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22. She is a stunning, murderous little obsession

Eros





A mali estremi, estremi rimedi.
Alzo la cornetta e ostento il mio potere da VVVIP cercando di creare più casino possibile.
Non mi riesce nemmeno troppo male, dopo due cazzo di settimane di silenzio completo.
Suppongo sia contenta di riservarmi lo stesso trattamento che ha subito per quasi un anno.

Ma, al diavolo che abbia ragione.
Se pensa che la lascerò andare ora...

Bussano alla porta e sollevo un angolo della bocca al settimo cielo.
La migliore professionista dell'AGH è qui su mia richiesta, a mia completa disposizione. Finalmente.

Apro la porta e la spingo dentro afferrandola per il polso.
Non che abbia alternativa, un mio solo sopracciglio nella sua visuale e sarebbe scappata come ha fatto le ultime due eterne settimane in cui ho dovuto contenermi.
Adesso, però, è ora di finirla.
Posso farla finire, sono libero da ogni vincolo contrattuale: l'anno di lavoro con il collare al collo è giunto al termine.

La tengo intrappolata alla parete dell'atrio, mentre passo in rassegna ogni minima linea del suo volto.
Deglutisco e sospiro, reprimendo il bisogno di spingerla sul letto e soddisfare il desiderio represso di lei di questi fottuti dodici mesi.

«Bentrovata», accenno un sorriso spento.

«Hai voglia di scherzare? Levami subito le mani di dosso» sibila, con lo sguardo di una bestia pronta ad azzannarmi al collo.
Fortuna vuole che le abbia immobilizzati i polsi.

«Vedi cosa sono stato costretto a fare per avere udienza da te? Soggiornare nel tuo hotel spacciandomi per un cliente fuori di testa», rido di me stesso e della situazione senza precedenti.

«Sei un maestro della finzione, non credo sia stato così difficile. Il tuo è un dono naturale», mi deride senza troppi convenevoli.
«Con che coraggio ti presenti qui in questo modo, tu maledetto bugiardo...»

Perde il sorriso beffardo e mi fulmina con lo sguardo facendo risalire tutto lo sdegno che teneva in serbo per me.

«Mi hai dato altra scelta?», mi avvicino a tal punto che il mio naso sfiora il suo. «Sono due cazzo di settimane che ti cerco.»

Fa un sorriso amaro, mordendosi il labbro inferiore. «Due settimane?», mi guarda dritto negli occhi. «Ho bloccato la mia vita per undici mesi per cercare uno stronzo che mi ha lasciata senza una parola. E adesso che sei ricomparso, come niente fosse, con il passato di qualcun altro, pretendi di vedermi?» Scuote la testa, volgendo lo sguardo altrove. «Chi diavolo sei veramente» mormora in un respiro.

Le lascio libero un polso per riportare con la mano il suo viso su di me.
«Ora lo sai chi sono. Il tuo unico cliente al Lief, il fratellastro del tuo ex fidanzato e l'uomo che ti ha resa di nuovo felice. Sai tutto.»

«Sei il solito arrogante presuntuoso» commenta, nervosa. «Non mi fido più di te», mi sputa addosso la sua conclusione e mi spinge indietro con il braccio ritornato libero. Tenta di uscire dalla stanza, ma blocco la porta con il mio corpo impedendole un secondo tentativo.

«Questo è il vero Eros Hart. L'uomo manipolatore che ho conosciuto dieci anni fa. Deve essere stato divertente sentirmi ripetere quanto non mi conoscessi», ride ancora, con più amarezza.

«Nulla di quello che stai pensando è reale, ma lo è quello che abbiamo vissuto insieme», provo ad avvicinarmi, ma si allontana sfidandomi con gli occhi.

«Reale...? Hai uno strano concetto di cosa sia reale. Le balle non sono reali. E tutto quello che abbiamo vissuto si basa su di loro. Quelle che hai creato tu, in passato e adesso.»

«Non ti ho mai presa in giro. Né quando eri Belle, figuriamoci quando sei diventata Myra...»

Continua a scuotere la testa, con quel snervante sorriso sulla faccia e le orecchie totalmente chiuse.

«Com'è che le chiameresti tu per sentirti meglio? Ah, giusto: omissioni.»

