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XLII. Tic Tac

Orion

Non gli piaceva dover mentire di continuo alle persone che amava. Era difficile. Avrebbe voluto una vita tranquilla, ma la ragnatela di menzogne, che aveva costruito -e in cui era rimasto intrappolato lui stesso-,
era diventata così fitta che non sapeva più sbrogliarsene.

Arthur guidava l'auto, diretto verso il luogo di incontro con Syria. Se ne stava in silenzio a fissare distrattamente la strada.

Orion si mosse nervoso sul sedile. Aveva una strana sensazione addosso, non riusciva a spiegarselo bene. «Perché sei così silenzioso?»

Arthur lo guardò di sbieco. Sospirò piano e scosse il capo. Sterzò a sinistra, ricordandosi all'improvviso di dover svoltare. «Non lo so. Dover parlare con Syria non mi piace. Credo sia coinvolta con la Serpents e che non sia vero che voglia vederti per chissà quale grande romantico sentimento.»

Orion ghignò appena. Forse fare una battuta stupida, però, non era conforme alla situazione. Fissò la strada fuori al finestrino. «Senti... ne abbiamo passate tante, mh? Supereremo anche questa.»

Arthur storse il naso. «Non lo so, Orion. Credo che dovremmo dire la verità a tutti sulla storia di Pollux.»

«Era irrecuperabile... non è stata colpa tua.» Orion sentiva lo stomaco contorcersi su se stesso ogni volta.

L'allucinazione di suo fratello era lì con loro, seduto sui sedili posteriori. Lo fissava con odio represso, come se volesse strozzarlo. Lo stesso sguardo che gli aveva riservato l'ultima volta che si erano visti.

«Credi che vi perdoneranno, dopo tutto quello che avete fatto alla vostra famiglia?»

Orion strinse i pugni, ignorando le parole del fratello. Avevano dovuto prendere delle decisioni. Avevano dovuto difendersi. Pollux aveva iniziato a detestarlo così visceralmente che era difficile cercare di risanare il rapporto.
Aveva iniziato a bere, ad essere violento, senza nessun motivo apparente. Orion aveva assistito a diversi litigi tra Pollux e i suoi genitori.
Ricordava bene come cercava di tenere distratti Eris e Leon, quando le urla rimbombavano per la casa.
Orion alzava la musica a mille e ballava insieme a loro, approfittando dei corsi pomeridiani di Altair e Andromeda.

Suo fratello lo tormentava anche quando era all'accademia. Gli inviava lettere sconclusionate, lo accusava di aver rovinato l'intera famiglia, perché, a causa sua, i genitori avevano deciso di non portare avanti e mantenere le redini della vecchia agenzia di famiglia.
Orion era abituato ad assumersi le colpe del mondo, d'altronde non avrebbe dovuto nemmeno essere un sopravvissuto.
Si era accontentato di apparire come l'antagonista della storia del fratello, ma ben presto le accuse divennero sempre più violente, sfociando in gesti di rabbia ingiustificata.

Pollux credeva che Orion avrebbe cercato di ereditare tutte le proprietà della loro famiglia. Ne era ossessionato.

Orion voleva solo parlarci, chiarire. Non si aspettava un attacco a sorpresa, né avrebbe mai reagito o fatto del male a suo fratello.
Le cose avevano iniziato a prendere strane pieghe negli ultimi tempi.

Arthur lo riportò alla realtà, con una frenata improvvisa. «Scusa... dannati ciclisti.» bofonchiò scocciato. Svoltò in un vecchio vicolo e attesero alcuni istanti, per l'arrivo di Syria.

Orion fissò il profilo di Arthur. Gli occhi chiari osservavano il vuoto, la mente persa in chissà quali pensieri. Tamburellava nervoso con le dita sul volante.

«Senti, quando tutto questo sarà finito, noi dovremmo-»

Arthur si voltò a guardarlo. «Non dirlo, va bene?»

«Cosa? Senti credo siamo abbastanza sfiniti e adulti da voler smettere di far finta ogni volta che nulla sia successo, no?» Negli ultimi dieci anni, Orion aveva rimuginato tantissimo sulle sue scelte di vita. C'erano stati momenti in cui si era aggrappato ai ricordi felici della sua famiglia e ad Arthur.
Perché ovunque andasse, Arthur c'era sempre stato. E iniziava ad essere stanco di voler mantenere per forza un equilibrio che gli andava stretto. Non voleva più nascondersi o fingere per cercare di non distruggere un rapporto, che, in fondo, di amicizia aveva sempre avuto ben poco.

