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Capitolo 9: Sacra unione

Una bambina immersa in un mare fiorito le cui minute mani sfiorarono i delicati petali di gigli multicolore. Una piccola aureola sulla testa che con la crescita aveva gradualmente assunto una sua forma-viticci che si congiunsero in un trio di flora violaceo, rosato e ciano, creando una corona floreale di spine. Delle piccole ali al di sotto dei lobi, le cui soffici piume erano tutt'ora in fase di sviluppo.

"Come le colombe Charmony appartengono al cielo, voi fiori siete eternamente avvinghiati a questa terra..." Mormorò, le sue labbra arricciandosi in un mesto sorriso. "In un certo senso, mi sento un po' come voi. La mamma non fa altro che recludermi in casa tra studio e danza."

Un lieve fruscio risuonò, attirando la sua attenzione. Nel campo di fiori senza fine si fece spazio un giovane haloviano, altrettanto benedetto da un'aureola circolare e spinata, nettamente più grande-in compenso, le sue ali parvero più piccole.

Il bambino batté le palpebre in una manifestazione di sbigottimento, avendola assistita durante la sua conversazione con i fiori. Parlare con la flora non era cosa da tutti i giorni, ma per lei si trattava di un ordinario avvenimento, non rendendosi conto di quanto speciale fosse alla sua tenera età.

Ametista e citrino s'incrociarono per la prima volta, persi l'uno nell'altra. Raramente si intravedevano haloviani tra i paraggi per qualche ragione a loro ignota, e ciò suscitò le loro immature curiosità.

"Ah, io... p-perdonami. Non volevo origliare." Il giovane si chinò con disposizione apologetica ed educata. "Stavi... stavi conversando con...?"

Trascorsero alcuni silenziosi attimi, prima che la bambina annuì dolcemente. "Mhm~ riesco a capire cosa dicono questi bei fiorellini! Perché, tu no?"

La vide inclinare il capo con aria inquisitoria, un gesto genuino che lo colse alla sprovvista-non vi fu un singolo accenno di sarcasmo in quella melodiosa voce. La questione pareva pressocché normale ai suoi occhi. Naturalmente, il pensiero non fu reciproco.

"Ah- no? Da quanto ne so, la flora non ha la facoltà di parlare." Osservò, non potendo fare a meno di mostrare il proprio scetticismo.

"Oh... che peccato. Anche gli adulti dicono così." Sussurrò lei, le sue ali afflosciate melodrammaticamente. "Inizialmente, pensavo fossero i soli incapaci di percepirli, ma forse mi sbagliavo. Ma... posso sentire la loro tristezza! Te lo assicuro!"

Lo sguardo dorato si sgranò di fronte a tale determinazione. Dallo scolaro che apparentemente era, non aveva motivo di credere ad una storia così inverosimile-ma bramava saperne di più. Fu la spinta necessaria per condurre le sue gambe nella direzione della sconosciuta, chinandosi di fianco a lei sotto suo invito.

"Tristezza? Perché dici così? ...I fiori non possono provare emozioni." Disse, il suo sguardo alternandosi tra lei e la silenziosa flora come se stesse cercando di provare la propria tesi.

"Ti dico che è così! In questo momento, sono davvero tristi." Asserì la bambina, asciugando le gocce di rugiada lungo i petali multicolore. "Non necessariamente perché sono legati alla terra. Dopotutto, questa è la loro casa... ma sento che qualcosa sia accaduto a questo bellissimo prato che lasciato un indelebile segno."

Agli occhi dello scolaro, le parole della giovane haloviana non avevano alcun senso, ma un brivido gli percorse la spina dorsale. Forse non aveva tutti i torti e quest'oasi apparentemente immacolata celava una storia più oscura di quanto la sua ingenua mente avrebbe creduto. "Hey, um...?"

"Sunday," Il giovane haloviano le offrì un piccolo sorriso. "Il mio nome è Sunday."

Sunday... quel nome riecheggiò più e più volte nella mente dell'albina, come se stesse cercando di memorizzarlo. "Sunday... pensi che in fin dei conti, tutte le piante amino restare nello stesso luogo per l'eternità? Al contrario degli uccelli, liberi di volare tra i cieli, possiamo davvero asserire che abbiano la propria autonomia?"

Quell'inaspettato quesito lasciò lo scolaro esterrefatto. Non aveva mai ragionato sulle basi di un simile punto di vista, portandolo a credere alla particolarità di questa haloviana.

"Io... come tu stessa hai constatato, questa è la loro casa. Chi non ama sentirsi protetto nei confini della propria dimora, dopotutto?" Sunday ragionò. "La flora non fa eccezione. Le loro radici sono ben piantate perché è la loro unica risorsa vitale, ciò che le stimola a crescere... piuttosto che gli uccelli che vibrano in volo solo per schiantarsi al suolo e morire, o venir attaccati da creature selvatiche al di fuori del proprio habitat."

L'albina batté le ciglia, ponderando quell'osservazione. Non aveva tutti i torti, poiché in questo piccolo paradiso, questi fiori erano al sicuro da qualsiasi forma di pericolo con tutto il necessario per sopravvivere-come si rinchiuderebbe un uccellino in gabbia, seppur questi appartenessero al cielo per via delle loro ali.

"Stai dicendo che... anche gli uccelli appartengono alla terra?" L'haloviana sgranò gli occhi, e a confermare quell'ipotesi fu il silenzio da parte dell'altro. "Io... non sono d'accordo. Ogni forma di vita merita la propria libertà. Così facendo... anziché proteggerle, non faremmo altro che ferire i loro animi."

