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| 𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 2 |

<<Gli mancava la rabbia.
Quella forza oscura chè il segreto di ogni successo.>>

Undici mesi dopo, Vicenza Italia

Era un giorno come gli altri per le strade di Vicenza. Una calda morsa aveva assalito non solo la città, ma anche il resto del paese, spingendo, gran parte degli italiani, a partire verso le mete balneari per i loro week end. Facendo sì che, le grandi città del paese, cominciassero man mano a svuotarsi, lasciando un po' di quiete a tutti coloro che, purtroppo, non si potevano allontanare dalla propria città.

Mancavano meno di due ore all'apertura de Il Grottino. Un antico locale di Vicenza, scavato sotto la Basilica.

"Eddai, Sam! Vedrai che sarà divertente!" la frizzante voce di Kyla Riflessi, echeggiò soave dentro le mura del locale per il quale, da alcuni anni, vi lavorava.

"Per te, qualsiasi cosa è divertente, se questo implica allontanarsi da Vicenza" le rispose la sua migliore amica, osservandola mentre recuperava tutto il necessario per cominciare a preparare i cicchetti da esporre all'apertura del locale.

"Ok, hai ragione" disse la Riflessi, appoggiando una baguette sul tagliere, ed iniziando a tagliarla a fette più o meni tutte dello stesso spessore. "Trascorrere una settimana di totale relax a Portorico non è divertente" proseguì, passando all'amica le fette di pane appena tagliato, così che lei potesse preparare i vari gusti di cicchetti. "E' da sballo" concluse, colpendo con la spalla la bionda. La quale, trattenendo una risata, iniziò a tagliare delle fettine di formaggio.

"Io credo che tu voglia solo sottrarti al confronto che Marco ti ha chiesto" con la coda dell'occhio, la Moretti osservò Kyla.

Quest'ultima, nell'udire il nome del suo, oramai, ex ragazzo, si bloccò appena, riflettendo su come rispondere all'amica. Poggiò il coltello sul tagliere poi, dopo aver inspirato a fondo, si voltò in direzione della bionda. La Moretti, notando la serietà nel volto della Riflessi, si fermò anche lei dalla preparazione dei cicchetti, attendendo che Kyla parlasse.

"Non voglio avere più nulla a che fare con lui" si contorse le mani dal nervoso. "Non dopo quello che mi ha fatto"

"E fai bene, dico davvero ma..." si interruppe, riflettendo. "Fossi in te, lo ascolterei. Non tanto per dargli la soddisfazione di incontrarlo ma per te stessa" il tono della sua voce era gentile. "Meriti di avere delle risposte" aggiunse, circondando la vita dell'amica con il braccio. "Così poi potrai decidere se vuoi che gli buchiamo le ruote dell'auto o mandare Stellan e Sebastian ad intimargli di starti lontano" cercò di farla sorridere.

"Rimango dell'idea di andare a Portorico" rispose la ragazza mulatta, dopo qualche attimo trascorso in silenzio.

Di fronte a quella risposta, la bionda non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo, sorridendo.

"San Juan?" chiese la ragazza dagli occhi chiari. La mora annuì. "E va bene, andiamo a Portorico" si arrese.

Nell'udire quelle parole, gli occhi di Kyla le si illuminarono. Gettò le braccia attorno al collo della Moretti, dicendole un "Sei la migliore!" con tono entusiasta. "Vedrai, ci divertiremo"

Oh, se solo avessero saputo che, da quella divertente vacanza, ne sarebbe scaturito il caos più totale, forse, non sarebbero mai partite.

Le ore di lavoro di Kyla, al locale, trascorrevano veloci tra il servire i clienti e il chiacchierare, di tanto in tanto, con Samantha ed i due giovani Rossi. Stava preparando un cocktail per un cliente quando, la voce di Marco, il suo ex, interruppe il suo lavoro.

