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061 proprio come prima

capitolo sessantuno
( proprio come prima )





«Signore e signori, Topper Thornton è il campione dell'Enduro di quest'anno!»

La voce del presentatore entrò ovattata alle orecchie di Ophelia, il cui sguardo era incollato su JJ e Rafe, entrambi a terra e circondati da una marea di persone, molte delle quali festeggiavano il nuovo campione che aveva fottuto tutti e sette i Pogues.

Ma onestamente, in quel momento, alla ragazza non interessava. Riusciva solamente ad osservare il corpo di Rafe sulla sabbia e a pensare al volo che aveva fatto dopo essere caduto dalla moto con JJ al suo seguito.

Aveva il cuore in gola mentre sentiva tutto andare a rallentatore, e ancora di più le si contorse lo stomaco alla realizzazione che nessuno stesse andando da lui per vedere in che condizioni stesse. Non sapeva dove si trovasse Sofia. Probabilmente si era allontanata dalla gara per andare a bere o forse era in bagno, e onestamente non le interessava, ma non riusciva a rimanere impassibile e a stare bene con se stessa senza la certezza che anche Rafe stesse bene.

Così, lasciando che i suoi amici raggiungessero un imbronciato e arrabbiato JJ, lei corse verso il maggiore dei Cameron, che veniva scavalcato dalle persone come se neanche esistesse, e per un attimo si chiese se fosse la sua mente a giocarle brutti scherzi o se si trovasse davvero lì sulla sabbia.

Quando gli fu vicino, si piegò sulle ginocchia. «Rafe, ehi! Stai... stai bene?» chiese preoccupata, mettendogli una mano sul braccio e sentendo il cuore perdere un battito alla realizzazione che fosse il primo contatto che condividevano dopo così tanto tempo.

Lui parve irrigidirsi alla sua voce, e si voltò di scatto prima di sfilarsi il casco e permetterle di vedere i suoi occhi blu da vicino. Quegli occhi che le erano tremendamente mancati.

La osservò, e sembrava quasi che si stesse chiedendo se lei fosse realmente lì davanti a lui a chiedergli come stesse. Poi abbassò lo sguardo sulla mano destra ancora poggiata sul suo braccio, e, poco dopo, tornò a prestare attenzione a lei.

Rimasero lì seduti per qualche istante, respirando e fissandosi negli occhi per secondi interminabili. La tensione era palpabile, mentre i ricordi del loro passato aleggiavano nell'aria. Per Rafe era così sconvolgente averla vicino, sentire la sua voce. In quei momenti quasi dimenticava che fosse passato più di un anno.

Poi scosse la testa, quasi come se stesse scacciando quei pensieri dalla testa. «Come se ti importasse» rispose secco e con tono di voce duro, scrollandosela di dosso.

Ophelia deglutì a quelle parole, pensando che forse uno schiaffo avrebbe fatto meno male. «Lo sai che mi importa» le uscì in un sussurro quasi strozzato mentre si rimetteva in piedi e lui faceva lo stesso.

Rafe abbozzò un sorriso amaro, guardandola dall'alto e torreggiando sul suo corpo. «Certo. L'hai reso molto chiaro quando sei venuta a chiedermi come stessi dopo la morte di mio padre» replicò con freddezza, e anche con una piccola nota di delusione.

La rossa accusò il colpo. Ok, sì, forse aveva ragione e sarebbe dovuta andare da lui, ma come poteva farlo se stava con Sofia e se, soprattutto, riteneva che i Pogues avessero praticamente ucciso Ward? Onestamente, il coraggio le era mancato come mai aveva fatto prima.

Forse però si aspettava qualcosa da lei...

A quella realizzazione, sospirò. «Rafe, io—»

«Lui è partito con voi e non è più tornato. Non posso dimenticarlo» fermò le sue parole, dandole un'altra dolorosa pugnalata e facendola vacillare.

Si guardarono ancora per un po' e per un tempo indefinito, quasi come se ci fossero solo loro e non fossero circondati dal caos più totale. Il loro contatto visivo era essenzialmente caratterizzato da frustrazione, rimpianto, e cose non dette. Tante cose non dette.

