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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈𝐈𝐈. 𝐋'𝐨𝐬𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐬𝐢𝐥𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐬𝐨


Cosa consiglio di ascoltare: ‟Don't Go Now" di Philip Selway.

https://youtu.be/iIkijwwE6a8

Avevano sempre amato lo Sweets & Pie ed erano anni che ogni tanto vi si recavano per passare il tempo e, soprattutto, per assaggiarne le prelibatezze. Tutti e due erano dei golosoni, forse Amelia un pochino di più, ma in generale non avevano gusti granché differenti.

Il locale consisteva in una piccola pasticceria colorata e accogliente dallo stile nostalgicamente retrò; al suo interno si poteva sempre respirare il dolce e delicato profumo del cacao e dello zucchero a velo, della menta e della liquirizia, di spezie e inebrianti miscele di caffè. Un angolo di paradiso, la sola cosa a piacere ad Amelia nei dintorni. La gradevole fragranza del cioccolato, quel giorno, continuava tuttavia a fare a pugni con quella inquietante e misteriosa dei fiori di lavanda.  Anche dopo tutte quelle ore la ragazza non era riuscita a dimenticarla e in un certo senso persino in quel preciso istante riusciva ad avvertirla. Iniziava a pensare di non avere tutte le rotelle a posto, visto che il suo naso si ostinava a recepire odori provenienti dal nulla.

Per quanto riguardava James, lo aveva visto tornare in classe in ritardo e con l'aspetto sottosopra. Invano Amelia aveva cercato di scoprire che diavolo gli fosse successo e lui aveva continuato a ripeterle che non era accaduto nulla di diverso dalla quotidiana routine: lo avevano beccato due dei soliti bulletti e si era ripetuta la scena di tante altre volte precedenti a quella. Niente di più, niente di meno. James aveva concluso dicendo di aver perso i sensi per qualche minuto e con ciò aveva giustificato il proprio ritardo.

Amelia aveva però capito che vi fosse dell'altro sotto, qualcosa che James non era intenzionato a dirle e durante il tragitto verso il locale più volte aveva tentato di farlo parlare, ricorrendo a tranelli che James immediatamente aveva compreso e neutralizzato. Al momento le sedeva di fronte e nonostante cercasse di non darlo a vedere, era chiaro che fosse giù di corda. Aveva discusso con la madre che aveva fatto ben intendere di non volere che il figlio uscisse con Amelia e James aveva reagito rispondendole per una buona volta a dovere.

Amelia era rimasta di sasso e molto male quando il suono di un secco schiaffo era poi risuonato nel corridoio deserto, a soli pochi metri dalla sala professori. Sua madre, come se non bastasse, insegnava proprio nella stessa scuola, il che peggiorava tutto.

Fatto stava che la ragazza, per la prima volta, aveva scorto sul viso del proprio migliore amico un'espressione molto vicina alla rabbia, tra le più cocenti. Lei e James si conoscevano sin dalla tenera età e lui non si era mai arrabbiato, non davvero. Aveva sempre mantenuto la calma in situazioni in cui altri avrebbero dato di matto; niente lo aveva mai fatto scomporre né reagire con il furore che lei gli aveva letto negli occhi quel giorno. Le era sembrato quasi di trovarsi accanto a un James venuto da un mondo alternativo dove era una persona diversa e piena di rabbia.

Elly non si era mai fermata realmente a pensare, a riflettere su quanto lui fosse costretto a tollerare fin troppe cose ogni singolo giorno, tra casa e scuola. Quel che temeva era che prima o poi James sarebbe esploso e le persone buone, da arrabbiate, erano fra le peggiori, diventavano addirittura crudeli in situazioni estreme. Non voleva che James si lasciasse corrompere dall'ira, non era giusto che accadesse proprio a lui fra tanti altri. Era una persona buona e tale doveva restare, per se stesso e nessun altro.

Lo osservò estrarre il cellulare dalla tasca dei jeans e rifiutare una chiamata per la quarta volta nel giro di tre quarti d'ora. Sporgendosi appena un pochino vide che si trattava della signora Peterson, la quale insisteva per volergli parlare e, molto probabilmente, per fargli una ramanzina coi fiocchi. Non doveva aver gradito che suo figlio, per una sola volta in tanti anni, finalmente si fosse imposto e avesse stabilito dei paletti che era più che giusto e dovuto mettere, considerando che ormai aveva diciotto anni.

«James, forse dovresti...»

Lui sollevò lo sguardo e gettò sul tavolo il cellulare dopo averlo spento. «No, invece» la interruppe brusco, tanto da farla restar male di fronte a tanta durezza improvvisa. Il ragazzo sospirò e le rifilò un'occhiata triste che la implorava di non prenderlo sul serio. «Scusa, non voglio che debba rimetterci proprio tu per colpa sua. Non sto un granché, mi è venuto un po' di mal di testa. Tutto qui, sul serio.»

Amelia si sforzò di credergli, ma più tentava di farlo e meno ci riusciva; ciononostante James decise di metter da parte il malumore e di cercare di tornare a essere il solito nella speranza che l'argomento della conversazione venisse messo da parte. Elly si chiese quante volte il suo migliore amico avesse dovuto indossare quella maschera, magari per non farla preoccupare o per non mostrarsi più fragile ed esposto di quanto già non fosse abitualmente. E lei che lo tempestava sempre con scemenze come la gelosia verso Chase o quanto trovasse la propria madre assurda e a tratti petulante o, ancora, perché Bruce avesse sporadicamente mangiato meno del solito.

Avrebbe voluto poter aiutarlo di più, ma cosa poteva fare, d'altronde?

Beh, se un meteorite colpisse i suoi genitori non sarebbe poi tutto questo gran male, rifletté Amelia con un velo di perfidia e sperando, in parte, in un fantomatico intervento della Provvidenza.