"Dobbiamo parlare" pronunciò quelle parole, poggiando entrambe le mani sul bancone e posando il suo sguardo sulla Riflessi.

"Non credo proprio. Sto lavorando" rispose lei, evitando di guardarlo e continuando a preparare i diversi drink.

Davanti a quella risposta, Marco si allungò sul bancone del locale, afferrando per il braccio la mora.

"Per quanto ancora hai intenzione di ignorarmi, mhn?" domandò lui, strattonando leggermente Kyla. "Ti ho detto che dobbiamo parlare quindi ora, da brava, vai in pausa ed esci con me per conversare" ordinò, autoritario.

"Te lo puoi scordare" la voce della Riflessi era decisa. Scrollò il braccio, cercando di liberarsi dalla presa del suo ex. "Lasciami, o mi metto ad urlare"

Quello che Marco non sapeva era che, dall'altro lato del bancone, tre paia di occhi avevano assistito all'intera scena. Ed avevano deciso di intervenire in favore della ragazza. Senza farsi minimamente notare da lui, entrambi i fratelli Rossi avevano lasciato il loro posto e, lentamente, si erano diretti verso il loro obbiettivo. Sebastian si fermò alla sinistra di Marco, mentre Stellan alla sua destra. Impedendogli, in quel modo, di sottrarsi alla loro ira.

"Fossi in te, la lascerei andare" esortò Sebastian, il minore dei Rossi. "A meno che tu non voglia che la tua faccia diventi un tutt'uno col legno del bancone"

A quelle parole, Marco ruotò il capo in direzione di Seba, scoppiando a ridere dopo averlo guardato.

"E dimmi, moccioso" Sebastian alzò un sopracciglio, attendendo che l'ex della sua amica proseguisse col suo discorso. "Sarai tu a darmele?" rise, squadrando dall'alto in basso il diciannovenne.

"Questo dipende da quanto vorrai soffrire" intervenne Stellan, che attirò così l'attenzione di Marco. "Se vuoi, Seba può romperti il braccio, giusto per farti capire che Kyla non la devi toccare senza il suo permesso" la sua voce era tagliente. "Ed io poi posso farti diventare una cosa sola col bancone. Giusto per farti entrare nell'anticamera del cervello che, quando una ragazza ti dice di no, vuol dire no"

Di fronte alle parole dei due fratelli Rossi, ed avendo percepito che, per davvero lo avrebbero conciato per le feste, Marco lasciò finalmente andare il braccio della mora. La quale, rapidamente, raggiunse la sua migliore amica che, nel frattempo, l'aveva raggiunta dietro il bancone del bar, per assicurarsi che stesse bene.

Successe tutto così velocemente. Talmente veloce che, solo gli occhi oramai abituati dei fratelli Rossi e della Moretti, potessero accorgersi di quanto stava accadendo. Marco si allontanò dal bancone, chiudendo entrambe le mani a pugno. Talmente strette che le nocche gli divennero bianche. Poi, credendo di essere stato rapido, cercò di sferrare un pugno in direzione di Stellan. Il maggiore dei Rossi, però, che stava attendendo una qualsiasi mossa da parte dell'ex di Kyla, agì ancor più velocemente. Con un movimento fulmineo, con la mano destra bloccò il polso destro di Marco, storcendogli leggermente tutto l'arto. Gli portò il braccio dietro la schiena, piegandolo quel tanto che bastava per sentire il ragazzo mugugnare dal dolore. Poi, già che c'era, con la mano libera, spinse il busto di lui in avanti, facendolo piegare contro il bancone. Gli poggiò poi ma mano sulla nuca, tenendolo immobile.

