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| 𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 11 |

<<Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione.
Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo.
E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato.>>

 Bologna, Italia

Le taglienti parole che lei, varie ore prima, gli aveva inveito contro, portandolo a mostrarsi, per l'ennesima volta, per quello che realmente era, continuavano incessantemente a martellargli in testa. Proprio come un martello pneumatico, gli battevano nel cervello. Ancora e ancora.

<Vaffanculo!> tuonò mentalmente tali parole, scuotendo la testa. Cercando, in quel modo, di allontanare quelle taglienti parole dalla propria, oramai, stanca mente.

Durante quella notte non era mai stato in grado di chiudere occhio. Perché, ogni qualvolta che le pesanti palpebre gli si abbassavano, chiedendo una tregua, dato il sonno che provavano, ecco che, puntuale come un orologio svizzero, quella dannata conversazione ritornava, più cattiva di prima, a rovinargli i suoi già tormentati sogni.

Con addosso solo un paio di pantaloncini da ginnastica, si era recato nella propria piccola palestra, situata nel seminterrato di quella vuota casa. E, dopo aver gettato a terra il proprio cellulare, rompendolo, aveva rivolto la sua totale attenzione a quel vecchio sacco da boxe.

L'unico oggetto, in quella grande casa, a dargli la soddisfazione di subire, silenziosamente, tutti i tormenti che ruotavano attorno al suo cuore.

Quello che Nathan Bailey possedeva era un cuore rotto. Incapace di provare belle emozioni.

Gli batteva lì, nel petto, solo per tenerlo in vita. Nulla di più.

E così, avvolto nella più oscura luce della notte, cominciò a colpire, ripetutamente, quel sacco da boxe. Sperando che, in quel modo, almeno una piccola parte della rabbia che, da troppe ore oramai, si era impadronita di lui, gli scivolasse via dalle spalle. Donandogli anche pochi attimi di serenità.

Continuò a colpirlo, scaricando rabbia e stress ad ogni pugno che, con forza e maestria, sferrava contro quel vecchio oggetto. Lo colpì ancora, fino a che, le prime luci dell'alba, non cominciarono a filtrare tra i vetri di quelle piccole finestrelle poste sul lato nord del seminterrato.

Ad eccezione di quel ripetitivo suono che, le sue doloranti nocche producevano ogni qualvolta che entravano in contatto col cuoio logoro del sacco da boxe, in quella palestra regnava un'opprimente silenzio.

"Merda!" ringhiò Nathan, sferrando con immensa forza l'ennesimo cazzotto.

Allontanò, con assoluta calma, la mano dal punto che, qualche attimo prima, aveva colpito. Scoprendo, con non troppa sorpresa a dire il vero che, in quel povero e vecchio sacco da boxe vi era uno strappo. Dal quale, proprio come le gocce di una pioggia autunnale, i granelli di sabbia, i quali davano peso e volume a quel grande involucro di cuoio e filo, stava cadendo a terra in una lenta cascata. Finendo col riempire, il pavimento circostante ai suoi piedi, di minuscoli granellini sabbiosi.

Con la mente rivolta decisamente altrove, allungò la mano sinistra verso il sacco da boxe. E, dopo aver sollevato il dito indice, conficcò quel dito all'interno dello strappo. Compì un deciso movimento laterale, ampliando il danno che aveva inferto al suo miglior oggetto antistress.

Il leggero suono di lenti passi, provenienti proprio dalle sue spalle, lo fece ritornare coi piedi per terra, per così dire. Tese le orecchie, in attesa di sentire cosa, uno dei suoi uomini, aveva da riferirgli. Decise, però, di rimanere voltato di spalle.

"Signore" la possente voce di Brad risuonò per quelle quattro mura dalle tonalità cupe.

"Cosa vuoi, Brad?" domandò Nate con voce scorbutica.

Sollevò in aria la mano destra, con l'intento di tirarsi indietro la scura chioma quando, nel tirare su quell'arto, realizzò di essersi tagliato tutte le nocche di quella dolorante mano. A furia di tutti i colpi che, per gran parte della notte aveva sferrato. Aprì e chiuse a pugno la mano per svariate volte. Ammirando come, non appena quel leso arto si chiudeva, quei piccoli tagli presenti sulle nocche, si aprivano sempre più. Facendo fuoriuscire più sangue e portando, inevitabilmente, Bailey a storcere appena il naso dal dolore.

"E' arrivata questa, signore" parlò l'altro uomo, raggiungendo il proprio capo e fermandosi accanto a lui. Allungò la mano destra, passando a Bailey la busta bianca.

"Che diamine è?" domando di ribatto il moro, agguantando al volo la busta.

"Un invito"

Nell'udire quel termine, Nate sollevò il scuro sopracciglio, non comprendendo quanto, Brad, stesse dicendo.

