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026 il phantom - 2

capitolo ventisei
( il phantom - 2 )





Ophelia era poggiata contro un tronco poco lontano il molo con un'espressione preoccupata mentre osservava il cielo iniziare a scurirsi in lontananza. Era in arrivo una tempesta, una grande tempesta, e sembrava davvero buffo considerando che John B si sarebbe imbarcato di lì a poco. Farlo con un cielo del genere era davvero da pazzi, ma meglio affrontare una tempesta piuttosto che finire a marcire in carcere ingiustamente.

Era tutto pronto. Il Phantom era ancorato al molo e in cabina c'erano tutte le borse con le provviste e con qualunque cosa potesse essere utile a John B durante il suo viaggio della speranza — o meglio, salvezza.

JJ aveva pensato alle tappe, a dove si sarebbe dovuto fermare e a dove loro avrebbero avuto l'opportunità di rivederlo. Contava massimo due mesi. Due mesi senza John B. Il solo pensiero creava un magone allo stomaco di Ophelia.

Come se non bastasse, ripensava anche a Rafe, al modo in cui Pope lo stava uccidendo, al modo in cui le aveva chiesto aiuto con lo sguardo, al modo in cui era ai suoi piedi impregnato di sangue. Sapeva che avrebbe dovuto essere indifferente, in particolare dopo tutto ciò che aveva fatto Rafe ai suoi amici, a Peterkin e a lei... ma Ophelia, fortunatamente — o forse sfortunatamente — possedeva un cuore, delle emozioni, dei sentimenti, e vedere una persona accasciata per terra con del sangue in volto, di certo non la faceva sorridere. Soprattutto se aveva condiviso qualcosa con quella persona. Soprattutto se aveva sperato, nel profondo, che quella persona migliorasse.

Già. Il suo lato ingenuo aveva sperato che Rafe cominciasse a cambiare, che smettesse di cercare la validazione di suo padre, che diventasse una persona nuova. Magari chissà, in quel modo un giorno i Pogues lo avrebbero perdonato, sarebbero riusciti a vederlo solo come un ragazzo ferito, e Ophelia sarebbe riuscita definitivamente a superare quella linea di confine che le avrebbe permesso di aprirsi totalmente a lui.

Rafe però aveva scelto la strada peggiore. Non era migliorato, non era diventato una persona nuova, i Pogues non l'avrebbero mai perdonato, non l'avrebbero mai visto solo come un ragazzo ferito, e Ophelia non avrebbe mai superato quella linea di confine. Come avrebbe potuto farlo in quelle condizioni? Come poteva permettergli di entrare nel suo cuore dopo ciò che aveva fatto?

Avrebbe voluto dire che fosse meglio così, ma non sarebbe stata la verità. Sarebbe stato decisamente meglio il cambiamento di Rafe piuttosto che la morte di Peterkin e tutto ciò che ne era conseguito. Sarebbe stato decisamente meglio aprirgli il suo cuore, perché quello avrebbe significato che fosse una persona nuova, una persona capace di farsi piacere da lei. Piacere per davvero.

Ma lei non poteva farsi piacere una persona del genere. Se solo ripensava al suo sguardo e al suo sorriso di quel pomeriggio, le venivano i brividi, e, Dio, ancora non riusciva a capire per quale motivo avesse premuto quel dannato grilletto. Le dinamiche della vicenda non le erano ben chiare, e John B non era entrato nei dettagli perché troppo sconvolto. Zero dettagli. Niente di niente.

Una parte di lei ancora cercava una giustificazione. Insomma, aveva semplicemente premuto il grilletto come se niente fosse? Improvvisamente? Perché diavolo lo aveva fatto? Non aveva ben chiaro tutto,
ma non le importava. Aveva ucciso una persona e quello bastava... no?

Doveva bastare.

«Ehi» fu la voce di JJ che la destò dai suoi pensieri, e immediatamente la ragazza alzò gli occhi su di lui.

Mise su un flebile sorriso. «Tutto ok? Sai, per Barry. Non ci è andato—»

«Sono abituato, lo sai. Ho il corpo di ferro, ormai» disse, dandosi delle pacche sul petto e facendo ironia sui pestaggi di Luke.

«Jay...» lo ammonì, imbronciata. Poi sospirò, puntando gli occhi su Pope, intento a sistemare le ultime cose sul Phantom. «Ancora non ci credo che stesse per ammazzarlo» mormorò.

«Chi non vuole ammazzare Rafe?» chiese retoricamente, ricordando poi con chi stesse parlando. «Beh, sì... insomma... questa situazione l'ha reso molto teso» si affrettò a dire.

Ophelia concordò. «Nelle ultime ventiquattro ore si è comportato come Dottor Jekyll e Mister Hyde» annuì lei. «E ha iniziato da quando ha fumato l'erba» gli lanciò un'occhiata.