Arthur deglutì e annuì lentamente.
Orion aveva sempre creduto che i suoi occhi blu fossero elettrici, magnetici. Anche quando erano in Accademia o in missione, li cercava e riusciva a trovarli sempre, anche nel bel mezzo di una folla o accerchiato da sparatorie e granate. Erano la sua calamita, il suo punto fermo. Orbitare attorno a lui era sempre stato semplice, non si era mai sforzato.

Orion gli posò una mano sulla spalla, avvicinandosi piano. «Quando avrò di nuovo la mia vita indietro, non ti permetterò di scomparire. Non mi va di perderti-»

«Orion...» Arthur sbuffò piano. Lo vide tremare nervoso, mentre si portava le mani in volto.

L'aveva visto così confuso e frastornato poche volte. Si morse l'interno guancia, nell'improvviso timore di aver detto qualcosa di sbagliato, di aver interpretato male qualsiasi momento o segnale.

«Cos'hai? Arthur, lo so che c'è qualcosa che non va. Se me ne parlassi, ti giuro che ti aiuterei a risolvere qualsiasi problema. Siamo io e te, come sempre, no?» Lo scosse appena. «Arthur, guardami.»

Arthur scosse il capo. «No. Perché poi inizi a fare l'idiota e mi confondi. Lasciamo stare.» Arthur fissò davanti a sé. Provava a prendere respiri regolari.
Orion aggrottò la fronte. Avrebbe voluto potergli dire tante cose, ma Arthur sembrava un fiume in piena. «Non me lo merito, va bene? Ti ho sputato addosso così tanta rabbia per la questione di mia sorella e non te la sei mai presa. Perché? Perché devi essere così cocciutamente buono? Perché non mi hai detestato quando ho colpito tuo fratello alle spalle? Perché non mi hai mai odiato? Non lo sopporto. Quando mi guardo allo specchio mi sento un mostro. Poi ci sei tu, che mi fissi come se fossi una persona buona e allora voglio-vorrei crederci, ma non è giusto!» Diede un pugno sul volante e sbuffò nervoso.

Orion aggrottò la fronte. «Ti ricordo che mi hai salvato la vita perché mio fratello mi aveva quasi ucciso...»

Arthur serrò la mandibola. «Avresti dovuto avercela con me. Ovunque vada creo problemi. Ho rovinato la vita a mia sorella, ho mandato a puttane la tua famiglia e mi sono tirato indietro dal nostro accordo quando avevi più bisogno di me e sei stato costretto a essere morto per dieci anni.»

Orion si mosse nervoso sul sedile. Gli afferrò il polso. «Arthur, guardami.»

Arthur sbuffò scocciato. Si voltò a fissarlo e roteò gli occhi al cielo.

«I problemi del mondo non sono colpa tua. Purtroppo a volte non ci sono opzioni buone da prendere, bisogna soltanto agire. Non hai ucciso tu Pollux, lo abbiamo fatto insieme, perché l'abbiamo abbandonato lì-»

«Stavi soffocando, idiota. Se non ti avessi portato in ospedale saresti morto.»

Orion agitò la mano. «Non è solo colpa tua, va bene? Condividiamo tutto e ora anche questo. Arthur, la mia vita è tua. Mi hai salvato così tante volte che nemmeno immagini, e non mi riferisco soltanto al quasi soffocamento o a quando mi avete trovato morente. Ogni giorno, in accademia, eri un motivo per non andarmene o abbandonare ogni cosa. Quando ero solo in questi dieci anni, c'era la mia famiglia nei migliori ricordi, ma tu non mancavi mai. Non dovevo tornare solo da loro, ma anche da te. Quindi non ti azzardare a dire che non ti meriti tutto questo-»

«Ma-»

«Fammi finire. Arthur sinceramente non sono mai stato bravo in queste cose. Mi viene più semplice fare battute stupide, ma io-»

«Non dirmelo. Non dirmelo, ti prego. Non ora, non è giusto. Non me lo merito...» Arthur sbuffò. «-Orion, senti. Io devo dir-»

Sentirono bussare contro il finestrino. Orion sussultò e sorrise poi in direzione di Syria. «Un momento e arrivo.» Afferrò Arthur per la giacca avvicinandolo di poco a sé, i nasi a sfiorarsi. Fissò i suoi occhi chiari e si sentì in pace, a casa. Riuscivano a mitigare quell'oscurità che portava dentro di sé come un macigno. «Ne parliamo dopo, va bene?»

Arthur annuì. Orion si allontanò e gli ammiccò poi. Uscì dall'auto, sistemandosi la giacca di pelle e si avvicinò a Syria.

