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Capitolo 28 |Chiacchiere notturne|




Mentre allacciavo frettolosamente i lacci delle mie scarpe ginniche bianche (ormai consunte a causa degli innumerevoli allenamenti) mi sentii ancora una volta una sorta di fuggitiva.
Raccolsi i miei capelli in una coda disordinata, simile -se non peggio- a quella che facevo di prima mattina: di fretta e in preda al panico, già rassegnata al fatto di dovermi sorbire le filippiche di Mr. Cerbero sul mio "essere puntualmente in ritardo".

Sbirciai fuori dalla finestra. Era notte fonda e il giardino sembrava essere desolato.
A quell'ora assumeva un aspetto del tutto diverso dalla mattina.
Di giorno era costantemente popolato: dalle risate divertite degli studenti, al continuò vociare delle ragazze che spettegolavano sui vari "gossip" della scuola o ai vari rimproveri dei professori agli alunni a loro detta "eccessivamente dinamici".

Di notte invece era inanimato. Suggestivo come sempre ma senza quella parte viva che lo contraddistingueva.
Come un bellissimo palcoscenico allestito dal migliore dei professionisti ma senza attori pronti a donargli vivacità.

Passai nervosamente le mani sulla tuta azzurrina che indossavo, cercando di lisciare una piega ribelle.
Ero nervosa, ma carica di adrenalina. Era questo l'effetto dell'infrangere le regole, dopotutto.
Presi coraggio e uscii dalla mia camera. Il corridoio era deserto e questo non poté che farmi piacere.

Fu quando arrivai quasi alla stanza comune del dormitorio che il sangue quasi mi si raggelò nelle vene.
Voci. Quelle che sentii erano voci sottili -oserei dire anche civettuole- parlottare tra di loro.
Sul muro rifletteva il riflesso fioco di una delle lampade a luce calda della stanza.
Mi nascosi dietro il muro, appiattendomi fino all'inverosimile e desiderando per un momento di mimetizzarmi come un camaleonte.

Tecnicamente potrei farlo.

<Attenta sciocca! Mi fai male>.
Riconobbi quasi subito la voce graffiante e acida che arrivò alle mie orecchie.
<Scusami Amara. A volte mi dimentico>.
<Dovresti essere già guarita. Secondo me stai leggermente esagerando>.
Quelle che stavano parlando dovevano sicuramente essere le sorelle, Ester e Vanya. Mai una volta che le ho viste separate.

Mi ricordavano molto le gemelle Debois, due mie (ormai ex) compagne di classe di Montpellier.
Fanatiche fino all'osso del collo, sempre in cerca d'attenzioni e con un'incontinenza verbale da paura.
Attraversavano l'entrata della scuola come se stessero sfilando per qualche marchio d'alta moda, con le loro code svolazzanti, lunghe e bionde.

La cosa particolarmente inquietante era il completare le frasi l'una dell'altra.
Una iniziava e l'altra finiva.
Perlomeno le sorelle Nox erano in grado di formulare un discorso compiuto.
A compensare però c'era il fatto che non fosse due, bensì tre.

<"Leggermente esagerando"? Sono stata scaraventata di forza contro un muro di cemento, per poco non rimanevo paralizzata e tu hai la faccia tosta di dirmi che sto esagerando?> il tono che utilizzò mi fece rabbrividire, toccandomi nel profondo.
Dopotutto era colpa mia e -per quanto Amara fosse una carogna- mi sentii terribilmente mortificata per l'accaduto.

Mi appiattii ulteriormente al muro, drizzando le orecchie come un segugio.
<Hai ragione. Perdonami> si scusò la sorella.
<Quella pezzente. Sorella, permettimi di darle una lezione. In biblioteca, nella sezione B, ci sono parecchie enciclopedie da migliaia di pagine. Potrei farne fluttuare alcune sulla sua testa e farle accidentalmente cadere sulla sua testa bacata> suggerì l'altra.

Distinguerle era impossibile.
Solo Amara era l'unica che riuscivo a diversificare, e non solo per gli occhi.
Lei aveva qualcosa di maligno.
Quando parlava, quando ti guardava... anche quando taceva.
Le altre due erano semplici copie uscite male, sempre pronte a scodinzolare ai suoi piedi.