"Dimmi, Marco" la divertita voce di Sebastian catturò l'attenzione del diretto interessato. Il diciannovenne si chinò, così da poterlo guardare negli occhi. "Cosa si prova quando qualcuno ti tocca senza avergli dato il permesso?" domandò. Il ragazzo stava per rispondere ma, Sebastian, lo anticipò. Non voleva affatto ascoltarlo. "Se, per puro caso, veniamo a sapere da Kyla, o da qualcun altro, che le stai dando, in qualche modo, noia" proseguì a parlare, guadandolo pieno d'odio e rabbia. "Farai una lunga vacanza in ospedale" lo minacciò. "Sono stato chiaro?"

Non ricevendo alcuna risposta, Stellan storse maggiormente il braccio di Marco. Fino a che, quest'ultimo, non farfugliò un "Chiaro"

San Juan, Portorico

I caldi raggi del sole che, leggeri, entravano dalla porta finestra che dava sul giardino, si soffermarono sul viso addormentato di Ruben. Era in momenti come quello, quando stava beatamente dormendo, che il suo bellissimo volto mostrava dei tratti innocui ed angelici. Arricciò leggermente il naso poi, con rinnovata calma, aprì gli occhi. Permettendo a suoi meravigliosi occhi verdi, di abituarsi alla luce del sole presente in camera da letto. Dopo essersi stiracchiato, ascoltando come, le sue ossa, schioccavano sotto ai movimenti di stretching a cui erano sottoposti, si mise seduto sul lato del letto, passandosi una mano sul viso.

Un leggero ed, appagato, sospiro fatto nel sonno, lo costrinse a voltarsi, ritrovandosi ad ammirare la bellissima ragazza che dormiva tranquilla nel letto. Allungò una mano, accarezzando la lunga e morbida chioma scura di Penelope. Rimase ad osservarla per vari secondi, senza guardarla però a pieno. Difatti, il suo sguardo era perso, mentre le rotelle del suo cervello, giravano appieno, facendolo riflettere.

Tanti... Forse troppi pensieri, gli frullavano per la testa. Però, uno in particolare, nelle ultime settimane, lo avevano fatto riflettere a lungo. E quel pensiero era legato proprio alla ragazza che gli dormiva accanto nel letto, Penelope.

<Non è lei quella giusta>

Più volte, nell'ultimo periodo, si era ritrovato a ripetersi quella frase. Perché anche se Penelope era la sua donna da poco più di due anni oramai... Sua, realmente, non era mai stata.

La Soler, in lui, vedeva principalmente quel luogo sicuro in cui avrebbe potuto fare la bella vita. Facendo tutto quello che, El Diablo, le chiedeva di fare.

D'altro canto, Ruben, era alla ricerca di qualcuna in grado di tenergli, finalmente, testa. Che fosse capace di mandarlo nella più totale confusione, obbligandolo a rivedere le sue priorità.

Cercando di fare meno rumore possibile, si sollevò dal letto, recuperando dal pavimento un paio di pantaloni della tuta. Rapidamente, se li mise addosso ed, in punta di piedi, uscì dalla porta finestra, andando in giardino.

L'erba ben curata, gli solleticava i piedi nudi, facendogli quasi provare un senso di totale serenità.

L'alba, era il momento della giornata preferito per El Diablo. Perché era solo, in quel lasso di tempo, quando tutti ancora dormivano, che lui, signore del male, riusciva ad essere semplicemente se stesso. Un ragazzo come tanti altri e non il capo di un pericoloso cartello criminale.

In lontananza intravide la figura di Asier, la sua fidata guardia del corpo, intenta a fumare una sigaretta. In silenzio, lo raggiunse, fermandosi a pochi passi da lui.

"Capo" lo salutò Castro, passandogli una cicca e l'accendino.

Senza farsela offrire due volte, Ruben accettò la sigaretta, accendendola subito dopo.

"Che succede, capo?" domandò Asier, percependo dei dubbi nel silenzio di Perez. Si conoscevano da talmente tanti anni che, ormai, ad entrambi bastava un semplice sguardo per comprendere l'altro. "Cos'è che ti turba?"

