XII - 𝔔𝔲𝔞𝔫𝔱'𝔢̀ 𝔭𝔯𝔢𝔷𝔦𝔬𝔰𝔬 𝔦𝔩 𝔱𝔢𝔪𝔭𝔬 𝔭𝔢𝔯 𝔫𝔬𝔦?
Se incontrassi un Djinni, cosa gli chiederesti, Vellian?
Di poter trascorrere ogni istante della mia vita con te, Emilia! Che altro potrei desiderare?
Qual sciocco che sei! Un Djinni mai potrà esaudire qualcosa di reale.
Allora vorrei un mondo ove non via sia guerra alcuna, ma soltanto pace e amore. Ove non esista l'odio, ma la fratellanza, ove la discriminazione venga sostituita dall'uguaglianza, ove la libertà sia un diritto di nascita per ogni specie.
Un nobile desiderio, Vellian. Urontrys avrebbe chiesto una caverna ricolma di monete d'oro, tal avaro di un nano!
Ho udito il mio nome; spero stiate parlando solo bene di me.
Il tuo desiderio non era poi così sciocco, Vellian...
«Cos'hai intenzione di fare, Emilia? Emilia? Emilia, mi stai ascoltando?»
La voce di Rudeus riportò la strega alla realtà. Sospirò poi posò il suo sguardo sulla figura dello stregone, seduto su uno sgabello e intento ad agitare i fogliacci lasciati da Eduart Frye. Umbrel ed Emma, invece, erano seduti a terra, intorno al bauletto da viaggio che, per tal occasione, era stato adibito a tavolo delle discussioni. Su di esso erano poggiati un paio di boccali ricolmi di birra, poiché ogni decisione importante non poteva non essere accompagnata da tal pregiata bevanda, benché quella servita al Bocca di lupo non fosse granché, alcune monete d'oro, nel caso in cui avessero dovuto affidare la loro decisione alla dea bendata, e una consunta mappa della città.
«Ben tornata fra i vivi.»
«La qui presente era assorta nei suoi pensieri» fece spallucce Emilia.
«Riflettevi sulla ragione per la quale hai deciso di lasciare il Djinni in libertà invece di porre fine, in qualche maniera, alle sue malefatte?» provò a pizzicarla Rudeus, nella vana speranza che la frecciata verbale appena scagliatale si conficcasse nel di lei petto. Un tentativo del tutto inutile, poiché la volontà di Emilia era inscalfibile quanto le dura pietra di un Golem.
«Egli non abbandonerà la foresta» lo rassicurò la strega. «Egli attenderà che noialtri facciamo la nostra scelta così da poterne trarre personale appagamento. Assai perfidi sanno essere i Djinni e di raro si sottraggono a qualsivoglia episodio che possa aggradare il loro maligno spirito.»
«Ebbene, altre valide argomentazioni! Non vi è la necessità che aggiungi dell'altro, Emilia, son già convinto dell'idea che tal essere vada intrappolato in un qualche artefatto quanto prima.»
«A tempo debito, smanioso di uno stregone» incrociò le braccia Emilia, che poi si rivolse agli altri presenti. «Voialtri? Idea alcuna? Sarò ben lieta di ascoltare ciò che avete da dire a riguardo.»
«Orsù, Emilia; sai già cosa penserebbe un infernale in tal simile situazione» volteggiò in aria, Umbrel. Ogni suo movimento venne seguito con disprezzo da Rudeus che, se avesse potuto, lo avrebbe rispedito ben volentieri nel reame dal quale era provenuto e nel quale meritava di appassire come un bocciolo sotto il cocente sole di Reshret.
«Lungi da me esser d'accordo con ciò che si agita nella tua soffice e demoniaca mente.»
«Lo necessito quanto un viaggiatore sperduto nel deserto agogni a una fonte d'acqua pura.»
