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Soffio vitale

Tw: sangue, incidente, morte di un personaggio principale.

Veramente, non leggetela sta roba che fa schifo. Ps: non l'ho ancora riletta, quindi se siete abbastanza coraggiosi da leggerla scusate eventuali errori. 
Martina se stai leggendo questa è per te, lo sai.🤍

Dove luci si smarriscono in cielo
e respiri si mischiano al vento



Un palmo suda intorno al manubrio di una moto. È scivolosa, impavida, arrabbiata. Il petto del possessore si gonfia e si sgonfia sporadicamente, indicando la ricerca di moderazione in quell'affanno. Le dita scivolano, sono rosse quanto il viso che nella notte è impossibile scrutare.

Un paio di labbra vengono torturate fino a sanguinare.

Manuel sente l'aria fresca di un ottobre gentile filtrare nel buco del casco. È l'unico rimedio a quel caldo, a quella rabbia. Il vento gli accarezza il naso, tranquillo, e gli fa tirare un sospiro di sollievo.

Sente un petto premere contro la sua schiena, e un cuore battere troppo veloce. Il battito è flebile, coperto dal cotone di una felpa e dal tessuto di una giacca. Ma c'è, esiste, ed è così accelerato da risultare freddo e distaccato.

Le mani del secondo passeggero sono aggrappate alle ginocchia di lui stesso. Sembrano rifiutare qualsiasi tocco, qualsiasi contatto. Non sono rosse, non sono furiose, non sono calde.

Sono semplicemente gelide.

Indifferenti e spaventose.

Manuel sbuffa sonoramente. La strada dell'una di notte è vuota, deserta, priva di vita.

Nessuno può sentirlo.

Fa schioccare la lingua sul palato, nervoso. Assottiglia lo sguardo, cerca nel buio una risposta, involontariamente preme sull'acceleratore con il piede rabbioso. Tenta in tutti i modi di rimanere concentrato, di schiacciare le urla ovattate di poco prima che ancora rimbombano tra le pareti del suo cervello.

Nulla da fare.

Quel litigio non lo cancelleranno mai.

"Simò, te poi armeno aggrappa' a me mentre guido per favore? Te faccio così schifo?"

Sente Simone sospirare, e lo vedrebbe anche torturarsi un labbro se solo ne avesse la possibilità.

"Si." ribatte soltanto quest'ultimo, rauco, cupo, velenoso. Manuel la sente fin dentro le ossa quella crudeltà, trema persino il sangue nelle sue vene.

Ha oltrepassato il limite, e lo sa.

Se la loro relazione fosse carta, sarebbe carta stracciata.

"Simone."

Nel nome vibra un ordine. Non vuole riappacificarsi, vuole semplicemente che Simone posi le dita sui suoi fianchi. Lo vuole sentire al sicuro, ancorato a lui, vivo sulla sua pelle con la fronte poggiata alla sua spalla. Soffre nel percepirlo così lontano da lui, fisicamente e mentalmente.

Non sopporta il pensiero di non riuscire mai più a toccarlo.

Ha paura.

Ha tanta, tanta paura di averlo perso.

"Manuel," sibila Simone, tetro. "guida."

Manuel sbatte le palpebre in un sospiro sentito. Nell'aria quella sera c'è benzina, nella sua pelle sangue che brucia. Tesa, scaltra, insorpassabile.

L'aria è il peggior nemico.

Ostacola l'ossigeno, a malapena lo fa respirare.

"Simò lo so che ce l'hai co' me, ma non fa r'deficiente per favore," replica Manuel, la voce attraversata da un brivido. "semo in moto. Te devi regge, è pericoloso."

"Me sto a regge."

"Simone."

"Smettila di usare il mio nome intero. Anzi, non usare proprio il mio nome. Non ti voglio sentire."

Manuel si massaggia un labbro con la punta della lingua. Si sente soffocare dallo stesso ossigeno che dovrebbe tenerlo in vita.

Dalla stessa persona che lo nutriva di amore.

"E tu finiscila de fa il cretino Simò," ringhia, sentendo il motore dell'agitazione attivarsi. "stai a fa il bambino. Aggrappati."

"Ah, io sto a fa il bambino?"

La brezza si porta via quelle parole pregne di delusione. Manuel sente qualcosa premergli all'altezza dello stomaco, di consistenza pesante e inconcreta.

