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𝐢. 𝐰𝐡𝐞𝐫𝐞 𝐢𝐭 𝐚𝐥𝐥 𝐛𝐞𝐠𝐚𝐧

•─────⋅☾ ☽⋅─────•

«Vaffanculo, Michael! Cresci, per una buona volta!»
Il sordo rumore che la porta di casa fece quando fu sbattuta inaugurò ufficialmente il primo giorno di scuola.
Ancora una volta si presentò davanti a Luke il solito teatrino che soleva montare suo fratello: un litigio pressoché inutile, frasi ingiustamente cariche d'odio, lo scarso interesse dei genitori anche se coinvolti e, infine, lo scoppio di uno dei due fratelli.
Quel giorno toccò a Luke.
Fissò la porta per qualche momento, prima di sbuffare irritato e incamminarsi lungo la via, allontanandosi il prima possibile da quella maledettissima casa. L'aria fresca del mattino lo colpì in faccia, pungente e benvenuta. Si fermò un attimo a inspirare profondamente, cercando di calmarsi. Gli piaceva quell'aria settembrina, frizzante e ancora nostalgica dell'estate, ma già pronta ad adattarsi al duro inverno canadese. Per un momento, alzando lo sguardo verso il cielo, si concesse il lusso di immaginarsi là, fra le nuvole, librandosi in volo come un'aquila, lontano dai suoi problemi.
La consapevolezza che quella sarebbe stata una lunga giornata s'insinuò nella sua mente, pesandogli sulle spalle come un macigno. Si infilò le mani in tasca con un ulteriore sbuffo, cercando di pensare a qualcosa che l'avrebbe distratto, in qualche modo.

Le sue converse scricchiolavano sulla neve fresca, quasi come se la sua irritazione riuscisse a scioglierla, scaldando il suo corpo e animando il suo animo. Il ragazzo teneva la testa bassa, le mani infilate nelle tasche del giubbotto e il respiro che usciva in nuvolette condensate nell'aria gelida del mattino.
Dopo essersi accertato di essere solo, qualcosa spinse Luke a calciare un piccolo cumulo di neve che non intralciava in alcun modo il suo cammino. Forse lo fece per sfogarsi, forse per trovare qualcosa di piacevole da osservare e arrivare a scuola con un po' più di pazienza in corpo.
Si fermò di colpo, osservando come il vento muoveva il mucchietto di neve ora sparso sul marciapiede. Sbuffò, visibilmente irritato. Calciare la neve non cambiava nulla, proprio come non aveva cambiato nulla uscire di casa sbattendo la porta. Certe cose di se stesso proprio non riusciva a spiegarsele: perché non riusciva mai a lasciare perdere? Luke non ricordava di aver firmato un contratto in cui era scritto che era obbligato a provare profondo rancore per ogni cosa che usciva dalle labbra di suo fratello. Eppure.

Giunse alla fermata dell'autobus che ancora non riusciva a non pensare a quel futile litigio: possibile che ogni conversazione con suo fratello finisse sempre per degenerare in una lotta all'ultimo sangue? Stava diventando estenuante. Per carità, per uno come Luke, sempre incattivito contro il resto del mondo, un litigio in più in fin dei conti non avrebbe gravato sul suo fegato già ribollente di bile; ma anche uno come lui, a un certo punto, riconosce che quando è troppo, è troppo. L'autobus giunse alla fermata e con suo estremo piacere Luke poté notare l'assenza di persone da lui conosciute: aveva ottenuto almeno venti minuti di silenzio, non se li sarebbe fatti scappare nemmeno per una fortuna intera.