Avrebbe voluto spiegargli il suo punto di vista, parlargli delle dinamiche della morte di suo padre, e dirgli che per quanto lo odiasse, alla fine aveva salvato la vita a tutti loro. Avrebbe voluto dirgli che nonostante Sofia sembrasse la ragazza più buona dell'universo, odiava la sua presenza perché faceva con lui tutto quello che avrebbe desiderato fare lei, ma, soprattutto, odiava il fatto che le cose tra lui e Sofia sembrassero semplici, mentre la "relazione" che avevano condiviso loro era stata tutto meno che facile. Avrebbe voluto parlargli dell'invidia che provava nei confronti di Sofia, della gelosia, e anche di ciò che ancora provava per lui.

Avrebbe voluto farlo, ma probabilmente non l'avrebbe mai fatto.

E così rimasero solo ad osservarsi angosciati e risentiti prima che lui girasse i tacchi e le desse le spalle. Ophelia sospirò profondamente, mandando giù il groppo che lei si era formato in gola, e camminò verso i suoi amici, trovando JJ intento a discutere con John B circa il fatto che il castano non fosse riuscito a tenere lontani Topper e Rafe.

Solo in quel momento la ragazza parve rendersi conto del fatto che avessero perso l'ultima pepita d'oro e che fossero tornati al punto di partenza. Ciononostante, era evidente che JJ fosse già arrabbiato di suo, e infierire, soprattutto dopo la pessima conversazione avuta con Rafe, non era tra i suoi piani.

«Facci l'abitudine» disse proprio il maggiore dei Cameron, attirando l'attenzione di John B.

Quest'ultimo gli si avvicinò. «Cos'hai detto?» lo invitò a ripetere. «Ehi! Cos'hai detto?!» lo spinse.

Ovviamente, Rafe reagì e ricambiò la spinta con violenza. «Facci l'abitudine! — sputò rabbioso — Non siamo a Poguelandia, ok? Non vi è permesso vincere!» gli urlò contro.

«Ehi, ehi! Fermo!» si intromise Sarah, piazzandosi davanti a suo fratello. «Sareste potuti morire!» disse con rabbia e con una leggera preoccupazione che si leggeva nel suo sguardo.

A quelle parole, Rafe fece balzare i suoi occhi su Ophelia, ancora provata a causa della loro conversazione. Mise su un amaro sorriso e scosse la testa. «Neanche a te importa» rispose. «Vuoi uccidermi come hai ucciso papà?» questa volta toccò alla bionda subire le sue insinuazioni.

«Scusami, come?» replicò lei, facendo un passo in avanti e sperando di aver capito male.

Rafe però non rispose e si allontanò dalla calca, ritrovandosi davanti Sofia, che subito gli chiese come stesse mentre lui le circondava le spalle con il braccio, pronto ad andare via con lei. Ophelia li guardò prima di scuotere la testa e distogliere lo sguardo nel tentativo di evitare di farsi del male.

«Ehi, Sarah! — si avvicinò Topper insieme alla sua nuova e antipatica ragazza, Ruthie — Come procede la tua vita da Pogue?» chiese divertito.

«Vaffanculo, Topper» rispose prontamente la bionda.

La rossa sospirò profondamente, voltandosi e osservando JJ così come i suoi amici. Lontano da quella folla di persone, si muoveva freneticamente e stringeva con forza i suoi guanti, consapevole di aver fatto un'enorme cazzata.

«Siamo tutti nella merda» disse John B con tono di voce basso.

«Decisamente» concordò la Ophelia.

Kiara annuì. «Sì, hai ragione».

«Perché siamo nella merda?» domandò confuso Pope, guardando i suoi amici con una lieve preoccupazione.

La rossa poggiò gli occhi su John B. «Io non glielo dico» se ne lavò le mani, consapevole che non sarebbe mai riuscita a reggere lo sguardo deluso, frustrato e angosciato dal suo amico.

«Dillo tu a Pope» aggiunse anche Kiara.

A quel punto, la preoccupazione di Pope aumentò a dismisura. «Dirmi cosa?» chiese.

In risposta, il castano richiamò tutti i suoi amici in modo che potessero tornare a casa e parlarne in un luogo più adatto, nonostante nessuno di loro avesse il coraggio di dire la verità a Pope, che si sarebbe ovviamente, e giustamente, arrabbiato.

Fu ciò che successe.

«Ve lo avevo detto. Era la cosa più importante. Vi avevo detto che nessuno doveva toccare l'ultima pepita!» disse a gran voce, gesticolando quasi con fare isterico mentre i ragazzi lo circondavano in giardino.

