37. Cambiamenti
Non molto tempo dopo il mio risveglio il collare cervicale mi fu tolto, appurato che non avevo danni gravi e il rischio era ormai scampato. Il gesso alla mia gamba rotta rimase e sarebbe rimasto per almeno un altro mese, ma poco mi importava. Alcuni giorni dopo venni spostata di reparto per la riabilitazione e potei ricevere visite da amici.
I primi a venire furono ovviamente Sasha e Connie, che già da giorni attendevano mie notizie. Erano stati davvero in pensiero per me e appena dopo il concerto, quando avevano saputo da mio fratello dell'incidente, fecero i bagagli in tutta fretta e tornarono con il primo treno disponibile.
«Mi dispiace che non siate stati rimborsati per quella notte in meno all'albergo...»
Sasha fece un verso in dissapunto e mi afferrò la mano. «Non ha alcuna importanza invece! La cosa che più ci premeva sapere era che tu stessi bene. E poi...» la bruna si girò verso Connie, che era seduto al tavolo a mangiare una fetta della torta che mi avevano portato, e sul suo volto comparve un ghigno derisorio. «Connie ha pianto.»
Il diretto interessato sobbalzò dalla sedia e puntò la sua forchetta in direzione di Sasha. «Ti ripeto che non stavo piangendo! A causa della corsa fino all'ospedale mi era entrata un sacco di polvere negli occhi.» Sentenziò austero, mentre io nascondevo il mio sorriso dietro la mano.
«E poi anche tu hai pianto, più di me!»
«Allora ammetti di aver pianto!»
«Zitta ragazza patata.»
«Smettila di chiamarmi così, non è più divertente!!»
Non resistetti più e scoppiai in una grossa risata, tanto che i due si zittirono per guardarmi accigliati.
Sasha e Connie restarono per un altro po' e mi mostrarono alcuni video del concerto. Erano in prima fila e la musica, sommata alle grida dei fan, erano talmente alte che poco si capiva delle parole del cantante.
«Avrei tanto voluto essere lì con voi...» Tirai un sospiro con tristezza.
Connie si girò a guardarmi con forte stupore. «Tu... ad un concerto rock? Parli sul serio?»
«Cavolo la botta dev'essere stata bella forte se dici cose del genere.» Scherzò Sasha con una piccola risata, nonostante anche lei fosse rimasta interdetta dalle mie parole.
«E perché no? Sembravate divertirvi così tanto che mi sono incuriosita.» Alzai le spalle io, sinceramente convinta di quello che stavo dicendo.
I due nel frattempo mi stavano guardando come se fossi un fantasma, finché non vidi la mano di Sasha posarsi sulla mia fronte.
«Eppure non sei calda.»
«Chiamo un dottore.» Connie fece per alzarsi ed io lo trattenni con una leggera risata.
Mentre cercavo di convincerli che ero seria, qualcuno bussò alla porta e quando feci «Avanti» a gran voce, questa si aprì e comparve Jean di fronte a noi.
Un sorriso si formò spontaneamente sulle mie labbra, ma non appena mi ricordai di come ci eravamo lasciati l'ultima volta scomparve, rimpiazzato da un lieve rossore che mi riempì tutto il viso.
I miei due amici se ne andarono per lasciarci soli, promettendomi che sarebbero tornati l'indomani, e quando la porta si chiuse tra me e Jean calò un silenzio tombale.
Notai che si era fatto ricrescere quel filo di barba come prima e, nel tentativo di dissipare quell'imbarazzo, battei una mano sulla sedia su cui era seduta poco prima Sasha.
«Vieni a sederti qui.»
Jean fece così, piegandosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia, ma per un'altra manciata di secondi nessuno dei due fiatò, troppo a disagio per dare il via ad una conversazione.
«Sono contento che tu stia bene. Davvero.» Alzò il capo per guardarmi, lasciandosi andare in un sorriso appena accennato, nonostante continuasse a sfregarsi le mani visibilmente teso.
«I dottori hanno detto che tra non molto potrò andarmene, ma che per questo» sollevai il busto per potermi indicare la gamba ingessata «ci vorrà ancora un po'.»
«Ma per il resto va tutto bene, vero?»
Annuii con energia e, per non far ricadere la stanza nel silenzio, ripresi. «Sei venuto a sapere da Connie e Sasha del mio incidente?»
Jean negò e iniziò a spiegarmi tutto con sguardo basso, alzando solo di tanto in tanto gli occhi a guardarmi. «Armin quel pomeriggio mi aveva chiamato. Ti stava aspettando all'università e non vedendoti arrivare si era preoccupato. Gli ho detto che... che non ti vedevo dalla sera prima e...» esitò un paio di volte per parlare, portandosi una mano a grattarsi distrattamente il mento «Quindi ha chiamato Eren e siccome nemmeno lui aveva tue notizie, io ed Armin siamo venuti a casa tua. Proprio in quel momento è arrivato in tutta fretta tuo fratello guidando l'auto di... Quella ragazza con cui volevi combinargli un appuntamento, del quinto anno... Sì lei, Petra. Dicevo, è arrivato e sembrava più pallido del solito, così ci siamo fatti spiegare e... tutto qui. L'ospedale lo aveva appena chiamato per te.»
Mentre parlava lo ascoltavo silenziosa, notando ogni tanto la sua tensione nei movimenti del corpo o il suo imbarazzo nel guardarmi dritto negli occhi.
«Capisco... Mi dispiace di avervi fatto spaventare tanto.» Sorrisi guardandolo con mestizia, ma quando vidi che Jean non era intenzionato a dire altro sospirai rassegnata.
