Troubles of the H-age (I)
For we who grew up tall and proud
In the shadow of the mushroom cloud,
Convinced our voices can't be heard
We just wanna scream it louder and louder and louder.
(Queen)
«Non voglio, non voglio, non voglio!»
Cécile si sfilò il casco con un sospiro.
«Ah, ce n'est pas possible...» borbottò sottovoce.
I capelli scuri le ricaddero sulla schiena: liscissimi e profumati, restituivano alla città il bagliore dei lampioni. Per un istante appena, visse il sogno di una ragazzina che li intrecciava nella speranza di essere la più bella della festa, e volteggiava per il corridoio controllando quanto fosse ampia la ruota della sua gonna.
Poi si ricordò di chi era il suo cavaliere.
«Per favore, non faccia il bambino».
Lloyd si tolse a sua volta il casco. Si sistemò con la mano i capelli, riuscendo in qualche modo a districarli, e appoggiò gli occhiali sul naso arrossato dal freddo. Le sue lenti furono percorse dal riflesso rosso e bianco di fari che sfrecciavano per la strada.
Dopo cena, Lloyd era tornato a casa appositamente per cambiarsi. Aveva indossato, forse per provocazione o forse per un gusto personale, un completo da alta nobiltà britanna: le scarpe nere erano chiuse da bottoni d'argento, e la piega impeccabile dei pantaloni conduceva gli occhi lungo le sue gambe magre. Forse per sfidare chiunque altro avesse desiderato essere il più elegante della festa, si era messo una giacca a doppiopetto e si era legato al collo una cravatta ascot grigia e nera. Il risultato era piuttosto gradevole agli occhi, ma Cécile non si sarebbe certo fatta ingannare dalle apparenze.
«Non ho nessuna intenzione di–» continuò lui con vocina querula, mentre si rimetteva il cappello a mezzo cilindro. Le lanciò un'occhiata allegra e provò a sviare la conversazione. «Ti sta molto bene quel vestito, Cécile!»
Lei abbassò appena, senza neanche accorgersene, gli occhi verso il pizzo nero sul proprio petto. Allontanò in un lampo l'ipotesi che il complimento fosse sincero.
«Non faccia il furbo,» tagliò corto, «che non mi lascio comprare così. Non ha nessuna intenzione di far cosa?»
Il singolo battito delle mani di Lloyd arrivò attutito dai guanti che indossava.
«Di parlare ad anima viva al ricevimento!» miagolò soddisfatto, avanzando con passo molleggiato verso i capannelli di persone che si erano già radunati davanti a Villa Ariete.
«Oh, santa pace. Lloyd!» sbottò Cécile. Sperò che quel richiamo potesse avere la forza di prenderlo per la giacca e trattenerlo, dato che sarebbe stato un gesto troppo scortese per le circostanze. Tuttavia, Lloyd si voltò verso di lei più con curiosità che con timore. La trovò che lo fissava a braccia conserte.
«Galton e tutto il gruppo di ricerca sono nelle sue mani, e lei fa i capricci? Ci tiene o no a quel progetto?»
Subito dopo, il viso di Cécile in qualche modo si addolcì, le sue sopracciglia diventarono due archi a tutto sesto.
È così difficile capire a cosa e a chi tiene..., pensò.
«Inoltre le ricordo che l'ultima festa a cui siamo stati,» continuò a dire, «era una ricorrenza in cui lei ha portato dei superalcolici che ha distillato nei becher».
Lloyd si abbandonò a una risata sincera.
«E con ottimi risultati!» le fece notare, in tono squillante.
Cécile strinse i pugni e le labbra.
«Impari a parlare senza andare in falsetto!»
Lloyd tornò all'improvviso calmo e rallentò il passo fino a quando non si trovò a camminare al fianco della sua assistente. Socchiuse gli occhi, come faceva quando la miopia gli impediva di vedere distintamente un particolare, e la prese a braccetto.
«Allora ti propongo un patto,» le disse, cercando di mantenere una tonalità di voce insolitamente bassa. «Io sono libero di entrare, prendermi da bere e poi, solo poi, potrò avere delle interazioni sociali». Si appoggiò mollemente una mano sulla fronte, con un atteggiamento ottocentesco, e recitò: «Del resto, ogni cosa è materiale; caduca, forse...».
«Ma beva quello che vuole, non sono sua madre!» lo interruppe Cécile, accelerando il passo verso l'ingresso. «Non dovrebbe farlo, ma non sarò certo io a fermarla».
«Eccellente,» sussurrò Lloyd in tono melodioso. Poi sollevò lo sguardo. «Oh, buonasera!»
Una signora impettita, passandogli accanto, si era stretta nel suo visone e gli aveva rivolto un saluto che non aveva nulla di caloroso, contorcendo le labbra pesantemente truccate di rosso come se avesse appena succhiato un limone.
Cécile presto abbandonò la curiosità di sapere chi fosse: il suo cervello saltava dall'ometto in completo nero che, come un cane da punta, dirigeva il naso aquilino dritto davanti a sé fino all'uomo che reggeva la borsa alla moglie, intenta a rovistarvi dentro come in un vecchio cassetto.