Isolata dal resto del mondo e a pochi chilometri da Banff, Lakedown era il classico luogo che appariva sulle cartoline, con i suoi paesaggi mozzafiato e un'atmosfera che alternava quiete a un senso di selvaggia vastità. Circondata da montagne imponenti e fitte foreste di conifere, il piccolo paese sembrava essersi fermato nel tempo, il paesaggio nevoso uno sfondo che rendeva Lakedown quasi surreale, un fantasma che aleggiava fra le punte accuminate delle montagne. Il lago Jefferson aveva iniziato a congelarsi, c'erano ancora piccole zone in cui il ghiaccio non si era propriamente formato ed era dunque un potenziale pericolo per qualsiasi ragazzino spericolato che avesse deciso di avventurarsi sulla riva.
Gli alberi si ergevano austeri, i rami appesantiti da strati di neve che scintillava alla luce tenue del mattino oscillavano al vento a un ritmo lento e regolare, quasi confortevole.
Dal finestrino dell'autobus Luke poteva vedere la neve accumulata sui davanzali delle finestre e le stalattiti ghiacciate lasciate dalla pioggia di qualche giorno prima; con nostalgia ripensò a quando lui e suoi amici si divertivano a staccarle dai tetti - dove possibile - per usarle come bacchette magiche, fino a che il calore delle loro mani non le faceva sciogliere e l'incanto del gioco svaniva.
Il ragazzo si perse a guardare le sequenze del mondo circostante mentre i suoi pensieri si facevano sempre più silenziosi, osservando come lentamente il paesaggio della periferia, più moderno e adatto all'accoglienza di nuovi cittadini, a quello della parte più vecchia del borgo, con case in legno e mattoni dal tetto spiovente.
L'autobus si fermò di fronte a un enorme edificio, con una scalinata in marmo bianco che portava a una porta in vetri di recente installazione. Luke scese dal veicolo facendo un sospiro profondo, si mise lo zaino in spalla e si avviò sul marciapiede, arrivando ai gradini, raggiungendo l'entrata della scuola.

La Lakedown High era stata fondata quasi un secolo prima, nel 1891. L'edificio fu subito adibito a scuola, ma dopo un primo decennio di attività un grave incendio rovinò gran parte della struttura: il tetto era crollato, alcuni muri furono abbattuti, molto del materiale scolastico andò perduto. Fortunatamente, il sindaco di allora si mosse in tempo per permettere agli scolari di tornare sui banchi e, dopo una serie di ristrutturazioni che tennero la scuola chiusa per quasi vent'anni, nel 1926 furono finalmente riaperte le porte della Lakedown High.
Per compensare la mancanza di un luogo in cui i ragazzi potevano essere istruiti, fu costruita nel 1917 la Jefferson High School a poche miglia dalla Lakedown High; le due scuole sono ora in competizione tra loro, tanto che ogni anno, come da tradizione, l'ultimo giorno prima delle vacanze invernali viene giocata una partita tra le due squadre di hockey delle rispettive scuole, la Lakedown Lynxes e i Jefferson Wolves.
Mentre oltrepassava la bandiera canadese davanti alla porta d'ingresso Luke poté già notare alcuni studenti portarsi dietro la propria mazza da hockey mentre camminavano per i corridoi della scuola, pronti a lanciarsi in pista nel primo pomeriggio, durante le ore interminabili di allenamento.

