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CAPITOLO 14

~ANNA~

"Credo che il sogno di ogni ragazza sia quello di trovare un cattivo ragazzo stanco di essere cattivo."

TAYLOR SWIFT

Sbatto la porta alle mie spalle e mi ci appoggio contro, assicurandomi che sia ben chiusa. Guardo attraverso lo spioncino assicurandomi che lui non mi abbia seguito. E quando noto che di lui non c'è più nessuna traccia mi lascio andare.

Le ginocchia mi tremano e crollo a terra con le mani sulla testa. Stringo forte le ciocche dei capelli tanto da farmi male. Non riesco a credere a quello che mi è appena stato fatto, il cuore mi batte così forte che sembra volermi uscire dal petto.

Con riluttanza mi alzo e mi trascino fino alla mia camera con le lacrime agli occhi. Sono sconvolta, non ho più alcuna forza. Nathan ha prosciugato ogni fibra del mio corpo, mi ha trattata come se fossi merce sua.

Mi ha sbattuto la verità in faccia: per quanto ci provi, non ho alcuna speranza contro un uomo del genere. Per quanto io desiderassi le sue labbra, non era quello il modo che intendevo, io volevo qualcosa di... "dolce"

Come ha potuto trattarmi in quel modo? È stato cattivo, egoista. Mi ha baciata con la forza. E l'ha fatto solo per farmi capire che lui può avere tutto, pure le persone.

Il peggio è che mi è piaciuto. Mi è piaciuto talmente tanto che sento l'intimo bagnato e il petto stringersi come a comunicarmi, che c'è qualcosa di malato in tutto questo. Mi ha eccitato il modo possessivo, il suo imporsi e questo è un fatto che non posso in alcun modo accettare.

Mi sdraio sul letto e continuo a piangere, più per la frustrazione dei miei pensieri e del mio subconscio che per l'azione in sé. Le sue labbra avevano il sapore del whisky, ed erano morbide come una piuma nonostante l'assalto incontrollabile alla mia bocca, e al contatto con le mie mi stava mandando in visibilio ogni atomo del mio corpo.

Per un momento, l'ho voluto con tutta me stessa. Quando ho visto i suoi occhi che ardevano di prepotenza, dopo avermi morso il labbro, una forza dentro di me mi ha detto di respingerlo.

Uno perché è il mio capo, e due: la sua prepotenza senza eguali si vede pure dallo spazio, e la vogli di tirargli uno schiaffo mi è partito in automatico.
"Gli ho tirato uno schiaffo bello forte".

Io, una piccola e insensata "ragazzina", come dice lui. Era ciò che si meritava. Lui è l'oscurità. Quell'uomo ha qualcosa, qualcosa di terribile. Mi ha fatto capire che vuole il controllo, che nulla sfugge alle sue grinfie quando mi ha immobilizzata. E io come una stupida sono caduta nella sua trappola senza nemmeno rendermene conto. Che cosa ho fatto per meritare tutto questo da parte sua?

"Maledetto Nathan Bailey e le sue manie di controllo!"

Dio santo! Vorrei non averlo mai conosciuto. Lo odio, lo detesto con ogni fibra del mio corpo. Come ho potuto desiderare che mi baciasse?

Le sue labbra perfette e morbide che mi assalivano con urgenza setacciando ogni angolo della mia bocca, avevano un buon sapore, lui aveva un buon sapore, e il cuore che prendeva il sopravvento per quel bacio unico mi è costato tutta la razionalità al momento.

Mi ha divorato la bocca, le labbra, la lingua mentre mi sentivo in balia a delle sensazioni mai sperimentate prima. Il mio cuore voleva uscire dal petto per balzare nelle sue mani mentre mi carezzava la pelle mordendomi il mento in quel modo possessivo.

Dei, cosa sto dicendo, sono sconvolta e confusa per delle emozioni che non mi dovrebbero appartenere. Sento ancora il suo sapore sul palato. Dolce, con un sentore di zucchero e whisky che mi si è impresso nella mente come un'impronta digitale.

Sento ancora le sue grandi mani addosso stringermi e carezzare la mia pelle, un brivido mi corre lungo la spina dorsale e il basso ventre si incendia ricordandomi di essere mentalmente instabile.

Sento l'intimo pulsare con violenza come mai prima e tutto ciò, mi rende ancora più detestabile e incredula. Io lo odio, lui non dovrebbe farmi sentire così, lui dovrebbe farmi sentire ribrezzo, dovrei essere schifata, non eccitata.

Mi sfioro le labbra e chiudo gli occhi, il cuore che batte all'impazzata.
"Ti detesto". Mi convinco per l'ennesima volta.

Uno scricchiolio alla porta mette in allarme il mio sistema nervoso. Apro gli occhi di scatto. Mi rendo conto di essermi addormentata con i pensieri incoerenti ancora vorticanti nel mio cervello.