È così teatrale nel sembrare senza emozioni, quasi divertita. Posso toccare con mano il suo dolore, così tanto che mi sta attraversando la pelle diventando un tutt'uno con il mio corpo.

«Mi hai venduto stronzate ripetutamente e poi te ne sei andato senza una parola. Avrei preferito un misero biglietto d'addio, piuttosto che l'atto di proprietà del tuo attico.»

Nonostante il suo sguardo e il suo tono tradiscano il suo risentimento, la sua indifferente calma mi manda fuori di testa.

«Ascoltami», sono indeciso se intimarglielo o supplicarla. Nel mentre, lei smette di parlare e cade il silenzio.

«Perché dovrei farlo?» mi chiede, seria.
«Hai idea di quanto mi senta stupida, anche solo ad essere qui in questo momento? Hai tradito tutto quello che avevamo costruito... Ora sei tornato al punto di partenza.»

Fa un passo verso di me e si ferma a esaminarmi la faccia.

«Sei la stessa persona che ho incontrato al funerale di Andrew,» fa una pausa e i suoi occhi color caffè perforano i miei, «uno sconosciuto ossessionato da una donna che non potrà mai avere.»

Fa male. E lo sa.
Lo sta facendo consapevolmente.
Avevo ragione, il suo veleno sarà pure innocuo, ma un serpente rimane un serpente.
Se lo desidera, può stritolarti fino alla morte.

Sollevo un angolo della bocca, senza distogliere lo sguardo da lei.
Pochi secondi e sta sotto di me sul materasso king size della stessa suite del nostro primo incontro, in questa seconda vita.

Sono costretto a fare lo stesso, per difendermi.

«Dimentichi che ti ho già avuta», porto la bocca al suo orecchio, «molte volte.»

I suoi palmi spingono sul mio petto per allontanarmi; non immagina quanto mi ecciti il suo tocco dopo tutti questi mesi di astinenza.
O forse sì, come suggerisce il suo battito accelerato e il suo respiro corto.

«Quindi è andata così: ti sei ricordato del mio passato e sei giunto alla conclusione che un'ex squillo non sarebbe mai potuta essere all'altezza di uno come Eros Hart.»

Persevera nelle sue provocazioni, enfatizzando il mio cognome.

«Non sei poi così diverso dalla matrigna che tanto disprezzi. Siete così simili, tu e la regina dell'impero Hart—»

Le tappo la bocca con la mia, prima che dica altre stronzate che possano farmi uscire di testa.
Più di quello che già sono.
Il mio intento era solo quello di farla smettere, ma ora che sono su di lei, ora che le mie labbra premono sulle sue, perdo irrimediabilmente il controllo. E non raffredda i miei istinti il suo scostare il volto di lato e il dimenarsi con ferocia.

Le sollevo le braccia sopra la testa bloccandole con una mano e spingo il suo volto verso di me riprendendo il mio assalto. Le infilo la lingua in bocca senza esitazione, il bisogno di sentire il suo sapore è troppo forte e ostinato perché le sue resistenze facciano effetto.
In un momento di tregua, agguanta il mio labbro inferiore tra i denti provocandomi un taglio netto. Il gusto ferroso del mio sangue si mescola alla nostra saliva al mio successivo attacco.
Resiste e resiste, ma entrambi sappiamo che può mentire a se stessa quanto le pare, ma il suo corpo brama il mio con la stessa intensità.
Premo un palmo sul suo seno e il respiro eccitato che riversa nella mia bocca me ne dà la conferma.

Apre gli occhi e capisco dalla sua rabbia che sta per contrattaccare; premo il bacino sulle sue gambe prima che il suo ginocchio tenti di castrarmi ancora una volta.

«È la giornata dei déjà vu» commento, sornione.

Perdo subito il sorriso alla vista del gelo nei suoi occhi.

«È questo quello che vuoi?», comincia a sbottonare bottone dopo bottone della camicia velata che indossa. «Allora prenditi quest'ultima soddisfazione e sparisci dalla mia vita.»

Il suo reggiseno di pizzo bianco è ormai scoperto, così come la pelle della sua pancia. Vorrei essere il perfetto animale che crede che io sia e fotterla qui e ora, per sentirla ancora mia e cancellare ogni sua parola.