"Un invito?" ripeté lui, scuotendo il capo. "Ora siamo diventati aristocratici?" chiese, con voce scherzosa.

Solitamente non era affatto tipo da ricevere inviti, anzi. Era lui stesso a mandarli. Quindi, il ritrovarsi, in quel preciso momento, con stretto tra le mani quell'invito, lo sorprese un pochino.

Frettolosamente e, ignorando il dolore alle mani, aprì quel misterioso involucro di carta, estraendovi, dal suo interno, un foglio piegato in quattro. Con estrema attenzione, ne lesse il contenuto e, una volta appreso da chi proveniva quel strano invito, stracciò quel dannato foglio di carta, brontolando sotto voce.

<No. Non loro> si era ritrovato a dirsi mentalmente, scuotendo il capo in segno di negazione. <Non ora che la mia testa è andata a farsi fottere!>

"Declina l'invito" ordinò autoritario, mentre si accucciava a terra per recuperare la bottiglietta d'acqua. L'aprì, bevendone un lungo sorso. "Non sono in vena di vedere nessuno" aggiunse, richiudendo la bottiglietta d'acqua. "Di ai ragazzi di prepararsi. Stasera torniamo a casa" ordinò, guardando dritto negli occhi il suo più fidato uomo.

Brad, per tutta risposta, si limitò unicamente ad annuire. Girò i tacchi, pronto per chiamare e far preparare tutti i ragazzi quando, la calma voce della domestica, attirò non solo la sua attenzione, ma anche quella del suo giovane capo.

"C'è una chiamata per lei, signore" disse la donna di mezza età, mentre percorreva la palestra, con adagiato su di un vassoio il telefono senza fili della casa. Raggiungendo i due uomini.

Sia Nathan, sia Brad, si guardarono con aria alquanto confusa. Nessuno, ad eccezione di relativamente poche persone, era in possesso del recapito telefonico di quella villa.

E, di certo, il caro Bailey non stava attendendo alcuna chiamata.

Quindi chi diamine poteva essere?

"Grazie" Nate ringraziò la donna, cercando di abbozzare un piccolo sorriso, fallendo miseramente.

Sorridere era un gesto che, purtroppo, gli risultava dannatamente difficile da fare. Era da tempo... Forse troppo tempo che aveva smesso di sorridere. Da quando, in quel lontano giorno, la sua vita era cambiata per sempre. Da quando, come un tornado, la felicità gli fu strappata via e, al suo posto, era piombato il caos più assoluto.

"Pronto?" pronunciò, non appena appoggiò il telefono contro l'orecchio destro.

"Nathan Bailey" pronunciò il suo nome la persona posta dall'altro lato del telefono. Mettendo appena in allerta il moro. "E' difficile riuscire ad entrare in contatto con te" gli fece notare l'uomo.

"Succede quando sei un uomo d'affari" replicò il ventinovenne, cominciando a camminare su e giù davanti a Brad. "Sai, hai un tempismo nel chiamare le persone" proseguì il suo discorso. "Ho appena letto il tuo invito. Mi dispiace ma..." fu interrotto.

"Verrai?" chiese l'altro.

Per tutta risposta, Bailey digrignò i denti, trattenendo a stento un'imprecazione. Se c'era una cosa che, Nathan Bailey odiava a morte, era quella di esser interrotto mentre stava parlando.

La considerava una mancanza di rispetto nei propri confronti.

"Stasera me ne torno a New York, quindi no. Non riesco ad essere, da te, domani pomeriggio"

A quella risposta, seguirono alcuni minuti di totale silenzio da parte dell'altro uomo. Tant'è che, per ben due volte, Nate aveva allontanato dal proprio orecchio il telefono, controllando se non fosse caduta la linea.

"Devi saldare il tuo pegno" sibilò a denti stretti l'altro. "Sapevi, fin troppo bene, cosa voleva dire avere un pegno con qualcuno" affermò poi, facendo innervosire Nathan.

"Pensi che non lo sappia, mhn?" controbattè il moro, alterato. "Pensi che non sappia cosa vuol dire rifiutarsi di pagare pegno?" domandò, arrestando di colpo la sua camminata e sferrando un pugno contro il suo migliore oggetto antistress.

"Allora cerca di far si che, la tua graziosa testolina, non diventi la prossima decorazione nella mia mensola"

E, nell'udire quelle parole, Nathan non ci vide più. Le narici si dilatarono ed il respiro gli si fece sempre più corto.

"Devo forse ricordarti chi sono?" tuonò Nate, furioso. "Devo forse ricordarti con chi stai parlando?"

Dall'altra parte del telefono si sentì una fragorosa risata.

Di certo, colui che, in quel frangente, stava conversando con il temibile Segugio Infernale, non era intimorito da lui.