Ancora non sa cosa sia, non può saperlo.

È una ritrovata furia ad accecarlo, a farlo accelerare, a portarlo ad ignorare i segnali del proprio corpo.

Ma l'intuito.

Quello non sbaglia mai.

"Si Simò," risponde bruscò. "tu stai a fa il bambino. Te la stai a prende pe' na cosa che non te riguarda."

"E te stai a prova in tutti i modi a tenermi fuori dalla tua merda. Ma non funziona così, Manuel—io e te stiamo insieme. Me urta il sistema nervoso se mi dici le cazzate."

Quel discorso urlato e scomposto viene accompagnato dal rombo del motore. Stanno guidando in mezzo alla strada, di notte, e sono entrambi al culmine del nervosismo.

Non è la situazione ideale per litigare, lo sanno bene.

Eppure.

"Vedi che è proprio per questo che non te dico le cose," replica Manuel a voce abbastanza alta da farsi sentire. "devi sempre ingrandì tutto e te preoccupi pe un cazzo. Te devi sta calmo, Simò."

"Per un cazzo? Ma ti senti quando parli, Manuel? Torni a lavora co' quei mafiosi de merda piuttosto che chiede aiuto a me—il tuo ragazzo, per altro—e dovrei stare calmo?"

Manuel digrigna i denti. La sua mascella è serrata, gelida, negli occhi brilla del fuoco. Lo sguardo segue la strada, ma sulla notte cade della vernice rossa.

Aggrappati, Simò. Aggrappati e basta.

"Facciamo che ne parliamo quando arriviamo, Simò," lo riprende Manuel, cercando di stare calmo. "mo reggiti e basta."

"Certo. Così dopo avermi accompagnato a casa te ne andrai senza avermi detto nulla."

"Smettila di fa il cretino."

"E tu di fa il bugiardo."

Manuel sente le vene scoppiare.

Simone, dal canto suo, lo sa che sta facendo l'immaturo. Capisce i motivi che hanno spinto Manuel a nascondergli tutto, ma non gli importa. Gli ha mentito. Ha messo a rischio la sua vita di nuovo, senza dirgli nulla, senza permettergli di proteggerlo.

Se gli fosse accaduto qualcosa, Simone non ci sarebbe stato.

Il peso del senso di colpa è facilmente mutabile in rabbia.

"Volevo solo tenertene fuori!" esclama Manuel sovrastando ulteriormente il rombo del mezzo su cui si trovano.

Simone aggrotta le sopracciglia, tenendo ancora le mani sulle ginocchia.

"Non puoi tenermi fuori dalla tua vita," ribatte, gli occhi lucidi per le lacrime e per il vento. "sto con te, Manuel. Ci sto dentro fino al collo."

Nella gola di Manuel la risposta si incastra. Si sforma, pressata dal furore e dalla paura. Diventa quello che non dovrebbe essere, quello che non avrebbe mai voluto diventasse. Una frase dolce che perde di zucchero, di miele.

Un cerchio a cui vengono aggiunti degli spigoli.

"Forse era meglio che non ce stavi proprio." borbotta. Più tardi, Manuel si pentirà di quelle parole. Desidererà avere una spina tra le corde vocali, che continuino a sanguinare per sempre. Vorrà disgregare il tempo, tornare indietro a quel momento, dire altro.

Ma non sarà possibile, non più.

L'istinto da pietra si trasformerà in coltello.

Simone spalanca la bocca. Solleva un pochino il mento, si sporge oltre la spalla di Manuel per poterlo guardare. Nel suo sguardo si può leggere sconfitta, dolore.

Ha appena perso tutto ciò a cui avrebbe potuto aggrapparsi.

"Allora forse ne dovrei uscì." sussurra, con tono acquoso e risentito.

Il terzo principio della Dinamica spiega che ad ogni azione corrisponde una reazione. È il corso naturale degli eventi a scandirsi in questo modo, a succedersi secondo questo pensiero. Se il sole tramonta, scende la notte. Se la terra trema, le case crollano. Se le bugie si infiltrano nelle salde pareti di una relazione, i muri iniziano a crollare. Se le bocche vengono usate come archi, e le parole come frecce, qualcuno si fa male.

Qualcuno viene trafitto.