«Guardi, professore,» commentò Cécile, con una punta di sarcasmo, «ci sono gli Ashford».
Questa volta era stata lei a stringersi al suo braccio e a guardarlo con aria di sfida. Lloyd roteò gli occhi al cielo.
«Vada a salutare!»
«Errori di gioventù».
La ragazza fece per ritirare la mano, ma lui strinse a sé il braccio in modo da impedirglielo.
«Sa,» disse Cécile con delicatezza, «se intende davvero quello che sta dicendo, sono felice che l'abbia riconosciuto».
«Io sono sempre serio».
Fu il turno di Cécile di gettare gli occhi al cielo.
«Ad ogni modo, ho sentito che Milly è andata a studiare all'estero».
«Ah, sì?» replicò lo scienziato con un'alzata di spalle. «Meglio per lei».
Milly, Milly, Milly! Perché appena saltava fuori quel discorso tutti quanti puntavano il dito su di lui come se avesse appena ribaltato la credenza dei bicchieri di cristallo? E va bene, aveva sbagliato – va bene, le donne, dietro alle quali per fortuna non gli interessava perdere tempo, forse su certe cose ci rimanevano male – ma non c'era bisogno di guardarlo così, come se loro fossero umani e lui no.
Chi ci pensava ai suoi, di sentimenti?
Se il matrimonio combinato tra lui e Milly fosse andato in porto, alla fine, lui avrebbe avuto i progetti per il Frame Ganymede degli Ashford: un nuovo giocattolo da costruire che gli avrebbe fatto passare il tempo e lo avrebbe fatto sorridere.
Lei invece si sarebbe trovata tra i piedi un marito. Lloyd socchiuse gli occhi, come faceva sempre quando era assorto nei suoi pensieri. Che importava? La famiglia di lei era interessata solo al suo cognome.
Lui, come valore aggiunto, l'avrebbe lasciata andare con chi voleva, quando voleva. Si sarebbe anche potuta innamorare di un altro, portarlo in casa o fuggire con lui, se credeva. Lloyd, tra le sue macchine e i suoi diagrammi, non avrebbe mosso un dito per fermarla, sarebbe stato addirittura felice per lei.
Quando aveva provato ad affrontare l'argomento, Milly non aveva capito. Forse per la differenza d'età, forse perché cercava la chimera del vero amore, aveva ostinatamente cercato di spiegargli come funzionavano le relazioni e l'attrazione che due fidanzati dovevano provare l'uno per l'altra.
La rivide davanti a sé vestita d'azzurro, i boccoli biondi che le accarezzavano le spalle, la bocca storta in una smorfia e le braccia incrociate al seno.
Quando gli aveva detto di voler rompere il fidanzamento, lui non aveva provato nulla se non un soffuso rispetto per una persona che prendeva le proprie decisioni da sola. Sapeva di aver avuto quel ruolo nella vita di Milly, e che non ci sarebbe più entrato.
Poi, però, lei gli aveva augurato di trovare, un giorno, una ragazza che l'avrebbe aggiustato. Solo allora Lloyd aveva sentito dentro di sé qualcosa che era fatto di vetro e che si stava incrinando.
Aveva cercato di sconfiggere quella sensazione ridendo.
«E poi, a dirla tutta, se proprio devo farmi accompagnare da una donna,» disse lo scienziato ad alta voce, senza nemmeno accorgersene, «preferisco te, Cécile».
Le voci degli invitati alla festa ricominciarono a circondarlo, e nel suo campo visivo comparvero le ciglia spalancate della sua assistente, la cui espressione subito mutò in una di diffidenza.
Cécile lo aveva rimproverato in tante occasioni, gli aveva detto che non riusciva a stare in mezzo agli altri senza farli innervosire.
«È già la seconda volta che prova a convincermi con queste moine, Lloyd! Mi vuole dire che cosa spera di ottenere?»
Ma mai, neanche una volta, gli aveva detto che lui era rotto.
«Oh, suvvia, perché pensate che io abbia sempre dei secondi fini? Non posso più nemmeno esprimere il mio affetto a un'amica?»
«Non ho nessuna intenzione di parlare al suo posto mentre lei sta seduto a bere cocktail!» replicò Cécile. Lloyd sentì le dita della donna che si stringevano sul suo braccio, in segreto da tutto e da tutti, come a non volerlo lasciar andare.
«Ah! Beccato!»
*
«Lloyd Asplund, ex direttore del progetto Camelot. Enfant prodige della tecnologia bellica e grandissima faccia di merda».
Kallen si sporse leggermente dalla balaustra e guardò dove stava indicando Mihara. Un uomo alto e magro, vestito da dandy, stava ridendo in modo piuttosto vistoso davanti a un cameriere impettito, la mano affondata nei capelli azzurri. Accanto a lui, una donna impacciata tentava di introdursi nella conversazione.
Sì, vedendolo se lo ricordava. Era stato per un breve periodo assieme alla presidente Milly, ma non era stato quello a far sì che rimanesse nella sua memoria.