«Ehi, non guardarmi così! — si difese — Io credo che ne avesse bisogno, invece» annuì, convinto.

«Ma dov'è finito?!» esclamò improvvisamente Kiara, guardandosi attorno con preoccupazione.

Pope sospirò. «Sarà qui a momenti» rispose, secco.

«Sta arrivando. Andrà bene» concordò JJ, risalendo sul Phantom e guardandosi attorno.

Improvvisamente, l'espressione di Ophelia mutò nel momento in cui sentì avvicinarsi la sirena della polizia, e imprecò quando vide l'auto parcheggiare poco lontano da loro. «Merda».

«JJ!»

«Ehi, salta in barca, forza!»

«Slega la cima!»

«Cazzo!»

Ma quando la rossa vide una chioma familiare uscire dalla volante, il suo cipiglio si sciolse e un sorriso spontaneo le nacque sul volto.

«Non ci credo!» disse sollevata e divertita, correndo verso di lui e tuffandosi fra le sue braccia. «John B» mormorò con le lacrime agli occhi, felice che fosse vivo, felice che fosse lì, felice che potesse andare via anziché finire in carcere.

«Lia, ehi» le sussurrò all'orecchio, stringendola forte e beandosi il primo contatto umano da parte di una persona che non voleva sbatterlo in carcere. Da parte della sua migliore amica.

«John B!»

«No, dai!»

«Dai, non è possibile!»

«No, cazzo!»

«Incredibile!»

Quando i due sciolsero il loro abbraccio, John B indicò l'auto della polizia. «Sapete, l'ho presa in prestito da Shoupe» mise su un sorrisetto.

«Mh mh — annuì Ophelia, divertita — Sono certa che Shoupe sia stato felice di farti fare un giro sulla sua volante» aggiunse, ridacchiando.

«Oh, decisamente» replicò, guardandola.

«Ok, certo, ci credo. Per ora» rise Kiara, abbracciandolo.

«Non è stato facile, ma ti ho preso il Phantom e corre come se fosse nuovo di zecca!» JJ gli lanciò le chiave della barca. «Sei pronto?» gli chiese.

Improvvisamente, l'espressione di John B cambiò a quella domanda, e si guardò attorno. «Dov'è Sarah?» chiese allarmato.

«Non è con te?» domandò la castana, confusa.

«No, no, ci siamo divisi — scosse la testa — Avevamo appuntamento qui!» spiegò, agitato.

Ophelia mise su un'espressione dispiaciuta. «Noi non la vediamo da giorni, John» gli disse.

«John B, non hai molto tempo» fece presente Pope.

Era oramai chiaro che dovesse andare via, con o senza Sarah.

Lui non parve essere della stessa opinione. «Beh, senza di lei non me ne vado» chiarì, scuotendo la testa.

JJ decise di prendere in mano le redini della situazione nel tentativo di farlo ragionare. «John B, guardami — gli si piazzò davanti — Posso capire che ti dispiaccia, ma il tempo stringe. Hai il carburante e un bel po' di cibo. Appena doppi la punta, attraversi dritto il Sound fino alla palude di Dismal, ok? E una volta lì, ti metti tranquillo per un po', almeno un paio di settimane. E poi riparti e attraversi la frontiera a Brownsville. Tutto chiaro? Brownsville!» gli disse, guardandolo attentamente negli occhi.

John B, però, non rispose. Si limitò a osservarsi attorno, per nulla desideroso andare via senza Sarah.

«Ehi!» il biondo lo richiamò. «Hai capito?!» gli domandò con serietà.

«Sì, sì, Brownsville» mormorò lui, arreso.

JJ gli diede una pacca sulla spalla. «Ok, monta in sella, cowboy del mare. Vai» sorrise.

Il ragazzo salì sul Phantom, ma poi, improvvisamente, si voltò verso i suoi quattro amici fermi sul molo. «Ehi — li richiamò — Mi dispiace... in pratica ho mandato all'aria tutta la nostra caccia al tesoro» i suoi occhi si inumidirono nel dire quelle parole.

Ophelia, dal canto suo, dovette fare appello a tutte le sue forze per non piangere. Sapeva che le lacrime di John B fossero dovute più al fatto che stesse per partire senza di loro che al tesoro in sé e per sé. Non avevano mai trascorso un solo giorno separati, e andare via perché era diventato un fuggitivo non era facile da digerire, soprattutto per un sedicenne.

«Tranquillo, John B — rispose il biondo — Sarebbe successo comunque prima o poi, no?» mise su un sorriso.

«Si» ridacchiò. Le lacrime che iniziavano ad abbandonare i suoi occhi.

«L'importante è essere uniti» aggiunse JJ, passando un braccio attorno alle spalle di Pope e di Ophelia, che, a sua volta, strinse Kie in un semi abbraccio. «Stile Pogue» sorrise.

«Stile Pogue» ripeté John B, annuendo.