È il corso naturale delle cose.

Alla natura non ci si può opporre. Se un evento è destinato ad accadere, accadrà. Se scagliamo la prima pietra, non possiamo più evitare di ferire.

Non si può scappare da una reazione, non dopo aver compiuto un azione.

Mai.

Manuel sgrana gli occhi. Nei deserti la luce si spegne, nelle tele il rosso sparisce. Negli oceani le onde si abbassano, si calmano, svaniscono. È tutto negli occhi di Manuel, dai soli più accecanti ai mari più pericolosi.

Sono bastate cinque parole a sconvolgere il mondo.

Cinque parole, e una voce troppo potente.

Manuel compie un errore, quella sera.

Si distrae.

Volta la testa repentinamente, vuole guardare l'artefice del suo dolore negli occhi. Ma incontra solo due profondi abissi, e solo per il tempo necessario a sprofondarci dentro.

È questione di secondi.

Di attimi.

"Manuel."

Per la prima volta nella sua vita, Manuel Ferro perde il controllo. Non capisce perché negli occhi di Simone scintilli paura. Non si accorge della curva che non sta seguendo, della strada che non sta guardando.

Sente solo una voce ovattata richiamarlo.

È l'ultima volta che gli sarà concesso sentirla.

La moto, mormora d'un tratto il suo stomaco. O forse è il suo cuore, la sua testa, la sua anima. Il grillo parlante, la coscienza.

Ha veramente tanta importanza?

Manuel si rende conto di quello che sta succedendo fin troppo tardi. Cerca di aggiustare il tutto, ma il vaso si è già rotto e lui non ha la colla.

La curva viene girata troppo velocemente, la moto si piega troppo. Simone perde l'equilibrio, il gancio del casco—indossato di fretta—si sgancia, il corpo rotola fino all'estremo destro della strada.

Manuel invece è più fortunato. Il casco continua a proteggerlo, e lui cade verso sinistra senza rotolare troppo. Il viso si sfregia un po', la schiena inizia a pulsare, il collo a bruciare sull'asfalto gelido.

Eppure, la sua visione non si altera, riesce ancora a vedere il cielo stellato.

D'altronde, non ha sbattuto la testa come Simone, e non sanguina quanto lui.

A lui guardare le stelle è concesso.

Simone, invece, può vedere solo il buio.

***

"Cazzo..."

È questa la prima parola che il cervello di Manuel riesce a elaborare. Lo fa dopo qualche minuto speso con gli occhi chiusi a contemplare il dolore alla zona lombare della schiena. Nella gola rimangono tutti gli altri suoni, non riescono a raggiungere l'aria circostante. Tutto ciò che l'asfalto sente, sono lamenti di dolore.

Almeno per un po'.

Le ombre sono silenziose, troppo. Manuel non se ne accorge, non inizialmente. Non realizza che a bordo con lui c'era un altro essere umano. Non realizza che accanto a lui dovrebbe esserci un altro corpo, il suo.

Quello del suo Simone.

Non processa subito le informazioni. Non si rende conto che Simone non sta emettendo alcun rumore, o che è così lontano da lui da non poterlo neanche sfiorare. Quando apre gli occhi, Manuel studia le costellazioni, e basta.

Poi, ricorda.

La pelle pallida di Simone. Le pupille dilatate dallo spavento, lo schianto. La perdita di contatto col mondo, con la realtà, con un'altra anima. La vita di Manuel a terra, muta. Privata di voce, privata di sensi.

Manuel si alza di scatto.

La realtà gira, è impasto scomposto da mani inesperte. I suoi occhi sono una vecchia televisione, nel loro paesaggio sono incastrati puntini neri, distese bianche e forme sfocate. Il suo cuore è un disco rotto, che continua a girare nonostante tutto.

Anche se la musica non suona da un po'.

Fatica molto ad alzarsi. Qualche arto scrocchia inevitabilmente, qualche muscolo tira fin troppo. Nelle orecchie rimbomba anche il suono meno acuto, taglia, lacera.

Fa male tutto.

Fa male piegare il collo, fa male distendere le gambe. Fa male il lembo di pelle sul fianco, che Manuel è sicuro sia dipinto di lividi. Fa male la testa, vittima del casco. Guance, zigomi, naso.