«Se non te la senti di parlare di quel che è successo in bagno, allora non parlarne. Voglio solo che tu sappia che ci sono, va bene? I tuoi problemi sono anche i miei, James» disse infine, stringendogli con affetto un braccio.

Peterson fece un debole cenno di assenso e piegò un angolo della bocca. «Grazie, Elly. Davvero.»

Quando finalmente furono giunte le loro ordinazioni, Amelia decise di non pensare più agli avvenimenti delle ore passate per un po' di tempo, concentrandosi piuttosto sulla propria tazza fumante di cioccolato aromatizzato alla cannella e sul bel piatto di pasticcini che la accompagnava.

Non era comunque intenzionata a lasciar perdere proprio tutto. Voleva almeno scoprire cosa ronzasse in testa a James in quell'ultimo periodo. In classe, anche quella mattina, lo aveva beccato più volte nell'atto d'ignorare le spiegazioni dei professori, perso in chissà quali pensieri, e le era toccato ripetutamente di assestargli una leggera gomitata per farlo riscuotere ed evitargli una bella strigliata da parte degli insegnanti.
Cosa dire, poi, di quella strana reazione alla presenza dei giocatori di football della scuola?
Le doveva eccome un bel po' di spiegazioni, visto che il suo comportamento era sempre più strano e lei fosse ormai sicura che ben altro stesse bollendo in pentola oltre alla situazione famigliare, ai bulli e... qualunque cosa fosse successa in bagno per averlo poi fatto tornare a lezione con quell'espressione spaventata.

Non che James non fosse sempre stato un ragazzo leggermente sui generis e sopra le righe, a volte dava l'impressione di venire dalla luna e di essere uno di quelli che vivevano nel loro mondo fatato e con la testa persa fra nuvole rosa confetto, ma il troppo stroppiava e in lui c'era qualcosa che non tornava per niente. Altro che unicorni e fatine, quello lì aveva un gran bello scheletro nell'armadio e lei intendeva aprire le ante con ferma decisione e tirar fuori suddetto mucchio d'ossa.

Per un po' attese e scelse prima di parlare del più e del meno, di conversare in modo leggero e divertito così da far distrarre e rilassare James, ma quando intravide infine la giusta occasione per indirizzare il discorso in una direzione ben precisa, colse al volo l'opportunità. Fece un sorso, rinfrancata come sempre dal delizioso gusto del cioccolato e dal leggero e stuzzicante sapore di cannella; proprio quando stava per parlare, a momenti la bevanda le andò di traverso. Tossì e rise allo stesso tempo, dandosi dei colpetti al petto e scuotendo il capo. 

James, del tutto ignaro di essersi procurato un bel paio di baffi, la fissò con aria stranita. «Che c'è?» Il suo umore era decisamente migliorato rispetto a prima.

Lei non rispose e tirò fuori il cellulare per scattargli una fotografia che poi gli mostrò, ancora scossa dalle risa. «Guardati un po', Gomez Addams!» Rise più forte alla reazione di Jay, il quale prima arrossì come un pomodoro e poi ridacchiò, ripulendosi col tovagliolo. «Davvero spiritosa! Mi sto sbellicando!» la rimbeccò nel tentativo di fingersi offeso. Un secondo dopo non resse oltre e sghignazzò mentre provava ad appropriarsi del cellulare dell'amica; Amelia, tuttavia, aveva già postato su PicNow, un social network dove le fotografie che gli utenti scattavano a se stessi o a qualsiasi cosa venisse loro in mente erano il fulcro dell'applicazione; più gli scatti ottenevano apprezzamenti tramite stelline e più la popolarità di un utente cresceva. Il profilo di Amelia presentava per la maggior parte fotografie nelle quali erano presenti sia lei che James, salvo un ridotto numero nelle quali invece c'era solamente lei o, cosa ancor più rara, la giovane Spencer affiancata dalla famiglia. James era iscritto a sua volta, ma non usava praticamente mai l'applicazione visto che detestava farsi fotografare e considerava quel social network in sé per sé superficiale e anticlimatico. Secondo lui era molto meglio godersi un momento vivendolo appieno e in prima persona anziché perder tempo a trovare il filtro fotografico più adatto per immortalare un tramonto che nel frattempo stava per svanire e andare perduto. 

Amelia scrisse un breve commento condito con faccine divertenti e hashtag ad hoc, poi fece scorrere il pollice in orizzontale per postare lo scatto. «Ora tutti sapranno come stai coi baffi!» sentenziò maliziosa, beccandosi per tutta risposta un gestaccio da parte del ragazzo.

«Mi vendicherò, stanne certa.»

«Sto già tremando, credimi!» Elly si schiarì piano la voce e giocherellò con la tazza. «Jay, senti...» cominciò, ma parlarono nello stesso istante. Lui le aveva chiesto di dirgli finalmente che diavolo fosse accaduto ore prima fuori dalla scuola.

La ragazza si morse l'interno della guancia, una brutta abitudine che aveva da sempre quando non sapeva da dove cominciare o cosa dire. Si sarebbe dovuta preparare il discorso, ma tra una cosa e l'altra non ne aveva avuto né il tempo né la voglia. Non sapeva neppure se fosse stato tutto frutto della sua fervida immaginazione o... qualcos'altro.
Alla fine ritenne d'obbligo cominciare dal principio e fare una bella premessa. Gli ricordò prima di cosa aveva scoperto riguardo a sua madre e a sua nonna, poi passò al raccontare tutto quello che aveva letto circa la leggenda di Lavender Boy, la spettrale entità dagli occhi e i capelli viola.

Al termine del discorso, Jay pareva seriamente spaesato e confuso, ma anche teso e angosciato. Il suo era uno sguardo decisamente strano e per nulla rassicurante, non la aiutò a convincersi che la mente le avesse solo giocato un brutto tiro.