Nel momento in cui fece per andarsene, Ophelia lo richiamò. «Ehi, John B! — lui si voltò immediatamente — Fa' attenzione. Ti voglio bene».

Il castano sorrise dolcemente, con le lacrime che ancora gli solcavano le guance. «Sempre» annuì. «Ah, e Lia... ricordi quando in primo liceo ti sei svegliata con una ciocca bruciata e sei stata costretta a tagliare i capelli?» le domandò.

«Sì?» chiese confusa.

«John B, no!» disse a denti stretti JJ.

Lui lo ignorò. «Beh, siamo stati io e JJ. Volevamo farti uno scherzo, ma il fuoco è... divampato, ecco».

A quelle parole, lei spalancò gli occhi. Ricordava come se fosse ieri quel giorno. In pratica, era la sua prima sbronza e si trovava con John B e JJ. Era crollata sul divano. Il giorno dopo si era svegliata con una ciocca di capelli bruciata, e i ragazzi l'avevano convinta che fosse stata lei stessa a farlo, e ci aveva creduto. Dovette tagliarseli e pianse per una settimana.

Poi scoppiò a ridere. «Bastardi!» scosse la testa, divertita. «Ora fila via, John B, ti prego» quasi lo supplicò. Rapido e indolore.

«Adesso! Ci vediamo tra due mesi in Messico!»

«Ti voglio bene».

Prima che John B potesse entrare nella cabina, si voltò di nuovo verso di loro. «Ehi, ehm... salutate Sarah da parte mia» disse con la voce incrinata.

Seguirono attimi di silenzio. Onestamente, nessuno di loro sapeva se avrebbero rivisto Sarah Cameron. Insomma, non era lì, e i motivi potevano essere due: o aveva deciso di tirarsi indietro o suo padre era riuscito a prenderla. In entrambi i casi era difficile che potessero riavvicinarsi a lei.

Ciononostante, annuirono.

«Ricordati... — disse JJ — Attraversa la frontiera a Brownsville, ok?»

«Va bene».

Furono quelle le ultime parole di John B prima che mettesse in moto il Phantom e andasse via.

Finalmente Ophelia permise alle lacrime di scendere. «Lo rivedremo, vero?» chiese con voce tremante.

«Sicuro» disse JJ, ma sembrava voler convincere più se stesso che lei.

I due ragazzi si guardarono prima di allontanarsi dal molo. Ophelia aveva il cuore pesante. Credeva fermamente che fosse tutto così ingiusto. John B era stato costretto ad andare via a causa di un omicidio che non aveva commesso, e tutto perché l'accusatore era Ward Cameron, il signore dell'isola.

Perché non esisteva giustizia? Perché i ricchi dovevano sempre avere la meglio? Sì, erano anni che sapeva come girasse il mondo, ma perché? Era questo che non capiva. Perché i ricchi avevano così tanto potere? Perché i loro soldi riuscivano a corrompere tutti? Perché le persone non erano leali e giuste?

Fu la mano di JJ a farla fermare. Gliel'avvolse attorno il braccio e le fece un cenno col capo. Voltandosi, la ragazza strabuzzò gli occhi quando sul molo vide Kiara e Pope baciarsi.

«Sto sognando o—»

«No, credo stia succedendo davvero» lo fermò Ophelia.

Se da un lato era felice per Pope, dall'altro non poteva che domandarsi perché effettivamente Kiara lo stesse baciando. Ok, era stata lei a dirle di provarci, ma non credeva che lo avrebbe fatto sul serio. Insomma, era fermamente convinta del fatto che a Kiara non piacesse Pope. Onestamente, sperava solo che non lo stesse illudendo.

«Non so... credi che dovremmo imitarli o...?» JJ non continuò la sua frase, ma non ce ne fu bisogno.

Ophelia ridacchiò divertita, dandogli una leggera spinta. Era davvero felice di averlo al suo fianco. Sul serio. Era sempre in grado di farla ridere, in qualsiasi circostanza. Quella era senza dubbio una delle specialità di JJ.

Quando finalmente si staccarono, iniziarono ad incamminarsi verso l'auto di Kiara, ma prima che potessero raggiungerla, numerose volanti della polizia vennero parcheggiate davanti a loro, e gli agenti scesero da esse.

«Forza, mani in alto! Subito!»

«Bratcher, dì ai tuoi di abbassare le armi — Shoupe si rivolse ad un agente dell'SBI — Voglio parlare con i ragazzi» aggiunse, avvicinandosi a loro.

Poco dopo, i poliziotti abbassarono le armi mentre i Pogues continuarono a tenere le mani alzate a mo' di difesa.

«Allora, dove diavolo sta? Dove diavolo sta?!» urlò l'uomo contro di loro, che non risposero. «JJ, vedo che sei all'altezza della tua nomea. E tu Pope? Non stiamo giocando, cazzo! Quindi fa' la cosa giusta! Dov'è andato?!» continuò a gridare.