Il cuore che pulsa così dannatamente forte.

Quando Manuel è in piedi, si guarda intorno spaesato. La sua mente ancora non ha percepito la gravità della situazione, ancora non ha processato la frequenza sporadica del respiro dell'altro. Le ombre giocano scherzi, i pali emettono luce flebile ed ingombrante.

La moto è a terra, quasi completamente.

Simone anche.

Quando il suo sguardo si posa su quel corpo privo di reazioni, Manuel perde un respiro. Non c'è naturalezza nel modo in cui si presenta busto, immobile dopo un'azione così forte.

Ad ogni azione corrisponde una reazione.

Dalla bocca di Manuel fuoriesce un suono stridulo. Il ragazzo si muove a passi pesanti verso il corpo dell'amato, chiedendosi se almeno la sua anima sia sveglia.

Questo perché i suoi occhi non lo sembrano.

Sono chiusi, e Manuel non può incontrarli.

L'asfalto nero è tinto col sangue. Simone lo ha reso la sua tela, lo ha macchiato della sua stessa essenza. In quell'asfalto, tra quelle croste, una parte di lui vivrà per sempre.

E con essa anche una parte di Manuel.

Il ragazzo crolla sulle ginocchia. Se le scortica un po', ma è un dettaglio irrilevante. Le sue gambe cedono alla vista del suo amante a terra, il suo stomaco fa una capriola. Tremando, è caduto affianco alla testa di Simone.

I suoi denti si scontrano mentre tenta di parlare.

"Simo..." sussurra. Il ferito, in posizione supina, si mostra incapace di articolare una risposta.

Eppure lo sente.

Lo sente sempre.

"Simone...Simone per favore..." il singhiozzo di Manuel è accompagnato dalle sue mani, che caute e delicate posano la testa insanguinata di Simone sulle sue cosce. Sa che non dovrebbe muoverlo troppo, che è rischioso, perciò fa molto piano.

Nonostante questo, però, non se ne pente.

In cuor suo, Manuel sa già.

E vuole sentirlo il più vicino possibile.

"Hey...hey, hey, sto qua, eccomi..." continua a mormorare, così flebilmente da risultare quasi inascoltabile. Muove una mano sul viso bianco di Simone, gli avvolge una guancia, si gode la freschezza di quella pelle martoriata.

Con l'altra mano, invece, scende sul polso.

Sospira per il sollievo quando lo sente battere.

"Ora chiamo l'ambulanza, va bene? Ora la chiamo."

Manuel è consapevole di come si stia rivolgendo a un ragazzo che non replicherà. Il suo Simone, perseverante, ostinato, determinato.

Non risponderà.

Non costruirà critiche e argomentazioni adatte alla situazione, non troverà alcun modo di metterlo in difficoltà con la complessità del suo pensiero.

Non ci riuscirà.

Disperato, fruga con le dita dolenti nelle tasche della giacca. Ne tira fuori un cellulare nero, spento, dallo schermo tanto frantumato da essere tagliente. Prova ad accenderlo, spera in una luce.

Nulla.

È il buio.

"Merda..." soffia, al limite della frustrazione. Nel frattempo, continua battere sullo schermo inutilmente. "Merda! Sti scherzi non li devi fa—te devi accende, dai..."

"Ma..nuel..."

Quel sospiro gode di un fumo paralizzante. Il telefono scivola tra le mani di Manuel, con un tonfo tocca terra, dimenticato dalle dita che poco prima sembravano venerarlo. Quelle stesse dita, ora, si posano su un paio di guance, nei punti non tagliati e resi rossi dalla strada. Sono scosse da brividi, dal gelo del vento notturno, dalla paura.

Delicate come ali di farfalla, a tentoni credono di essere curatrici, cucitrici di ferite inflitte da potenze celesti.

Le dita si sbagliano, però.

Polpastrelli sporchi erano, e polpastrelli sporchi rimangono su quella pelle mutilata dal sangue.

Non sono niente.

Non fanno niente.

"Simo—Simo ce l'hai il telefono? Chiamo l'ambulanza.."

"Rotto..."

Le sue palpebre a stento si schiudono. La sua voce è rauca, segnata dallo sforzo, dalle fitte del dolore inflitto. Manuel non lo sa, se sente più dolore alla schiena o al cuore.