Kallen aveva passato pomeriggi interi a prestare mezzo orecchio a Nina che blaterava su quanto fosse intelligente il professore che l'aveva aiutata, descrivendo ogni suo passo e riportando le loro conversazioni parola per parola. Lei di fisica non ci aveva mai capito niente e si limitava ad annuire.
«Una descrizione piuttosto precisa,» disse ad alta voce. Mihara si voltò verso di lei e smise di fulminare con lo sguardo lo scienziato. Per loro fortuna, erano riusciti a mantenere una posizione abbastanza defilata.
Kallen raddrizzò la schiena e cercò se, tra la folla illuminata dalle luci sfavillanti, ci fosse qualcuno di sospetto. O anche solo qualcuno che per lei era più che una semplice conoscenza. Ripensò con malinconia a quando era adolescente, e al posto di quel completo nero da bodyguard poteva indossare abiti col corsetto stretto e la gonna larga. Scosse la testa per allontanare quel pensiero.
«Eccolo,» annunciò Mihara a mezza voce.
Kallen si riscosse definitivamente e diresse l'attenzione sull'uomo dai capelli biondi pettinati all'indietro, vestito completamente di bianco, che avanzava in mezzo a un piccolo drappello di persone, con tutta probabilità armate per la sua sicurezza. La giacca gli cadeva alla perfezione. Né una piega sui suoi abiti né un dettaglio nel suo viso erano fuori posto.
Cinque anni, ma non era cambiato niente del modo in cui i suoi piedi avanzavano nelle sale addobbate a festa, seguendo una linea perfetta, ortogonale a quella del suo corpo.
Cinque anni in cui Schneizel aveva rappresentato sia la rinnovata pace di Britannia, la redenzione e il perdono, sia la speranza dei partiti nazionalisti che l'impero tornasse di nuovo grande. Lui era l'uomo che proteggeva Zero, che parlava ai tavoli diplomatici e sorrideva sul retro delle banconote. Il simbolo di uno Stato e di un'era, tutto per un singolo ordine di Lelouch.
Kallen a volte si era chiesta se fosse accettabile, a livello morale, soggiogarlo e usare il suo ingegno in quel modo. Poi però si era ricordata di come Britannia aveva schiavizzato lei.
«Occhi su di lui,» le suggerì Mihara. Kallen lo osservò ancora più attentamente dalla sua prospettiva a volo d'uccello, affondò una mano in tasca e giocherellò nervosamente con un braccialetto.
È un dispositivo di occultamento, le aveva detto Mihara una volta fuori dalla portata d'orecchio dei due britanni. Usa la stessa tecnologia che mi ha salvato dal carico di arance.
Così, il finto diplomatico aveva scoperto un'altra carta. Sul viso di Kallen si dipinse un sorriso affilato e i suoi occhi celesti si diressero su Mihara, che con perfetta nonchalance aveva accettato un calice di vino e stava dialogando con qualcuno riguardo al tè matcha.
Vuoi vedere che, se non lo avessimo fermato, questo bastardo avrebbe davvero ucciso Schneizel?, pensò, divertita. Le seccava ammetterlo, ma, per quanto un tempo avrebbe goduto nel vedere il principe azzurro sottoterra, aveva ragione l'amica di Orange. Sarebbe stata davvero una pessima mossa.
«Oh, Kallen, e tu non prendi niente?» la raggiunse una voce maschile dal tono affettato.
La ragazza spostò lo sguardo, come un predatore che intuisce un pericolo, e si scontrò con il sorriso di plastica di Kanon Maldini, uguale a come l'aveva lasciato.
«Kanon,» lo salutò lei, fingendosi felice di vedere i suoi capelli lisciati alla perfezione e il suo collo sottile, quasi femmineo. «No, grazie, sto lavorando».
«Oh,» replicò il ragazzo, osservando la sua divisa nera. «Che peccato... come stai? Ti credevo in Giappone».
Dannazione, pensò Kallen, tentando di spingere lo sguardo verso Mihara, che cosa ci fa il braccio destro di Schneizel qui? Stanno sospettando qualcosa? O è solo una coincidenza?
«Forse desideravi essere presente di persona all'annuncio di Zero?» continuò Kanon, ammiccando.
«Annuncio di Zero? Quale annuncio?»
Il sorriso di Kanon si allargò ulteriormente.
«Oh,» commentò, «Nunnally non ti ha detto niente quando ti ha invitata alla festa?»
La ragazza strinse la stoffa dei pantaloni nel pugno. Gli aveva offerto su un piatto d'argento l'opportunità per cercare di ferirla psicologicamente, insinuando che Nunnally – la sua amica Nunnally, la sorella di Lelouch – non l'avesse invitata di persona.
Che serpe!, pensò, continuando a rivolgergli un'espressione imperturbabile. Che importava se Nunnally non l'aveva invitata a una stupida festa? Anzi, proprio perché la conosceva bene sapeva che lei odiava le stupide feste!
«Sto accompagnando un uomo come guardia del corpo,» rispose, con un sorriso serafico. Accennò col capo a Mihara, e sperò che lui la guardasse e capisse che Kanon costituiva un potenziale pericolo. «È solo un caso che io mi trovi qui».
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