"Ci vediamo a mezzogiorno, Nathan" disse il misterioso uomo, urtando ancor di più il sistema nervoso di Bailey. "Porta il ciondolo" concluse, riattaccando la chiamata.

Non appena la chiamata fu conclusa, e da quel apparecchio elettronico non proveniva più alcun suono, Nate scaraventò il telefono contro la parete del seminterrato, rompendolo in vari pezzi.

"Mai un attimo di pace, cazzo!" esclamò, arrabbiato come non mai. "Cambio di programma, Brad" borbottò, rivolgendosi al suo uomo. Il quale, per tutta la durata di quella chiamata, se ne era rimasto in totale silenzio al fianco del suo capo. "Raduna Luke, Dylan, Erasmuss e Joel. Li voglio qui tra trenta minuti esatti" il tono di voce autorevole. "Fai rifornire e preparare il jet. Dobbiamo partire quanto prima" aggiunse poi, avviandosi verso la porta che conduceva alle scale.

"Dove andiamo?"

"Vicenza" rispose Nate, continuando a dargli la schiena. "I Sons of Silence ci attendono"

Vicenza, Italia

"Anche se con poco preavviso, ho fatto lo stesso qualche ricerca sui Sons of Silence, Nathan" parlò Joel, nonché fidato uomo di Bailey, mentre recuperava una cartelletta dalla ventiquattrore che si era portato con se. L'aprì, estraendovi un fascicolo contenente quante più informazioni possibili legate al clan di Andrea Rossi. "I Sons of Silence sono stati fondati a metà degli anni Ottanta da Andrea Rossi e Alessio Moretti. Agli occhi di tutti, si tratta di un semplice club di motociclisti, con sede principale a Vicenza" lesse, ottenendo l'attenzione di tutti i presenti in auto. "Ma il club, come anche l'impresa edile appartenente a Rossi, non sono altro che una copertura per le loro principali attività" aggiunse, leggendo con eufemismo l'ultimo termine.

"Quindi di cosa si occupano?" chiese il ragazzo di colore che portava il nome di Erasmuss.

"Droga, principalmente" rispose il biondo, non togliendo mai gli occhi dal fascicolo. "Dai primi anni Duemila, hanno iniziato a vendere armi. Per lo più armi d'assalto ad uso militare... Non so come possano farlo ma sono in possesso di numerose armi" aggiunse poi, scrutando di sfuggita i suoi compari. "E... Cazzo"

"E cosa, Joel?!" intervenne Luke, guardando l'amico dallo specchietto retrovisore.

"E' solo una voce ma... Ma si pensa che abbiano iniziato, negli ultimi due anni, a realizzare armi chimiche"

Un'assordante silenzio calò nell'abitacolo di quella macchina a sette posti che, i sei, avevano noleggiato non appena avevano lasciato il jet alla pista privata utilizzata proprio dai Sons of Silence.

"In che cazzo di guaio ti sei cacciato, Nate?" prese parola Dylan. Il quale, fino a quel preciso istante, se ne era restato in silenzio. Intento a fumarsi una sigaretta. "Da quando, tu, ti fai mettere i piedi in testa così da qualcuno che non appartiene ai Massoni?"

Ah, i Massoni.

Quell'associazione composta da quelle dannate famiglie. Tredici, per la precisione.

Le tredici, tra le più importanti famiglie, appartenenti al mondo della criminalità organizzata. Le cui radici, di ogni stirpe, erano annidate nella mala vita dai tempi dell'Antico Egitto.

Ed, assieme, lungo tutto questo vasto lasco temporale, tramandato poi di padre in figlio, le leggi... Le loro leggi, regnavano sovrane. Rendendo, nei secoli, sempre più potente e spietata l'organizzazione dei Massoni.

"Fossi in te, mi morderei la lingua. Così da evitare di far uscire, da quella stra cazzo di bocca, altro che puttanate" sibilò Bailey, guardando in cagnesco Dylan. "Nessuno di voi, ad eccezione di Brad, sa cosa Alessio Moretti ha fatto per me" disse, passandosi poi una mano sui capelli ordinati. Cercando di mantenere la calma. "E' stato l'unico, anni fa, ad essere stato capace di darmi quello che disperatamente stavo cercando" aggiunse, osservando uno ad uno i suoi uomini. "E, tale informazione, mi è costata un pegno"

Ah già, i pegni.

Una sorta di scambio di favori suggellati col sangue.

Qualora che, una persona chiede appoggio ad un'altra, la persona a cui è stato richiesto l'intervento, può chiedere, al richiedente del favore, che venga registrato un pegno. E, con la registrazione del pegno, colui che, in precedenza era stato aiutato, serve l'obbligo di esaudire una singola richiesta da parte dell'altra persona legata a quel scambio di favori.