«E... c-cosa c'entra con quello che è successo oggi? Tu credi d-di aver visto q-questo tizio?»

Amelia annuì tetra. «Sì. Non so perché e dubito che sia stata un'esperienza reale, ma ti giuro Jay... Non ti prendo per i fondelli quando dico di aver sentito il profumo di lavanda nell'aria. Dal nulla, poi! Prima era tutto normale e un secondo dopo ecco che ho avvertito quell'odore. Mi sembrava quasi di trovarmi circondata da un campo di lavande, James, tanto quel sentore era forte e presente!»
Era più che ovvio che la questione l'avesse scossa parecchio. James non la guardava come si guardavano solitamente i pazzi; di per sé era un tipo scettico e ciò lo indusse a fornire una logica spiegazione all'accaduto. «Forse era solo suggestione» buttò lì incerto. Non parve provarci troppo, come se anche lui fosse arrivato a un bivio tra realtà e fantasia; come se anche lui avesse iniziato a dubitare di cosa fosse vero e concreto e cosa invece non lo era affatto. Un approccio alquanto curioso per uno che da sempre sosteneva che i fantasmi fossero presenti solo e unicamente nelle storie del terrore e nella fantasia esagitata delle persone che con facilità rimanevano impressionate di fronte all'ignoto.

Amelia sospirò e si rilassò contro lo schienale della poltroncina. Non voleva di certo spaventare James; lui chiacchierava sulla logica e si professava un fedele seguace della scienza, ma in passato era successo che avesse per un attimo vacillato quando si erano ritrovati a confrontarsi riguardo a fatti inspiegabili dei quali avevano letto o sentito dire in giro. 

«Probabilmente hai ragione. Insomma, non è poi una cosa tanto diversa da quelli che giuravano di aver visto gente come l'Uomo Falena o il Fantasma Nero di Provincetown, giusto?»

Peterson fece un lieve cenno col capo. «Beh, se non altro non si tratta di un essere come Bunnyman che ammazza a suon di colpi d'accetta chiunque passi sotto quel cavolo di ponte in Virginia» commentò, cercando di sdrammatizzare. Il debole tentativo parve funzionare visto che lei sbuffò una debole risata e decise infine di metter da parte la questione. «Jay?»

«Dimmi.»

Amelia cercò di trovare le parole adatte, ma più rifletteva e meno riusciva a individuarle. «Sei sicuro che non ci sia altro, oltre al divorzio dei tuoi? Voglio dire... spesso sembri esser appena arrivato da Marte, cadi quasi sempre dalle nuvole e devi ammettere di esserti comportato in modo bizzarro, questa mattina. Abbiamo sempre parlato di tutto e sono sempre stata sincera con te. Lo sarò anche adesso: sei... sei strano, troppo strano. Non sei il solito e inizio davvero a preoccuparmi.» 

Aveva provato a parlare di tutto questo con Chase. Quale parere migliore di quello di un uomo, quando si trattava di un altro maschio? Suo fratello il più delle volte era insopportabile, ma non per questo si detestavano ed essendo Chase ormai abbastanza adulto da parlare di cose serie senza fare sempre battute, la ragazza aveva deciso di confidarsi per una volta con lui, il solo al quale avesse potuto chiedere senza difficoltà o scocciature. La sua risposta non le era piaciuta un granché e le opzioni erano state le seguenti: ‟Credo che sia davvero solo per via dei suoi genitori o forse si è preso una sbandata per qualcuno. Se non è il solito, evidentemente si tratta di qualcosa che sta sconvolgendo parecchio la sua routine. Nel caso si trattasse della seconda ipotesi, dovresti solo essere felice per lui, Amelia. Quel ragazzo avrebbe proprio bisogno di godersi un po' la vita e avere una persona speciale all'infuori della famiglia, qualcuno con cui condividere qualcosa di diverso da una semplice amicizia". Non proprio un parere da luminare, eppure non faceva acqua da tutte le parti e forse c'era un fondo di verità in esso. 

Solo che... Jay che si era preso una cotta? Sul serio? Lo conosceva da anni e non lo aveva mai visto fare gli occhi dolci a nessuno, lei compresa. Non che fosse obbligatorio avere un debole per un'amica, ma non aveva mai notato un certo interesse in lui nemmeno nei confronti delle altre ragazze, non davvero. C'erano state un paio di sedicenti ‟fidanzate", al massimo, ma entrambe si erano dimostrate degne del dimenticatoio. Avevano palesato molto più interesse per i soldi dei Peterson che per il cuore d'oro e l'indole mite e buona di James, e il suo migliore amico purtroppo era ancora molto, molto ingenuo, a volte rasentava l'innocenza fanciullesca allo stato puro. Anche in quelle due occasioni James aveva comunque sempre pensato primariamente all'amicizia, allo studio, ai propri hobby e così via. 

Dal canto proprio Amelia non negava di aver provato un certo fastidio nel vederlo intento a baciarsi prima con la prima ragazza e tempo dopo con la seconda; a volte lo aveva trattato un po' male proprio per tale ragione, ma se ne era pentita subito dopo. Ciò che davvero l'aveva spinta a non essere entusiasta delle conquiste del suo migliore amico era stato l'improvviso e sospetto interesse di entrambe quelle ragazze per James che in passato avevano trattato alla stregua di un fantasma. 

All'infuori di quei due episodi, comunque, mai lo aveva beccato in compagnia di una ragazza e lui mai aveva scelto di partecipare ai balli scolastici. In parte perché neanche lei era stata mai invitata da qualcuno, se non una volta ed era andata un vero schifo, roba che non le andava proprio di ricordare. Poteva darsi, però, che finalmente Jay avesse messo gli occhi su qualcuno di sua stessa iniziativa; di ragazze carine ve n'erano tante e qualcuna sarebbe potuta essere il suo tipo, ossia con un dannato cervello che funzionasse sempre.