<Un'enciclopedia non basta. Servirebbe un'intera libreria per impartirle una bella lezione. O ancora meglio: rovesciarle un secchio ricolmo d'olio bollente in testa. Riesco quasi a sentire la sua pelle sfrigolare, mentre brucia fino all'osso> sussurrò alla fine. Probabilmente ad incorniciare il suo viso spigoloso c'era un ghigno malato.

Sottili risate divertite rimbombarono nella stanza.
Mi ricordavano il sibilo di un serpente a sonagli, attorcigliato su se stesso come una fune da marinaio e premeditando la sua prossima mossa.
Sentii la pelle d'oca formarsi anche sulla mia cute, risultò quasi dolorosa.
Inghiottii pesantemente il groppo che mi si era formato in gola, tremando a quella vendetta tanto macabra.

<Per quanto siano allettanti le vostre idee, voi non farete assolutamente nulla. Nessuna le torcerà un capello, sia ben chiaro> obbiettò Amara.
<Ma come? Quella sgualdrina non può rimanere impunita dopo quello che ha fatto>.
<Esatto. Amara, lascia fare a noi. Vedrai si pent-> la sorella venne bruscamente interrotta.
<Ho detto che non farete assolutamente nulla!> digrignò tra i denti.
<Credete che io voglia lasciarla impunita? Se solo potessi farei della calcestruzzo con la polvere delle sue inutili ossa. Tuttavia nessuna di noi farà niente fino a nuovo ordine> continuò.

Cosa intendeva dire con quella frase?
Il discorso stava prendendo una strana piega, tanto che mi dimenticai del mio impegno con Xavier.
Avevo un'irrefrenabile voglia di scoprire di cosa stessero parlando, tuttavia dovetti reprimerla. Ero in ritardo, di nuovo.
Dovevo necessariamente trovare un modo per passare.

<State tranquille, la questione è soltanto rimandata. Tuttavia voi ne rimarrete fuori. Me ne occuperò io della meticciata> disse.

Non risposero. Probabilmente sì erano limitate ad annuire. Dopotutto non avrebbero mai contestato gli ordini dell'ape regina.

<A proposito. Xavier?> chiese dal nulla una delle due.
<Già. Ultimamente lo vedo un po' troppo... distratto. Secondo voi cos'ha in mente?> disse l'altra.
Ci fu un minuto di solenne silenzio.
<Non ne ho la più pallida idea. Spero solo che non perda di vis->.
Amara non completò la frase.

"Spero solo che non perda" cosa?

Senza rendermene conto avevo urtato uno dei quadri appesi alla parete del corridoio.
Mi maledissi mentalmente per la mia vergognosa sbadataggine.

<Chi c'è lì?> chiese Amara, alzando di poco il tono della voce.
Il mio battito cardiaco accelerò rapidamente. Non c'era alcun posto dove potevo nascondermi e se fossi tornata indietro, verso la mia camera, mi avrebbero sicuramente raggiunta.

<Esci fuori. Ora> ripetè Amara, severa.
La mia pelle per poco non si incollò al muro tanto vi ero schiacciata.
Quasi valutai l'idea di uscire allo scoperto quando -per grazia divina- mi balenò in mente un'idea. Era azzardata come cosa, ma a quel punto tanto valeva rischiare.
Chiusi gli occhi, focalizzandomi su un volto in particolare. Percepii quel solito formicolio espandersi su tutto il mio corpo.
I muscoli si rilassavano e si contraevano ripetutamente.

Dopodiché non sentii più nulla.
Quella volta la muta era avvenuta molto più velocemente. All'incirca tre secondi scarsi.
Uscii allo scoperto, sotto i volti stupiti e preoccupati delle sorelle, comodamente sedute sulle loro poltrone.

<Preside Ramona...> pronunciò Amara, sbigottita.
<Non è un po' tardi per l'ora del tè, signorine Nox?> chiesi autoritaria.
Quel ruolo mi piaceva proprio, soprattutto se mi concedeva il diritto di conciare per le feste quelle tre.
<C-ci dispiace molto. Cosa ci fa lei qua?> chiese con tono confuso.