«Volevo—»

«Era l'ultimo nostro risparmio!» Pope fermò i tentativi di JJ di giustificarsi, alzando sempre di più il tono.

A quel punto, il biondo parve perdere le staffe. «Hai visto che cos'è successo?! Ha barato, ok?! Ho perso perché ha barato! Non è colpa mia, Pope!» replicò, piazzandosi davanti il suo amico.

«Ti rendi conto di quanto sei egoista?!»

«Io sarei egoista?! Stavo cercando di dare una mano!»

«E alla fine ci abbiamo rimesso tutto! Grazie!»

Cominciarono ad urlarsi contro, entrambi visibilmente irritati e nervosi. Pope era giustamente arrabbiato per il fatto che JJ avesse messo tutti nella merda, mentre il biondo, pur non dicendolo e nascondendosi dietro la scusa che volesse aiutare tutti, era irritato con se stesso per aver perso ogni cosa.

«JJ, perché parli come se non c'entrassi nulla con tutto questo?» intervenne Kiara con cautela e calma.

«Kiara... — si fermò, facendo un profondo sospiro nel tentativo di calmarsi — Mi conosci, ok? Ero sicuro di vincere. Sono fatto così» rispose.

«Avresti dovuto parlarcene prima. Stavolta è stato troppo rischioso» cercò di fargli capire.

«E tu invece, John B? Sapevi tutto e lo hai lasciato gareggiare?!» ricominciò ad urlare Pope, rivolgendosi al castano. «E tu? — si voltò verso Ophelia, che aggrottò le sopracciglia — È il tuo migliore amico e non ne sapevi niente?» continuò.

«No, Pope, non ne sapevo niente, chiaro? L'ho saputo prima che iniziasse la gara!» replicò, stizzita.

«Esatto! L'abbiamo saputo all'ultimo, Pope!» disse anche John B.

«John B, tu avresti dovuto coprirmi! E avresti dovuto vincere nel caso non ce l'avessi fatta! Era questo il piano!» gridò d'un tratto JJ.

«Io ti ho coperto, JJ!» ribatté a tono.

«Tu hai puntato tutti i nostri risparmi sulla gara!» si intromise anche Pope.

Tornarono ad urlare e a litigare su una cosa che oramai era già fatta. Non si poteva tornare indietro e non si poteva rimediare, e gridarsi contro non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.

«Ehi, ora basta!» intervenne Cleo a voce alta, facendoli finalmente zittire. Una volta essersi accertata del fatto che nessun altro volesse tornare ad urlare, riprese parola. «Quanto è grave, Pope?» gli chiese.

Ophelia sospirò a quella domanda. Nonostante fosse Pope ad occuparsene, non ci voleva molto a rendersi conto del fatto che fosse molto grave.

Erano al verde e avevano tante cose da pagare, in particolare la tassa di proprietà.

«Quanto è grave? — ripeté, guardandola — Dobbiamo pagare tredicimila dollari di imposta di proprietà entro sette giorni. E abbiamo zero capitale circolante. Non abbiamo nulla. E hai sprecato i nostri ultimi risparmi. Complimenti

Quelle furono le ultime parole che disse prima di andare via in preda alla rabbia e al nervosismo.

Ophelia abbassò lo sguardo. Era finita. Zero capitale circolante, proprio come aveva detto Pope.

Ma poi la fortuna fece capolino.

«Ehi, ragazzi!» disse improvvisamente Kiara, assumendo un'espressione incredula e mettendosi a sedere sul divano.

«Che c'è?» domandò Ophelia, che si trovava al suo fianco. Si posizionò come lei e sbirciò la schermata del computer che aveva sulle gambe. «Oh merda» le uscì di getto quando lesse le parole scritte in cima alla pagina.

«Cosa?» chiese Sarah, confusa tanto quanto gli altri.

«Dovete venire assolutamente a leggere. Hanno scritto di noi» rispose la rossa con un sorriso che non riusciva a contenere.

«Come?» dissero tutti all'unisono, perplessi.

Kiara annuì, emozionata. «Sulle Outer Banks Sentinel hanno scritto di noi» ripeté.

A quelle parole, i ragazzi scattarono in piedi e raggiunsero le due sul divano.

«Che hanno scritto?»

«Non ci credo!»

«"La straordinaria scoperta fatta dai giovani avventurieri ha confermato l'esistenza della Città d'Oro..."» lesse la castana.

«Oh mio Dio, è impossibile!»