E, semmai colui che ha firmato, col proprio sangue quel pegno, dovesse rifiutarsi di soccorrere l'altra persona, la pena sarebbe stata la morte.

Per questo motivo, il grande Segugio Infernale, così veniva denominato Nathan Bailey nel mondo della mala vita, si trovava ora, assieme ai suoi uomini, davanti alla sede dei Sons of Silence.

Per saldare il suo debito e potersi tenere, attaccato al collo, la sua graziosa testolina.

Non che egli temesse, in qualche modo, di giocarsi la testa, sia chiaro. Il misterioso Nathan non aveva paura di nulla, tutt'altro. Semmai era lui che, nel corso degli anni, era divenuto, nel mondo della criminalità organizzata, un demonio per i suoi rivali.

"Quindi come funziona, capo?" domandò Erasmuss, mentre scendeva dalla vettura. "Paghi il pegno e poi chi si è visto s'è visto?"

"Non è così semplice, Erasmuss" disse Nate, conducendo i propri uomini verso il cancello della sede dei Sons of Silence. "Prima di tutto, indipendentemente dalla richiesta che mi faranno, la dovrò fare, se vorrò continuare ad avere la testa al proprio posto" affermò, camminando con passo svelto. "Ma, sai... Anche se salderò il mio pegno, non mi libererò mai di questo clan" ammise.

"E con questo cosa vuoi dire?" replicò nuovamente il ragazzo di colore, osservando il proprio capo mentre si fermava davanti al cancello della sede del clan di Rossi.

"Ho fatto una promessa" rispose Nate, scrutando il suo uomo, Erasmuss. "E Nathan Bailey mantiene le promesse" concluse, per poi prestarsi a suonare il campanello.

Istintivamente, dopo aver terminato di pronunciare quella frase, si morse l'interno guancia, riflettendo.

<Farò tutto ciò che posso per mantenere la promessa che ti ho fatto, mamma> disse tra sé e sé, respirando profondamente.

I sei dovettero attendere una manciata di minuti, prima di poter varcare l'immenso cancello con apertura a libro, che conduceva in territorio appartenente al clan di Andrea Rossi, i Sons of Silence.

Non appena il cancello in ferro battuto fu aperto per metà, con un cenno del capo, Nate invitò i propri uomini a seguirlo lungo il vialetto in ghiaia. Quando furono, oramai, vicini alla porta in legno massiccio, la quale conduceva all'interno del covo, per così dire, del clan dello zio di Samantha che, da non si sa dove, di preciso, apparve Victor. Il braccio destro di Rossi.

"Nathan Bailey?" chiese, mentre faceva fuoriuscire, dalle sottili labbra, una piccola nuvoletta di fumo grigio.

"Sono io" rispose il ventinovenne, avanzando in direzione dell'uomo pelato.

"Seguitemi" affermò Cook, facendo cenno, ai sei, di seguirlo all'interno del club.

Facendosi largo, tra alcuni nuovi iscritti al club motociclistico, Victor condusse gli ospiti di Rossi verso il retro del club. In un area riservata solo a pochi membri dei Sons of Silence. I membri più anziani, diciamo così.

La loro camminata, però, fu interrotta quando, un omone di circa centotrenta chili, per quasi duecento centimetri di altezza, gli si parò davanti, fermandoli.

Perplesso, Bailey lo osservò, notando che, quell'armadio a due ante, teneva stretto in mano una cesta in vimini rifoderata con della stoffa nera.

"Deponete lì le vostre armi, per favore" chiese, con una strana gentilezza, Cook.

"E, secondo te, noi dovremmo entrare, nell'ufficio di Rossi, senza un'arma per uso difensivo?" domandò Joel, facendosi largo tra i suoi compagni, e piazzandosi poi davanti a Victor.

"Siete in casa nostra. Qui, le regole, le facciamo noi" tagliò corto il braccio destro di Andrea, cominciando ad innervosirsi. "Se ti può consolare, ragazzino" proseguì poi, guardando in malo modo il biondino. "Qui, tra queste quattro mura, nessuno di noi tiene con sé la propria arma" concluse, aprendo un lato della giacca senza maniche. Così da far vedere, a tutti i presenti, che la fondina che sorreggeva la pistola era, effettivamente, vuota.

"Nessun problema" intervenne Nathan, non prima però di aver trucidato, con un semplice sguardo, il suo uomo. "Lasceremo le armi" affermò e, mentre pronunciava tali parole, si sfilò dalla cinta dei jeans la sua pistola, depositandola con cura all'interno della cesta.

A ruota, Brad, Joel, Dylan, Luke ed Erasmuss, lasciarono all'omone che portava il nome di Gianni, le loro armi. Seguendo poi Cook verso l'ufficio di Rossi.