Non risposero nemmeno quella volta.

«Il ricercato ha lasciato il Molo 26 su un motoscafo. Allertate la Guardia Costiera» disse un agente al walkie-talkie.

Bene, ora toccava a John B.

I ragazzi, muti come dei pesci, furono caricati nelle volanti. Ophelia e Kiara, e Pope e JJ. Non avevano idea di dove sarebbero stati portati, ma certamente non a casa. Come minimo li avrebbero interrogati per tutta la notte, e solo viaggiando in quell'auto della polizia Ophelia si rese effettivamente conto del fatto che l'isola fosse piena zeppa di agenti, tutti lì per arrestare John B. Era così assurdo.

Quando arrivarono a destinazione, era oramai buio pesto. Le auto della polizia vennero fermate nel punto esatto in cui era stata allestita la base operativa di tutta l'intera operazione. C'era un via vai di agenti, enormi tendoni pieni zeppi di squadre pronte ad intervenire. C'erano perfino i Servizi Segreti e i giornalisti, pronti a ficcare il naso in quella storia, a capirci di più e ad essere i primi a dare la notizia di un possibile arresto del criminale, ora fuggitivo.

«Seguite Plumb nella tenda e aspettate» fu l'unica cosa che disse Shoupe quando i ragazzi scesero dalle auto della polizia.

Eseguirono gli ordini senza ribattere, oramai tutti allo stremo delle loro forze.

«Venite, ragazzi! Da questa parte!» li richiamò la donna, e loro la seguirono.

«Hanno ucciso una persona» continuavano a borbottare i giornalisti.

«Seduti. Non vi muovete. Dobbiamo parlare di molte cose» Shoupe li guardò attentamente. «Tieni d'occhio i ragazzi» si rivolse all'agente prima di allontanarsi.

«Abbiamo piazzato dei posti di blocco a Masonboro e in tutte le altre baie da Shem Creek a Breach Inlet. Voglio che tutti i punti d'accesso costieri siano controllati. Signori, prendiamolo!»

«Sarah Cameron è con il sospettato, agenti!»

A quelle parole, Ophelia sentì una morsa allo stomaco. Le dispiaceva che la ragazza fosse stata trascinata in tutto quello. Sul serio, una parte di lei desiderava con tutta se stessa che Sarah avesse continuato ad essere la Principessa Kook senza immischiarsi in quella storia. Aveva praticamente perso ogni cosa da un giorno all'altro. Allo stesso tempo, non poteva non sentirsi sollevata per il fatto che avesse scoperto la verità sul suo finto perfetto padre, e, soprattutto, era felice che John B avesse qualcuno al suo fianco mentre affrontava il suo ingiusto destino. Qualcuno che amava.

Era quella l'unica cosa che riuscì a risollevare, in parte, Ophelia: il fatto che John B non fosse solo.

Ma durò solo un attimo. Quella tenda pullulava di agenti. C'era un parlottare continuo, un via vai inarrestabile, e Ophelia sentiva fermamente di essere vicina a un attacco di panico.

Era abbastanza certa di trovarsi in uno stato di derealizzazione totale. Si sentiva vittima di una strana alterazione della percezione del mondo esterno, tanto che la realtà le sembrava estranea, lontana e rimpicciolita, deformata ed irreale. Era quasi come se la stesse osservando con un microscopio o una lente, e tutte quelle chiacchiere non erano altro che lontani brusii sovrapposti e incomprensibili. Non era in grado di concentrarsi su un preciso particolare o di comprendere a pieno cosa stessero dicendo le persone attorno a lei. Si sentiva lontana dal suo stesso corpo. Era come se le cose andassero a rallentatore.

Ancora non aveva metabolizzato tutta la situazione, e probabilmente non lo avrebbe mai fatto. Ancora le sembrava assurdo tutto ciò che era successo negli ultimi giorni. Erano cose folli, senza alcun senso. Cose che loro non avrebbero dovuto affrontare.

Cavolo, sarebbe dovuta essere solo un'estate come le altre, un'estate passata a divertirsi continuamente, e invece tutto era andato a rotoli giorno dopo giorno.

Si sentiva persa, smarrita. Neanche si era resa conto del fatto che Pope le avesse poggiato la mano sulla gamba nel tentativo di calmare il suo su e giù continuo e nervoso. L'unica cosa che riuscì a capire fu che il Phantom si stesse dirigendo dritto dritto verso la tempesta. Lampi, tuoni, pioggia violenta e mare agitato che avrebbe potuto inghiottire quella barca. Un'onda di tempesta peggiore di Agatha, capace di spazzare via cittadine intere.

Ophelia era pietrificata mentre ripensava a tutto quello che aveva trascorso con quei ragazzi, soprattutto in quell'estate. Si erano cacciati in un mare di guai, ma poi si erano infilati, consapevolmente, in cose più grandi di loro e non si erano fermati. Mai. Davanti a nulla.