I capelli rossi erano raccolti in una lunga treccia e gli occhi verdi, incastonati come smeraldi, lo fissavano con attenzione. «Non riesco a credere davvero ai miei occhi.»

Orion scrollò le spalle. «Perché? Sono ancora bellissimo e in gran forma, eh?»

Syria ridacchiò e gli mollò un pugno sulla spalla, prima di tirarlo a sé e abbracciarlo. Gli posò poi un bacio sulla guancia e si staccò, poggiandosi poi alla parete. Intrecciò le braccia al petto e inclinò il capo. «Solo un folle come te poteva scomparire per dieci anni, come stai?»

«Sono stato meglio.» Orion alzò lo sguardo verso il cielo plumbeo e sospirò piano. «Perché volevi vedermi?»

Syria lanciò un'occhiata ad Arthur, dentro l'auto, e lo salutò con un cenno del capo.
Arthur ricambiò, visibilmente annoiato e corrucciato.

«Non capisco perché Arthur mi detesti.»

«Non ti detesta... è solo un brontolone.» Orion sorrise tranquillo. Syria aveva cercato di contattarlo in ogni modo, anche via radio. «Allora?»

«Siamo impazienti, eh?» Syria sfilò una sigaretta dalla tasca dei pantaloni. «Ricordo quanto cercavi gli scienziati che ci iniettarono il siero... immagino possa interessarti sapere dove sono.»

Orion sentì il cuore galoppargli in gola. Certo, una volta li cercava per poterli uccidere a mani nude. Adesso aveva l'opportunità per riportare un po' di serenità a Zalia e Yennefer. Non poteva farsi scappare quell'occasione.

«Certo che mi interessa.»

Syria fece un mezzo sorriso e avvicinò un'ultima volta la sigaretta alle labbra carnose. Orion la fissava con attenzione, bramava quelle informazioni, fin troppo importanti per lui.

«Conosci il vecchio ospedale psichiatrico?» Syria lo osservò quasi con una familiare malizia.

Orion si mosse nervoso sul posto. Quando era un ragazzino, spesso si ritrovava a saltare delle lezioni scolastiche, a volte anche calandosi verso il basso dalle finestre della scuola. I suoi genitori, agli inizi, erano disperati con lui, non avevano idea di come comportarsi, ma riuscivano sempre a perdonargli qualsiasi cosa.
Con gli amici si dirigeva sempre nel bosco che circondava la scuola, passando attraverso il parco. Riuscivano a sentire le urla dei professori anche fuori dall'edificio.

Si inoltravano così tanto -senza nemmeno un po' di coscienza-, fino ad arrivare vicino al vecchio ospedale psichiatrico abbandonato. In quel periodo era in ristrutturazione, la sua famiglia aveva pagato affinché venisse rimesso a nuovo e utilizzato come casa di cura per anziani.

Comunque, Orion si divertiva ad arrampicarsi tra i pilastri semi caduti, stando attento a non cadere nel vuoto o nelle piramidi di ghiaia. Si infiltravano tutti lì, approfittando delle pause durante i lavori di ristrutturazione.

Scommettevano sempre su fin dove Orion sarebbe riuscito ad arrampicarsi e vinceva sempre un bel gruzzoletto.
Finché, un giorno, perse l'equilibrio, rompendosi una caviglia.

Era sempre stato un incosciente, eppure non avrebbe mai potuto vivere senza un pizzico di pericolo e brivido.

Orion, dopo quelle rivelazioni, tornò a prestare attenzione a Syria. Avrebbe voluto chiederle cosa desiderasse in cambio, ma era altrettanto spaventato. «Perché?»

Syria aggrottò la fronte e spense la sigaretta. «Perché cosa?»

«Perché me lo stai dicendo?»

Syria sospirò piano. «Quei bastardi hanno rovinato anche la mi vita, te lo ricordi? E poi, sto cercando di sapere cos'è successo a mio fratello. Non credo sia stato ucciso dai terroristi... ho bisogno di saperlo. Merito giustizia, non pensi?»

Orion deglutì. Andrew lo accompagnava ancora nei suoi incubi. Quegli occhi scuri che lo pregavano di ucciderlo. Il suo siero lo fece quasi ammattire, oltre ai traumi accumulati. Un animo così gentile era stato devastato da una semplice formula chimica.
Andrew aveva provato a ucciderlo.
Ricordava ancora come lo avesse ringraziato, mentre spirava l'ultimo respiro tra le sue braccia.

Scosse il capo. «Andrew era diventato paranoico dopo l'ultimo incidente... sai, il bambino bomba.»