Fa male, perché fa sul serio.
Non sono mai state infime provocazioni, solo la sua schietta verità.
La sto perdendo. Per l'ennesima volta mi sta scivolando tra le dita.

Sovrastata dalla mia ombra, chiude gli occhi.
Così è questa la considerazione che ha ora di me.

Premo le labbra sul lato sinistro del suo petto, con delicatezza. «Pensi ancora che stia cercando il tuo corpo. Anche adesso che sai tutto» le soffio sulla pelle.

Apre gli occhi quando mi allontano per osservarle il viso. Mi guarda impassibile, nella penombra.

«Sei una donna crudele, Myra Rivera.»

«Mi hanno detto di peggio» replica dopo un momento di esitazione, abbozzando una mia vecchia replica.

Stiamo riproducendo il passato come due marionette. È quasi esilarante, nella sua tragicità.

«Non ti ho lasciato di mia spontanea volontà. Possibile che non ti renda conto di quanto sei importante per me... nemmeno ora che sai che io e lui siamo la stessa persona.»

Le accarezzo una guancia per un solo secondo, prima che scacci la mia mano.

«Non vuoi sapere la vera ragione che mi ha spinto ad andarmene?» lo confermo un'ultima volta.

«Non voglio saperla» risponde all'istante, fissandomi negli occhi. «Non cambierebbe il fatto che hai continuato a mentirmi.»

Respiro profondamente, serrando la mascella. Vorrei non doverlo fare, ma mi allontano.
È tutto inutile, se non è pronta a comprendere.

Si alza dal letto così velocemente che la camicia le scende giù dalle spalle, dandomi accesso a una porzione maggiore di quel corpo che ho venerato nei sogni quasi ogni notte.
Risalgo lentamente con le dita sulle sue braccia, coprendola nuovamente; le sfioro appena la pelle al di sopra della stoffa, per paura che un tocco più deciso distrugga la decisione di fermarmi qui.

«Non l'ho fatto per il tuo passato. Lo sai, anche mia madre lavorava al Lief. È lì che ha incontrato Remon Hart ed è lì che sono nato e cresciuto», le accarezzo le clavicole e scendo al centro per raggiungere i bottoni. «Non ho nessun pregiudizio nei confronti delle prostitute. Disprezzo solo chi le obbliga a diventarlo, contro la loro volontà.»

«Come Lillian?»

Alzo gli occhi su di lei dopo aver abbottonato l'ultimo bottone. Il suo interesse mi illude che ci sia ancora speranza, il che mi fa credere che lo stia facendo appositamente.

«Non conosco tutti i dettagli, non ha mai voluto parlarmene... Se n'è andata troppo presto.»

Mi scruta il volto per l'ennesima volta e la sua espressione cambia. Raggiunge lo specchio e si sporge per sistemarsi il rossetto sbavato sulle labbra, inserire la camicia nella gonna e riordinare i capelli.
Seguo ogni movimento, non mi sono nemmeno accorto di essere finito alle sue spalle.
Mi è mancato tutto di lei.

«Non fraintendere, non sono più interessata alla tua storia» precisa, puntando gli occhi sul mio riflesso.

Assecondo i miei bisogni dando libero sfogo al mio egoismo. La spingo indietro sul mio petto e le avvolgo le braccia intorno al corpo.
Gli occhi fissi sull'unico riflesso che voglio vedere. Il nostro.

«Lasciami prima che ti faccia del male» mi minaccia.

Ridacchio. «Sono abituato al dolore, specie quello che mi provochi tu. Sono un masochista, ricordi?»

Affonda le unghie nelle mie braccia per intimarmi a lasciarla, mentre il suo volto cerca di mascherare il disagio. E io stringo più forte la presa, inspirando in profondità il suo profumo.

«Ho fatto un favore a Farah facendo sesso con Belle la prima volta, ma la relazione che abbiamo avuto per anni è stata una cosa che ho scelto» le confesso all'orecchio. «L'abbiamo voluta entrambi.»

Il suo petto si alza nervosamente, e allora continuo.

«Non è mai stato solo sesso, né allora né adesso. Ma sapevo che avresti reagito così, per questo ho aspettato—»

«Smettila di parlare del passato. Belle non esiste più» mi rimprovera, affondandomi con più forza le unghie nella pelle.