Era stata un'estate folle piena di colpi di scena e di cose che Ophelia neanche avrebbe mai immaginato di fare: entrare nella stanza di un motel di un morto, entrare nella tomba della trisavola di John B, picchiare i Kooks, rubare a casa di uno spacciatore, avere pistole puntate contro numerose volte, trovare e perdere l'oro della Royal Merchant, rischiare di rimanerci secca a causa di una vecchia ottantenne cieca, avvicinarsi a un attuale assassino, e dire "arrivederci" al suo migliore amico.

Di certo, non poteva dire di non aver vissuto un'estate movimentata. Non poteva dire di non aver vissuto.

Ma avevano solo sedici anni.

Forse avevano sbagliato, forse avrebbero dovuto fermarsi, forse non avrebbero dovuto insistere troppo, forse avrebbero dovuto ascoltare i grandi anziché pensare di essere loro i grandi e di poter affrontare tutto da soli.

Eppure lo avevano fatto. Avevano affrontato tutto da soli, insieme, e avevano trovato un tesoro che le persone cercavano da più di cento anni. Poi tutto era andato a rotoli, certo, e nessuno di loro si aspettava e desiderava un epilogo del genere, ma ce l'avevano fatta.

Per dei ragazzi da sempre considerati gli ultimi della catena alimentare, anche solo aver trovato l'oro era tanto. Si erano sentiti invincibili, per un attimo... ma poi erano stati bruscamente fatti tornare con i piedi per terra dai più forti, dai ricchi.

Loro avrebbero sempre vinto. In ogni circostanza.

Il flusso dei pensieri di Ophelia fu messo a tacere da un potente e spaventoso rombo di tuono che quasi la fece sobbalzare sulla sedia. Subito dopo, ci fu la confusione più totale, e i quattro Pogues si guardarono, chiedendo poi in giro cosa fosse successo. Ma nessuno di loro ottenne risposta.

«Dannazione! Dove si sono cacciati?»

Quando Shoupe, avvolto dall'impermeabile, entrò, loro si misero in piedi.

«Li avete trovati?» domandò immediatamente Pope

«No» scosse la testa, esausto.

«Sono andati via?» chiese ancora Kiara.

Shoupe rimase in silenzio per qualche secondo, incapace di parlare, forse perché non riusciva a trovare le parole giuste, il modo esatto per esprimersi a loro quattro.

«Shoupe — lo richiamò Ophelia — Parli, per favore» lo supplicò.

Fece un profondo sospiro. «I ragazzi sono dispersi» disse, guardandoli. «Mi dispiace».

La rossa sentì il cuore perdere qualche battito. Non sapeva esattamente cosa significasse per loro il termine "dispersi", ma vista la sua espressione e la tempesta, di certo non era una cosa positiva.

«C—che intende?» domandò, tremante.

«Dispersi? Come sarebbe a dire? Sono andati via? Di che diavolo parla?!» chiese anche Pope, visibilmente confuso e allarmato.

Shoupe deglutì. «Sono su una piccola barca in una depressione tropicale...» spiegò.

Non disse le cose come stavano, non utilizzò le parole esatte, ma era evidente che voleva che i ragazzi ci arrivassero da soli. Trovarsi in mare con una depressione tropicale... beh, significava solo una cosa.

«Sta' dicendo che... che sono morti?» mormorò Kiara. Il tono di voce che si spezzava.

Solo quella domanda, quell'insinuazione, fu un pugno allo stomaco per Ophelia, che sentì il respiro quasi mancarle.

«Non lo so» sospirò Shoupe.

«Li avete spinti voi nella tempesta! Mi prende in giro?! Vieni qui!» sbottò JJ con rabbia, cercando di afferrare l'agente per la giacca.

«JJ, fermo!» lo supplicò la castana.

«Ti ammazzo, bastardo!»

«Fermati!»

«Ti ammazzo, bastardo! L'hai ucciso!» continuò ad urlare, venendo poi bloccato da due agenti. 

Ophelia sentì le labbra tremare, segno che di lì a poco sarebbe scoppiata in lacrime. «John B non ha ucciso nessuno, Shoupe. Sa che non l'ha fatto!»

«Lo sai, Shoupe! Lo sai perfettamente!» concordò Pope, alzando il tono della voce.

«Li cercheremo ancora» tentò di rassicurarli.

«Li cercherete ancora?! John B è scappato perché volevate arrestarlo per un omicidio che non ha commesso! E lei sa chi è stato, Shoupe! Lo sa perfettamente!»

«Due ragazzi sono fuggiti per colpa vostra! Li avete ammazzati!»

«È colpa vostra! Avete ucciso John B e Sarah Cameron! Voi!»

Ophelia era senza parole. Pietrificata mentre le lacrime abbandonavano i suoi occhi. Avrebbe voluto urlare, rompere qualcosa, ma non riusciva né a parlare né a muoversi mentre metabolizzava quelle parole. Quelle assurde parole così difficili da credere.