"Mi conosci fin troppo bene, non è vero, Asier?" replicò El Diablo, dopo aver fatto fuoriuscire dalla sue carnose labbra, una piccola nuvola grigiastra di fumo. Diede un altro lungo tiro alla sigaretta, per poi tornare a parlare. "Si tratta di Penelope"

Con la coda dell'occhio, Castro lo osservò, formulando poi un "Ho notato, infatti, che la Soler rimane qui sempre di meno" dando poi un tiro alla sigaretta. "Prima l'andavo a prendere tutti i venerdì sera, riaccompagnandola poi agli appartamenti la domenica pomeriggio. Ora..." si interruppe un attimo. Guardò nuovamente Ruben, scoprendo che, quest'ultimo, stava attendendo che proseguisse col suo discorso. "Ora, se tutto va bene, me la fai andare a prendere ogni due settimane. E di sabato" diede così voce ai suoi pensieri.

"E andrai a prenderla sempre meno" Perez lanciò, lontano da loro, il mozzicone di sigaretta. Asier sollevò un sopracciglio, attendendo che, il suo capo, gli spiegasse il motivo di tale decisione. "Sta iniziando a chiedere... A pretendere troppo da me, e dal legame che abbiamo" ammise, senza troppi giri di parole. "Vuole trasferirsi, in pianta stabile qui, alla villa, sai?" Puntò i suoi occhi chiari verso l'orizzonte, ammirando il paesaggio, di sua proprietà, che si stagliava intorno a loro. "E' certa che, dato che ha l'esclusiva con me da poco più due anni ormai, possa permettersi di venir a dettar legge a casa mia. E' convinta che, lei, possa essere capace di sottomettere uno come me" strinse le mani a pugno, voltandosi in direzione di Asier. Il quale, fino ad ora, era rimasto in silenzio ad ascoltare. "Capisci cosa vuole fare, Asier?" chiese. "Crede di poter dominare El Diablo" Un'aspra risata lo attraversò.

"Falle capire chi è che comanda, Diablo" parlò Castro, dopo aver trascorso vari minuti in silenzio. "Dopotutto, è lei ad avere il nostro marchio, non il contrario"

"Oh, sta pur certo che è proprio quello che ho intenzione di fare, Asier" confessò El Diablo. "Lo farò non appena avrò trovato quello che sto disperatamente cercando"

"Sarebbe?" la curiosità s'impossessò di Castro.

El Diablo si voltò, guardando dritto negli occhi la sua guardia del corpo. Suo fratello. La sua famiglia.

"Qualcuna che sia in grado di tenermi testa e, chissà, magari anche capace di fottermi testa e cuore" rispose Ruben, abbozzando un mezzo sorriso. L'idea di trovare, una ragazza così, lo intrigava moltissimo. "Grazie per la sigaretta" lo ringraziò, avviandosi verso casa per andare a fare colazione. "Non stare fuori ancora a lungo. Entra e vieni a mangiare. Abbiamo un sacco di lavoro da fare" lo invitò, continuando a camminare.

Asier Castro, in silenzio, osservò suo fratello allontanarsi poi, quando Ruben si era allontanato abbastanza, gli urlò "Se dovessi trovare quello che stai cercando" Perez arrestò la sua camminata, senza però voltarsi. "Cosa ne farai di Penelope?"

"Non ti preoccupare" cominciò a parlare Ruben, mentre si voltava in direzione della sua guardia del corpo. "So già cosa fare a riguardo. Dopotutto, sono o non sono El Diablo?" chiese, indicandosi.

Oh, stai pur tranquillo, Ruben. Qualcuno capace di tenerti testa arriverà. E, con sé, porterà un caos tale da fotterti testa e cuore. Sei stato avvisato.

Vicenza, Italia

Mancavano meno di quindici ore alla partenza, delle due migliori amiche, per San Juan. La fatidica meta della loro piccola e rilassante vacanza di sole donne.