«Ne sei così sicura? Puoi non vederla riflessa, ma ti assicuro che c'è. L'ho incontrata più di una volta sotto le lenzuola.»

Le sistemo un bacio sul collo scoperto, mentre la mia mano scende a cercare la sua intimità. La trovo umida, desiderosa di essere toccata, ma reticente a concederlo.

«Belle fa parte di te.»

Non ho bisogno di incentivarla a guardarci, lo sta già facendo. Smette di divincolarsi, sopraffatta dai movimenti veloci delle mie dita.
Socchiude le labbra e si appoggia a me, mentre il suo corpo trema pervaso dalle scariche di piacere.

«Era questo che volevi dimostrare?» mi chiede, con il respiro accelerato.

«Ricordi quello che ti ho confessato al faro? Parlavo di te, Myra.»

La spingo sullo specchio e le intrappolo il viso tra le mani.

«Non importa quale nome usi... Sei tu la mia più grande ossessione» glielo soffio sulle labbra con sofferenza e rassegnazione. «Non posso vivere senza di te, e non lo farò mai.»

Mi allontano, frenando il desiderio pulsante di baciarla e possederla per tutto il giorno. Mi esamina spaesata, immobile sulla lamina di vetro su cui l'ho lasciata sola.

E poi scatta verso di me inaspettatamente, mi afferra il colletto della maglia e mi divora le labbra escludendo qualsiasi forma di delicatezza.
È brutale e rabbiosa, ma eccitante da morire.
Mi inietta il suo sapore, un veleno innocuo che mi elettrizza ogni arteria, ogni vena sottopelle e si mescola al sangue per raggiungere il centro dei battiti.
Questa è Belle in tutta la sua irruenza e folle sensualità. Un whisky pregiato che ti ubriaca con un solo sorso.

«Dovrai farlo» dichiara, gli occhi accesi da una frenesia che non vuole ammettere, «perché io e te abbiamo chiuso.»

Il ticchettio dei suoi tacchi che si allontana mi risuona nella testa insieme alle sue ultime parole.

«Te l'ho già detto, ma lo ribadisco volentieri», mi volto verso la porta d'ingresso; lei rimane in ascolto, senza guardarmi, con la mano premuta sulla maniglia. «Te lo puoi scordare.»

Fa scattare la serratura e si chiude la porta alle spalle. Questa volta sono il solo a essere lasciato indietro. Come in passato.
Ma non per molto.



🥀🥀🥀




Giro la chiave ed entro.
Le luci soffuse mi fanno sorridere di soddisfazione. Nonostante la sua rabbia e la decisione di troncare ogni rapporto con me, è qui, nella casa che le ho lasciato.
Lo spazio privato dove sono disseminati i nostri ricordi.

La ritrovo addormentata sul divano come faceva quando ero presente.
La misera stoffa che indossa le fascia il corpo così bene da sembrare una seconda pelle. Rimango a fissarla dall'alto, come un bambino che osserva dall'esterno una vetrina di deliziosi dolci.

Myra è il dolce della mia esistenza, la leccornia di cui non mi stancherò mai.

Si sposta di lato e una spallina le scende giù dalla spalla, esponendo una parte del seno.
È sexy e provocante anche quando dorme.

Alzo un sopracciglio e sospiro.
«Che te li metti a fare questi inesistenti pezzi di stoffa, quando non sono presente.»

La sollevo stando attento a non svegliarla e la porto con me nella camera da letto.
Ogni cosa è al suo posto, come era un anno fa; non credo affatto nella sua volontà di farmi sparire dalla sua vita.
Non è mai stata davvero convinta di volerlo fare e ne ho la prova una volta che la sistemo sul lato sinistro del materasso.
Estraggo la camicia impregnata del mio profumo che nascondeva sotto il cuscino.
Non sa che l'ho lasciata appositamente per questo motivo. Perché non dimenticasse, per rendere indelebile il mio ricordo.

Mi stendo accanto a lei e come se mi avesse avvertito si volge nella mia direzione, rannicchiandosi sul mio petto.
La stringo a me e chiudo gli occhi.
Posso finalmente respirare.

«Sono qui» mormoro, stringendole la mano. «Non ti libererai più di me.»