"Sedetevi pure" gli invitò l'uomo pelato a prender posto su di un lato di quel grande tavolo rotondo posto al centro dell'ufficio. "A breve, Andrea, sarà da voi"

Victor non fece nemmeno in tempo a finire di pronunciare tali parole che, dall'altra porta dell'ufficio, la quale conduceva ad una stanza off limits, si aprì. E, da essa, vi apparve il giovane secondogenito di Rossi, Sebastian.

Il diciannovenne, dopo aver dato una rapida occhiata agli ospiti, chiamò a se Cook, pronunciando un "Di là noi abbiamo finito. Portalo pure all'ospedale, se ci arriva" detto ghignando appena.

E, mentre Victor spariva, andando nell'altra stanza, il giovane Seba andò ad accomodarsi su di una sedia libera, dall'altro lato del tavolo. Dalla stanzetta ci fu un forte tonfo, seguito a ruota da dei lamenti pronunciati in un flebile mormorio. Poi, nuovamente, la porta si aprì e, da quella macabra stanza, ne uscirono Andrea e il suo primogenito, Stellan. Seguiti a ruota da Victor il quale, con una leggera fatica, sorreggeva un ragazzo a torso nudo, di una trentina d'anni circa. Il giovane, semi cosciente, continuava a lamentarsi dal dolore che provava alla schiena. Dato che, proprio quella zona del corpo era, per circa l'ottanta percento, bruciacchiata e odorava di carne cotta troppo.

"Mi... Mi disp-dispiace sign-signore" si scusò in un mormorio balbettante l'uomo.

"Anche a me, Marco. Anche a me" replicò il capo del clan al trentenne, mentre osservava, il suo secondo, intento ad accompagnarlo verso l'uscita. Solo quando la porta principale dell'ufficio fu chiusa, l'uomo brizzolato prestò attenzione a Nate ed al suo clan, i The Hand. "Nathan, sei arrivato prima del previsto!" esclamò, mentre prendeva posto nel mezzo dei suoi figli.

"Non potevo di certo sottrarmi all'invito" rispose il ventinovenne, guardando dritto negli occhi chiari l'anziano. "Però, sbaglio o il pegno lo devo ad Alessio? Non mi risulta che lo debba a te" gli fece notare poi, cominciando a picchiettare le dita sulla liscia superficie del tavolo in legno scuro.

"Devi un pegno ai Sons of Silence" controbattè Rossi, scrutando con attenzione quel ragazzo che, praticamente, aveva visto nascere. "Quindi, eccoci qui" allargò le braccia, indicando l'ambiente circostante. "Hai portato il ciondolo?"

A quella domanda, Bailey si limitò unicamente ad annuire e, dopo aver frugato all'interno della tasca anteriore dei propri jeans, vi estrasse un ciondolo a forma di piccolo vasetto. Lo sollevò in aria, mostrandolo ai tre Rossi.

"Quindi Andrea? Cosa vuoi che faccia per saldare il mio pegno?" domandò il moro, adagiando davanti a sé il ciondolo.

Con un cenno del capo, Andrea invitò il suo secondogenito ad agire. Velocemente, il diciannovenne si sollevò dalla sedia, avviandosi verso una piccola cassettiera di metallo. Vi aprì il secondo cassetto, estraendovi un fascicolo. Poi, passando dietro a tre degli uomini di Bailey, si fermò proprio accanto al capo dei The Hand, consegnandogli quella cartelletta.

Nate, senza farselo dire due volte, aprì quel raccoglitore pieno di documenti e, assieme ad uno dei suoi più fidati uomini, Joel, diede una rapida occhiata al contenuto di quella, fin troppo, minuziosa ricerca. Frettolosamente, lesse qualche parola qua e là, sollevando poi il sopracciglio destro, leggermente confuso.

"Che significa?" domandò, sfogliando altre pagine.

"E' da un paio di giorni che, purtroppo, non riusciamo a metterci in contatto con Samantha" prese la parola il maggiore dei Rossi, congiungendo le mani. Nell'udire il nome della giovane Moretti, il moro distolse lo sguardo dal fascicolo, puntandolo nuovamente verso il capo dei Sons of Silence. "Sai, fin troppo bene che, Samantha, non salta mai un singolo aggiornamento"

"Due aggiornamenti al giorno. Uno al mattino, uno alla sera" mormorò ad alta voce Nate, facendo mente locale. "Di quanti mancati aggiornamenti stiamo parlando?"

"Sei" parlò Stellan.

<Merda! Sono settantadue ore di silenzio radio> rifletté, tra sé e sé, il ventinovenne.

"E cosa centra tutto questo con il contenuto del fascicolo?" chiese Bailey.