Tuttavia...

Se lo mettessi di fronte al fatto compiuto? 

Lo osservò distogliere lo sguardo e farsi nervoso, come se davvero fosse stato messo all'angolo. «S-Sto bene, davvero. N-Non ti devi preoccupare.» Il suo tono di voce non risultava affatto convincente e Amelia gli rivolse un'occhiata eloquente, per poi alla fine passare a un approccio più diretto: «Ti piace una ragazza?»

A quel punto James di nuovo arrossì vistosamente e lei capì di aver fatto centro. Un sorriso intenerito le illuminò il viso. «Ah-ah! Beccato! Dai, dimmi chi è! Voglio tutti i dettagli, rubacuori!» lo incoraggiò, determinata a scoprire tutto, peggio di una vecchia comare di paese.

Lui prese a biascicare e a parlare in modo disordinato, cosa che la fece sciogliere ancora di più.  Non le era mai importato dei ragazzi un granché, le bastava avere il suo migliore amico e il suo adorato Bruce per sentirsi al completo, ma la rendeva comunque felice sapere che finalmente James stesse uscendo dal proprio guscio e forse pensando seriamente a fare il primo passo con una ragazza della loro scuola, magari quella giusta e degna di una persona come lui.

Per evitare che Peterson andasse in iperventilazione, ridacchiò e gli prese una mano. «Ehi, rilassati!» Parve funzionare, perché lentamente il ragazzo si ricompose e fece un profondo respiro. Finalmente parlò senza fare confusione. «N-Non è proprio... voglio dire... cioè... n-non so se mi sono preso una sbandata. È un po' strano e... i-insomma... e-ecco, io...»

«Jay, dillo e basta, su!»

«Okay, okay.» 

James esalò un altro respiro profondo, poi con fare timido, a bassa voce, disse: «Nick Johnson».

Amelia strabuzzò gli occhi e a momenti le andò di traverso la cioccolata. Tossì e provò a riprender fiato. «C-Cosa?!» gracchiò, senza riuscire a credere alle proprie orecchie.
Aveva capito bene o James aveva appena detto di essersi preso una sbandata per quell'idiota di Nick Johnson, il capitano della squadra di football della scuola che, malgrado il successo sportivo, aveva persino dovuto ripetere l'anno a seguito di scarsi risultati nello studio? Quel  Nick Johnson?

Oh, porco mondo!

Avendo una mentalità aperta, non era una persona che si mostrava scioccata sapendo che il suo migliore amico avesse interessi nei confronti dello stesso sesso. Ciò che davvero la lasciava basita era il soggetto al quale puntava, ovvero l'essere più idiota e spaccone che fosse mai esistito. Purtroppo non tardò a capire che la sua reazione fosse stata del tutto travisata: James si fece avvilito, forse addirittura ferito. Agitò una mano e biascicò di lasciar stare e fare come se non avesse detto niente. Amelia si diede della stupida.

«Non è per la cosa in sé, lo sai che non bado a certe cose e che per me non c'è nulla di scandaloso in questo frangente, è solo che...»

«Cosa?»

Elly decise di parlare chiaro e tondo, prendendogli entrambe le mani e guardandolo dritto negli occhi. Per quanto ogni volta tentasse di essere delicata, quasi sempre alla fine suonava cruda e fin troppo diretta, ma doveva esserlo col suo migliore amico, non poteva permettere che si rovinasse il fegato a quella maniera a furia di mangiarsi con gli occhi quello scemo di Nick; Johnson, francamente, non era neppure così bello, ma era improbabile che fosse stato questo ad attrarre James. Forse gli piacevano le persone con un carattere del tutto agli antipodi rispetto al suo, chi poteva saperlo, ma fatto stava che poteva sicuramente permettersi di meglio. Lui era veramente carino; lo si era visto solo una volta senza gli occhiali, ma il giorno dopo si era subito ripresentato con essi di nuovo addosso. Qualche volta Amelia aveva nutrito il sospetto che Peterson facesse di tutto per nascondersi come un granchio eremita, quando invece avrebbe potuto avere il meglio del meglio, se solo avesse voluto. Era uno di quelli che, una volta tirati a lucido, avrebbero potuto avere l'intero mondo ai loro piedi con un solo schiocco di dita. 

«Jay, togliendo il fatto che Johnson ha... gusti differenti... se anche non fosse così, tu meriteresti comunque di meglio. Sarà carino quanto ti pare, ma sai quanto me che persino al posto del cervello ha solo i suoi preziosi muscoli. Non ne vale la pena, amico. Tu sei intelligente e sensibile, in ogni caso con uno del genere parleresti di ben poche cose e dubito che abbiate qualcosa in comune. Tu odi il football, per l'amor del cielo!»

James sospirò e con aria abbattuta guardò altrove.  Ovviamente era molto più sollevato dopo essersi confidato con lei, ma stava attraversando un periodo turbolento in cui non sapeva più cosa pensare o cosa fare; c'era stato un lasso di tempo in cui, a dire il vero, aveva provato attrazione innocente verso le ragazze, ma poi aveva capito che nemmeno i ragazzi, soprattutto loro, anzi, passassero inosservati sotto il suo sguardo. Quella confusione e repressione peggioravano la situazione. Vedeva tutti i giorni, tra l'altro, come venivano trattati i pochi che si erano arrischiati a palesare la propria omosessualità o bisessualità. 

Se già veniva abbastanza preso di mira per esser semplicemente una persona tranquilla e che si faceva gli affari propri, non osava pensare a cosa sarebbe successo se qualcun altro fosse venuto a risapere delle sue preferenze in campo romantico e sessuale.