Non rischierò più di perderla, non ora che le sono entrato così sottopelle. Non ora che il suo cuore mi appartiene, e il mio è libero di amarla con tutto se stesso.
Il mio cervello è fuso, mi insinua pensieri di un cazzo di romantico che non conosco.
Sto letteralmente impazzendo...

«Il tuo veleno non è poi così innocuo.»

Premo appena le labbra tra i suoi capelli, e richiudo gli occhi cullato dal calore del suo corpo e da quel respiro fuso completamente al mio.

«Ti amo» lascio andare, preso per metà dal sonno.

Che lo senta o meno non ha importanza, avevo bisogno di dirlo, dopo anni di repressioni, camuffamenti e rimpianti.
Avevo bisogno di renderlo tangibile, scostarlo dalla pura e semplice ossessione morbosa ed elevarlo a qualcosa di puro quanto lei.
A Belle, la mia perdizione.
A Myra, la mia salvezza.

La luce mi risveglia dal mio torpore dopo troppe ore. Sono rintronato dal sonno profondo che mi ha concesso.
Ho passato un anno a lavorare senza sosta, dormendo quattro ore a notte; in qualche modo ho dovuto anestetizzare la mente e il fottuto desiderio di vederla.

Rimango a fissare il soffitto, il mio corpo è freddo come tutte le mattine degli ultimi dodici mesi. Non mi affretto a cercarla, suppongo se ne sia andata nell'istante in cui si è svegliata avvinghiata al mio corpo.
L'immagine di lei su di me mi invade la testa, mescolata ad altre mille posizioni diverse.
Cazzo, quando vorrei che fosse la sua mano quella dentro i miei boxer in questo momento.
Mi libero della frustrazione mattutina che non posso sfogare sul vero oggetto dei miei sogni sporchi.

So per certo che sappia quanto voglia fare l'amore con lei, e quanto questo la faccia sentire in controllo. Fa tutto parte di una punizione pianificata, una vendetta che ripaghi le sofferenze che ha patito.
Posso accettarlo, se significa riaverla con me.
Tanto, prima o poi verrà anche il mio turno.
E non sarò per niente magnanimo.

Dissemino i vestiti in giro mentre vado verso la doccia. Non aspetto che l'acqua si riscaldi, la voglio più fredda possibile.
La doccia è piena dei suoi prodotti, dei suoi profumi... Cazzo, se solo fosse qui.
Getto la testa sotto l'acqua gelida rimpiangendo di aver perso tempo a dormire mentre lei sgattaiolava via.
Errore imperdonabile da parte mia, perdermi il suo volto indignato di prima mattina.

Sono più insoddisfatto di quanto lo sia mai stato quando esco dalla doccia e recupero il borsone dei vestiti, ma ho intenzione di rettificare il tutto. Presto.
Nel frattempo mi accontento di indossare la camicia che custodiva gelosamente sotto il cuscino. Il mio profumo sì è mescolato all'odore della sua pelle.
Sorrido immaginandogliela addosso, aperta sul davanti a scoprire il seno, completamente nuda al di sotto.

Mi verso una tazza di caffè e mi sistemo sul terrazzo, portandomi il telefono all'orecchio.
Inaspettatamente mi risponde.

«Vattene da casa mia e lascia le chiavi» sibila all'istante.

«Deduco che non ti sia piaciuta la sorpresa» commento, spavaldo. «Avrei detto diversamente, visto il tesoro sotto il tuo cuscino.»

Stento a trattenere le smorfie di soddisfazione a seguito del suo silenzio.

«Capisco il tuo imbarazzo. Sono passate solo pochi giorni da quando mi hai chiesto di sparire dalla tua vita, e adesso ti trovo qui nel mio attico a dormire con la mia camicia... Non oso immaginare cosa tu possa avergli fatto. Spero che almeno tu l'abbia usata come si deve.»

Oh, spero davvero che lo abbia fatto.
Che l'abbia usata prima, durante e dopo un orgasmo autoprodotto.

«Spiacente di deluderti, è stata conservata semplicemente per essere restituita» ribatte, ostentando una sicurezza zoppa già in partenza.

«Sei riuscita a farlo. La sto indossando in questo momento, tutto per avere il tuo odore addosso.»

Ritorna in silenzio, ma non mi sfugge il suo respiro nervoso.

«Perdonami, Myra. E vieni da me. Molla quello che stai facendo e vieni qui. Adesso.»