Sorpassò le due o tre coppiette intente a sbaciucchiarsi e raggiunse il proprio armadietto, aprendolo e iniziando a rovistare fra tutti i libri all'interno, alla ricerca di quelli giusti da prendere per le lezioni di quella mattina.
Fu proprio nel momento in cui chiuse l'armadietto che una figura familiare, nascosta dall'alta metallica, si palesò di fronte a lui facendolo sobbalzare.
Era una ragazza dai lunghi capelli biondi, lo sguardo vispo e furbo. Indossava un paio di jeans larghi, un po' stracciati alla base poiché, essendo troppo lunghi, finivano sempre sotto le scarpe mentre camminava; la grande scritta "METALLICA" spiccava in rosso fuoco sulla sua maglietta bianca, sulle spalle teneva un giubbotto di pelle che probabilmente apparteneva a qualcun altro.
«Cristo, Brooks, la prossima volta fatti vedere!» esclamò, prima di rendersi conto di aver un po' esagerato col tono. Si ricompose, schiarendosi la voce in modo imbarazzato. «Cosa vuoi?» le chiese, incrociando le braccia al petto e tenendosi i libri appresso. Emma si staccò dagli armadietti con un sorrisetto divertito. «Sei distrutto, oggi quanto ci hai messo prima di litigare con Michael?» domandò, il tono beffardo e quasi petulante. Luke alzò gli occhi al cielo, inizialmente ignorando la domanda di Emma. S'incamminò per il corridoio, sbuffando, dunque la ragazza lo seguì incuriosita.
Non era la prima volta in cui Emma lo perseguitava per così a lungo, soprattutto quando sapeva che il giovane aveva litigato con la sua famiglia. Era sempre divertente stuzzicare Luke quando era nervoso per i più svariati motivi, anche se senza spingersi oltre il limite.
«Allora? Non parli? Guarda che non mi faccio problemi a ronzarti attorno fino a che non mi dici cos'è successo» ridacchiò, punzecchiando il fianco di Luke con un dito. Il ragazzo grugnì infastidito, lasciandosi sfuggire un sospiro esasperato. «Abbiamo litigato prima di fare colazione, non ho manco mangiato. Contenta ora?» rispose, fermandosi di fronte alla porta di una classe. Emma finse un'espressione di sorpresa, portandosi una mano al petto con fare teatrale. «Ma allora si spiega tutto! Ecco perché sei così nervoso: non hai mangiato!» esclamò, mordendosi l'interno della guancia per evitare di ridere. Infilò una mano in tasca, tirando fuori una barretta ai cereali e lanciandola a Luke, che la prese prontamente.
«Volevo tenermela per dopo, ma credo che tu ne abbia più bisogno» spiegò, prima che la campanella la interrompesse. Emma si guardò attorno, prima di spostare nuovamente lo sguardo su Luke. «Senti, gli altri dopo vorrebbero andare al Saint-Germain,» iniziò, mentre gli altri studenti si spostavano nelle varie classi, «vieni anche tu?»
Luke ci mise qualche secondo di troppo a rispondere, valutando sia se accettare la barretta gentilmente offerta dall'amica, sia se unirsi al resto del gruppo e uscire con loro dopo scuola. Sospirò, finendo per annuire. «Va bene, perlomeno starei qualche ora in più fuori di casa» rispose, prima di farle un veloce gesto con la mano per salutarla. «Ci vediamo dopo, allora» disse il ragazzo, entrando nell'aula davanti alla quale porta si erano fermati.
Emma si allontanò poco dopo aver salutato Luke a sua volta, lasciando ufficialmente il corridoio vuoto; erano gli unici due rimasti al di fuori delle classi, e se non si fossero mossi in tempo, sarebbero ben presto stati beccati da qualche bidello arcigno o, ancora peggio, dal preside stesso.

In classe, Emma trovò posto accanto a una ragazza dai capelli rossi meticolosamente raccolti in due trecce, e che stava già iniziando a preparare libri e quaderni; nonostante in classe il riscaldamento fosse acceso, la giovane stava ancora indossando la sua sciarpa multicolore, probabilmente fatta a mano con svariate sfumature di lana. Fu un colpo di fortuna, dato che quella giovane era una delle più care amiche di Emma e, di conseguenza, Luke: Cassandra Middlemarch.
Emma si sedette sulla sedia con fare teatrale, appoggiando poi il proprio quaderno e l'astuccio sul banco, sospirando profondamente. Il professore ancora non era arrivato, fortunatamente.
«Allora? Luke è arrivato?» chiese la compagna, staccando gli occhi dai propri libri e alzandoli su Emma, inarcando un sopracciglio con fare divertito. Emma annuì, alzando gli occhi al cielo. «È vivo, sì. Non so se ci sta con la testa, però. Ha litigato di nuovo con suo fratello e non ha nemmeno fatto colazione» rispose, guardando l'altra ragazza. «Almeno ha accettato di venire al Saint-Germain con noi oggi pomeriggio» aggiunse, stringendosi nelle spalle.
Cassy fece uno sbuffo compiaciuto, mentre dalla porta stava entrando il professore di letteratura. «Quando mai Luke Lévesque non litiga con suo fratello? Mi preoccuperei di più se un giorno arrivasse tutto felice e contento, penserei che si sia fumato qualcosa con quelli della squadra di rugby» scherzò, alzandosi in piedi contemporaneamente a tutti gli altri per salutare il docente appena arrivato.
Emma ridacchiò, annuendo. «Hai ragione, Cassy. Non ci avevo pensato, ma magari era anche nervoso perché è arrivato in ritardo e non ha potuto fumarsi la sua Lucky Strike mattutina»
Cassy dovette trattenersi dal ridere, poiché proprio quando la compagna finì di parlare, in classe calò un silenzio quasi tombale. Il professore aveva iniziato a spiegare, non potevano più permettersi di parlare mentre si svolgeva la lezione.
Il signor Montpellier - così si chiamava l'insegnante - era un uomo anziano, forse un poco sordo, ma nondimeno rispettato da tutti i suoi studenti: per quanto spesso severo, non era mai stato ingiusto con nessuno e, nonostante all'inizio facesse sempre paura a tutti, alla fine si rivelava un'anima buona, gentile e disposta ad ascoltare i propri alunni, lasciando anche spesso spazio durante le sue lezioni per poter fare dibattito su varie tematiche che non riguardavano propriamente il programma di letteratura inglese.