"Le ultime volte che ho parlato con lei" cominciò a parlare Sebastian, attirando su di sé l'attenzione del Segugio Infernale. "Mi ha riferito che era accidentalmente entrata in contatto con loro" affermò, indicando il fascicolo. "I Siervos del Diablo" aggiunse. "Mi ha detto che ha attirato, su di sé, l'attenzione del loro capo, El Diablo"

"Sanno chi è?" chiese Nate, passando il contenuto di quell'insieme di documenti a Joel. Cosicché, il biondo, potesse leggere. Per tutta risposta, Seba negò col capo. "Quindi io che dovrei fare?"

"I Siervos del Diablo trattano la prostituzione, Nate" parlò Andrea. "Temiamo che l'abbiano presa per farla prostituire"

Oh, se solo fosse stato così. Forse, e dico forse, sarebbe stato meglio. Almeno, conoscendo la biondina, sarebbe stata capace di sfuggire dalle grinfie di Perez. Ma, ahimè, le intenzioni di Ruben, nei confronti della giovane, erano ben altre.

"Quindi che dovrei fare, mhn?" ripeté quel quesito Nate, passandosi una delle due mani fasciate nella scura chioma. "Dovrei prendere, andare a..." si bloccò, leggendo il luogo in cui, El Diablo, operava. "...San Juan e salvare il culo a Samantha?"

A stento, nell'udire quelle parole, i tre Rossi riuscirono a trattenere una risata.

"Oh, Nate" lo chiamò Ste. "Sam sa benissimo salvarsi il culo da sola!" esclamò, passandosi una mano nella folta barba. "Devi andare a San Juan e darle un messaggio" spiegò, facendo poi scorrere, lungo la superficie del tavolo, un pezzo di carta piegato a metà.

"Scusatemi?" il ventinovenne sollevò un sopracciglio. "Ora, secondo voi, devo fare da messaggero?!" quasi urlò Bailey. "E' questo che dovrei fare per saldare il mio stra cazzo di pegno?" il tono di voce era sempre più rabbioso. "Consegnare un messaggio? Non potete farlo voi?"

"Non possiamo lasciare l'Italia" rispose, alzando il tono di voce, Sebastian.

Gli animi, all'interno dell'ufficio di Andrea Rossi, cominciavano leggermente a scaldarsi.

"Contattate un messaggero, allora" Le narici di Bailey si dilatarono. "Io, queste cose, non le faccio!"

"Perché non dai un'occhiata al contenuto di quel messaggio?" propose Andrea. "Leggilo e, poi, vediamo se devo contattare un messaggero oppure no"

Dylan, frettolosamente, afferrò quel foglietto, passandolo al suo capo. Il quale in silenzio lo aprì. E, man mano che i suoi occhi leggevano quanto era scritto, la sua espressione in viso si faceva sempre più cupa.

"Ne siete certi?"

Il capo dei Sons of Silence, a quella domanda, si limitò semplicemente ad annuire, mormorando poi un "E' la miglior pista che abbiamo" ammise, sospirando. "Per questo sto chiedendo, a te, di consegnarle quel messaggio. Non mi fido di nessuno"

Nathan, sul subito, sbuffò. Poi, dopo aver riletto per la seconda volta il contenuto riportato nel pezzo di carta, disse un "Quando dovrei darle questo messaggio?"

"Hai quattro giorni di tempo"

"Quattro giorni?" replicò il moro, sgranando gli occhi. "Tu pensi che, in quattro giorni, io sia in grado non solo di trovarla, ma anche di riferirle quanto avete scoperto?" chiese. "E' fuori questione, Andrea!" esclamò, alzandosi dalla sedia. "Mi spiace ma, ora come ora, non ho tempo per farti da messaggero. Ho altro per la testa" ammise, scuotendo il capo.

Era fuori questione. Mai, il grande Segugio Infernale avrebbe perso, il suo prezioso tempo, facendo il lavoro che spettava ad altri.

"Ti stai forse riferendo ad Anna?" domandò il capo dei Sons of Silence, inclinando di lato il capo.

Anna.

Nell'udire, il nome di lei, fuoriuscire dalla bocca del grande Andrea Rossi, il cuore rotto di Nathan perse un leggero battito. E, neanche farlo apposta, il respiro gli si fece man mano più corto ed irregolare.

Si stava incazzando.

Ed era meglio, per tutti i presenti in quell'ufficio, evitare di avere a che fare con la versione incazzata del Segugio Infernale.

Rapidi, gli occhi del ventinovenne saettarono in direzione della possente figura del capo dei Sons of Silence, riducendosi man mano a due sottili fessure.

Per tutta risposta, il più anziano, si sollevò anche lui dalla sedia, incrociando le braccia al petto.