È azzardato, prematuro e folle che possa farlo così facilmente, ma non riesco più a contenermi. Vorrei solo rinchiuderla tra le mie braccia e non lasciarla più andare.

«Sei il solito sognatore narcisista», ridacchia con crudeltà. «Mi hai trovato nel tuo appartamento? La tua camicia era sotto al mio cuscino? Tutto questo risale a prima di sapere che genere di bastardo fossi.»

Mi scompiglio i capelli, a corto di pazienza.

«Vuoi sapere la cosa più ridicola? Tutto questo tempo ho pensato che ti fosse successo qualcosa... Sono stata male ogni santo giorno, quando tu te ne stavi comodo chissà dove», la sua voce è una cantilena allegra che trasuda delusione. «Quindi, sì, sono stata nella tua fottuta casa sperando che tornassi e ho indossato la tua camicia in cerca di conforto. Ma oggi finisce qui.»

«Cazzo, Myra», mi fermo e cerco di ritrovare la calma. «Almeno ascolta le mie spiegazioni.»

«Vuoi dire giustificazioni. No. Grazie.»

È più fredda che mai. Un iceberg di ghiaccio completamente risucchiato dall'oceano gelido.

«Non mi stai a sentire perché hai paura che se lo farai, vorrai perdonarmi», è questa la palese verità.

«Hai ragione, è così. Non voglio perdonarti» ribatte netta. «Ti piace percorrere la strada dei ricordi? Belle ti aveva già avvertito dieci anni fa. Hai scelto di mentire, hai scelto di fare la parte del bugiardo pur sapendo che sono le persone che più odio al mondo.»

«Sei una maledetta testarda, Myra Rivera», contraggo la mascella per evitare di dire cose di cui poi mi pentirei.

«Non scaricare su di me le tue colpe» mi rimbecca.

Mi viene da ridere, perché come al solito si ostina a non voler capire. Per proteggere esclusivamente se stessa.

Vorrei chiarire una volta per tutte che sta dicendo delle stronzate, ma il campanello continua a suonare rendendomi sempre meno lucido.

«E tu smetti di scappare come una bambina impaurita. Sono disposto a rispondere a ogni tua domanda, non è quello che hai sempre voluto?»

«Prima, può darsi. Ora non sono più sicura che servirebbe a qualcosa.»

Non sceglie le parole a caso.
Mi sta restituendo la frase arrabbiata che le ho gettato addosso dopo la cena all'A'DAM Toren.
Quella sera avrei dovuto raccontarle tutta la verità, e lasciar perdere la gelosia repressa per i suoi ricordi con Andrew.
L'ennesima cazzata ingiustificata che ho fatto nella vita.

«Quella sera avevo intenzione di raccontarti tutto» confesso.

«Ma non l'hai fatto, e hai continuato a mentirmi. Probabilmente avresti continuato a farlo, se non ti avessi scoperto.»

«Siamo già a questi livelli. Pensi davvero che sia una carogna fino a questo punto?», non cerco una risposta. «Alla luce delle ultime scoperte, la mia coscienza è più pulita della tua. Ho sempre amato una sola donna, non ho mai cercato qualcun'altra in te e non ti ho mai usata per dimenticare.»

Mi sistemo una sigaretta tra le labbra e assorbo la maggior quantità di nicotina che mi è possibile.

«Ho mentito tanto quanto lo hai fatto tu. Eppure sono solo io sott'accusa senza possibilità di difesa», metto le carte in tavolo, sopraffatto dall'impazienza.

Sono stanco di assecondare la sua distorta visione della realtà, soprattutto quando non ha intenzione di ascoltarmi. Dovrei stare dietro ai suoi tempi, me ne rendo conto, ma per me non si tratta solo di dodici fottuti mesi.
La sto aspettando da tutta una vita.

«Ci penserò» risponde monocorde.

Questo suo prendere le distanze è una cosa che può fare solo in questo modo, fuori dal mio campo visivo.

«È una conversazione che dovremmo avere di persona», lascio fuoriuscire una nuvola di fumo mentre fisso un punto indefinito della città. «Parliamone questa sera a casa.»

«No» replica asciutta.