Anche quel giorno, Montpellier stava procedendo con le sue solite domande a trabocchetto per testare l'attenzione dei suoi alunni. Quando gli occhi del docente si posarono sulle ragazze, Emma abbassò velocemente lo sguardo, sperando di non essere chiamata a rispondere a qualche domanda imprevista. Strategia che funzionò per lei, ma non per Cassy, che si concentrò sul suo quaderno troppo tardi per non venir beccata dal professore.
«Oh, bene... Middlemarch, dimmi un po',» cominciò, con quel suo tono un po' nasale e rauco, «dato che sei una delle mie punte di diamante, ti farò una domanda un po' difficilotta...» disse, sfogliando il libro di testo alla ricerca di un qualche argomento trattato di cui parlare con Cassy, la quale era tesa come una corda di violino in attesa della domanda.
«Ecco: bene, Middlemarch... Di recente abbiamo letto Il Ritratto di Dorian Gray in classe, ma so che tu non mi deluderai se ti chiedo di indicarmi un tema ricorrente che abbiamo già incontrato in altri autori, vero?» chiese Montpellier, alzando lo sguardo sul libro per posare i suoi occhi azzurri appena itterici sulla giovane. Cassy prese un respiro profondo, un sorrisetto stampato sulle labbra.
«Se si parla di temi ricorrenti, ricordo il tema del doppio, che abbiamo già visto in Stevenson e Shelley,» rispose, la sua parlantina già pronta a scattare, «rispettivamente nei romanzi Lo Strano Caso del Dottor Jekyll e di Mister Hyde, e Frankenstein- il cui titolo originale è Frankenstein o il moderno Prometeo. Se in Dorian Gray il doppio è rappresentato dalle figure di Dorian stesso e del suo ritratto, in Jekyll e Hyde sono loro stessi ad essere i "doppi", se così possiamo chiamarli, perché nonostante siano in fin dei conti le due facce d'una stessa persona, grazie alla furbizia di Jekyll le due personalità hanno sviluppato due vite completamente separate. Non starò a spiegare questo concetto perché non voglio interrompere la lezione troppo a lungo, quindi le dirò l'ultima coppia di doppi nei tre libri citati: sono il dottor Viktor Frankenstein e la sua Creatura, che in questo caso assumono un rapporto quasi di padre e figlio, creatore e creazione, o addirittura...»
«Eccellente, Middlemarch, va già benissimo così. Sapevo di poter contare su di te» il professore la interruppe alzando una mano, la sua espressione soddisfatta mentre tornava con lo sguardo sul libro. Cassy si ammutolì, ma questo le permise ugualmente di sogghignare compiaciuta quando incontrò lo sguardo incredulo di Emma.
Il resto della lezione proseguì blandamente, sembrava che Montpellier fosse rimasto appagato dalla risposta esaustiva di Cassy, poiché non fece altre domande a nessuno. Quando suonò la campanella, tutti gli studenti si prepararono per uscire dall'aula. Cassy ed Emma uscirono per ultime e, ognuna per diversa via, si diressero nelle classi in cui avrebbero svolto il resto delle lezioni prima di pranzo.