«Jean dobbiamo parlare. Non possiamo evitare l'argomento per sempre.»
Il biondo smise di sfregarsi le mani e le strinse con forza tra loro. Il suo petto si gonfiò d'aria e sgonfiò lentamente e alzò gli occhi su di me, indeciso se iniziare.
Dopo un momento di esitazione decisi di prendere parola per prima. «Io... Jean ti devo chiedere scusa.»
«[T/n] non serve-»
«Lasciami finire.» Lo fermai e gli afferrai una mano per stringerla nelle mie. Tenni gli occhi su di essa e misi in ordine le idee prima di continuare, lentamente e a bassa voce.
«Scusami davvero Jean. Per tutto. Ho accettato di stare con te perché ero convinta di provare qualcosa per te, che andava oltre l'affetto per un amico. E anche se in fondo sapevo che non era così, continuavo a ripetermi "col tempo i miei sentimenti cresceranno, col tempo imparerò ad amarlo come lui ama me". Però... stavo solo prendendo in giro me stessa. E ancora peggio, stavo prendendo in giro te.» Con il pollice formai dei piccoli cerchi immaginari sul dorso della mano di Jean e con un sospiro ripresi. «La verità è che volevo dimenticarmi di Eren. Anzi, una parte di me stava cercando ingiustamente di punirlo...» mi fermai, con una smorfia di odio nei miei confronti «Sono stata davvero egoista e... io non-»
Non riuscii più a continuare, temendo di poter scoppiare a piangere da un momento all'altro a causa di un groppo alla gola, e Jean strinse le mie mani nel tentativo di calmarmi.
«Davvero, mi dispiace tanto...» Mi morsi forte il labbro per impormi di non piangere, quando Jean prese finalmente a parlare.
«In fondo lo sapevamo entrambi che sarebbe andata a finire così. Io per primo.» Abbassò gli occhi e corrugò la fronte, rammaricato. «Ma come te non volevo ammetterlo a me stesso. Anch'io cercavo di convincermi che andava bene così, che era addirittura perfetto. Entrambi eravamo consapevoli dei rischi che correvamo, ma li abbiamo ignorati. Quindi, è colpa tua tanto quanto è colpa mia.»
Lo guardai, imperturbabile. Aveva ragione. Ci eravamo addentrati in un castello di carte destinato a crollare, anche se lo sapevamo già. Ma l'avevamo comunque fatto ignorandone le conseguenze, lui perché troppo innamorato di me ed io per cercare di dimenticare Eren.
«Ma sono io che ti ho appoggiato in tutto questo.» Continuai, seppur non avessi più la forza di guardarlo. «Ti ho... usato come una specie di salvagente. Non ho parole per descrivere come mi senta nei tuoi confronti, se non dirti che mi dispiace.»
Seguì qualche attimo di silenzio, prima che Jean mormorasse.
«Non potevo comunque lasciarti affogare, no...?»
Alzai gli occhi per guardarlo e, non appena mi rivolse uno di quei dolci sorrisi che solo a me dedicava, mi allungai verso di lui e gli lasciai un leggero bacio sulle labbra. Quando mi staccai e lui tornò a baciarmi deicisi di lasciarlo fare, consapevoli entrambi che sarebbe stata l'ultima volta.
«Grazie.» Sussurrai nell'incavo del suo collo, lasciando che mi accarezzasse delicatamente la schiena.
Restammo così per qualche minuto, quando Jean riprese a parlare cambiando argomento. «Eren presumo sia già venuto a trovarti, dico bene?»
Si allontanò per guardarmi ma, quando capì dal mio silenzio che così non era, la sua espressione mutò drasticamente.
«Quel bastardo... se lo rivedo lo ammazzo.»
«Jean non insultarlo per favore...» Con dispiacere tirai un profondo sospiro, ma parve alterarsi ancora di più dalla mia reazione.
«Come potrei non farlo? È colpa sua se ora sei in questo stato! Se quella sera non ti avesse chiamata e tu non fossi stata da lui, non ti sarebbe successo niente e saresti stata con me. Non avresti rischiato di...» Si fermò, non riuscendo a continuare la frase.
Aspettai che si calmasse un poco e gli passai una mano sul braccio, con un sorriso a fior di labbra.
«Non è colpa di Eren se ho avuto questo incidente. Anzi, forse sarebbe successo comunque qualcosa di simile, in altre circostanze, che mi avrebbe fatto aprire gli occhi.»
Jean mi fissò confuso. «Aperto gli occhi? Che intendi dire?»
Stavo per rispondergli, ma la porta si aprì e Levi entrò in camera, guardando prima Jean con leggero fastidio e poi me.
«Hai altre visite.» Disse soltanto, mentre di sottecchi fulminava Jean per la nostra troppa vicinanza (a parer suo).
Subito dopo lo vidi scomparire in corridoio e al suo posto comparve il dolce viso di Armin, che mi guardava felice e luminoso.
«Allora io vado.» Fece Jean dopo che io e Armin ci salutammo e si alzò dalla sedia.
«Torna domani.» Gli dissi lasciandogli un veloce bacio sulla guancia, per poi salutarlo e guardarlo uscire.
Ero contenta di aver finalmente chiarito tutto con Jean, ma ora non potevo fare altro che pensare ad Eren. Sicura che Armin l'avesse avvisato del mio incidente, non riuscivo a spiegarmi come avesse potuto non farsi sentire, e un sentimento di rabbia misto a tristezza sopraggiunse, mentre Armin prendeva posto al mio fianco.
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