«Perché? Hai paura che finiremmo a fare l'amore tutta la notte? È una paura fondata. Succederà prima o poi, stai solo ritardando l'inevitabile.»

«Allora è un bene che abbia deciso di non tornare in quella casa.»

Mi irrigidisco all'istante.
Tolgo la sigaretta dalle labbra e decido di sedermi.

«Che vorrebbe dire?», respiro nervosamente.

«Ho preso tutte le mie cose questa mattina e ti ho lasciato i documenti di proprietà sul tavolo. È sempre stata casa tua, è giusto che ritorni al legittimo proprietario.»

«Legittimo» ripeto con una smorfia.
Appoggio la schiena all'indietro e respiro profondamente, cercando di mantenere un certo grado di compostezza.
Per come sono adesso, potrei salire sulla Bugatti e presentarmi nel suo hotel nell'arco di dieci minuti. Cinque, guidando sapientemente.

«Così, vuoi tagliarmi fuori senza il minimo riguardo» confermo, con calma apparente.
«Te lo avevo già detto: non provare a controllarmi. Non finisce mai bene quando tentato di farlo.»

«Che strano, succede lo stesso quando tentano di fermarmi da ciò che voglio fare» ribatte, sprezzante.

Come se non lo sapessi.

Rientro per andare alla ricerca di ciò di cui sta parlando. I fogli sono dove li ha lasciati, sul tavolino del salone.
Non credo sia un caso che si trovino nella medesima posizione in cui li ho sistemati per lei un anno fa.
Al posto dei documenti lascio il telefono in modalità vivavoce e strappo con estrema lentezza la carta che tengo tra le mani.

«Se il suono non ti fosse familiare, ho appena ridotto a carta straccia il tuo legittimo atto di proprietà. La casa è ancora tua, quindi vedi di metterci piede questa sera.»

«Non lo farò—»

«Non mi troverai qui, se è questo che ti preoccupa» la interrompo per dissolvere sul nascere ogni suo dubbio. «Fai come vuoi, chiamami quando sarai disposta a parlare.»

Inseguire troppo una preda può innervosirla a tal punto da rendere la caccia più difficile del dovuto. Molto meglio aspettare che decida di avvicinarsi di sua spontanea volontà.
È l'ultimo briciolo di pazienza che mi rimane, l'ultima galanteria che le riserverò prima di fare a modo mio.

Riaggancio senza aspettare una sua conferma; un suo ennesimo dissenso mi farebbe solo più male che bene. E mi serve lucidità, per riuscire a essere l'uomo che si aspetta che io sia.
Mi tolgo la camicia e la risistemo sotto al suo cuscino prima di rivestirmi e prendere il borsone.

Intravedo dei pezzi di carta vicino alla porta e mi torna in mente il fastidioso campanello che ho ignorato spudoratamente.

«Dannata stronza», è tutto ciò che mi suggerisce la mente quando leggo gli inviti firmati Giselle Hart.

Vorrei bruciarli seduta stante, ma per esperienza, evitare qualcosa non produce mai nulla di buono. Soprattutto quando l'avversario ha delle carte che potrebbero rovinarti l'esistenza.
Sistemo in tasca quello a mio nome e rimetto a posto il secondo.

Perlomeno, in quel fottuto circo, non sarà sola.






— 𝖢𝖤𝖨𝖫𝖤𝖭𝖠 𝖡𝖮𝖷 —

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Le resistenze di Myra non passano
di certo inosservate.
Ormai la conoscete, è testarda come un mulo.
Ed Eros sembra che possa solo portare pazienza... finché ne ha a disposizione.
Poi lo sapete, quando gli gira male
è capace di tutto.
Se vi sono parse scene già viste in precedenza, bene, questo doveva essere
lo scopo del capitolo.
Come ha detto Myra:
Eros è tornato al punto di partenza.
Tanto per farvi capire quanti passi indietro abbia fatto nei suoi confronti
dopo gli ultimi sviluppi.

E ora?
Preparatevi psicologicamente
al colpo di scena del prossimo capitolo.
Io non sto già più nella pelle!

Intanto fatemi sapere le vostre impressioni, dubbi, domande nei commenti.
Sapete che vi leggo e vi rispondo
sempre con molto piacere.
Ultimo step:
cliccate sulla stellina in fondo
per la votazione.
Grazie <3

Ceil.

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