La mattinata scolastica si svolse con tranquillità e la solita noia di dover stare per ore dietro a un banco. Ore passate a prendere appunti, ascoltare distrattamente i professori e lanciare occhiate fugaci verso la finestra: il cielo grigio prometteva un freddo pomeriggio, uno di quelli sopportabili solo con una bevanda calda e una coperta morbida.
Arrivò l'ora di pranzo, già la mensa riecheggiava di chiacchiere costanti e rumori di stoviglie quando Luke mise un piede oltre la porta, cercando con lo sguardo un tavolo libero o almeno al quale fossero sedute persone familiari. La sua giornata scolastica era stata, come ormai ogni primo giorno, un alternarsi di nuove conoscenze e visi sfortunatamente noti. Non aveva avuto la forza di seguire le lezioni, solo chimica si era rivelata abbastanza interessante da ricevere le attenzioni del ragazzo, ma solo perché si era svolta in laboratorio.
Finalmente incontrò lo sguardo di Emma, perciò si aggiustò lo zaino sulle spalle e raggiunse l'amica. Al tavolo con lei erano seduti anche altri ragazzi; Luke prese posto accanto a un ragazzo dall'aspetto alquanto particolare: vestiti forse fin troppo larghi, lo sguardo un po' perso e i capelli raccolti in trecce in stile cornrow. Salutò Luke con un gesto della mano, poiché era intento a mangiare un tramezzino particolarmente farcito.
«Ciao anche a te, Miles» commentò Luke con un sorriso sardonico, mentre prendeva dallo zaino il suo pranzo. Miles alzò lo sguardo verso Luke, con un sorriso appena accennato e un pezzo di lattuga che spuntava dal lato del panino: era evidentemente preso dal cibo, non si capiva se il suo silenzio fosse per buone maniere o per completa trance famelica.
Non appena Luke ebbe aperto il suo contenitore, qualcuno allungò una forchetta verso il cibo all'interno, prendendone un po': il ragazzo vide parte della sua pasta al forno finire in bocca a Emma, che con un'espressione divertita si era avvicinata a lui. «Credevamo ti fossi perso, sai?» scherzò lei, tornando a mangiare la propria insalata mentre Luke si versava dell'acqua nel bicchiere. «Lo sai che il laboratorio di chimica è a pochi passi da qui, vero? Il problema è che la professoressa mi ha tenuto occupato con un coglione che si è rovesciato del blu di metilene sul camice» rispose, ingoiando un boccone di pasta.
Nonostante l'accaduto avesse evidentemente scocciato il ragazzo, gli altri poterono piacevolmente notare come in realtà Luke fosse ben più rilassato di prima. Anche Stan, l'altro giovane seduto al tavolo, che se non fosse stato per i suoi braccialetti dai colori vivaci non si sarebbe mai notato fra gli altri, sembrava sollevato nel vedere che la scontrosità di Luke fosse solo il suo tipico atteggiamento, e non bile montata per qualche motivo.
«L'insegnante ha fatto bene a lasciarti con quel ragazzo,» disse Cassy, con tono di rimprovero, «il blu di metilene è tossico. È già una fortuna che se lo sia rovesciato solo sul camice e non sulla pelle» continuò, e l'unica risposta che ricevette dal compagno fu un'occhiataccia infastidita. Ogni scusa era buona per Cassandra per fare la maestrina, cosa che Luke detestava.
«Mi scusi, infermiera crocerossina Middlemarch, effettivamente sarei dovuto essere più compassionevole» la prese in giro, facendole il verso e guardandola storto. Cassy sbuffò, scosse la testa e distolse lo sguardo, nonostante la sua espressione seccata fosse tradita da un piccolo sorriso. Era abituata agli atteggiamenti di Luke, per quanto certe volte dovesse ammettere che l'amico fosse veramente insopportabile.

