, cominciarono a volare in giro per le mattonelle candide del pavimento dell'edificio.
Era strano come poi, Salvatore gli facesse domande a cui mio papà però, non dava risposta.
Chi aveva accompagnato mia madre in travaglio all'ospedale? Maurizio, il figlio maggiore dei miei genitori.
Aveva chiamato disperatamente la nostra vicina di casa poiché ancora mancavano altri sei anni al suo esame di guida.
Mi ricordo quando ancora abitavamo a Olbia ma mi ricordo anche il diluvio tempestoso e freddo che ci aveva attaccati quando qualche anno fa ci siamo trasferiti qui, a Danewis.
Salvatore non voleva abbandonare casa, io ero attaccato al peluche di un lupacchiotto mentre vedevo Maurizio alla porta-finestra indifferente che fumava. Me lo ricordo ancora quanto il ragazzo fosse solitario e silenzioso.
Era in camera con me e mi guardava piangere sul letto.
Ci siamo sempre assomigliati fisicamente: stesso taglio degli occhi, stesso naso e stesse labbra ma lui era molto meno ribelle e meno iperattivo di me.
Erano anni che non lo vedevo, ai miei diciassette... sembravano passati secoli.
Salvatore, d'altra parte, era sempre quello preso di mira, sempre stato soprannominato "l'adottato" perché era totalmente diverso da me e Maurizio.
Assomigliava di più a mia madre fisicamente: più basso di me, occhi piccoli ma non infossati come i miei, naso a patata e piccolino con delle piccole lentiggini - quasi impercettibili - che si libravano sul viso. Labbra sottili e sopratutto i capelli invece di essere scurissimi, tendevano a essere un castano molto molto chiaro quasi biondo.
È sempre stato molto timido e pacato, ma molto protettivo nei miei e nei confronti di mia mamma.
Per me non fu più di tanto difficile imparare quella che sarebbe stata la mia nuova lingua madre, quanto più per il resto della mia famiglia.
L'unico accento che era sparito con gli anni era il mio e quello di Salvo, più o meno. Non sapevo Mauri e, come diceva mio fratello con quel vocione fastidioso «Non lo voglio neanche sapere».
Io cercavo di spingerlo a ricordare i bei momenti della nostra infanzia.
In quei ricordi rimanevo in silenzio, mentre lui cambiava stanza dopo avermi lanciato uno sguardo quasi infastidito. Quasi ogni volta gli chiedevo il perché di quell'espressione strana. Faceva il finto tonto e ogni volta mi ripeteva la stessa cosa: «Ci ha abbandonati, non capisco perché ancora lo consideri un fratello».
D'altra parte, io nevrotico come son sempre stato, gli urlavo in faccia. Forse perché ancora ero l'unico che ci sperava nel suo ritorno.
Ogni talvolta che se ne usciva con quella frase me ne andavo dalla stanza, prendevo il necessario per rollarmi una sigaretta mettendomi sul balcone della casa al mare di nostra madre e, smettevo di pensarci.
Luglio era l'unico mese in cui eravamo tutti e quattro compatti anche se i miei erano già separati.
Solo dopo l'ultima litigata si è deciso di non farlo più e quindi nel 2018, passavo una settimana a casa di ognuno.
L'inizio del mese spettava a mia madre che aveva la maggior parte del tempo con me, per via dell'affidamento, alla terza settimana poiché - la seconda è sempre stata divisa in due giorni mia madre e il resto resto con Salvatore - ero con mio padre. La quarta, ultima non per importanza con mio fratello, da me considerata la migliore.
Appena trasferito conobbi Manuele Murtas, che presto, sarebbe diventato anche lui come un fratello.
Passavamo tutto il tempo insieme.
Per questo spesso non mi accorgevo neanche che passavano giorni - da quando era iniziato tutto - settimane, mesi e infine anni.
E poi, finalmente mi apparve una dea sotto gli occhi: era il 31 dicembre del 2015 quando conobbi Annamaria per la prima volta. Spuntò sotto i fuochi d'artificio di mezzanotte.
Li osservava esplodere in cielo pieni di colore insieme ad una sua amica che io non avevo mai visto prima.
Il tempo insieme al mio cuore sembrò fermarsi per un attimo.
Mi aggrappai al braccio di Manuele che vicino a me era tutto eccitato e sprizzante di gioia.
«Fra» lo chiamai. Lui si girò e vedendomi in quello stato catatonico ritornò serio per qualche istante.
«Chi è quella?» lasciai il braccio ondeggiare verso la ragazza.
«È italo-americana se non sbaglio, si chiama...», si bloccò per qualche secondo, «Simona? O Marica? No, aspetta Elisa?».
Prima che potesse finire di dire altri nomi, mi fiondai con una camminata sciolta verso di lei.
Ma irrimediabilmente, mi fermai per vedere un ragazzo avvicinarsi, prenderla per i fianchi e baciarla.
Feci una smorfia, il mondo cadde a pezzi in zero virgola sei secondi, mi girai ritornando dal mio amico che mi rincuorò dicendo: «Non ti avevo ancora detto che è fidanzata con uno che se ti trova davanti ti fa il culo», mi sgridò facendomi rassegnare quasi definitivamente.
Mi rimase una briciola di speranza quando tra i corridoi e banchi di scuola, mi lanciava diversi sguardi.
«Forse perché le sbavi talmente dietro che le fai quasi paura?» chiuse l'armadietto Manuele, mentre la figura esile della ragazza mi camminava affianco.
Non c'è neanche da dire che la rimorchiai nemmeno dopo un mese dal nostro primo incontro.
«Ma come diavolo hai fatto?» mi chiedeva Jahseh Onfroy arrivando a bordo del suo skateboard per fiondarsi sul tavolo del giardino, subito dopo la mensa, cominciando il discorso con voce stridula. Io e Manuele alzammo dal nostro piatto lo sguardo per concentrarsi sul biondino riccioluto, più piccolo di entrambi.
«Come ho fatto a fare...?» risposi con un altra domanda.
«Beh...», staccò lo sguardo da me per spostarlo su Annamaria che si stava dirigendo al nostro tavolo, «a rimorchiarla, forse, stupido salame!» sbottò subito dopo facendoci sorprendere.
«La mia nota bellezza e il mio saperci fare, ovviamente...» scherzai accennando un sorriso e alzando le sopracciglia, ricevendo solo due piccoli schiaffetti da entrambi i miei amici.
Era una grossa bugia, ero davvero un salame con le ragazze. Ci sapevo provare, ma nessuna voleva stare con me, poiché probabilmente a quell'età ero così esuberante che in realtà non avevo neanche tempo per "badare" a una ragazza.
D'altro canto, Murtas e Onfroy erano i migliori e i più belli della scuola, ne portavano una diversa fuori ogni settimana.
Per quello Jahseh era così sorpreso da me.
In quell'anno avevo scelto una delle ragazze più belle e popolari della scuola.
Dopo averla conquistata infatti la tenevo gelosamente stretta, a volte fin troppo, tanto che a volte mi pareva che prima o poi si sarebbe stufata.
E forse era davvero stufa...
Mi lasciò dopo due anni, nel 2017. Eravamo rimasti amici, per quanto si può essere davvero amici tra ex... ma la cotta per lei non era mai passata...
Diceva che ero troppo indaffarato, che non pensavo mai a lei. In realtà pensavo sempre a lei... era questo il vero problema.
Non mi sono mai deciso a riconquistarla, anche se ogni volta che mi passa davanti, il mio cuore esplode in mille pezzi di vetro.
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