Kyla, dopo aver cercato, quasi inutilmente, di non mettersi in valigia mezzo del suo appartamento, a bordo della sua Ford KA+, si era diretta verso la casa con patio appartenente alla famiglia Rossi.

Dopo la tragica perdita dei suoi cari, Samantha, su suggerimento di suo zio Andrea, si era trasferita da loro. Così da non restare mai più sola.

Quella sera, era una serata importante. Difatti, si sarebbe festeggiato il ventiquattresimo compleanno della giovane Moretti.

Lo zio Andrea, con l'aiuto dei suoi due figli, aveva organizzato una cena con gran parte dei membri dei Sons of Silence, per festeggiare appunto il compleanno della sua unica nipote.

Ed, a breve, un'importante decisione presa da Andrea Rossi, sarebbe stata riferita a tutti i componenti dei Sons of Silence. Una decisione che avrebbe dato un'inaspettata svolta alle rigide regole del gruppo.

Una decisione che, per Andrea Rossi, sarebbe senz'altro, una boccata d'aria fresca per i Sons of Silence. O, forse, ne sarebbe stata la rovina.

Il rombo del motore della macchina di Kyla, echeggiò soave per tutto il giardino dell'abitazione della famiglia Rossi, attirando l'attenzione della giovane Moretti. La quale, rapidamente, attraversò il verde prato, raggiungendo l'amica.

"Cavolo, il tuo ventiquattresimo compleanno sarà festeggiato in grande stile" affermò la mora, non appena scese dall'auto e poté ammirare, a bocca aperta, come, il giardino, fosse stato addobbato per l'evento. "Ci manca solo Chirs Evans ed è tutto perfetto" aggiunse, facendo ridere la bionda.

"Oh lo sai che preferisco Hemsworth" rispose, di rimando, Samantha.

La Riflessi stava per rispondere quando, la possente voce di Andrea, attirò la sua attenzione. Difatti, l'uomo, stava raggiungendo le due ragazze con le braccia allargate, pronto per accogliere in un caloroso abbraccio Kyla. La quale, non appena Rossi le raggiunse, senza indugiare troppo, abbracciò l'omaccione che le si trovava davanti.

"Grazie per l'ospitalità, zio" lo ringraziò Kyla, chiamandolo con quell'appellativo.

D'altronde, era la migliore amica di Samantha dai tempi delle elementari e, proprio come la bionda, aveva trascorso lunghi ed interi pomeriggi nell'abitazione dei Rossi.

"Non devi ringraziarmi, e lo sai. Dopotutto, questa è anche casa tua" le ricordò, guardandola negli occhi. "I ragazzi mi hanno detto che Marco, l'altra sera, è venuto a darti fastidio al locale" proseguì a parlare, mentre accompagnava la Riflessi dagli altri presenti. "Vuoi che me ne occupi io personalmente?" gli chiese, poggiandole una mano sulla schiena.

"No zio, tranquillo" rispose lei. "Penso che abbia recepito il messaggio che Ste e Seba gli hanno dato" spiegò, congiungendo le mani.

"Molto bene" Andrea riprese a camminare. "Ma, semmai dovesse darti ulteriormente altra noia, me lo devi dire. Così lo farò stare buono una volta per tutte" concluse. In risposta, Kyla annuì.

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Tra le innumerevoli bottiglie e lattine di birra strette tra le mani dei membri dei Sons of Silence, e le fragorose risate, le quali, mixate con le note rock che soavi riempivano l'aria, la festa di compleanno della giovane Moretti si stava svolgendo al meglio.

Il capo dei Sons of Silence, in tutta tranquillità, se ne stava seduto a capo tavola di quell'immensa tavolata imbandita di cibo ed alcol a volontà, intento ad ammirare, fiero, l'immensa famiglia che, assieme al suo defunto migliore amico, Alessio Moretti, aveva costruito.