Essersi preso una sbandata per Nick era roba da idioti, neanche era certo cosa rendesse ai suoi occhi attraente una persona così prepotente e superficiale; tutto si era sviluppato poco a poco e ultimamente non faceva altro che pensare a Johnson e guardarlo con aria trasognata ogni volta che lo vedeva passare in corridoio col suo gruppetto di amici e la sua ragazza sottobraccio.

Probabilmente avrebbe dovuto farsene una ragione e basta, forse prima o poi gli sarebbe passata, tuttavia non era così ingenuo e sognatore fino al punto da credere che presto avrebbe trovato una persona che veramente avrebbe potuto ricambiare quei sentimenti. 

In un mondo come quello, dove le persone di colore, religione o cultura differente venivano ancora schernite o messe sotto processo, quale speranza poteva esserci per gente come lui? Chi pensava che aver guadagnato qualche diritto e legittimazione in più sarebbe un giorno servito a far cambiare opinione ai bacchettoni e agli ipocriti, ebbene si sbagliava di grosso.

«Sono uno stupido, non è così?» mormorò, sentendo di avere lo stomaco chiuso e sottosopra.

Amelia lo squadrò con durezza. «Non è vero. Sei una persona buona, troppo per un mondo così marcio.»

«Almeno una dei due lo pensa.»

«Jay, ascolta, tu...»

La ragazza si bloccò di colpo, lo sguardo perso nel vuoto. Nelle sue narici di nuovo si era fatto strada quell'intenso profumo di lavanda e non si trattava di uno strascico o di una rimembranza. Era qualcosa di reale e presente.
I peli le si rizzarono sulla nuca quando, ruotando lentamente gli occhi verso destra, scorse ancora una volta quel tipo: se ne stava seduto a un tavolo vuoto con i gomiti appoggiati su di esso e lo sguardo fisso in direzione loro, le iridi viola chiaro puntate proprio su lei.

Non poteva essere! Non di nuovo!

Ciò che la sconcertava era la netta sensazione che non li stesse in realtà spiando, ma più che altro vigilando sulla situazione. Roba da matti, certo, ma era un'impressione dall'intensità disarmante.

Amelia iniziò a sudare freddo, le mani tremarono ed ebbe l'impulso di gridare, ma la sua voce si ostinava a restare sepolta in gola, bloccata dalla paura, dalla rabbia e dall'incredulità. Guardò James e lo attirò a sé, tirandogli una manica con fare quasi isterico. «Jay, è di nuovo qui! Ti giuro che è qui! Guarda! È seduto a quel tavolo e ci sta fissando!» gli sussurrò concitata e stridula. 

Era il colmo, semplicemente il colmo.

James sgranò gli occhi con fare molto inquieto e guardò alle proprie spalle con la stessa lentezza con cui lo aveva fatto lei poco fa, ma di nuovo disse che non c'era nessuno, oltre a qualche avventore qui e là. Nei paraggi non scorgeva nessun ragazzo con occhi e capelli viola vestito con una felpa nera. Nessun fantasma, entità o qualunque cosa fosse quell'essere.
Solo lei riusciva a vederlo, mentre la creatura rimaneva lì, a guardarla come se... come in attesa di un approccio, come se la sua stessa presenza lì non fosse affatto un caso. Li stava sorvegliando eccome, ormai ne aveva la certezza.

Tale impressione non faceva che aumentare il disagio provato dalla ragazza, la quale scosse la testa.

Che cosa vuole da me, da noi?

«S-Scusa, James, v-vado un attimo in bagno. T-Torno subito.» Strinse una spalla all'amico, sentendosi in colpa per quell'ennesimo intoppo, specialmente nel bel mezzo di una conversazione importante. Accidenti a quel coso!
Quando finalmente raggiunse la toilette, raggiunse uno dei tre lavandini e si sciacquò un paio di volte il viso, respirando profondamente e tentando di calmarsi.

Per un attimo desiderò con forza che tutto fosse semplicemente un incubo e che in realtà fosse tornata a casa e si fosse addormentata davanti a una delle sue serie tv preferite, ma sapeva che quel pensiero era solo una scemenza. Non era affatto un incubo.

Guardò il proprio riflesso. «Datti una calmata e torna di là, adesso. Stai facendo la scema e stai rovinando l'uscita con James» si disse sottovoce per spronarsi. Inspirò ed espirò, finché non si convinse a uscire dal bagno, ma come si fu voltata ecco che a poche spanne da lei vide di nuovo quel ragazzo. Qualcun altro avrebbe urlato, eppure lei non riuscì a fare neppure quello; rimase impietrita, ad occhi sbarrati.
Porca miseria! E adesso?
Provò a spostarsi di lato con movimenti lenti e cauti, ma ad ogni singolo passo gli occhi viola dell'individuo continuavano a seguirla.

Sul serio si aspettava che gli avrebbe rivolto la parola? E poi a cosa diavolo andava pensando, anche lei? Non poteva essere reale! No, se lo stava solo immaginando e non aveva intenzione di mettersi a parlare col muro come una pazza.

Serrò con forza le palpebre, ripetendo dentro di sé a quell'essere di andarsene. Vattene via. Vattene via. Vattene. Via. Adesso!
Niente da fare. Era ancora lì.
Strinse le labbra fino a farle sbiancare, poi sottovoce sbottò: «Insomma, che diavolo vuoi da me?!» A quel punto poco le importava se stesse parlando da sola o se fosse in preda a un'allucinazione. Non poteva andare avanti a quel modo e lui doveva smetterla di apparire.

Il giovane essere, il quale pareva non aver più di vent'anni, si accigliò leggermente, cosa che lo rese ancora più cupo e triste, quasi affranto. Recava nello sguardo, addirittura attorno a sé, tanta di quella mestizia, che persino Amelia riusciva ad avvertirla come se le appartenesse. Quella creatura pareva capace di influenzare a primo acchito il prossimo con la propria tristezza.