Con un cenno sciolto della mano, Emilia fece intendere al piccolo Incubus che avrebbe avuto il suo benestare, a patto che avesse rispettato i termini del loro patto. Umbrel lo sapeva bene e mai li avrebbe infranti; mai. Mymic, che aveva seguito con vivo interesse la breve conversazione, non aveva compreso granché, così lanciò uno sguardo interrogativo verso Rudeus, quasi certa che fosse in grado di fornirgli delle spiegazioni; lo stregone, tuttavia, sollevò le spalle e scosse il capo. Persino egli non pareva essere a conoscenza del tipo di contratto che Emilia e l'Incubus avevano sottoscritto o quali fossero la clausole. Aveva anche provato a chiederglielo, in passato, ma la risposta della strega era stata un "contratto di reciproco sostegno stipulato per salvare la sua sommessa esistenza".
«Queste son le uniche alternative che abbiamo?» chiese timida Mymic, tornata a incrociare lo sguardo con quello della strega di Oakville. Il perché volesse salvare tutte quelle anime restava per ella un sorta di enigma, tuttavia per Emilia sembrava importante. «I Djinni sono furbi, da quel che mi è parso di capire; la verità potrebbe celarsi nel mezzo.»
Emilia parve iniziare a rifletterci. La mutaforma, in fin dei conti, non aveva tutti i torti. Con la verità tra le mani, avrebbe potuto liberare la città di Smallwick dal crudele sortilegio, senza la necessità di esprimere il desiderio e, quindi, dare potere al Djinni. Un sorriso beffardo si fece largo sul di lei volto.
Giochiamo a testa e croce, Djinni.
«Vorrei prima recarmi in un luogo.»
La strega si alzò da terra con grande agilità, poi lanciò uno sguardo a Rudeus. Lo stregone, per tutta risposta, asserì con il capo. Aveva ben compreso quale fosse il luogo che la strega volesse visitare prima di prendere la fatidica decisione, l'unica abitazione nella quale avrebbero voluto mettere piede ma che, a causa del canto di Merignane, non avevano più avuto modo di visitare: la dimora della fanciulla.
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Poco prima dello scoccare del mezzodì, come di consueto, l'incessante pioggia aveva lasciato il proprio posto al timido sole, fattosi largo tra le scure nubi coi suoi tiepidi raggi. Emilia e Rudeus attesero tal esatto momento per raggiungere la costruzione ove lo sguardo del mendicante era imprigionato come uno spirito errante incapace di trovare la via per il Mare delle anime. Il canto di Merignane risuonava soave nell'aria, inebriando corpo e spirito dei due stregoni con la sua malinconia. Per quanto tal melodia provasse a trascinarli in un vortice di tristi emozioni, non vi era tempo prezioso da perdere. I loro cuori non avrebbero ceduto al richiamo delle sirene.
Con fare ardito, Rudeus si avvicinò alla porta, come aveva fatto il dì precedente, e senza indugio alcuno la buttò giù assestando contro di essa un calcio. Una coltre di polvere seguì il fragoroso schianto, nascondendo per un breve istante l'angusto e buio ingresso, mentre una famigliola di topi si riversò squittendo fuori dalla costruzione, spaventati dal rumore. Emilia si voltò verso il mendicante e ne studiò il volto, curiosa di scoprire se, dopo quel gesto, qualcosa fosse mutato nella sua espressione o nei suoi pensieri. Sospirò nel momento in cui constatò che il macilento uomo era rimasto imperturbabile, immerso in una mente che lo teneva ancorato con forza a tal forma di eterna agonia.
«Entriamo? O indugiamo sulle vesti del mendicante?»
La domanda di Rudeus riportò l'attenzione di Emilia sulla silenziosa abitazione. Quando ella si voltò, Rudeus era stato già inghiottito dall'oscurità di quel luogo, ove nemmeno la luce del sole pareva aver il coraggio di entrare. La strega di Oakville seguì il suo compagno e si inoltrò nella costruzione; a breve avrebbe scoperto se la sua ipotesi era corretta o meno.