<Se solo potessi vedere tutto quello che siamo riusciti a costruire... Dal nulla... Ne saresti orgoglioso> mormorò tra sé e sé mentre, con la mano sinistra, toccava l'anello di Alessio che portava al collo.

"Papà" l'allegra voce di Sebastian, il minore dei suoi figli, lo distolse dai suoi pensieri, riportandolo alla realtà. Gli azzurri occhi dell'uomo si posarono sul figlio, il quale proseguì a parlare. "E' giunto il momento"

"Hai ragione" affermò, alzandosi dalla sedia. Diede tre forti colpi con la mano sul tavolo, attirando così l'attenzione di tutti i presenti. Con la mano destra, sollevò a mezz'aria la sua bottiglia di birra, pronto per fare il suo annuncio. "Innanzitutto vorrei ringraziare tutti voi per essere qui, questa sera, a festeggiare il compleanno della mia piccola, Samantha" Tutti i presenti, all'unisono, alzarono chi la bottiglia, chi la lattina, in segno di saluto. "E vi ringrazio anche perché" si interruppe, osservando la nipote che sedeva tra i suoi due figli. Le sorrise, tornando poi a parlare. "Perché, dopo tanti mesi passati nella tristezza, questa sera, voi tutti siete stati in grado di farla sorridere come un tempo" Ci fu un'altra muta alzata di bicchiere. "Ma questo non è l'unico motivo per cui siete qui, questa sera" aggiunse. Tutti i presenti lo guardarono, in attesa che proseguisse col suo discorso. "Sebastian" chiamò il figlio, il quale, fulmineo, rientrò in casa, tornando in giardino qualche attimo dopo con in mano una scatola regalo. Che poggiò successivamente davanti a sua cugina, prima di tornare a sedersi.

Andrea Rossi guardò rapidamente e, nuovamente, tutti i presenti prima di continuare a parlare.

"Voi tutti sapete molto bene come, noi Sons of Silence, siamo molto differenti, rispetto alla maggior parte dei gruppi di motociclisti presenti nel mondo, quando si tratta di avere le donne nel nostro gruppo" parlò con tono serio, avendo la massima attenzione dei presenti. "Per noi, Sons of Silence, le donne devono essere trattate con il massimo rispetto e non come serve o giocattoli sessuali" proseguì, ricevendo cenni di annesso da parte dei presenti. "Anche se, non hanno voce nelle decisioni finali legate ai nostri affari, le donne non devono mai sentirsi inferiori. Perché anche loro, proprio come noi, possiedono il loro tatuaggio. Però, da questa sera, le cose cambieranno" rimase un attimo in silenzio, osservando tutti. "Stamani, ho preso un'importante decisione. Decisione che, ovviamente, è stata esposta ed accettata dagli anziani"

Curiosa, Samantha puntò i suoi occhi chiari proprio in direzione degli anziani. Quattro uomini che, molti anni prima, avevano deciso di seguire Andrea ed Alessio nella fondazione dei Sons of Silence. Divenendo, col tempo, una sorta di "consiglio" a cui affidarsi nelle più importanti decisioni.

"Samantha, mia cara, apri il tuo regalo"

Con mani leggermente tremanti, Samantha sollevò il coperchio della sua scatola regalo. Con delicatezza, spostò la carta velina nera e, rigorosamente coperta da innumerevoli e piccoli teschietti bianchi. Restando letteralmente a bocca aperta di fronte a quanto stava ricevendo come dono di compleanno.

"Non ci posso credere" mormorò, coprendosi poi la bocca con la mano destra. Cercando di limitare lo stupore che, rapido, si stava impossessando di lei.

"Mostra a tutti il tuo regalo" disse suo zio, sorridendole.