"Il tuo capo ti ha baciata, all'inizio ti è piaciuto, poi lui ha deciso di prendere il controllo su di te e allora ti è piaciuto ancor di più".

Mando a fanculo i miei pensieri. Ogni mio istinto mi mette in allerta indirizzandomi ad un unico aguzzino. "Nathan Bailey. Il peggior male che io abbia mai conosciuto è riuscito a entrare in casa mia!"

Mi tiro su dal letto nascondendomi dietro la porta come se questa fosse l'unica barriera di difesa che mi rimane da lui.

"La porta non ti salverà dai tuoi pensieri deliranti".

Deglutisco e trattengo il fiato finché non sento un ticchettio di tacchi sbattere sul pavimento in ceramica.

«Anna? Sei a casa?» la voce della mia amica solleva la grossa pietra che mi schiacciava il torace come uno stivale fa con un insetto. Sospiro e corro davanti allo specchio per riordinare il mio aspetto.

Le occhiaie sono ben visibili, mentre il mascara è sparso giù per le guance. Sospiro portando le ciocche dietro le orecchie e mi appresto a estrarre una salvietta struccante dalla busta depositata sopra il comò, mi pulisco in fretta e la raggiungo mettendo su una maschera di pacatezza che non mi appartiene.

Rilasso le spalle dopo un paio di respiri profondi e deglutisco, controllando la voce con una leggera tosse per non sembrare rauca dal pianto.

«Ehi, Carmen. Sei tornata», cerco di alleggerire la voce impastata dal sonno.
La mia amica mi osserva con la fronte aggrottata partendo in quarta con le domande.

«Che ti è successo? Dove sei stata? Ti ho cercata dappertutto! Chi ti ha portato a casa?»

«Sono tornata a casa appena è scoppiato il casino. Sono riuscita a trovare un passaggio...» cerco di restare vaga, ma Carmen assottiglia gli occhi azzurri mettendomi a fuoco. sento il calore salire sul collo, come a sottolineare l'imbarazzo che sento per me stessa e per ciò che è accaduta con il mio capo.

«Che cos'hai?» Mi indica con il mento e i suoi occhi si scuriscono. «Hai pianto. Chi ti ha portato a casa, Anna?»

Deglutendo, abbasso lo sguardo e sfuggo ai suoi occhi indagatori. Apro la bocca senza riuscire a emettere fiato, e mi stringo nelle spalle. «Il mio capo», sussurro.

«Il tuo capo? L'egocentrico stronzo Nathan Bailey era alla festa di Federico?» domanda sorpresa. Annuisco in silenzio. «E perché sembri sconvolta?»

Sospiro e mi torturo le unghie. «Non ho voglia di parlare adesso, se per te va bene».

"Brava, ottima idea alimentare la curiosità di Carmen. E adesso come me ne esco?"

La mia amica resta muta per qualche secondo, esaminandomi dalla testa ai piedi. Da quanto ha assottigliato gli occhi, sta pensando a qualcosa. Ma per mia grande fortuna, accetta di non insistere.

«Va bene. Ora torna a dormire, così ti riprendi per domani mattina».

Le rivolgo un sorriso lieve anche se credo, io abbia più fatto una smorfia, e dandole la buonanotte ritorno in camera mia. Passo tutta la notte sveglia a pensare a tutto quello che è successo con il mio stupido capo prima della partenza.

Mi faccio una doccia veloce per togliermi di dosso lo stress e l'angoscia e dopo esserci preparate in rigoroso silenzio usciamo di casa per andare dai miei.

Il viaggio fino al paesino in cui sono cresciuta è andato bene. Spesso, Carmen cantava a squarciagola le canzoni che davano alla radio, facendomi spuntare delle risate sincere per via della pessima voce. Soprattutto quando imitava la cantante Sia in quelle note alte che non avrebbe mai raggiunto anche se avesse preso lezioni di canto per tutta la vita.

Spesso restavamo in silenzio, a meditare su quello che ci aspettava una volta tornate a Bologna. Tra le lezioni e gli esami, prenderci una pausa era la cosa migliore che ci potesse capitare. Il tragitto è stato lungo, ma con la compagnia giusta, è anche molto divertente.

Una volta raggiunti i miei, i loro sorrisi e la loro gioia sono ineguagliabili. Abbraccio entrambi riversando loro addosso tutto l'amore che provo. Mi erano mancati molto.

«Ciao, orsacchiotto mio», mi saluta mio padre stringendomi in un lungo abbraccio. Poggio la testa sul suo petto e inalo il profumo di casa. Lui mi sovrasta con la sua statura e il fisico snello.