La mano sinistra del Ragazzo Viola si sollevò lentamente e fece per avvicinarsi a lei, al suo volto in particolare, ma Amelia indietreggiò di scatto, terrorizzata. Quasi capendo le sue emozioni, lui fece ricadere la mano di nuovo lungo il fianco e sospirò debolmente. «Stai sanguinando di nuovo, Amelia.» Per la prima volta parlò e la sua voce non dava segno di appartenere a un essere sovrannaturale o chissà a cos'altro; era una voce reale, come quella di qualsiasi altro essere umano e, oltre a ciò, era malinconica, possedeva una mesta musicalità, una di quelle che avrebbero potuto far addormentare chi la udiva; pareva voler cullare la gente con il suo timbro soave. Una dolce, triste melodia, ecco cos'era quella voce.

Amelia trattenne un brivido e subito si portò le dita al naso, per poi osservarle: sì, stava sanguinando, per la seconda volta nel giro di poche ore. Certo, non si poteva dar torto al suo corpo, era una semplice reazione dovuta a un intenso stress e stava semplicemente somatizzando la tensione psicologica. Nulla di strano, era il resto della situazione a lasciar a desiderare.

Fulminea si diresse al distributore che conteneva le salviette e ne prese una, premendosela sulla narice che perdeva sangue; la tamponò e nel frattempo non perse di vista il tizio. «Che cosa vuoi? Ti giuro che mi metto a urlare, mi senti? Hai visto che non sono da sola e quando James mi sentirà, verrà subito qui e allora...»

«Sai che nessuno può vedermi. Nessuno a parte te. Non farlo preoccupare più di quanto già non lo sia, Amelia. Ti vuole fin troppo bene e ha già subito fin troppi spaventi per oggi. C'è un limite alla quantità di eventi inspiegabili che una persona come lui è capace di assimilare nel giro di qualche ora.»

Dannazione, pensò inquieta Amelia. A quanto pareva l'essere aveva ascoltato tutto, anche se non capiva a cosa avesse voluto riferirsi con ‟fin troppi spaventi". Alludeva alle proprie apparizioni oppure a qualcos'altro?

 «Di che cavolo stai parlando? Quali spaventi?»

 «Dirtelo, Amelia, purtroppo non cambierebbe niente.»

Era davvero quel Lavender qualcosa e forse era vero quel che si diceva in giro: solo alcuni, in situazioni ben precise, potevano vederlo, ma se davvero stavano così le cose, allora...

Che cavolata! Sono in perfetta forma fisica e non c'è nessuno là fuori pronto ad ammazzarmi. Dev'esserci un'altra spiegazione. Forse ha ragione James e mi sto solo immaginando tutto. Magari davvero quella roba mi ha suggestionata!

Tuttavia più cercava di aggrapparsi alla logica e più falle saltavano fuori. 

Ad ogni modo, non aveva la più pallida idea di cosa stesse cianciando e neppure le interessava. In realtà voleva solo metter più distanza possibile tra sé e quella creatura.
Sbuffò e si portò una mano alla tempia. Perfetto, di nuovo il mal di testa. Eppure l'aspirina aveva fatto effetto!

«Sei un'allucinazione, vero?»

Domanda stupida, tra le più sciocche e insensate, ma al tempo stesso carica di speranza.

Il ragazzo, più addolorato che mai, scosse piano il capo in segno di deludente e snervante diniego. «Purtroppo sono reale.»

«Ma se nessuno può vederti!»

«Solo perché nessuno può vedermi, non vuol dire che io non ci sia. Ci sono tanti invisibili, Amelia.»

Che razza di risposta era quella? Quali invisibili? Chi erano, anzi?

«Ma che stai dicendo? Chi sei tu? Perché continui a seguirmi e a fissarmi? Come fai a conoscere il mio nome? Ti giuro che se vuoi fare del male a me o al mio migliore amico, sono pronta a prenderti a calci! Non sto scherzando e ora mi sono davvero rotta delle tue dannate apparizioni!» La ragazza stava per perdere il controllo.

Lui, invece, parve di colpo in difficoltà. Sospirò e per la prima volta distolse lo sguardo, seppur per solo un breve secondo. «Sai già chi sono. Hai letto per giorni interi tante cose sul mio conto. Alcune errate, altre no, ma il mio nome è purtroppo diventato famoso.» Evitò a bella posta la domanda riguardo il perché sapesse la sua identità. 

Amelia, di colpo, scoppiò a ridere. «Certo, sì, come no!» Sventolò una mano e tossicchiò. «Be', Ragazzo delle Lavande, piacere di conoscerti. Ora, se permetti, me ne torno dal mio amico e tanti saluti. Puoi anche tornare a cogliere fiori o qualunque cosa tu faccia quando non sei impegnato nel pedinare il prossimo.» Stufa di tutto, raggiunse la porta e fece per afferrarne la maniglia, ma una stretta fredda come il ghiaccio e appena percepibile la fece gelare sul posto.
Voltandosi lentamente scorse le pallide dita del sedicente Lavender Boy sulla propria spalla; dita lunghe e affusolate, bianche come la neve e avvolte da pelle evanescente; sembrava tremendamente sottile, come se persino un soffio di vento avrebbe potuto squarciarla.

Lo sguardo dell'atterrita giovane risalì fino a incontrare gli occhi dell'entità. Se davvero le notizie sul suo conto erano errate, allora poteva anche essere una specie di spettro dedito alla vendetta sovrannaturale perpetrata su poveri innocenti del tutto casuali. Chi ne sapeva niente di quel tizio, a quel punto!

Anche se... non sembrava aver cattive intenzioni. La guardava con fare accorato e afflitto, niente di più.

«Amelia, ti prego... fa' attenzione. Fate attenzione.»

Lei lo fissò stralunata e spazientita. «Fare attenzione a cosa? Che hai in mente, eh?»