«Guardate! Siamo noi! Siamo proprio noi!»

«Non posso crederci!»

«C'è il mio nome! Eccolo lì!»

Gli archeologi avevano scavato la grotta che John B e Sarah avevano fatto saltare in aria nell'Orinoco, e all'improvviso quei ragazzi divennero... eroi.

Ed era piuttosto strano per loro.

Dopo la cerimonia organizzata in onore dei sette Pogues, un uomo di nome Wes Genrette si avvicinò a loro con una richiesta. Aveva con sé un vecchio diario dalle pagine ingiallite, e, per l'esattezza, era un diario di bordo. Apparteneva ad un capitano, ma non ad un capitano qualunque.

Apparteneva a Barbanera.

E così, invitò i ragazzi nella sua tenuta per far loro una proposta. Ovviamente, accettarono.

Ed ora eccoli lì, diciotto mesi dopo aver trovato El Dorado, in viaggio verso Goat Island. Per quanto l'idea di infilarsi nuovamente in un mistero investisse d'ansia ognuno di loro, non potevano di certo negare di avvertire una lieve mancanza nei confronti di tutta quella adrenalina e di quell'azione, e, in ogni caso, erano costretti a farlo: avevano un disperato bisogno di soldi.

«Voi conoscete qualcuno che è stato qui? Io no...» prese parola Kiara, guardando la distesa azzurra che erano intenti ad attraversare a bordo dell'HMS Pogue.

«No».

«Neanche io, no».

«Ehi, Sarah... — la richiamò Pope — Tu conoscerai qualcuno che è stato qui...» le disse.

A quelle parole, aggrottò le sopracciglia. «Cosa?» gli chiese confusa.

Ophelia si lasciò sfuggire una risata. «Lo dice perché eri una Kook» rispose divertita.

«I Kooks vanno sempre tutti alle stesse feste» concluse il moro.

«Stai scherzando? Hai sentito le voci che girano?» lo guardò, perplessa.

«Sì, sì, riguardo alla figlia che è annegata con il suo bambino. Così dicono» annuì JJ.

«L'ho sentito anch'io, e si dice anche che prima fosse posseduta» aggiunse Kiara.

Ophelia si schiarì la gola. «Stiamo forse facendo il remake della signora Crain che ha tagliato la testa al marito?» inarcò un sopracciglio.

«Beh, era vero. C'era un teschio nel pozzo» le ricordò John B.

«E ha cercato di ucciderci con un fucile» disse anche JJ.

Pope sospirò. «Io comunque ho sentito che erano tutte cazzate, perché— Che c'è?» si fermò quando notò gli occhi di Cleo poggiati sulla sua figura.

«Ok, perché stiamo ricominciando?» domandò la mora, guardandoli.

«Ci servono i soldi» risposero tutti all'unisono.

«E poi non vi eccita l'idea di una nuova possibile caccia al tesoro?» chiese la rossa con un sorriso, ricevendo occhiatacce in risposta.

«Sul serio?» la fissò Sarah.

«Andiamo, lo so che in fondo—»

«A me sì — la interruppe JJ — Tutto troppo piatto. Bello, ma piatto» aggiunse.

«E poi ormai è il nostro lavoro, no?» concordò John B con un sorrisetto.

Cleo ruotò gli occhi al cielo. «Di certo non mi era mancato stare col culo poggiato su una barca».

«E a me non manca rischiare di morire» aggiunse Kiara.

Ophelia ridacchiò, guardandosi attorno. Doveva ammetterlo, era un po' inquietante il fatto che fossero letteralmente circondati da un'immensa distesa d'acqua. Inoltre, come se non bastasse, il cielo aveva iniziato a scurirsi proprio nella parte che loro avevano imboccato per raggiungere la tenuta di Wes Genrette.

Ancora una volta, sembrava l'inizio di un film thriller, e nonostante ci avessero fatto l'abitudine, non mancava mai una lieve ansia alla bocca dello stomaco.

«Questo posto esiste da duecento anni e non c'è una strada che non vada sott'acqua due volte al giorno» parlò Pope mentre si avvicinavano al molo.

«Check-in e niente check-out» commentò ironicamente Kiara.

Quando finalmente raggiunsero il molo, furono accolti da un uomo di mezz'età con la pelle scura e una lieve barba bianca a incorniciare il suo volto per nulla amichevole. Non sembrava cattivo, solo poco sorridente e leggermente inquietante.