Spesse assi di legno coprivano le finestre piombate, prive di qualsivoglia spiraglio, e impedivano alla luce di penetrare nelle interiora di legno e pietra della costruzione. Strati di polvere secolare ricoprivano la poca mobilia che arredava il piccolo soggiorno; un caminetto era incastrato nella parete di sinistra e pareva non venir utilizzato da solo gli antichi dèi sapevano quanto tempo. Libri, abiti e vari oggetti erano disseminati sul pavimento selciato contribuivano a donare un lugubre senso di abbandono alla suddetta abitazione. Pareva che nessuno ci mettese piede da oltre un secolo.
Accasciata contro un angolo, con le ginocchia portate all'altezza del petto, vi era una fanciulla in lacrime. I di lei singhiozzi avevano guidato i due stregoni nel buio del soggiorno, aiutati anche dalla fiamma di una candela accesa da Emilia.
«Siete la fanciulla del ruscello?» le domandò la strega, con voce calma. Nell'udire tal quesito, sul volto di Rudeus si delineò un marcato stupore. Egli non ne sapeva nulla, né che la fanciulla della fiaba fosse viva né che dimorasse in quella sospetta abitazione. L'ennesima informazione omessa dalla sua compagna.
Ella mosse il capo con fare assertivo, senza rivolgere lo sguardo ai due stregoni. Immersa in un dolore che nessun altro poteva comprendere, la fanciulla non accennava a porre fine al fiume di lacrime nei quali si erano trasformati i suoi spenti occhi azzurri.
«Provate a parlarne con noi, con la qui presente» si inginocchiò vicino a ella Emilia, poggiando la candela sulla superficie del piccolo tavolo rotondo che, con la medesima cura di una madre per il suo pargolo, aveva celato la fanciulla da sguardi indiscreti. «Vi garantisco che potremmo esservi d'aiuto più di quanto crediate.»
La fanciulla non si voltò. Il suo viso era nascosto tra le pieghe della candida veste, il suo sguardo perso nelle tenebre, il suo cuore rinchiuso in una teca fatta di dolore e rimorso. Tuttavia, decise che avrebbe raccontato la sua verità a quegli sconosciuti, la cui scarsa educazione e rispetto per l'altrui dimore era andato perduto nelle profondità del Mar dei coralli. Per quale ragione doveva privarsi dell'unico evento che aveva spezzato la monotonia impossessatasi della sua esistenza e di quella di Smallwick?
«All'inizio era tutto così bello»-- iniziò a raccontare. «Ci incontravamo ogni dì al ruscello e ci promettevamo amore eterno. Poi tutto è divenuto così ripetitivo, monotono, freddo. Nessuno dei due poteva fuggire dalla prigione che il Djinni aveva creato per noi né, tanto meno, riuscivo a sopportare l'idea di averlo strappato alla sua vita e relegato a una maledizione senza tempo. Ho smesso di andare al ruscello, di incontrarlo, e mi sono rinchiusa qui, nella speranza che la Morte venisse a bussare alla mia porta, tuttavia né la fame né la sete hanno effetto sui nostri corpi. Non si può morire in un luogo ove il tempo non esiste, no?»
«E il vostro amato?» la incalzò Emilia. Rudeus si schiarì la voce con una certa enfasi; lo faceva spesso quando reputava che la sua compagna avesse mancato di garbo a qualcuno. La fanciulla, tuttavia, parve non farci caso e riprese il racconto.
«Egli si siede sulla sponda del ruscello e mi attende fino al vespro. Quando il sole cala del tutto oltre l'orizzonte, se ne ritorna da dov'è venuto per poi ripresentarsi il dì successivo. Mi ero illusa che la mia assenza potesse spezzare in qualche modo la maledizione, ma è evidente quanto la mia idea fosse errata. Nessuno può liberarci dal peccato.»
La verità era oramai nella mani di Emilia. Il principe Enrich era scomparso nei boschi magici di Smallwick tempo addietro. La promessa sposa, madamigella Margrett, convintasi che l'amato fosse scappato con un'altra donna, si era tolta la vita in un ruscello. La leggenda terminava con una fanciulla uccisasi per le pene d'amore, tuttavia non si trattava di colei che aveva espresso il desiderio, bensì della promessa sposa del principe. Finzione e realtà erano state abilmente unite in un unico racconto, una leggenda che aveva affascinato le genti di tutto il continente per molti inverni e attirato un gran numero di novizi sposi, pronti a giurarsi amore eterno sulle sponde del ruscello. Quante anime potevano essersi perse nella città senza tempo da quando la storia aveva iniziato a diffondersi? Nessuno mai avrebbe trovato il coraggio di rispondere a tal quesito.