«Stai attenta e basta. Ricordati cosa insegnano i genitori ai figli quando si va fuori di casa. Ricorda e tutto andrà bene.»

Ma che razza di spiegazione era quella? Ora sì che Amelia aveva davvero l'angoscia.
Non ebbe il tempo di domandare altro, visto che lui semplicemente svanì, dissolvendosi come fumo.
Scossa, turbata e sottosopra per quanto accaduto nel giro di quei pochi minuti, Elly tornò finalmente da James. Gli disse che gli avrebbe spiegato tutto, ma non lì. «Andiamo a casa mia. Tanto mia madre sarà ancora al lavoro e mio padre è in viaggio. Nessuno ci romperà le scatole.»

Jay, confuso e teso, annuì e si alzò. Andarono dunque alla cassa, pagarono e uscirono. Fuori l'aria di febbraio era gelida e pungente; erano solo le cinque e mezza del pomeriggio, ma già il sole era in procinto di svanire oltre l'orizzonte, pallido e smorto. Amelia odiava l'inverno, vedere la natura morire e tutto diventare grigio e spoglio; amava, invece, vedere i fiori rinascere, esser bagnati dalle piogge primaverili o dal sole tiepido di maggio; adorava vedere gli uccelli tornare tra le fronde degli alberi e cinguettare il loro inno alla vita, vederli volteggiare nel cielo azzurro e magari poter far loro un ritratto quando li beccava sul ramo di fronte alla finestra della sua camera da letto.

Amava l'estate, andare in piscina in compagnia di James e qualche volta pure di suo fratello e la rispettiva consorte o ancora andare al mare, farsi una nuotata e divorare un bel gelato alla vaniglia.

Adorava tutto ciò che rappresentava la vita e il suo caldo e lento pulsare, e detestava tutto ciò che invece faceva sembrare il mondo un posto ancora più oscuro e inospitale, ogni cosa che la induceva a pensare alla fine, alla morte e al freddo.

Una nuvoletta di vapore scivolò fuori dalle sue labbra quando sospirò. Recuperò le sigarette e se ne accese una, facendo subito dopo un tiro. James la guardò di traverso. Lei sapeva che non gli piaceva affatto quel suo vizio, lo considerava distruttivo e dannoso, ma non era mai stato uno di quelli bacchettoni che puntualmente iniziavano una lunga ramanzina su quanto fosse pericoloso il fumo e così via. 

James non era tipo da paternali, ma da occhiatacce sì. Eccome se lo era.

«Se vuoi davvero parlarne, possiamo farlo anche ora. Dimmi cosa sta succedendo.»

«Bel tentativo di farmi smettere con questa roba» commentò Amelia, tentando di scherzare, ma, come raramente accadeva, James non incoraggiò affatto la sua spiritosaggine. La squadrò con serietà ancor più penetrante. «Elly, comincio davvero a preoccuparmi. Stai ancora tremando e sembri uno straccio. Non posso aiutarti, non se non mi dici la verità.»

«Sei il primo a non voler dirmi cos'è successo in bagno stamattina. Pensi sul serio che mi sia bevuta la cazzata che mi hai sciorinato? Ti conosco da una vita, James. Eri terrorizzato e non provare a negarlo.»

«Va bene, va bene.» James sollevò le mani in segno di resa. «Anche io sarò sincero, ma prima pensiamo a risolvere il tuo problema.»

Amelia avrebbe voluto dargli un pugno in testa per quell'ostinazione che lui sempre aveva di mettere lei e i problemi altrui davanti alle sue esigenze. Sapeva, tuttavia, che sarebbe servito a ben poco farglielo notare. James era fatto a quel modo e niente l'avrebbe mai indotto a cambiare. Gli altri, ai suoi occhi, venivano sempre prima. Era il vizio delle persone altruiste indulgere nell'abnegazione.

Si decise, dunque, a vuotare il sacco: «Non so cosa è successo, né prima né dopo esser andata e tornata da quel bagno, ma... chiamami pazza, però ho come il sospetto che sia tutto reale. Credo di aver veramente visto quel tipo. Mi ha persino parlato, non ti sto prendendo in giro!»
Nel frattempo continuarono a camminare. L'auto era parcheggiata dall'altro lato della strada.

James la guardò a occhi sbarrati. «C-Che vuol dire che ti ha parlato?» Sembrava esser tornato indietro di ore, aveva la stessa identica espressione di quando era tornato in classe.

Elly si sentì meno incoraggiata a proseguire ed esitò. «È ricomparso in bagno e alla fine sono sbottata e gli ho chiesto cosa volesse.»

«Io non... non so cosa pensare, Amelia! Non ci credo che stia accadendo tutto questo.»

«Jay, lo so che è assurdo, ma fidati quando ti dico che era dannatamente reale. Lo sembrava, almeno!» Non lo biasimava per quello scetticismo. Chiunque sano di mente non avrebbe creduto a roba del genere, ma il vero nocciolo della questione era che lei fosse sempre stata un po' matta, come a volte James tendeva a ricordarle in modo scherzoso. Forse nessuna spiegazione razionale avrebbe potuto definire e spiegare la faccenda. Rifletté per un secondo, macinando nella mente le parole dell'amico. «Frena! Che intendevi con ‟tutto questo"? Aspetta... non dirmi che in realtà hai visto anche tu quell'essere!»

Superarono il marciapiede e decisero di raggiungere subito l'altro capo della strada, non vedendo macchine nei paraggi.

James la guardò incerto e con una punta d'angoscia nei limpidi occhi azzurri. «I-Il fatto è che...»