Obbedendo a suo zio, la Moretti, dopo essersi alzata dalla sedia in cui era seduta, tirò fuori dalla scatola il dono ricevuto, lo ruotò, cosicché tutti potessero vedere di cosa si trattava. Una giacca in pelle senza maniche, con lo stemma ed il nome dei Sons of Silence ben evidenti nella parte posteriore della giacca. La stessa identica giacca che, tutti i membri... Tutti gli uomini appartenenti al gruppo di motociclisti, possedeva.

"Da questa sera, fino alla sua morte, Samantha, l'ultimo discendente dei Moretti, è un membro ufficiale dei Sons of Silence" annunciò, con voce piena di orgoglio il signor Rossi. "Verrà trattata con lo stesso rispetto e la stessa uguaglianza di chiunque, di voi, indossi quella giacca"

Dopo quelle parole, ci fu un boato di approvazione da parte dei presenti. La Moretti, dopo aver ringraziato tutti coloro che si stavano congratulando con lei, si allontanò dal caos della festa, andando nel retro del garage, per restare qualche istante da sola. Giusto il tempo necessario per riprendersi dalla gioia che, in quel frangente stava provando.

Stava per tornare alla festa quando una voce, la sua voce, attirò la sua attenzione.

"Buon compleanno, Sam"

Di scatto, si voltò in direzione della voce, ritrovandosi ad ammirare l'uomo che, da sempre, vegliava su di lei. Viper.

"Che ci fai qui?" chiese lei, allarmata. "Se gli altri... Se Victor ti trova qui" non riuscì a concludere la frase perché Viper la interruppe.

"Non ti preoccupare per me" disse, sollevandole con due dita il mento, così da poterla guardare al meglio in viso. "Sono un maestro nel passare inosservato" la rassicurò, accarezzandole con il pollice la guancia. "Sono mesi che cerco di mettermi in contatto con te, senza successo"

"Hai scoperto qualcosa sulla morte della mia famiglia?"

Viper negò col capo, mormorando poi un "Nulla di nuovo. Solo tante ed inutili false piste"

"Allora perché sei qui? Perché stai mettendo a rischio la tua sicurezza?"

"Perché sono qui?" ripeté lui, avvicinandosi alla Moretti. "Tu sei la mia priorità, Sam" affermò, prendendole il viso tra le mani congiunte a coppa. "Veglio su di te da quando sei nata e... E continuerò a farlo fino a che avrò fiato in corpo" La guardò con estrema attenzione. "Ho giurato di farlo e, anche se dovesse crollarmi l'intero mondo addosso continuerò a farlo"

"Non devi proteggermi" disse Samantha, sottraendosi piano alla presa di Viper. "Non adesso che..." si bloccò, mordendosi il labbro inferiore.

"No, no, no" borbottò l'uomo, passandosi la mano sulla folta barba. "Ti ha dato la giacca, non è vero?" La Moretti si limitò semplicemente ad annuire. "Merda" imprecò, mentre si tirava indietro i ricci. "Questo complica tutto" mormorò poi.

Samantha lo osservò con estrema attenzione, potendo notare come, metaforicamente parlando, le rotelle del cervello di Viper stessero girando. Alla ricerca di una soluzione.

"Devi lasciare Vicenza. Devi lasciare non solo il Veneto, ma l'Italia stessa" annunciò l'uomo, mentre camminava su e giù per tutto il retro del garage.

"No!" esclamò lei, quasi urlando. "E dove dovrei andare? Questa è casa mia. Qui sono al sicuro"

"Al sicuro?" domandò, ridendo in modo sprezzante. "Lo capisci o no che, in quella maledetta auto, dovevi esserci tu?" le chiese poi, ricevendosi, per tutta risposta, dei cenni negativi fatti col capo dalla bionda. "Samantha Moretti per l'amor di Dio!" tuonò Viper, facendola sussultare. Era la prima volta, in assoluto, che le stava urlando contro. "Sam ti prego, guardami" disse poi, gentilmente.