Syria mandò giù un groppone pesante. La vide tremare. Orion la conosceva abbastanza bene da sapere che stesse cercando di trattenere le lacrime.

«Non ti so dire cos'altro sia successo. Una sera mi sono svegliato nel cuore della notte e l'ho sentito urlare.» Orion aveva imparato a memoria quel copione. Lui e Robert avevano da sempre utilizzato la stessa versione. «Insieme a Robert andammo a controllare nella sua tenda, ma era scomparso. Non so dove fosse andato...» Si grattò la nuca. «A quel punto chiamammo gli altri e avvisammo della sua scomparsa.»

Syria lo osservò di sbieco e sospirò piano. Avrebbe voluto dire qualcos'altro, glielo leggeva nello sguardo, ma Arthur li interruppe, avvicinandosi.

«Che succede? Sei pallido.» Orion lo fissò con un cipiglio preoccupato.

«I ragazzi. I ragazzi sono stati rapiti. Michael ha mandato un messaggio vocale ad Altair... dobbiamo andarcene.»

Orion aggrottò la fronte. «Cosa?!» Salutò frettolosamente Syria, che li osservò andare via.

Il cuore gli galoppava in gola. Si massaggiò il petto. Era quella la strana sensazione che l'aveva accompagnato per tutta la mattinata. La Serpents Agency aveva deciso di colpirlo sulla sua più grande debolezza.
Se fosse successo qualcosa ai suoi fratelli non sarebbe mai riuscito a perdonarselo.
Avrebbe preferito morire piuttosto che perderli.

Arthur guidava veloce. Orion non riusciva a ragionare, né a pensare a molto altro. La sua mente si arrovellava su qualsiasi cosa potesse fare. Aveva bisogno di un piano, ma in quel momento le uniche idee che facevano capolino nella sua testa erano tutte preoccupazioni.
Strinse forte i pugni.

Arthur gli lanciò un'occhiata comprensiva. Si mordicchiava in tensione le labbra. Gli posò una mano sulla spalla.  «Vedrai che andrà tutto bene. Risolveremo anche questa.»

Orion lo ignorò. Sfilò il cellulare dalla tasca e compose il numero di Altair.

«Dove siete?» Suo fratello rispose subito. Il tono di voce era nervoso, intriso di rabbia e tensione. «Cosa facciamo? Orion, dobbiamo fare qualcosa.»

«Nuovo piano. Tu metti al sicuro Zalia, Andromeda, Yen. Robert deve andare al vecchio ospedale psichiatrico, lì ci dovrebbero essere i genitori delle ragazze.»

Altair restava in silenzio. «Scordatelo. Non ti lascio andare da solo alla Serpents per Eris e Leon. Abbiamo bisogno di un piano intelligente, non entrare lì e farci ammazzare!»

«Al, ti prego. Ascoltami. Mettetevi al sicuro. Ad Eris e Leon ci pensiamo io e Arthur.»

«Dimmi dove stai andando.» Altair sembrava preoccupato. Sentì la sua voce incrinarsi. «Orion, ti prego. Dimmi dove andate. Così so dove venirvi a cercare.»

«No, Al. Fa' come ti ho detto.» Orion aggrottò la fronte, osservando la strada di fronte a sé. Non riusciva a concentrarsi abbastanza sul tragitto, suo fratello stava iniziando ad entrare in panico.
Non l'avrebbe abbandonato di nuovo.
Non avrebbe fallito ancora.
Avrebbe riunito la sua famiglia. Era l'unico obiettivo a mantenerlo ancora in vita.

«Perché per una cazzo di volta non mi dai ascolto?» Altair gli urlò contro. Dovette allontanare il cellulare dall'orecchio.

«Al, ascoltami bene. Risolverò tutto e tornerò da te. Non ti abbandonerò, te lo prometto. Non ti lascio solo, non più. Tu pensa a mettere tutti al sicuro e a trovare i genitori di Zalia, va bene?»

«Va bene. Mandami la posizione di dove sei.» Altair riattaccò prima che potesse rispondergli.

Orion sospirò piano e si passò una mano in volto. Tornò a prestare attenzione alla strada. Si erano allontanati dal centro, non erano vicini alla Serpents Agency. Orion aggrottò la fronte e una strana consapevolezza gli raggelò il sangue nelle vene.

«Mi dispiace...» Arthur lo colpì alla testa. Sentì le sue dita premergli sulla ferita, mentre la vista gli si annebbiava. «Ti giuro che risolverò tutto. Scusa.» gli mormorò all'orecchio prima che perdesse i sensi.

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