Il cellulare della ragazza prese a squillare e lei, svogliatamente, lo estrasse dalla borsa a tracolla. Controllò lo schermo e non rimase sorpresa nel vedere che si trattava della madre. Doveva risponderle o Josephine le avrebbe di nuovo fatto una bella ramanzina al ritorno. Odiava che non le si rispondesse. «Un secondo e riprendiamo il discorso. Intanto vedi di non cambiare idea.» Proprio nel momento in cui ebbe fatto pressione sull'icona verde, riattaccò di colpo non appena vide il suo migliore amico arrestarsi a metà della strada e fissare un punto di fronte a sé. La sua espressione era sbigottita e tesa. Amelia non si sentì meglio nel realizzarne la ragione: appoggiato all'auto c'era di nuovo Lavender Boy e pareva fissare proprio James.

«Ehi, che succede?» lo riportò al presente la giovane Spencer, tentando di convincersi che il ragazzo stesse guardando qualcos'altro e non il tizio bizzarro, il Ragazzo delle Prugne o quel che era. 

Jay deglutì e la guardò. «E-Elly... s-stavolta l-lo vedo anch'io» mormorò atterrito, in pieno panico. Il suo petto si sollevava e abbassava velocemente, sembrava sul punto di mettersi a urlare o fare una scenata.

La ragazza impallidì e il suo cuore iniziò a galoppare come un purosangue imbizzarrito. «Cosa?» Non poteva essere... Dio, no!
Sempre più nel panico, sentì le mani tornare a tremarle. Ficcò il telefono di nuovo in borsa e scosse piano per un braccio l'amico. «Qualunque cosa faccia, non lo guardare! Non guardarlo, James! Per nessun motivo!» Cercò di indurlo a proseguire e di farlo allontanare il più in fretta possibile da lì, ma lui rimase immobile, proprio come un gatto su un'autostrada che cercava inutilmente di schivare le auto, ma destinato in ogni caso a venir schiacciato.

«M-Mi sta facendo uno strano cenno, Amelia!» gemette Peterson mentre arretrava, la voce stridula. Elly lo sentì singhiozzare. «N-Non può star accadendo, no! Allora era tutto vero!»

  «Cosa? Cosa era tutto vero? James, per favore, andiamo via e dimmi...» 

«C-Che cosa vogliono da noi? Oh, Dio!»

Lei si sforzò di rivolgere l'attenzione sul Ragazzo delle Lavande, pur confusa dalle parole dell'amico, e a sua volta lo vide fare di nuovo un cenno, anche se più nervoso e impaziente. Era come se li stesse... avvertendo di qualcosa e implorando di non aver paura e dargli retta.

Da quel momento successe tutto in fretta e a rilento al tempo stesso.

Talmente erano stati occupati a farsi prendere dal panico, che neanche si erano accorti dell'arrivo di un'auto né della luce dei fari, dato che ormai erano calate le tenebre. 

Se ne resero conto, anzi, ma troppo tardi e sempre troppo tardi capirono finalmente l'avvertimento del Ragazzo Viola e cosa aveva voluto dire prima, quando aveva parlato con la ragazza in bagno.

Aveva messo in guardia la giovane su qualcosa che sarebbe accaduto di lì a poco. Aveva tentato di salvarla, di avvertire poi James, ma gli sforzi erano stati vani.

Amelia si riprese dallo shock appena provato nell'esser stata spinta via con forza dalla strada, così come dall'impatto con l'asfalto, solo in tempo per assistere a una scena orrenda, accompagnata dall'altrettanto orribile colonna sonora di un corpo che venne letteralmente colpito in pieno dal cofano di una macchina; per un attimo le parve di sentire delle ossa incrinarsi, rompersi quando poi il corpo atterrò qualche metro più avanti, ma tutto finì sovrastato dalle sue grida.

Urlò, non sapeva nemmeno cosa, ma lo fece mentre non riusciva a distogliere lo sguardo da tutto quel sangue, dal corpo esanime del suo migliore amico che l'aveva fatta spostare per impedirle di venire investita dalla macchina che si era appena fermata.

Soltanto l'adrenalina, il terrore e la cieca speranza di vedere James illeso le diede la spinta necessaria ad agire: in lacrime scattò in piedi e corse perdifiato verso il punto dove lo aveva visto atterrare, pregando che fosse ancora vivo, che non avesse riportato danni, che anche lui fosse riuscito a scostarsi in tempo.

Però aveva sentito quell'orrendo suono, aveva udito con le sue proprie orecchie l'auto travolgere un corpo, visto qualcuno venire sbalzato via a qualche metro di distanza con inaudita violenza; le sue speranze vennero del tutto annientate quando si ritrovò di fronte a quello spettacolo agghiacciante. 

Buon Dio, era terribile! Non poteva esser successo davvero!

Gridò al conducente di chiamare subito un'ambulanza.

Prima che si chinasse per sentire il polso di James, gli occhi di Amelia si posarono sul dannato essere che aveva causato tutto quel disastro. Lo fissò furiosa, uno sguardo che avrebbe ucciso chiunque.

A quanto pareva quell'entità era reala. Sua madre non si era sbagliata quando aveva parlato di Lavender Boy: lui esisteva, ma non appariva per fare del bene, bensì per annunciare la morte o un orribile avvenimento. Era un maledetto uccello del malaugurio, ecco che cos'era!

Se davvero aveva salvato sua madre da un pazzo assassino, allora perché non aveva fatto qualcosa per aiutare anche James e lei? Perché lasciar che una persona come James finisse sotto una macchina al suo posto?
Che sin dal principio avesse saputo che lui avrebbe tentato di salvarla e per qualche ragione avesse scelto di non impedirlo? Era sempre stato al corrente di cosa sarebbe successo?

«Vattene immediatamente!» ringhiò fra i singhiozzi. Decise di lasciarlo perdere e si concentrò sul suo migliore amico. «Per favore, resisti! Tra poco l'ambulanza sarà qui! A-Andrà tutto bene, te lo prometto!»

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