«Cassy ha ragione, però»
A parlare era stata Angel, che fino a quel momento se n'era stata in silenzio ad ascoltare i discorsi degli altri. Luke inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla: per quanto trovasse fastidioso il modo in cui Cassy si atteggiava a sapere tutto, sapeva che Angel non interveniva mai senza una buona ragione. La ragazza si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi incrociò le braccia sul tavolo e guardò Luke con espressione pacata.
«In più, dovresti darti maggiore credito. Conoscendoti, avresti potuto girare i tacchi prima che la professoressa potesse chiederti di aiutare. Invece, sei rimasto, e per un gesto gentile sei arrivato un paio di minuti in ritardo a pranzo» disse Angel, con un sorriso cortese.
Luke abbassò lo sguardo per un momento, prendendo un'altra forchettata di pasta prima di portarsela alla bocca. «Non credo sia stato un gesto eroico» iniziò, «chiunque l'avrebbe fatto. Magari anche più volentieri» continuò a bocca piena, tenendo una mano davanti alla bocca per educazione.
Angel scosse la testa con un sorriso paziente, appoggiando il mento sulla mano. «Non si tratta di eroismo, Luke. Si tratta di gentilezza. E non tutti l'avrebbero fatto, credimi» disse, quasi a rimproverarlo ma con un tono dolce. Luke alzò lo sguardo verso di lei, masticando lentamente mentre rifletteva sulle sue parole. Era difficile ribattere ad Angel quando usava quel tono pacato e logico, una delle ragioni per cui spesso preferiva non discutere troppo con lei.
«Non mi sembra nulla di speciale,» borbottò infine, prendendo altra pasta con forchetta con un leggero tintinnio. «Ho solo aiutato qualcuno mentre sopportavo la fame da lupi che mi sono tenuto fino a qualche minuto fa» bofonchiò, portandosi il boccone alle labbra. Cassy, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio, intervenne senza alcun filtro- come suo solito, d'altronde. «Beh, in realtà, c'è dell'incredibile: per una volta hai fatto qualcosa di buono senza sbuffare ogni due secondi. Può bastare, no?» lo prese in giro, dandogli una leggera gomitata.
Miles ridacchiò goffamente, mangiando l'ultimo pezzo di tramezzino. «È più che sufficiente, anzi, è un traguardo irripetibile!» esclamò, scoppiando in una fragorosa risata che si trascinò dietro tutto il tavolo; persino Luke, che inizialmente aveva alzato gli occhi al cielo, era finito per ridere con gli altri.