«Benvenuti a Blackstone» fu ciò che disse.

In ogni caso, li aiutò ad ormeggiare e si rese anche disponibile per condurli fino alla tenuta del signor Genrette. Probabilmente era il custode, o colui che si prendeva cura del giardino, ma la sua presenza era in grado di rendere ancora più ambiguo quel posto solitario e tetro.

«Allora... — prese improvvisamente parola JJ mentre seguivano l'uomo — Che cosa sta scavando?» gli chiese, guardando la pala che stringeva nella mano destra.

«Canali» rispose, secco.

«Almeno non sono tombe...» disse Kiara.

«Fa' lo stesso per me» ribatté, facendo sì che tutti i ragazzi si lanciassero un'occhiata scettica.

«Perché l'ha detto?» domandò Pope, perplesso.

«Forse vuole dire che... usa la stessa pala per fare entrambe le cose?» tentò Ophelia, mettendo su un sorriso nervoso.

«Io credo che alludesse ad altro...» ammise John B prima di riprendere parola. «Da quanto tempo lavora per il signor Genrette?» domandò.

«Da quando ho memoria» disse quasi in un sussurro stanco e freddo.

Quando l'uomo si fermò, capirono di essere arrivati a destinazione, e si lanciarono un'altra occhiata per capire se fossero tutti d'accordo. A dire il vero, la situazione era piuttosto inquietante, ma erano costretti a farlo per i soldi.

Così si ritrovarono a salire la rampa di scale fatta di legno e rampicanti, raggiungendo il giardino per nulla curato di quella che era un'enorme casa che probabilmente un tempo era meravigliosa, ma che, attualmente, somigliava più ad una catapecchia che ad una bella villa. Era trasandata, con lievi macchie di muffe sul muro, e c'erano addirittura dei rampicanti a ricoprire gran parte di esso. Forse era a causa della vecchiaia, ma era evidente che il signor Genrette non se ne prendesse cura da tempo, e aveva fatto sì che diventasse scialba e malmessa.

L'uomo si fermò lì, lasciando che i ragazzi raggiungessero la veranda, il cui pavimento cigolò sotto i loro passi mentre osservavano le sedie usurate e i muri quasi marci.

«Sapete, per un attimo ho avuto la sensazione di essere tornata nella Foresta Amazzonica» commentò Ophelia, guardandosi attorno.

«Oh, decisamente» concordò Kiara.

JJ si schiarì la la voce prima di battere il picchiotto sulla porta bianca ma piena di macchie nere.

«Ehi! C'è nessuno? — gridò, non ottenendo nulla in risposta — C'è nessuno in casa?» riprese a bussare.

«No, credo che non ci sia nessuno» disse infine la rossa.

Improvvisamente, il biondo li guardò. «Ok, per vostra informazione, ti drogano prima di farti a pezzi, quindi non accettate nulla da bere» li mise in guardia.

«Esattamente perché ce lo stai dicendo?» chiese Ophelia, scettica.

«Già, non fa ridere» concordò Cleo, guardandolo come se fosse un cane a tre teste.

«Ragazzi, forse è meglio lasciar stare, stavolta...» intervenne Sarah, visibilmente a disagio e preoccupata.

«Io non voglio restare qui» disse Kiara, annuendo.

«Andiamo via?» domandò ancora la bionda.

«Il rapporto rischio-ricompensa è molto basso...» ci pensò su Pope.

Furono dei passi a mettere a tacere i ragazzi. Dei passi che provenivano dall'interno della casa.

«Arriva qualcuno...» li avvisò JJ, facendoli zittire.

I ragazzi si lanciarono un'occhiata nel momento in cui notarono un'ombra dietro le tende messe davanti al vetro della porta. Ci furono alcuni scatti di serratura, e poi venne finalmente aperta.

Davanti a loro apparve un uomo sulla quarantina elegantemente stretto in abiti certamente costosi (un contrasto curioso con l'abitazione in cui si trovava), con un pantalone beige, una camicia bianca e un maglioncino blu con le maniche legate attorno al collo. Aveva i capelli di un castano molto chiaro — probabilmente un tempo erano biondi e folti — tirati perfettamente sul lato sinistro, un accenno di barba e dei profondi occhi azzurri.

Ophelia era certa di non averlo mai visto nonostante avesse un'aria vagamente familiare.