John B e Sarah Cameron erano morti.

Non aveva senso. Non aveva nessun dannato senso. Il suo migliore amico dai tempi delle elementari non poteva essere morto. Quel bambino dai lunghi capelli castani che, otto anni addietro, si era avvicinato a lei assieme al suo compagno di crimini dai capelli biondi. Quel bambino che, per attaccare briga con lei, le porse un bracciale dicendole "hai perso questo" pur sapendo che non fosse suo. Quel bambino che la trovava speciale perché "non ho mai visto una persona con i capelli rossi". Quel ragazzo che, per spaventarla, le metteva di fianco i granchi e poi si divertiva a vederla sobbalzare dallo spavento. Quel ragazzo che l'aveva nauseata con l'intera saga di Fast and Furious, facendogliela vedere a ripetizione ogni due mesi. Quel ragazzo con cui era piacevole e comunicativo perfino condividere i silenzi sull'amaca.

E Sarah Cameron, la Principessa Kook, la ragazza più dolce che avesse mai avuto l'occasione di conoscere. La ragazza che aveva rinunciato alla vita perfetta, che si era tirata fuori dall'imballaggio, che aveva scelto i Pogues anziché i Kooks. La ragazza disposta a perdere ogni cosa se questo significava fare ciò che era giusto. La ragazza che aveva fatto tornare il sorriso al suo migliore amico.

E per cosa erano morti, esattamente? A causa delle ingiustizie, di un sistema corrotto, a causa della potenza dei ricchi e della stupidità della polizia.

Senza rendersene neanche conto, Ophelia si ritrovò stretta fra le braccia di suo padre, e solo quando scoppiò davvero a piangere e si aggrappò alla sua maglia, notò come i genitori di tutti i suoi amici fossero entrati in quella tenda. I genitori di tutti meno che quelli di JJ, che se ne stava in disparte con gli occhi lucidi e il capo chino.

Allungò istintivamente il braccio verso di lui, attirando la sua attenzione. Il biondo, inizialmente perplesso, si ritrovò a lasciarsi stringere fra le braccia della persona più vicina ad un padre che avesse mai avuto.

«Mi dispiace così tanto, papà» la ragazza pianse disperatamente contro di lui, stringendogli con forza la maglia.

«Shh, tranquilla amore, tranquilla. Va tutto bene».

Ma niente andava bene.

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Ophelia ancora non aveva metabolizzato nulla di tutto quello che era successo poche ore prima. Era stato tutto così assurdo, folle, che ancora faceva fatica a rimettere assieme i pezzi del puzzle e a ricostruire la notte più brutta della sua vita.

Prima era al molo, poi circondata da agenti, poi John B e Sarah erano stati dati per dispersi, poi loro erano stati interrogati, e poi era stata portata a casa da suo padre. Non aveva detto una parola. Non una sola parola era uscita dalla sua bocca. Né con la polizia né con suo padre.

Lo shock e l'incredulità erano ancora troppo forti da superare. O forse era solo lei a non volerci credere. Insomma, come facevi a credere alla morte del tuo migliore amico? La stessa persona con cui, pochi giorni prima, eri a ridere e a scherzare?

No, non aveva senso.

Ancora si autoconvinceva del fatto che l'indomani si sarebbe alzata col sorriso e sarebbe corsa allo Chateau. Lì avrebbe svegliato John B con un secchio d'acqua, e poi avrebbe trascorso la sua giornata con i suoi amici. Si sarebbe divertita con loro, avrebbero surfato, nuotare, scherzato, riso, e vissuto.

L'avrebbero fatto, vero?

Continuava a dirsi di ogni volta che si poneva quella domanda, e tutt'ora lo faceva. Seduta in veranda con lo sguardo fisso sugli alberi di fronte, sussurrava dei flebili "" mentre il buio della notte l'avvolgeva. Era tardi, molto tardi. Lei e suo padre erano tornati a casa circa un'ora prima, e dopo essersi assicurato che sua figlia fosse a letto, Eddie era andato a dormire.

Ophelia non sapeva esattamente quando avesse raggiunto la veranda, ma sentiva il bisogno di aria. Chiusa in quelle quattro mura piene di ricordi di John B, non riusciva a stare.

«Ophelia...»

Drizzò la schiena e rabbrividì. Gli occhi si spalancarono di scatto e una miscela di emozioni negative presero il sopravvento mentre alzava lentamente il capo. E poi lo vide, lì in giardino: il responsabile di tutto quello.

Rafe Cameron se ne stava lì, agitato come ogni volta che andava da lei. Era spaventato, sull'orlo di una crisi di pianto. La guardava, la supplicava, e nel frattempo si torturava le dita delle mani.

Ophelia serrò la mascella, osservandolo con occhi vuoti. Si alzò lentamente dal divano, camminando verso di lui senza staccargli gli occhi di dosso.