Emilia si mise a sedere contro la parete, spalla a spalla con la fanciulla. Prima di aprire bocca per poterle dire qualsiasi cosa, la osservò con estrema attenzione. Ogni fibra del suo corpo pareva voler abbandonare il mondo dei vivi. Forse era pentimento, il suo, per aver condannato migliaia di vite a un sortilegio ingiusto, frutto di un suo egoistico capriccio. La consapevolezza di essere la causa di ogni male, per Smallwick, per i suoi abitanti, per coloro che erano solo di passaggio e che erano rimaste vittime, doveva averla logorata più di quanto avessero fatto la fame o la sete.
«La qui presente può spezzare la maledizione, se è quel che desiderate.»
Per la prima volta dal momento in cui due stregoni avevano messo piede nell'angusta e tetra abitazione, la fanciulla spostò il suo sguardo verso di loro. I suoi occhi spenti parvero brillare di nuova speranza per un istante; le sue piccole orecchie pregarono gli antichi dèi di aver udito le giuste parole fuggite dalle labbra dell'estranea dalle argentee trecce.
«Ne saresti davvero in grado?» le domandò con un filo di voce, ancora incredula.
«Ogni mia parola è legge, a Chromalia.»
La fanciulla si scompose e afferrò entrambe le mani di Emilia, portandole al petto. La strega poté percepire i battiti del suo cuore accelerare, la luce nei suoi occhi tornare a brillare di speranza; il suo desiderio di porre fine a tutto pareva a un passo dal realizzarsi. Pareva non importarle nulla del fatto che la sua vita, con ogni probabilità, sarebbe stata spezzata insieme alla maledizione.
«Allora te ne prego, metti fine a tal agonia.»
«E sia.»
Emilia sospirò rassegnata, poi si alzò da terra. Sulle sue spalle poggiavano le vite di migliaia e migliaia di anime dannate, troppo strette per potersi far carico di un tal fardello; eppure la loro salvezza dipendeva da una sua decisione. Si augurava, in cuor suo, che fosse quella più giusta. Nell'antica lingua degli Elfent, la strega chiamò il nome del suo bastone magico, che apparve subito dopo mezz'aria. Ella lo afferrò al volo e, mentre lo fece roteare con agili movimenti di polso, iniziò a intonare la formula magica.
«Intendi spezzare il sortilegio senza affidarti al Djinni?»
«Conosco la verità, Rudeus; e questa mi dà controllo sulla maledizione. E sul Djinni.»
Un sottilissimo anello dorato iniziò a formarsi all'altezza della vita della strega, anello che in un sol battito di ciglia si estese per diverse spanne, fino a coprire l'intera superficie del soggiorno. Dodici cifre erano riportate sulla sua superficie, simile a granelli di sabbia uniti fra loro da forze magiche, mentre delle lunghe lancette nere avevano cominciato a muoversi, accompagnando ogni scatto a un ticchettio sinistro. L'anello cresceva a ogni parola che sfilava dalle rosee labbra di Emilia e, etereo come gli spettri della Geisternebel, oltrepassò le spesse mura dell'abitazione. La fanciulla e Rudeus osservavano esterrefatti il potente incantesimo, l'una stretta tra le braccia dell'altro.
Il cielo si fece cupo e l'orologio ascese verso di esso, andando a occuparne tutta la porzione visibile. Le lancette, a quel punto, iniziarono a girare lungo il quadrante più e più volte a gran velocità, divenendo del tutto indistinguibili tra loro, fino a quando l'orologio andò in frantumi. Frammenti di vetro caddero al suolo come candidi fiocchi di neve, fulgide schegge che finirono con l'adagiarsi ovunque fosse loro possibile; sui ripidi tetti delle case, tra i capelli dei macilenti popolani, sulle lastricate vie.
