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Capitolo 8 [Prima Parte]


―Prometto di parlarti di più, e più chiaramente. Va bene?―, le disse, mentre prendevano posto ad un tavolo vicino la vetrata.

―Hey, anche io non sono stata molto sincera con la storia del codice binario... credo di averti fatto impazzire un po', ed inutilmente―, rispose lei, addossandosi parte della colpa.

―Non importa, credimi―, rispose lui, ricordando di non aver fatto chissà quale grande sforzo per decifrare il messaggio criptato. ―Però mi hai colpito, con quel faccino non pensavo nemmeno che tu fossi fisicamente in grado di mentire.―

Cauchemar sembrò lusingata per un attimo, poi con le mani si incorniciò il volto, facendo la linguaccia. ―Pensa ad ordinare, ragazzo salamandra, tutto quel correre per salvarti la pelle mi ha messo fame.―

―Ah, salvare me? E chi ti ha liberato da quel tipo tirandogli un pugno sulla faccia? Guarda che la mano mi fa ancora male.―

Lei sorrise, poggiando il mento sul palmo. Il suo corpo era proteso verso Sunny, le orecchie dritte in un'espressione che sembrava stranamente soddisfatta. ―Ti piace la cheesecake, vero? La prendo per entrambi?―

Sunny aspettò un po' prima di rispondere, portandosi una mano allo stomaco. Non voleva essere sicuro di avere fame, quella ce l'aveva eccome. Voleva accertarsi che se Cauchemar avesse preso una fetta di torta anche per lui, se la sarebbe mangiata.

―Va bene, offro io però―, rispose, mentre cercava il portafogli in tasca. In una delle tasche, ovunque l'avesse messo. Il problema di quei pantaloni era che il numero delle tasche era un po' più alto rispetto al necessario.

―Ah-ah―, disse Chauchemar, mettendosi improvvisamente a braccia conserte, per sfidarlo. ―Non credo proprio.―

E con un gesto deciso, posò una banconota sul tavolo. Proprio sotto il naso di Sunny.

―Vedo che vuoi la guerra―, rispose lui. ―Ma potranno i tuoi soldi vincere contro la mia pila di monetine?―

E con quello, Sunny adagiò cautamente una torre fatta da monete da venti centesimi, proprio accanto la banconota di Cauchemar. Entrambi si guardarono, chiedendosi per quanto a lungo l'opera di Sunny sarebbe rimasta in piedi.

Poi, l'inevitabile avvenne. Ed entrambi bloccarono le monetine dal finire per terra, ridendo come due bambini.

Mentre rideva, e cercava di ricompattare il disastro che aveva combinato con i propri soldi, Sunny poggiò la testa sul tavolo. Cauchemar aveva reclinato la schiena contro la sedia, e stava continuando a ridere, coprendosi la bocca con la mano. Il vapore del suo fiato le stava appannando gli occhiali, e quando se ne accorse, entrambi presero a ridere ancora più forte.

Fino a quando Sunny non cominciò a sentire pezzi di una conversazione che stava avvenendo al tavolo accanto.

―... no, no. Lei ha detto che si incrociano le caviglie, non l'intera gamba. Non puoi accavallare le cosce e basta―, disse una delle ragazze al tavolo, quella più lontana da dove si trovava Sunny.

―Certo, o ti si vedrebbe tutto. In che mondo avete vissuto finora?―, rispose un'altra. Una con dei riccioli biondi ed una coda da scoiattolo così grande da permetterle a malapena di entrare nella poltroncina.

―Ah, questa la sapevo―, sussurrò Sunny in direzione di Cauchemar, indicandole con gli occhi l'altro tavolo. E con quello, allontanò un po' più le ginocchia per sedersi un po' più storto di prima.

―Come se Lukas avesse bisogno di un'altra scusa per guardarti così―, rispose la ragazza di prima, e si portò le mani al viso per allontanarsi le palpebre dagli occhi. Erano in quattro, e tutte scoppiarono a ridere a quel gesto. Tutte, tranne una, che si limitò a sorridere e farsi piccola nel proprio posto per l'imbarazzo.

―E tu, Jenna?―, chiese un'altra alla ragazza più timida. ―Tu hai intenzione di trovarti un ragazzo l'anno prossimo o no?―

―Veramente, io...―, provò a replicare Jenna, visibilmente in soggezione.