In modo riluttante, la bionda sollevò lo sguardo, puntandolo dritto negli occhi del suo angelo custode. E, per la prima volta da quando lo conosceva, in quei occhi chiari che, fino a quel giorno, vi era sempre presente forza e determinazione, ora vi era solo paura e disperazione.

"So bene che, la maggior parte delle volte io ed Andrea abbiamo avuto pensieri ed idee contrastanti. E, credimi, so che, dandoti quella giacca, tuo zio voleva fare il meglio per te. E solo Dio sa quanto io creda in te, e quanto tu ti meriti non solo quella giacca, ma un posto in questo mondo ma" si fermò un attimo, riprendendo fiato. "L'averti dato quella giacca, in questo delicato momento, ha solo ampliato il bersaglio che hai puntato sulla schiena" spiegò. "Per questo motivo... Ti prego, ascoltami e fa, come ti dico, ancora una volta. Devi fidarti di me"

---

Era tarda notte quando, gli ultimi membri dei Sons of Silence, lasciarono casa dei Rossi, in sella alle loro moto.

Con le parole di Viper che le ronzavano in testa come uno sciame d'api, la Moretti rientrò in casa. Salì le scale, fermandosi davanti alla porta dell'ufficio di suo zio. Bussò e, dopo aver ricevuto risposta da parte di Andrea, entrò nella stanza.

"Ho il presentimento che tu voglia dirmi qualcosa. Non è forse vero, piccola mia?"

"Mi conosci fin troppo bene, zio" rispose lei. Suo zio l'osservò, attendendo che continuasse a parlare. "Ho bisogno di allontanarmi per un po' da qui"

"Infatti stai andando, con Kyla, a San Juan"

"No zio, intendo dopo San Juan" affermò, contorcendosi le mani dal nervoso. Andrea sollevò un sopracciglio, non capendo a pieno le parole di sua nipote. "L'ultimo anno è stato difficile per me e... E ho bisogno di allontanarmi da casa per essere finalmente in grado di andare avanti. Ogni cosa qui mi ricorda loro e" si fermò, percependo di essere sul punto di scoppiare a piangere. "E ho questo vuoto nel petto che mi sta lentamente logorando. Sono triste, sempre. Non voglio più essere triste. Voglio tornare ad essere la ragazza di prima ma so che, qui, almeno per ora, non posso esserlo"

A quelle parole, Andrea Rossi si alzò dalla sedia, facendo il giro della scrivania e raggiungendo sua nipote. Le poggiò una grande mano sulla guancia, scacciando via qualche lacrima che stava, ingiustamente, rovinando il bel viso di sua nipote. La guardò, per vari secondi, in totale silenzio.

"Se solo i tuoi genitori fossero qui per vedere come, la loro bambina, sia divenuta una forte e straordinaria donna" ammise con un leggero tremore nella voce. Dopotutto, lui aveva perso non solo suo cognato, il suo migliore amico, ma aveva anche perso la sua sorellina.

"Non sono poi così forte, zio" sussurrò lei, trattenendo un singhiozzo. "Insomma, guardami" aggiunse poi, indicandosi. "C'è solo male nella mia vita" il labbro inferiore le tremò. "E vuoto. Sono vuota e morta dentro"

"E allora torna a vivere, bambina mia. Vivi e colma il vuoto che hai nel cuore"

"Con cosa dovrei colmare il vuoto che sento?"

"Con rabbia" rispose Rossi. "Rabbia per quello che ti hanno fatto. Rabbia per non aver ricevuto alcuna risposta riguardo quanto è accaduto. Rabbia per non aver ancora ricevuto vendetta per la famiglia" spiegò con determinazione. "Alimentati di rabbia e vedrai che, mai nessuno, d'ora in poi, potrà più farti soffrire ne, tanto meno, sottometterti. Perché sei un membro dei Sons of Silence. Perché sei figlia e nipote di coloro che li hanno fondati. Perché sei Samantha Moretti. Ed i Moretti non si piegano davanti a nessuno"

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