La maledizione era stata spezzata.
La fanciulla sorrise, finalmente libera dalle catene che l'avevano resa prigioniera di un tempo crudele, gioiosa di aver donato nuova pace a tutti coloro ai quali l'aveva sottratta. Lacrime di gioia solcarono le sue guance scavate, un flebile e quasi impercettibile grazie fuggì dal suo cuore, poi accadde l'inevitabile. Tra le braccia di Rudeus, la giovane fanciulla iniziò di colpo a invecchiare, il suo viso a riempirsi di grinze più e meno marcate e i suoi capelli a tingersi via via di bianco. Il tempo era tornato per reclamare ciò che gli era stato sottratto. Lo stregone osservò la cruda metamorfosi fino a quando di lei non rimasero altro che fragili ossa e un cranio vuoto, incapace di piangere né di sorridere.
Ti stai recando al Mare delle anime?
Maggiorana, timo, calendula e iperico, ricorda a tutti i vivi che dimoran qua,
che il tuo amore più grande sta tornando a casa.
Cantò per un'ultima volta il mercante, Eduart Frye. Presto avrebbe riabbracciato la sua amata e le avrebbe spiegato la ragione per la quale, quel lontano dì, non aveva più fatto ritorno a casa; e si augurava, in cuor suo, che ella potesse perdonarlo per tutto. Suonò il suo liuto fino a quando le esili dita non divennero ossa, poi polvere, cantò fino a che del suo petto non rimase altro che un involucro vuoto, versò lacrime fin quando ebbe occhi per farlo. Poi, di lui, non rimase altro che il silenzio.
Persino Rudeus, nonostante fosse una creatura magica, aveva subito gli effetti del desiderio del Djinni. Una folta e ispida barba si era impossessata del suo viso, i capelli cresciuti a tal punto da raggiungere le stanche spalle. Incredulo e spaventato, lo stregone si tastò più volte il volto alla ricerca di grinze che lo solcassero, lo deformassero; tirò un sospiro di sollievo quando le sue dita percepirono una pelle ancora liscia e uniforme. Per un attimo, aveva temuto che fosse trascorso abbastanza tempo da ridurre anche il suo corpo in un cumulo di ossa. Aveva creduto di morire.
«Quanto diamine siamo stati in questo luogo?» chiese egli, dopo che il suo cuore aveva ripreso a battere con regolarità nel petto. E non ci era voluto poco.
«Arduo da quantificare» rispose seria Emilia, che poi si mise a osservare il panorama. Non solo i popolani, ma anche le abitazioni avevano sorbito gli effetti del suo incantesimo. La costruzione ove dimorava o, meglio, aveva dimorato la fanciulla era ridotta a un indistinta montagnola di pietre e legno spezzato, ben lontana dall'assomigliare a quella in cui avevano messo piede giusto pochi istanti prima. Altre abitazioni erano conciate in maniera simile, come se divorate da affamati Lignofagi; di loro non era rimasto altro che legno marcio e macerie.
Le strade erano ridotte a una rete di viti, erba e radici, impadronitesi di tutto quel che potevano ottenere e che gli era stato sottratto. Rami e foglie spezzate ricoprivano le vie della silenziosa città, mentre l'erba alta dei giardini incolti ondeggiava al vento, con fruscii sinistri. Nonostante il decadimento degli edifici, la città conservava un fascino antico, quasi mistico. Tuttavia vi era una terribile sensazione di disperazione dalla quale pareva difficile sottrarsi, la realizzazione che più il tempo passava e più le tracce di coloro che erano vissuti lì sarebbero svanite. Benché fossero rimasti dei corpi o resti di edifici, non sarebbe passato molto tempo prima che di Smallwick non restasse più nulla.
Il vento tra le fronde degli alberi e lo scricchiolio del legno erano gli unici suoni dominanti in una città che aveva appena smesso di essere tale. La città senza tempo era appena divenuta la città senza vita.
«Torniamo al Bocca di lupo.»
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