Quando furono uno di fronte all'altra, si bloccarono entrambi. Si guardarono a lungo. Gli occhi di lei erano intrisi di odio. Gli occhi di lui chiedevano solo aiuto. Ma lei non lo avrebbe aiutato, non quella volta.

Poi la mano destra di Ophelia colpì violentemente la guancia di Rafe. E quello fu solo il primo dei tanti schiaffi e pugni che gli diede, facendolo indietreggiare ad ognuno di essi.

«Con quale coraggio vieni qui dopo quello che hai fatto? È tutta colpa tua! Avresti dovuto assumerti le tue responsabilità e niente di tutto questo sarebbe successo — urlava senza dargli nemmeno il tempo di ribattere — John B e Sarah sarebbero ancora vivi, Rafe! Tu hai ucciso Peterkin!»

Fu a quelle parole che Rafe le bloccò i polsi e la fece fermare. Un guizzo di rabbia attraversò i suoi occhi lucidi, ma non le urlò contro. Piuttosto, una lacrima solcò la sua guancia.

Scosse la testa. «No» sussurrò con voce tremante. «No, Ophelia. Stava per premere il grilletto. Lei— lei lo stava facendo!» annuì, deglutendo.

«Lei voleva solo arrestare tuo padre!» gli gridò contro, sentendo le lacrime minacciare di uscire.

«Gli avrebbe sparato alla testa!»

«No, Rafe! No! Lei voleva—»

«Non potevo stare lì senza muovere un dito, ok? Stava per ucciderlo!» le gridò contro, facendola zittire. «Sì. Sì... stava per ucciderlo» sussurrò più a se stesso che a lei, quasi come se, convincendosene, potesse alleviare quei sensi di colpa che lo avrebbero perseguitato per tutta la vita.

«Rafe—»

Tornò a fermarla. «Sì. L'ho salvato — la voce iniziò ad incrinarsi — Cos'avrei dovuto fare, eh? Stare a guardare? Sperare bene? No, senti, io sono una persona proattiva. Ophelia, io sono una persona proattiva!» continuò ad urlare. «Dovevo aiutarlo. Sono io che risolvo i problemi in famiglia. Io ho salvato la vita a mio padre. Io

E fu allora che Ophelia capì le dinamiche della morte dello sceriffo Peterkin. Aveva ucciso Peterkin per proteggere suo padre. L'aveva vista puntare una pistola contro l'uomo da cui cercava da sempre l'approvazione, e l'aveva sparata, convinto, in qualche modo, che così non solo avrebbe salvato la vita a suo padre, ma che Ward si sarebbe anche congratulato con lui, ringraziandolo e dandogli finalmente dell'affetto.

L'aveva salvato lui, non Sarah. Lo aveva fatto con l'obiettivo di proteggere suo padre, per mostrargli la sua lealtà, per mostrargli che fosse lui il figlio in grado di proteggerlo, e non sua sorella.

E fu quello a spaventarla maggiormente: per ricevere l'approvazione di Ward, non si sarebbe fermato davanti a niente. Ophelia tremò a quella consapevolezza. I suoi occhi erano impauriti. Aveva paura di Rafe, che le stava impazzendo davanti e che la teneva stretta e vicina a sé.

«Lasciami» mormorò, quasi lo supplicò. «Ti prego, Rafe, lasciami...» una lacrima sfuggì al suo controllo.

Il ragazzo tornò a guardarla negli occhi, e finalmente lo vide. Vide il Rafe a cui si era avvicinata, quel Rafe per cui aveva provato empatia, quel Rafe umano che aveva piantato uno, o forse due mattoni nel suo cuore. Era ancora lì. Era lì quel Rafe semplicemente impaurito, quel Rafe che finalmente mostrava sensi di colpa per ciò che aveva fatto.

«Hai paura di me?» fare quella domanda lo fece tremare. «Io— io non ti farei mai del male, Ophelia» quasi si aggrappò a lei, stringendola a sé.

Fece scontrare le loro fronti, continuando a tenerla vicina. Entrambi avevano le lacrime agli occhi. Entrambi piangevano perché in fondo, in una parte dei loro cuori, avrebbero voluto che le cose andassero diversamente, avrebbero voluto altro... ma ora, per Ophelia, era difficile, impossibile, che ciò si avverasse.

«Rafe... l'hai fatto. Mi hai fatto del male» gli rispose con la voce rotta dal pianto, tenendo gli occhi chiusi così come lui.

Lo sentì scuotere la testa lievemente. «No, non è vero— non è vero. Non te ne farei mai...» continuò, chiedendole di credergli.

La ragazza respirò tremante. «Hai uccis—»

«Lo capisci, vero?» la fermò, aprendo gli occhi e portando lei a fare lo stesso.

«Cosa?» chiese in un sussurro.