Abbandono le sue braccia per guardarlo negli occhi d'ambra che somigliano ai miei. Ha un aspetto riposato. «Mi sei mancato papa».

«Anche tu a noi. Tua madre non fa altro che farmi lavorare nella serra da quando non ci sei», sorride giulivo, passandosi le mani sui corti capelli biondo scuro in un gesto di nervosismo.

Alzo un sopracciglio, sorridendo. «Lo sappiamo entrambi che ami prendere ordini da lei, pa'».

Mio padre si acciglia scherzosamente, le pieghe degli angoli della bocca sono tirate dal sorriso che sta trattenendo.

«Sì, ma tu non dirglielo, altrimenti quella lì fa sul serio, poi».

Rido ancora, emettendo un suono di pura felicità, e abbraccio di nuovo l'uomo che amo più di al mondo.

«Cosa stanno confabulando quei due?» mia madre parla con Carmen; sia io che mio papa ci giriamo in contemporanea. Le due si avvicinano ancora, strette nel loro abbraccio.

«Stavo dicendo a papà che ama prendere ordini da te», Risposi con un'alzata di spalle, proprio come facevo da bambina. Sento lo sguardo di mio padre addosso e uno sbuffo che la diceva lunga sul fatto che fosse arrabbiato per aver spifferato tutto alla mamma.

Mia madre sposta i suoi bellissimi capelli rossi dietro l'orecchio, rivelando un sorriso e lo sguardo di superiorità che conosco fin troppo bene. «Oh, amore mio, ma questo già lo sapevo», e fa l'occhiolino a Carmen, che soffoca una risata.

Mio padre mette le mani avanti facendo un passo indietro. «Okay, come sempre dovete attaccarmi». Scherza con le spalle abbassate e un broncio che in realtà non ha affatto. «Me ne vado». Conclude, allontanandosi.

Aggrotto la fronte e mi rattristo. «Dove vai, papà? Sono appena arrivata».

«Torno più tardi, quando non sarò il vostro bersaglio, ma solo il papà». Scherza avvicinandosi per darmi un bacio sulla fronte.

"Ma che cazzo papa, stavo solo scherzando".

Apro e richiudo la bocca diverse volte, indecisa se dirlo o meno. Mia madre lo osserva con sguardo serio. I suoi occhi verde bosco, che io non ho in assoluto preso da lei, si sono adombrati. Assottiglio lo sguardo.

"Hanno in corso una conversazione silenziosa, per caso?"

«Non fare tardi», dice lei, seria, prima di stamparsi un sorriso in faccia.

Mio padre annuisce e rivolgendoci un ultimo sguardo pieno di amore, imbocca il viale di case circondato di fiori e svanisce oltre il cancello.

Sospiro e stringo le labbra per qualche secondo. poi rivolgendomi verso le ragazze che stanno parlando tra loro, entriamo in casa.

Dopo essermi fatta una doccia nel mio bagno e depositato le valigie nella mia vecchia camera da letto. Esco fuori, mia madre è intenta a raccogliere iris e tulipani, che sprigionano il loro profumo e mi infondono la sensazione di casa.

«Amore mio...», lei mi sorride, prendendo il vaso che aveva depositato sul tavolo in veranda e mi osserva da sottinsù. Il suo sguardo indagatore viaggia dal mio viso al mio corpo fasciato nei leggings skinny e nella maglietta leggera. «Come va a Bologna?» mi domanda, tagliando con le forbici da fiori un gambo molto lungo del tulipano.

Mi appoggio alla sedia, il ferro freddo preme contro la pelle del palmo, e mi stringo nelle spalle.

"Puoi parlare con tua madre".

Sospira, lasciando sul tavolo i fiori, e avvicinandosi mi indica la sedia. Prendo posto in silenzio e aspetto che si sieda pure lei.

«Che succede?» incolla i suoi bellissimi occhi verdi su di me, mentre mi sorride lievemente.

Deglutisco, indecisa se riferire ciò che mi sta succedendo al lavoro. «Ecco, ultimamente sono molto stressata per il lavoro, gli esami e...», il bacio che il mio capo mi ha rubato ieri sera. Tengo per me l'ultima parte, ma il sopracciglio alzato di mia madre mi fa intendere che sa perfettamente che c'è dell'altro.

Mi torturo le dita, stringendo le labbra tra i denti. «Ecco, mamma, non so cosa fare a proposto di... dello stage che sto facendo. Mi sento soffocare. Sto prendendo in considerazione di cambiare». Concludo, ommettendo spudoratamente la verità.