Si prese del tempo per guardarli, forse per capire chi fossero. Poi alzò l'angolo destro della bocca. «Ah... Scusatemi per l'attesa...» disse. «È una casa piuttosto grande, e temo che la servitù sia andata via. Tutti tranne il buon vecchio Demp — indicò il custode, ancora fermo vicino alle scale — Proprio non riesco a liberarmene» emise una flebile risata che alla rossa parve quasi inquietante nonostante si sforzasse di sembrare simpatico. «Voi dovete essere i Pogues. I Grandi Cercatori» continuò, mantenendo sempre quell'espressione gentile che a Ophelia pareva piuttosto forzata.

O era solo paranoica.

«Sì, beh, non so se grandi—»

«Oh, non siate modesti. Ho letto molto sulle vostre avventure...» fermò le parole di John B, guardandoli con un'espressione fin troppo ambigua. «Sì... quante emozioni» poggiò gli occhi su ognuno di loro.

Ophelia lo osservò stranita, non riuscendo a comprendere se dicesse sul serio o se si stesse prendendo gioco di loro. Continuava a tenere su quel sorriso — era certa che fosse falso — e per un attimo si chiese se soffrisse di una specie di paralisi. Inoltre, non faceva che parlare con tono di voce basso, e con una nota di divertimento ben evidente.

«Ehm... prego, entrate» disse, poi.

«Lei chi è, esattamente? Credevamo che avremmo incontrato il signor Genrette» prese parole la rossa, guardandolo con sospetto.

Poggiò gli occhi azzurri su di lei. «Oh, io sono suo genero, Chandler Groff. Wes sperava che vi presentaste. Vi aspetta» fece un leggero passo di lato in modo che potessero entrare.

Era evidente che nessuno di loro si fidasse, e si lanciarono un'occhiata piuttosto stranita, evidenziando il loro scetticismo.

Il primo ad avanzare fu il biondo. «Sì, piacere. JJ...» gli passò di fianco, ricevendo una pacca sulla spalla dall'uomo, che sembrava incapace di togliergli gli occhi di dosso.

John B si schiarì la gola. «Andiamo, Pope?»

«Prego, Grande Cercatore» replicò il ragazzo, facendogli cenno di entrare per primo.

«Ok...» mormorò il castano. Poi, dopo un sospiro, entrò in casa.

«Io non entro per ultima» si affrettò a dire Kiara, seguendo John B.

L'ultima fu Ophelia, che rimase ferma sull'uscio davanti all'uomo, che continuava a sorridere in modo quasi fastidioso.

«Dai, su, entra» la invitò, e a lei non passò inosservata l'impazienza nascosta sotto il tono fintamente gentile.

Fu solo in quel momento che la ragazza si rese conto del fatto che probabilmente si sarebbero immersi in una nuova situazione pericolosa, e una parte di lei si chiese se fosse pronta. Insomma, una cosa era avvertire la mancanza dell'adrenalina e dell'avventura, ma un'altra cosa era tornare a vivere con nemici alle calcagna e avere numerose pistole puntate contro. Quello non era affatto divertente, e il solo pensiero quasi la fece sentire a disagio.

Ciononostante, era ben consapevole del fatto che fosse l'unico modo per non tornare alla stessa vita di prima, e, in ogni caso, non poteva tirarsi indietro, in particolare quando i suoi piedi si mossero ed entrarono nella casa del signor Genrette.

Ecco che ricominciava una nuova avventura.































Piccola precisazione: non so se sia un errore o una dimenticanza (o magari il posto è semplicemente diverso), ma non so perché si comportino come se non fossero mai andati a Goat Island quando ricordo perfettamente che nella seconda stagione, nella Sala dell'Isola, dicono che la Quercia dell'Angelo si trovi a Goat Island, quindi teoricamente ci sono già stati. It's so confused ma seguirò la serie

Btw, Rafe che si aspettava che Ophelia andasse da lui dopo la morte del padre e lei che si sente male quando lo vede con Sofia? 😭😭

Mi mancano i momenti in cui pur litigando, sapevano di potersi sempre rifugiare l'uno nell'altra e sapevano di essere legati, mentre ora sembra essersi rotto qualcosa fra di loro :(((((

So solo che hanno così tanto di cui parlare...

(questo è il continuo del capitolo precedente, per questo è meno lungo, ma se lo avessi unito, sarebbero state più di 10000 parole tipo, quindi l'ho diviso).

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