La giornata scolastica, per il gruppo, finì alle tre del pomeriggio. I ragazzi erano adesso liberi di godersi qualche ora di svago prima di tornare a casa, e dove non andare, se non al Saint-Germain? Come avevano già prestabilito quella mattina, con lo zaino in spalla e un sorriso stampato sui volti, si diressero fuori dalla scuola, raggiungendo la scalinata in marmo della Lakedown High a una velocità da tempo record.
E se ne sarebbero andati con altrettanta fretta, se solo una figura familiare, ferma alla base delle scale, non avesse allungato un braccio verso Luke, strattonandolo via dal gruppo.
«Oi, coglione, dove pensi di andare?»
Luke trasalì, ma tenne un'espressione neutra per far credere a suo fratello che non si fosse spaventato. Ma il suo viso si contrasse quasi immediatamente in una smorfia di dolore, quando la mano di Michael, aperta e rigida, impattò sorda sulla sua guancia. «Questo è per avermi sbattuto la porta in faccia. Ringrazia che oggi sono un po' più buono e ti lascio passare il "vaffanculo", altrimenti era un altro schiaffo, se non un pugno. Non azzardarti mai più a mancarmi di rispetto, chiaro?»
La voce di Michael era un ringhio sfrontato, colmo d'ira. Con uno sbuffo irritato afferrò Luke per i capelli, costringendolo ad alzare la faccia verso di lui. «Da domani a casa fai quello che ti dico io. Ci siamo capiti? O davanti ai tuoi amichetti fai scena muta?» incalzò Michael, il suo tono sempre minaccioso. Il minore deglutì, aveva le labbra e la gola secche. «...Sì. Ho capito» mormorò, con voce roca, prendendo un respiro di sollievo quando il fratello si decise finalmente a lasciarlo andare.
Lo guardò entrare in macchina - si era addirittura preso la briga di guidare l'auto della madre fino a scuola solo per tirare uno schiaffo a suo fratello, ammirevole - e allontanarsi. Luke, a quel punto, si massaggiò un po' la guancia colpita, con mano un po' tremante. Il fatto che Michael avesse messo su quella scenata di fronte ai suoi amici l'aveva un po' irritato, ma ormai era fatta.
Quando si voltò verso di loro, Cassandra non perse un secondo di più a cercare un fazzoletto. Luke non capì il perché, ma bastarono le parole della compagna nel momento in cui gli intimò di accucciarsi per farla arrivare al suo viso: «Ti sanguina il labbro».
Il ragazzo afferrò istintivamente il fazzoletto, dando un leggero colpetto alla mano di Cassy per allontanarla. «Faccio da solo». Tradotto: "Grazie per l'aiuto". Cassy gonfiò le guance, un po' indispettita, ma rispettando comunque la volontà dell'amico: conosceva quel malumore, e sicuramente non era il momento di dargli contro. Angel si era avvicinata con l'intenzione di chiedergli come stava, ma vedendo la sua reazione al gesto di Cassy, si limitò a stargli vicino.
«...Questo non l'aveva mai fatto» fu l'unico commento di Emma, ancora sorpresa. «Già, semmai è venuto a prenderti a scuola e poi ti ha malmenato a casa. Ma davanti a noi non l'ha mai fatto» aggiunse Miles, con tono un po' più leggero per sdrammatizzare, ma pur sempre preoccupato. «Evidentemente i nostri genitori si sono svegliati con la voglia di fare effettivamente il loro lavoro, e Michael non deve averla presa bene» borbottò il ragazzo, il quale, dopo aver preso un respiro profondo, provò a darsi una sistemata.
«Fate finta che non sia successo nulla. Ci ripenserò dopo» mormorò, riprendendo a camminare sotto gli sguardi preoccupati dei suoi amici. Emma lo bloccò per un polso, facendolo voltare di scatto. «Luke, se non vuoi stare in giro, possiamo andare a casa mia. Se hai bisogno di tempo per stare solo, almeno in casa puoi ritirarti da qualche parte» disse, guardando il ragazzo con un'espressione preoccupata.
Luke non proferì parola per qualche istante, prima di inspirare sonoramente e liberarsi dalla presa di Emma, questa volta con un gesto più moderato. «No... No, va bene andare al Saint-Germain. Ovunque è meglio di casa, al momento» rispose infine, scuotendo la testa appena. Il sorriso che si era formato sulle sue labbra era un po' sofferente, la guancia schiaffeggiata da Michael era ancora arrossata.
Emma lo osservò per un attimo in silenzio, prima di dargli una leggera pacca sulla spalla. «D'accordo. Saint-Germain sia, allora» confermò, con un sorriso. Fu in quel momento che Stan si fece avanti, porgendo a Luke un altro fazzoletto. «Tuo fratello deve darsi una calmata, comunque. Tieni questo, ci ho messo del disinfettante» disse, con tono gentile, anche se di rimprovero nel parlare di Michael. Aspettò che Luke si fosse tamponato un po' il labbro, prima di lasciarlo ufficialmente in pace.
Miles guardò Stanley per un momento, gli occhi spalancati. «Mi vorresti dire che ti porti dietro del disinfettante a scuola? Non bastano già i cerotti?» chiese, sorpreso e confuso. Stan scrollò le spalle con nonchalance, inclinando un po' la testa. «Suppongo che prevenire sia meglio che curare» cominciò, prima di fare un sorrisetto furbo, «e poi, da dove pensi che arrivi il cotone imbevuto che ti porta sempre il prof Lee quando cadi sul campo di atletica? Tutto dalle mie tasche, dovresti addirittura ringraziarmi»
Miles rimase a bocca aperta per un momento, poi scoppiò a ridere, scuotendo la testa incredulo. «Ecco perché Lee ti vuole così bene, gli fai da infermiera. Che cosa adorabile» lo prese in giro, ridendo ancora più forte quando vide le guance di Stan colorarsi di rosso. Cassy richiamò l'attenzione con un colpo di tosse, incrociando le braccia al petto. «Con calma eh, abbiamo già perso mezz'ora del nostro tempo. Forza, muovete quelle gambette e andiamoci a prendere un tavolo al Saint-Germain» li rimproverò, seppur con tono amichevole e scherzoso.