Ma c'è un alone nell'aria che vela l'universo di cattivi presagi.

E sussurra le urla di una battaglia già persa.

"Non—non fa nulla," Manuel si spezza. Non la sua voce, non la sua lingua. Lui. "mo' trovo aiuto, non te preoccupa'. Devi resta sveglio..."

Morfeo sceglie di essere gentile con quelle sue anime legate. Pietoso e paziente se ne sta lì, aspetta, gli lascia il tempo di scambiarsi promesse.

Ma la luce del mondo non dura per sempre. La strada dal mare a Roma è completamente vuota, priva di aiuto.

E il soffio vitale, prima o poi, vola via.

"Manuel..." la gola di Simone trascina di nuovo quel nome, pesante per lui quanto un sasso. La sua mente ha resettato i momenti brutti, il litigio, le urla sulla moto. La sua mano si sposa da sola, facendo scorrere nelle ossa un brivido di dolore, e va a posarsi leggera sulla gamba del compagno.

Manuel la accoglie con piacere.

Una lacrima, unico calore in quel gelo, gli riga il viso.

Ha capito.

"Simò," lo chiama, a voce così alta da spaventare gli alberi in quella strada isolata. "Simone, stai co' me. Devi sta' co' me, capito? Non mi lascia."

Con sua grande sorpresa, i muscoli del viso di Simone si contraggono tanto da accennare un sorriso. È evidente che la fatica impiegata sia immane, e l'impresa non gli riesce neanche troppo bene.

Ma per Manuel, un morto sorride.

Un angelo custode.

"Non—non riesco..."

"Si che ce riesci, Simò. Ce riesci."

Quella disperazione è un filo spinato che Simone cerca in tutti i modi di non toccare. È pungente, letale, gli ricorda cosa sta per lasciare.

Non vuole farlo, non vuole andare via. Vuole farsi stringere da Manuel per sempre, e forse è proprio quello il modo migliore per morire.

Ma non ha scelta.

La scelta l'ha persa nel momento in cui ha sbattuto la testa

"Amore..."

"Sto qua—sto qua. Ce sto, sto' co te. Stai con me Simò, stai co' me."

Il singhiozzo di Manuel è un ulteriore fitta la testa. Sembra che terre siano state scavate lì dentro, buche inutili e inutilizzate in cui buttare i pensieri cattivi. A Simone il cervello pulsa, troppo.

Il cuore, invece, troppo poco.

"Raccontami—quella storia. Quella storia..."

Gli occhi già brillanti di Manuel si accendono.

C'è una storia che sua madre gli ha raccontato quando era piccolo. È stato qualche giorno dopo il suo ricovero in ospedale, quella volta in cui ha sbattuto la testa tanto forte da doverla intrappolare in fasce.

Che coincidenza, poi.

Manuel ricorda di aver chiesto a sua madre cosa sarebbe successo se fosse morto quel giorno. Una domanda tanto macabra per provenire da un bambino, ma anche tanto giustificata da un'esperienza così forte.

Anita quel giorno ha spalancato un po' la bocca.

Poi, ha sorriso e lo ha invitato ad abbandonarsi tra le sue braccia per farsi raccontare una storia.

È la stessa storia che Manuel ha raccontato a Simone il pomeriggio in cui lo ha accompagnato a visitare suo fratello. È una storia bagnata di speranza, di luce, di vita.

La stessa che chiede Simone, proprio in punto di morte.

Forse è per consolarsi.

O forse, è per consolare lui.

Manuel sospira, mischiando quel poco che rimane delle iridi luminose di Simone ai suoi occhi.

Un'altra lacrima gli scende sul viso.

"Va bene..." soffia, con voce bassa e interrotta dallo schiarirsi della sua gola. "va bene, ecco.

Se racconta che ar principio de tutti i tempi, gli dei decisero che gli umani erano destinati a morì prima o poi, perché altrimenti correvano r'rischio de diventa' potenti quanto loro. Così, ce resero mortali tutti quanti . Però, come ar solito, una delle ninfe s'innamorò di uno de noi, e soffrendo per la precoce morte de questo decise de volerlo aiuta'. Così, soffiandogli in gola, trasferì in lui un po' della sua essenza vitale, aria immortale che avrebbe reso la sua anima immune alla morte.