Mia madre annuisce, poi si sporge un po' di più verso di me e mi sposta una ciocca di capelli umidicci dalla fronte. Chiudo gli occhi a quel gesto che sa di casa.
«Tesoro, se sei stressata e non riesci a reggere la pressione dello studio e del lavoro, sarebbe meglio mollare fino a tempo debito. Devi capire che cos'è importante per te al momento e agire di conseguenza», sospira, carezzandomi la guancia. «Il tuo rendimento scolastico non ne risentirà poi così tanto. Sei brava negli studi, e se proprio non ce la fai più, la cosa migliore è interrompere lo stage almeno per un po'. Sono sicura che riuscirai a rilassarti il tempo neccesseraio e poi riprendere per finire gli studi e non vedo il motivo di tutto questo stress se una volta finito puoi impegnarti esclusivamente a fare esperienze lavorative finché non impari tutto ciò che ce da imparare sul campo».

«Mi piace lavorare e accumulare esperienza, è solo che ho troppe cose per la testa», sospiro, poggiando i gomiti sul tavolo e prendendo la testa fra le mani.

"Ma la verità è che ho un capo che ha deciso di rovinarmi la vita".

«Quali cose? Cosa c'è che non va?» mia madre mi accarezza la schiena con tocchi leggeri sporgendosi ancora un po' per osservarmi attraverso la barriera delle mie braccia.

"Puoi dirglielo, Anna. Forse non tutto, ma puoi dirle una mezza verità".

Raddrizzo la schiena, voltandomi verso di lei. «Ecco, diciamo che al lavoro ho un capo davvero stronzo che non mi rende la vita facile».

Mia madre aggrotta la fronte, annuendo. «È troppo esigente?» domanda, alzando il mento per osservarmi meglio.

"No, è uno stalker malato e vendicativo".

Mi muovo sulla sedia per carcare di mettermi più comoda e sfuggire al suo sguardo tagliente. «Sì, una specie. Ce l'ha con me, praticamente».

Mia madre alza le sopracciglia. «E per quale motivo dovrebbe avercela con te?»

Mi mordo l'interno della guancia, indecisa se raccontarle o meno il primo incontro con il mio stronzo capo.
«Anna?» mi sollecita lei.

«Fa così con tutti, ma'. È solo che non sopporto le ingiustizie, mi conosci».

Svio la conversazione, ma mia madre assottiglia lo sguardo assottigliato, come se avesse già deciso di non credermi.

"Nemmeno io mi crederei, in realtà".

«Devi fare ciò che senti, amore. Se ti vuoi licenziare, io sono con te. Sempre», mi incoraggia.

Mi volto verso di lei e le regalo un sorriso lieve, anche se ho ancora un nodo alla gola.

"E non ti ho raccontato il peggio".

Faccio un lungo respiro e annuisco. «Sì, forse la cosa migliore è dare le dimissioni. Nathan Bailey è opprimente».

Mia madre si drizza sullo schienale e mi osserva con le sopracciglia aggrottate per un paio di secondi buoni con sguardo indecifrabile. «Com'è che si chiama?» domanda perplessa.

«Nathan Bailey, mamma. Te l'avevo detto che lavoravo alla Bailey Group».

Il volto di mia madre si trasforma, i suoi occhi si allargano appena e il sorriso che mi sta rivolgendo non coinvolge i suoi occhi adombrati.

Deglutisce e la sua postura tesa mi fa arricciare le labbra. «Non avevi detto che il tuo capo era una donna?» domanda, toccandosi il collo.

«Sì, lo è, ma è solo la direttrice della filiale di Bologna. Il big boss si è presentato un paio di settimane fa e ha stravolto tutti, diciamo», spiego, stringendomi nelle spalle e appoggiando il mento sul ginocchio che ho raccolto fra le braccia.

Mia madre resta in silenzio per un po'. «Allora, dare le dimissioni è la cosa migliore, amore. Così ti togli l'accumulo dello stress di dosso, e chi lo sa...» sospira, prendendomi la mano nella sua e baciandomi il dorso proprio come faceva quando ero solo una bambina e quel gesto era l'antidoto per la mia bua. «Troverai qualcosa di meglio e che non ti impedirà di diventare ciò che sei destinata a essere. Una grande donna in carriera».

Rido dalla sua affermazione e del fatto di quanto i miei genitori siano fieri di me e l'abbraccio, sentendomi meno oppressa e più leggera.
«Grazie mamma».

Chiudo gli occhi e inalo il profumo di iris che ha addosso, lavorare con i fiori le lascia sempre delle note profumate addosso e mi rendo conto di essere tornato a casa. Nel mio posto sicuro.

«Sei la mia vita, tesoro. Se qualcosa non va nella tua, io sono qui per dirti che c'è sempre una scelta. Farei di tutto per te», mi bacia la testa, mentre mi stringe a sé come se fossi ancora la piccola bambina ferita perché è caduta a terra.

Spazio Autrice●

🦋Nulla da dire.
Grazie per essere arrivati fin qui.💜

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Kappa_07

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