I sei ragazzi ripresero ben presto il loro cammino, impiegando venti minuti a raggiungere il bar. Si trovava a pochi metri dal lago, in uno dei pochi spazi pianeggianti della cittadina. Se ai tavoli esterni non c'era nessuno per le temperature fin troppo fredde per poter pensare di bere qualcosa all'aperto, dalle finestre appannate si poteva intuire che l'interno fosse abbastanza pieno di persone; non che i ragazzi si sarebbero arresi, erano arrivati fin lì e ci sarebbero rimasti, a costo di aspettare eoni per potersi sedere.
Alla fine, quasi per miracolo, trovarono un tavolo libero in un angolo del locale. Non c'era ancora troppa gente, anzi, c'era ancora qualche tavolo libero; evidentemente gli studenti più giovani avevano decretato il Saint-Germain troppo old-fashioned per potersi godere una cioccolata all'interno delle sue mura. Peggio per loro: sebbene un po' antiquato, con pareti in legno e sedie un po' rustiche, quel bar era il migliore di tutta Lakedown.
Ben presto giunse al tavolo la cameriera: era una ragazza giovane, la figlia della proprietaria, che con veloce efficienza prese gli ordini del gruppo e tornò al bancone, mettendosi subito al lavoro. Fu anche abbastanza gentile da portare, assieme alle varie bevande prese dal gruppo, un panno con qualche cubetto di ghiaccio per la guancia di Luke, dove si stava iniziando a formare un livido.
Non era abituato a farsi aiutare. Era cresciuto con l'idea che chiedere aiuto fosse un segno di debolezza, una concessione che lo avrebbe reso vulnerabile agli occhi altrui. L'idea di dipendere da qualcun altro lo infastidiva a tal punto da rifiutare qualsiasi forma di aiuto, da qualsiasi persona. Per questo, vedere i suoi amici che si affrettavano a dargli una mano, a offrirgli fazzoletti, parole di conforto, era estenuante. Addirittura irritante, ma c'era una parte di lui che gli diceva di accettare comunque e non fare storie.
Fu in quel momento, quando le sue sopracciglia si corrucciarono in un'espressione contrariata, che Cassy alzò lo sguardo dalla sua cioccolata per dargli un colpetto sulla spalla. «Hey, ti vedo pensieroso. Troppa gente che viene in tuo soccorso?» gli chiese, quasi divertita, ma altrettanto comprensiva.
Luke si strinse nelle spalle, rigirando il cucchiaino nel suo tè. «Probabile. Di solito sono io a leccarmi le ferite. Invece, oggi me le avete curate voi- e fa strano. Molto strano» borbottò, sospirando. «Cercherò di farci l'abitudine» aggiunse, prendendo un sorso dalla propria tazza.
Solo in quel momento si girò verso Cassy, e non poté trattenere una risatina. Cassandra inclinò il capo, confusa dalla reazione del ragazzo. «Beh, che vuoi da me?» gli chiese un po' burbera. Luke ghignò divertito, indicandole il viso. «Hai i baffi di panna. Ti conosco da almeno dieci anni e ancora non hai imparato a bere la cioccolata senza sporcarti» la schernì, prima di allungarle un fazzoletto. «Pulisciti, che sembri Babbo Natale» la canzonò, sempre con una risatina.
Cassandra era diventata viola dall'imbarazzo, ma accettò comunque il tovagliolo offerto dal ragazzo. «Uno cerca di essere carino, e guarda come viene ripagato» borbottò, leccandosi le labbra dalla panna e poi asciugandosi col fazzoletto. Tuttavia, non riuscì a tenere il broncio a lungo: nonostante il rossore che le era rimasto sulle guance, finì per scoppiare a ridere.

Tra battute, racconti, gossip e qualche goccia di tè versata sul tavolo, i ragazzi si accorsero con stupore che si erano fatte le cinque in un batter d'occhio. A quell'ora le strade si facevano buie, lasciando spazio ai lampioni per non lasciare la città all'oscuro. Era meglio rincasare, per quanto stare in compagnia fosse sicuramente più piacevole. Per un soffio Luke non offrì la merenda - si sentiva ancora in colpa per averli fatti assistere alla scenata di suo fratello -, fu tenuto a forza da Emma e Miles mentre gli concedevano solo di pagarsi il proprio tè.
Usciti dal locale, il gruppo fu colpito dal freddo secco e tagliente della sera, i loro respiri bianche nuvolette condensate nell'aria. Si congedarono con abbracci e pacche sulle spalle, e ben presto furono tutti liberi di tornare a casa. Miles e Luke avevano un pezzo di strada da percorrere assieme, lo stesso Angel ed Emma; Stan si offrì di riaccompagnare Cassandra per non lasciarla da sola al buio, anche se si sarebbe allungato la strada di almeno venti minuti.
Quando giunsero nelle varie abitazioni, le risate del pomeriggio erano ormai un ricordo lontano, ma il loro calore non aveva ancora smesso di scaldare i loro cuori. E poi, era solo il primo giorno di scuola: se già era accaduto l'incidente con Michael, cos'altro poteva andare peggio?

•─────⋅☾ ☽⋅─────•

Lakedown è tornata.
Si apra il sipario. :)

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