Gli antichi greci lo chiamavano pneuma.

Lo pneuma non è altro che il soffio vitale, un respiro. Mi' mamma me disse che lo possiamo vede pure come na luce che brilla nell'anima nostra, che pur abbandonando il corpo e volando via dopo la morte non se spegne mai.

E ce l'hanno tutti gli uomini, dice lei.

Così semo tutti immortali."

Che la storia è inventata, Manuel non lo dice. Che non fa neanche parte della mitologia greca, nemmeno. Quel racconto è un cuscino per la testa dolorante di Simone, e lui non lo priverà di tale morbidezza.

Non in quel momento.

"Immortali..." mormora Simone, muovendo leggermente il collo. I pantaloni di Manuel sono pieni del suo sangue. Le mani sono incrostate, le guance bagnate dal pianto salato.

La pelle gli brucia, i tagli sul suo viso sanguinano.

Eppure, le ferite più importanti non si aprono nei punti in cui i suoi lembi sono stati scorticati.

Si aprono dove il tocco di Simone sta mancano.

Nel cuore.

"Tu...il tuo amore..." prosegue Simone, quasi balbettando. "mi—mi renderete immortali. Prometti."

Manuel il suo cuore che va in frantumi non lo sente. Lo copre il rumore assordante della sua coscienza, che gli grida che poteva fare di più.

Manuel piange.

Manuel non piange mai.

"Non te servirà. Non te servirà."

Lo ripete come un mantra. Lo ripete mentre lo accarezza, cercando di non causargli troppo dolore. Neanche ci prova ad alzarsi, a cercare aiuto, ad accendere il telefono. In cuor suo sa che quella luce lo sta lasciando.

Poi sarà solo buio.

Vivrà una vita nella notte.

"Prometti..."

È una supplica a cui Manuel cede troppo velocemente. Sospira, ed è come se il vento si portasse via il suo pneuma.

E invece, è stato lui a separarlo dal corpo del suo amato.

È colpa sua.

"T'amerò così tanto che vivrai per sempre," mormora quindi tra le lacrime, cercando di aggiustare. "te lo prometto. Te lo prometto, Simò."

"...grazie—amore."

Nelle parole c'è la potenza di un vulcano che esplode. La lava che scioglie la terra, le case, le pelli. Possono essere devastanti, travolgenti, bruciare quanto un incendio. Causare esplosioni, a volte.

Distruggere sogni.

Oppure, possono levigare. Possono ricucire, essere colla per i pezzi rotti di una ceramica. Possono essere le carezze che Simone non riesce a dargli, i baci che non può più regalargli.

Manuel abbassa la fronte, afflitto.

Con la sua, sfiora quella di Simone.

E un po' di lacrime cadono sul viso dell'altro.

"Ti amo, Simò. Ti amo. Non te ne anda', ti prego. Voglio che resti qua co' me, e che me rompi il cazzo per tutte le cazzate che faccio. Te voglio a rompermi le palle per sempre.

Non posso vive senza de te."

Simone, di nuovo, prova ad accennare un sorriso. È piccolo e invisibile, ma non importa.

Sta sorridendo amaramente già il cuore.

"Vivi, Manuel.

Vivi. Io..."

C'è altro che Simone vorrebbe dire. La sua mano si sta alzando per raggiungere il viso di Manuel, ma compie un movimento invano.

Nel bel mezzo della frase, ricade a terra.

C'è un momento in cui tutto è immobile.

Proprio come il corpo che Manuel tiene tra le braccia.

Non sente panico, prova a malapena dolore. Le lacrime si fermano, si ghiacciano, il sangue smette di scorrere. Nulla sembra resistere più, mentre la luce in Simone viene portata via dalla brezza. Il soffio vitale, lo pneuma, scappa da quella realtà.

E lascia Manuel da solo, a contemplare la perdita della sua metà.

"Ti amo...ti amo..."

È un sussurro ripetuto nella notte. Una consolazione, un vorrei tenerti nella mia vita per sempre.

I sensi di colpa gli premono sullo stomaco, così come l'acidità delle ultime parole lucide che ha rivolto a Simone. E Manuel piange, piange, piange.

Piange via la vita, come se il soffio l'avesse perso lui.

Che forse, poi, lo ha fatto.

Ha perso il soffio vitale di entrambi.

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