Sunday rimuginò su quelle parole-poteva dire di star avendo a che fare con una bambina piuttosto sensibile. Prima che potesse trovare le parole giuste, la giovane parlò nuovamente. "Ah... perdonami, non ti ho ancora detto il mio nome. Mi chiamo Eden!"

Eden... come l'oasi dimenticata dagli eoni-un paradiso che fece riaffiorare dei ricordi nella sua mente riguardanti la promessa fatta a sua sorella Robin di ottenerne uno altrettanto pacifico per gli umani che popolavano non solo Penacony, ma l'intero cosmo. "Il piacere è tutto mio, Eden."

"Eddie, tesoro, abbiamo visite!" Una voce cantilenante attirò la loro attenzione. "Ah, signor Gopher Wood, guardi un po'. Pare che i nostri pargoli abbiano già fatto conoscenza."

Le piccole aureole di Eden e Sunday seguirono il movimento dei loro capi mentre sollevarono lo sguardo, notando i loro rispettivi genitori alle loro spalle.

"Così sembrerebbe, carissima Maeven. Il nostro brillante scolaro e la nostra futura ballerina... hanno entrambi un futuro proficuo davanti a sé. Il loro incontro era inevitabile." Gopher Wood, nonché padre del suddetto scolaro, replicò. "Mi rammarica dirlo, ma temo che il tempo stringa. Sunday, si è fatto tardi, è ora di studiare."

Sunday annuì, affrettandosi al fianco del padre, prima di salutare Eden. Si scambiarono un ultimo sguardo, e qualcosa in quell'uomo sembrò instillare un senso di inquietudine che spinse una spontanea richiesta.

-Aiu...tami...

⋆˚𝜗𝜚˚⋆

In un battito, gli occhi citrini di un Sunday ansimante si spalancarono. Il cuore batteva all'impazzata, a tal punto che le dita agguantate si strinsero al petto, rammentandosi che tali immagini altro non furono che frutto di un semplice sogno.

Da tempo non gli capitava di sognare, essendo confinato all'interno del Dreamscape per la maggior parte della sua vita, in particolar modo da quando aveva ottenuto la posizione di Bronze Melodia. Una piccola goccia di sudore scivolò lungo la fronte, e le mani sudavano freddo al di sotto dei suoi guanti cerimoniali.

"Qualcosa non va, figlio mio?" S'irrigidì alla familiare voce alle sue spalle, mettendo su il solito atto-quello del gentiluomo composto con stampato in viso quel caloroso sorriso.

"Cosa vuoi dire, maestro? Il mio abito cerimoniale è perfettamente impeccabile, così come la mia postura." L'haloviano tenne il palmo al petto, ma stavolta, le sue dita assunsero una posizione rilassata.

A parlargli fu il Dreammaster stesso, nonché suo padre-avendo perso il proprio corpo tempo fa in un incidente, il suo animo si era reincarnato in un corvo violaceo con un occhio dorato posto al centro del petto.

Il corvo, Gopher Wood, spiegò le ali, atterrando su una sua spalla. "Sai benissimo che non mi sto riferendo all'etichetta. Conosco te e tua sorella come il palmo della mia mano."

Le palpebre dell'haloviano si socchiusero, trattenendo un sospiro. Sapeva perfettamente che come fondatore del Dreamscape, aveva modo di sapere cosa gli passava per la mente.

"Ci tengo a ricordarti che la figlia di Maeven Ellis altri non è che un altro frammento dell'Ordine, ed è giusto che tu la tenga d'occhio," Asserì il Dreammaster. "Ma cerca di non dimenticare la tua posizione, Sunday. Un'unione tra te e quella giovane haloviana gioverebbe alla Famiglia Oak e le sue 107,336 anime."

Sunday cadde in un silenzio sufficiente a trasmettere il proprio sbigottimento, perciò il Dreammaster continuò. "Penso che tu abbia capito di cosa sto parlando. Ebbene, Sunday, voglio che tu prenda in moglie quella giovane donna."

Con quella richiesta-o per meglio dire, ordine, il flusso del tempo parve essersi arrestato attorno a lui. Il suo volere sin dall'inizio prevedeva affinché suo figlio prendesse la più rinomata ballerina di Penacony... no, il secondo frammento dell'Ordine superstite oltre sé stesso, in moglie. Una moglie sacrificale.

"Dovrei... sposare quella donna? Padre, questo andrebbe contro i sacri insegnamenti. Come Bronze Melodia della Famiglia, questo corpo-questo recipiente appartiene a LORO. Ho giurato eterna fedeltà come uomo dell'eone." Più che un ribattito, il suo si trattava di un'affermazione incredula.

"Ed è qui che ti sbagli, figlio mio. Tu non sei mai stato un bambino dell'Armonia." Gopher Wood constatò, il tono risoluto che non lasciava spazio a obiezioni.

"Il tuo scopo nella vita è sempre stato solo e soltanto quello di servire Ena l'Ordine. Hai visto i peccati che Xipe L'Armonia consente in questo mondo con i tuoi stessi occhi. Se non agiamo, quel ciclo di sofferenza persevererà. Questa unione... significherà tutto non soltanto per la Famiglia e Penacony, ma anche per il ricongiungimento tra un unico vero eone e l'intera umanità."

Sunday sapeva di non avere voce in capitolo quando si trattava dell'eone per cui pregava ed i cui insegnamenti gli erano stati inculcati sin dalla tenera età, e mai avrebbe dimenticato il modo in cui Xipe l'Armonia aveva abbandonato queste povere anime dannate che aveva personalmente assolto al proprio cruento destino. Ci un sospiro, prima di ricomporsi con un'espressione solenne a sorvolare sul suo viso.

"Il tuo desiderio è il mio comando, Dreammaster."

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