"Credevate forse di esser stati gli unici a fare i compiti per casa?" il tono di voce del maggiore dei Rossi era incline allo sfotto. "Sai, Nate" tornò poi a parlare, mentre camminava in direzione del giovane capo dei The Hand. "Ti facevo più sveglio di così" ammise poi, fermando la sua imponente figura davanti a quella slanciata del moro. "Hai cercato di tenere nascosta Anna ma..." si fermò per qualche breve secondo, indicando col pollice il suo secondogenito. "...Ma sono bastate meno di due ore, a Sebastian, per scoprire tutto sulla signorina Giordania" proseguì, compiendo un unico passo in direzione del moro.

"Non ti permettere di toccarla" sibilò a denti stretti Nate, stringendo con forza le mani a pugno.

Talmente forti che, inevitabilmente, le nocche gli divennero bianche e, le corte unghie, si conficcarono nella morbida carne.

"Oh, Nate" mormorò l'uomo brizzolato, poggiando la mano tra la guancia ed il collo del giovane, così da tenerlo fermo, evitando anche di non interrompere quel loro contatto visivo. "Mi credi davvero capace di arrivare a tanto?" chiese, non permettendo al giovane di rispondere. "Ti amo nello stesso modo in cui amo i miei figli e mia nipote" confessò, addolcendo appena il timbro della sua voce. "Voglio il meglio per te e voglio che tu sia felice. Dopo tutto quello che hai passato, te lo meriti un lieto fine" aggiunse, riferendosi a quel maledetto e lontano giorno.

Giorno nel quale, il nostro Nathan Bailey, aveva perso tutto.

"Non lo merito il lieto fine" mormorò il moro, più a se stesso che ad Andrea Rossi. "Non ti posso aiutare Andrea. Non ora" compì un passo all'indietro, allontanandosi appena dall'omone.

Il volto di Rossi, a quelle parole, si rattristì appena. Annuì un paio di volte, borbottando poi un "E' la tua decisione finale?" Bailey annuì semplicemente. "Molto bene"

Silenziosamente, Andrea afferrò il ciondolo che era poggiato sul tavolo, avviandosi poi verso la cassettiera. Aprì il quarto cassetto, estraendovi un piccolo contenitore in legno. Con stretto in mano i due oggetti, se ne tornò al proprio posto.

Ogni singolo movimento che Rossi compiva, Nathan lo stava attentamente osservando.

Una volta seduto nuovamente tra i suoi due figli, l'uomo brizzolato aprì la scatola in legno, tirando fuori, dal suo interno, un orologio da taschino, privo dei suoi ingranaggi. Col pollice, premette nella parte superiore di quell'orologio a cipolla, aprendo così il coperchio che proteggeva il quadrante. Fu così, una volta aperto, che i figli di Andrea scoprirono che, all'interno del quadrante, non vi erano gli ingranaggi bensì un cartoncino color avorio, leggermente più piccolo rispetto alle dimensioni dell'orologio a cipolla.

E, su di quel cartoncino, vi era scritto con eleganti caratteri neri, il nome di Nathan Bailey. E, sotto al nome, vi era la sua impronta digitale del pollice. Realizzata col sangue.

Con estrema grazia, Andrea estrasse dal quadrante il cartoncino dalle tonde forme, poggiandolo poi sul tavolo. Recuperò, successivamente, il ciondolo. Aprì il piccolo coperchio fatto in sughero di quel grazioso vasetto e, dopo aver arrotolato, a mo di pergamena, il cartoncino, lo inserì all'interno del vasetto, richiudendolo subito dopo.

Poi, con un movimento deciso, fece scorrere il ciondolo lungo il tavolo. Il quale si fermò poco lontano dalla figura di Nathan.

"Il tuo pegno è saldato, Nathan" parlò Rossi, notando l'espressione confusa che era stampata sul volto del ventinovenne. "Puoi andartene" disse poi, alzandosi nuovamente dalla sedia. Invitando, in quel modo, tutti i presenti a fare lo stesso.

"Me ne vado così? Senza alcuna ripercussione?" domandò confuso Bailey.

Sapeva, fin troppo bene che, qualora si fosse rifiutato di eseguire la saldatura del pegno, entro i tempi imposti dal suo richiedente, la pena sarebbe stata la morte.

Ed ora, che si ritrovava col ciondolo stretto in mano, con il proprio pegno saldato, la confusione si era impadronita di lui. Ed era la prima volta, in tutta la sua giovane vita, che accadeva una simile cosa.

"Per quanto mi alletti l'idea di avere la tua graziosa testolina ad abbellire la mia mensola" iniziò il suo discorso Andrea, indicando con un cenno del capo la mensola ricolma di trofei, per così dire. "Credo che, vederti crogiolare nel senso di colpa, per non esser stato in grado di mantenere la promessa che hai fatto a tua madre, sia molto meglio che decapitarti" sibilò, ghignando appena.

"Ragazzi, accompagnate i nostri ospiti verso l'uscita" ordinò, rivolgendosi ai suoi figli.