«Perché l'ho fatto. Ti— ti prego, dimmi che tu lo hai capito» una lacrima scese verso il basso. «Mio padre era nei guai e io... io l'ho protetto. Ok? Io, Lia. Rafe. Non Sarah, ok? Ma io. Dimmi che...»

Non concluse la sua frase confusionaria perché scoppiò a piangere. Disperatamente. Le pianse davanti, mostrandole tutto il suo rimorso, tutti i suoi sensi di colpa, e lei non poté che chiedersi come avrebbe fatto ad andare avanti in quello stato, tenendo quell'enorme peso dentro.

Come avrebbe fatto a vivere così?

Rafe si sentiva in colpa. Era capace di provare rimorso, e se quel pomeriggio era con Barry, significava solo una cosa: era andato da lui per anestetizzare tutto il dolore che provava.

E se Rafe si sentiva in colpa, era spaventato e impaurito, la colpa non poteva che essere di Ward Cameron. Certo, Rafe aveva premuto il grilletto, ma era stato Ward a dare la colpa a John B per proteggere suo figlio che, in risposta, aveva accettato per non finire in carcere.

E da un lato lo capiva, sul serio. Aveva diciannove anni, quasi venti... ma un'altra persona aveva pagato per i suoi errori, e lei non riusciva a stare accanto a colui che aveva rovinato la vita al suo migliore amico.

«Scusami...» sentì dire da Rafe, le cui labbra presero a baciarle le lacrime.

Una lacrima. Due lacrime. E poi si poggiarono delicatamente sulla sua bocca. Premettero lì per qualche istante. Era bisognoso di affetto, di comprensione... ma lei non poteva darglielo.

Quando si staccarono, Ophelia affondò la testa nel petto del ragazzo, che la strinse a sé come se da quello dipendesse la sua stessa vita.

«Rafe... ti odio. Ti odio così tanto» sussurrò, scuotendo la testa e piangendo.

In risposta, la strinse più forte a sé. «No... no...»

Sì, invece, lo odiava. Lo odiava così tanto perché avrebbe voluto che facesse le cose diversamente, avrebbe voluto che avessero una possibilità.

Certo, aveva appena avuto la conferma del fatto che Rafe non fosse uno psicopatico. Insomma, gli psicopatici non avevano una coscienza ed era abbastanza chiaro che Rafe ne avesse una. Andava nel panico e piangeva per ciò che aveva fatto, e poi andava alla ricerca di droga perché non sapeva come altro affrontare quello che aveva fatto... Ma questo non cambiava le cosa.

Era finita, ormai.

Si staccò da lui, trovando finalmente la forza di farlo. Con il volto distrutto e le lacrime a bagnarle il volto, prese parola. «Ti prego... Ti scongiuro, Rafe, va' via. Ti supplico. Sparisci» lo supplicò.

Rafe scosse la testa. Gli occhi ancora lucidi che chiedevano aiuto. «Ophelia—»

«Va' via, Rafe!» alzò il tono della voce, indietreggiando.

Lui si fermò. Deglutì profondamente e chiuse gli occhi, forse rendendosi conto del fatto che lei facesse sul serio. Doveva andare via.

Non disse nulla. Si limitò a guardarla un'ultima volta prima di girare i tacchi e andare via.

Lei, in risposta, si strofinò il volto impregnato dalle lacrime. Nel momento in cui lo vide sparire, si disse di aver fatto la cosa giusta e tornò in casa. Aprì la porta nell'esatto momento in cui suo padre uscì dalla sua stanza.

«Ehi, è tutto ok? Ho sentito—»

«Era Rafe. Rafe Cameron» andò dritta al punto.

L'espressione preoccupata di Eddie mutò. Strinse la mascella e serrò i pugni. «Ophelia, voglio che tu stia lontano da lui, e non te lo sto chiedendo».

«Starò lontana da lui, te lo giuro».










































TADANNNNN FINE PRIMA PARTE!!!

Ancora non riesco a credere di aver finalmente finito di scrivere questa prima parte piena di colpi di scena, ma posso ritenermi più o meno soddisfatta. Inoltre, come potete vedere, ho deciso di dare anche una scena finale a Rafe e Ophelia, la cui ultima conversazione "calma" risaliva a prima dell'uccisione dello sceriffo.

Nonostante stesse crollando e fosse vulnerabile davanti a lui, la nostra ragazza gli ha detto "addio", ma, insomma, sappiamo tutti che... 😎😎

Btw, una sola parola: TOXIC. Non so perché ma il rapporto fra loro due mi sa tanto di quello fra Mickey e Ian di Shemeless, e per quanto io li ami, sono stati davvero molto tossici all'inizio. (o anche Klaus e Caroline che giocavano in due squadre diverse e lui ha fatto del male a tutti i suoi amici)

Comunqueee, a parte le chiacchiere, ci vediamo prestissimo con la seconda parte. W i Pogues 🫶🏻

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