Pensa Soleil, pensa.

<Non credo siano fatti che le riguardino. Adesso tornate nelle vostre stanze. La prossima volta che vi trovo ancora in giro a quest'ora non sarò tanto clemente>.
Mi complimentai mentalmente con me stessa.
<Si, certo. Ci scusi ancora. Muovetevi ragazze> comandò Amara.

Mi passarono accanto, scrutandomi a occhi bassi.
Le vidi attraversare il corridoio, fino a quando i loro fastidiosi caschetti lisci scomparvero dal mio campo visivo.
Tirai un sospiro di sollievo. Tuttavia quel benessere durò ben poco.
L'orologio sopra il camino in marmo segnava mezzanotte e un quarto.

Mutai nuovamente, liberandomi dell'immagine della preside e assumendo la mia.
Corsi fino all'uscita della scuola, cercando di non fare troppo baccano.
Mentre attraversavo il giardino, correndo come se stessi partecipando alle Olimpiadi, immaginai il volto arrabbiato di Xavier.
"Cerca di essere puntuale" aveva detto.

Poi mi ritornarono in mente le parole di Amara.
Cosa significava "Nessuna di noi farà niente fino a nuovo ordine"? Nuovo ordine di chi?
E poi Xavier cosa c'entrava?

Arrivai davanti al gazebo in tempi record e con letteralmente zero fiato.
Raccolsi tutta l'aria possibile, tanto che probabilmente i miei polmoni divennero due palloncini ad elio pronti a scoppiare.

<Sei in ritardo. Come al solito> sentii dietro le mie spalle.
Il tono arrogante di Xavier urtò i miei nervi, già tesi come corde di violino.
<Che tu ci creda o no, questa volta non è colpa mia> pronunciai a fatica.
Mi girai nella sua direzione, rimanendo sconcertata quando mi accorsi di un'insolita terza presenza.

<Dimitri?> chiesi con tono confuso, aggrottando le sopracciglia.
Mi sorrise divertito.
<Ciao Soleil> sventolò la mano a mo' di saluto.
<Ci telestrasporterà nella dimensione di mezzo. È questo il modo "sbrigativo" di cui ti parlavo oggi pomeriggio. E prima che tu lo chieda: lui non sa nulla di questa storia e di quello che andremo a fare lì. Manterrà il segreto> spiegò Xavier.

Annuii, ancora scettica.
<Hai con te il diario?> chiese Xavier.
Quasi mi dimenticai di averlo portato. Lo avevo infilato nelle tasca della tuta che, non potendo contenere un oggetto di quelle dimensioni, si era inevitabilmente allargata.
<Si> riposi, picchiettando la mia mano su di esso.

<Bene. Facciamo in fretta. Abbiamo perso già abbastanza tempo> disse, guardandomi torvo.
Sbuffai infastidita.
<Ti ho detto che ho avuto un imprevisto> brontolai.
Non gli avrei detto quale. Volevo tenere per me quella strana "chiacchierata" delle sorelle.
Come al solito molte cose non mi tornavano.

<Sicuramente. Avanti, vieni qua> indicò affianco a lui con il cenno del capo.
Quando mi posizionai tra lui e Dimitri presero contemporaneamente
la mia mano.
Da una parte c'era quella calda di Dimitri e dall'altra quella gelida di Xavier. Una vera e propria escursione termica.
<Le istruzioni già le sapete: occhi chiusi e mani ben salde> spiegò Dimitri.

Annuimmo entrambi. Chiusi gli occhi, inspirando profondamente.
L'idea del teletrasporto ancora mi inquietava, fortunatamente non come la prima volta.
Inaspettatamente fu tutto come un intenso flashback.
Le gambe tremolanti come gelatina, i muscoli che formicolavano, i capogiri, quella fastidiosa sensazione di essere in due posti allo stesso tempo... la nausea insostenibile.

L'ultima cosa che sentii fu una mano -fredda e affusolata- stringere maggiormente la mia, avvolgendola protettiva.
Dopodiché il buio più totale.

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