In silenzio, Stellan e Sebastian guidarono, verso l'uscita, i membri dei The Hand.

Fu solo quando, tutti gli uomini al servizio di Bailey, uscirono dal suo ufficio che, ancora una volta, il capo dei Sons of Silence richiamò a se l'attenzione del Segugio Infernale.

"Ah, un'ultima cosa, Nate" cominciò, facendo arrestare la slanciata figura del moro, obbligandolo a voltarsi nella sua direzione. "Da oggi le porte dei Sons of Silence sono ufficialmente chiuse a te ed ai The Hand"

Con un enorme macigno a schiacciargli il petto, Nathan Bailey lasciò l'ufficio di Andrea Rossi, dirigendosi verso l'uscita.

Fu solo quando si trovò all'esterno del club, poco distante dal cancello che conduceva lui ed i suoi uomini fuori dal territorio dei Sons of Silence, che decise di parlare.

"Ragazzi davvero... Mi dispiace" si scusò, rivolgendosi ai fratelli Rossi.

Quei ragazzi col quale era cresciuto.

Nate aveva la stessa età di Stellan. Mentre, con Sebastian, aveva la bellezza di dieci anni di differenza. Ma, in ogni caso, ad entrambi voleva un bene fraterno.

"Alla fine non sei poi così diverso da tutti gli altri" disse amareggiato Seba, scuotendo il capo.

Non diede neanche il tempo al moro di replicare che, frettolosamente, dopo aver scalciato via qualche sasso di ghiaia, se ne era tornato all'interno del club. Non volendo più avere nulla a che fare con Nathan Bailey.

"Non fa nulla, Nate. Davvero" parlò Stellan, accendendosi una sigaretta. "Le origini prima di tutto, no?" Una nuvoletta grigiastra di fumo fuoriuscì dalle sue carnose labbra. "Faremo da soli, dopotutto lo abbiamo sempre fatto" spostò il proprio peso da un piede all'altro. "Appena riusciremo a trovare la nostra Sam, le diremo di tagliare ogni singolo contatto con te, così da non disturbarti più in qualunque modo"

Anche se non lo diede a vedere, quelle parole, dette da colui che considerava parte della famiglia, ferirono Nathan. Il quale, involontariamente, si ritrovò a mordersi l'interno guancia. Continuò a tormentarsi quel lembo di carne fino a quando, il metallico gusto del sangue, non invase la sua cavità orale.

Solo quando fu fuori dal perimetro dei Sons of Silence, nei pressi della vettura che aveva noleggiato, che scatenò la rabbia che, feroce, gli stava ribollendo nelle vene.

Difatti, come se posseduto da chissà che cosa, sferrò un sonoro cazzotto contro il finestrino anteriore della macchina, crepandolo.

"Cazzo, cazzo! Vaffanculo!" sbraitò, colpendo nuovamente quella superficie crepata.

"Cosa vuoi fare, capo?" chiese, dopo alcuni attimi di silenzio, Joel.

Nate poggiò entrambe le mani sulla macchina e, solo quando se le guardò, scoprì che, la fasciatura che gli copriva la mano destra, era macchiata di rosso. Segno che, i tagli che si era fatto durante la notte, si erano aperti ulteriormente, riprendendo a sanguinare.

"Hai preso il fascicolo?" gli domandò, guardandolo di sbieco. Joel annuì, sollevando l'oggetto in questione. "Leggi, con estrema attenzione, tutto quello che Seba ha riportato in quella minuziosa ricerca" ordinò, voltandosi. "Studia un piano, poi agiremo"

"Quindi sei intenzionato ad aiutarli?" intervenne Luke, uno dei suoi secondi.

"Glielo devo, Luke" mormorò quasi in un sussurro. "Lo devo a loro e a mia madre"

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SPAZIO AUTRICE:

Lieta di annunciarvi che, questa storia, presenterà dei crossover con la Trilogia di kappa_07 "Legami tra gli Elementi"

Difatti, questo capitolo (pensavate voi di leggere di Ruben e Samantha, invece vi ho spiazzato con questo😈) è un crossover collegato col secondo volume di "Legami tra gli Elementi - Caos" che a breve sarà disponibile su Wattpad.

Vi invito, se ne avete voglia, a passare a leggere la storia. In caso contrario, non preoccupatevi. Sia io, sia Fra, cercheremo di spiegare (nelle rispettive storie) tutto al meglio. Così da non crearvi alcuna confusione.

Abbiamo conosciuto, su questo capitolo, il protagonista maschile della storia della Fra. Nathan Bailey, capo dei The Hand. Un ragazzo dall'anima tormentata che è cresciuto coi fratelli Rossi e la Moretti.

Vorrei, davvero, dirvi di più su di lui ma finirei col spoilerare troppo. Quindi, per ora, Nate rimane avvolto nel mistero.

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