―Su, sembra che tu non ci stia neanche provando―, commentò la ragazza dai riccioli biondi. Tutte risero.

Tranne Jenna. Lei non sembrò affatto divertita.

―Ah, sì, misurare il valore di qualcuno in base a quanti occhi ha addosso. Veramente maturo―, commentò Sunny sottovoce, ed ebbe la certezza che Cauchemar avesse colto a pieno il suo sarcasmo.

―No, Jenna, continua esattamente così e non cambiare per nessuno. Soprattutto lo smalto giallo neon, vorrei chiederle dove lo abbia comprato―, rispose Cauchemar, piegata sul tavolo per accertarsi che solo Sunny potesse sentirla. Senza neanche accorgersene, stavano di nuovo ridendo sotto i baffi, ma non ridevano di Jenna. No, ridevano della superficialità delle sue amiche.

Ma presto, non riuscirono a ridere neanche più loro.

―Se posso permettermi, Jenna, il problema è che tu sei così―, disse una di loro, e mentre parlava, fece un gesto in grado di far ribollire il sangue a Sunny.

Si gonfiò le guance, ed allargò le braccia per farsi apparire più grande.

Tutte ridacchiarono. Tutte, tranne Jenna.

―Dai, non è carino...―, commentò la ragazza seduta più lontano. Portava uno chignon, e lo andava controllando in continuazione per assicurarsi che non si disfacesse.

―Ma io stavo scherzando. Lo avevate capito, vero ragazze?―, si giustificò l'altra.

―Forse c'è qualcosa che non va nel tuo humor, cappello di paglia―, disse Cauchemar sottovoce, facendo riferimento al cappello che portava adagiato sul grembo. Fu allora che Sunny notò la sua coda gonfia, e quei due occhi che prima gli erano sembrati pieni di mistero adesso sembravano soltanto voler commettere un omicidio.

Avrebbe voluto alzarsi e mettere fine a quella conversazione, ma non ci riuscì.

Perché quelle erano parole che conosceva.

―Jenna, non lo diciamo per cattiveria, lo sai vero?―, le disse la ragazza dai riccioli biondi, toccandole lievemente l'avambraccio.

―Ma certo...―, rispose Jenna, ed ogni istante il suo disagio divenne sempre più palpabile.

―Non è impossibile guarda, ti ricordi come ero io due anni fa? Avrei pagato per avere delle amiche che mi dicessero le stesse cose. Lo facciamo per te, credimi.―

Lo dico per te, bambina mia.

Mia madre non è stata altrettanto gentile con me quando io avevo la tua età, e se non controlli ora quello che metti nel piatto, da grande ne pagherai le conseguenze.

E Sunny pensò che forse... forse di quella fetta di cheesecake poteva farne a meno, dopotutto.

―Ooh, ma perché non la smettono?―, disse Cauchemar, sempre più furiosa. E la sua voce fu l'unica cosa in grado di distogliere Sunny dai propri pensieri. ―Non lo capiscono che così è peggio? Se la loro amica stesse veramente loro a cuore, non la prenderebbero in giro.―

Sunny la guardò, e per un po' si concentrò solo su di lei. La conversazione al tavolo accanto smise di essere interessante, e la sua attenzione venne rivolta pienamente a Cauchemar. Era certo che quello era un discorso che si era sentita fare anche lei, magari da qualche amico della sorella. Gli aveva fatto qualche accenno al riguardo la prima volta che aveva parlato di Coraline.

Avrebbe voluto avere la sua forza, si accorse Sunny. Avrebbe voluto guardare verso quelle tre streghe con lo stesso sguardo severo di Cauchemar, avrebbe voluto trovare il coraggio di replicare anche solo all'interno della propria testa. E allora perché l'unica reazione che riusciva ad avere era quella di tacere, e piegare la testa? Perché si sentiva addosso delle critiche che non gli erano nemmeno state rivolte in prima persona?

Perché il ricordo di sua madre continuava a fare così male?

Poi, uno dei camerieri servì il tavolo accanto, reggendo un vassoio con l'espressione più annoiata che Sunny avesse mai visto. Alla ragazza con in grembo il cappello di paglia, quella che più di tutte se l'era presa con Jenna, venne servito un milk-shake così grande da fare quasi straripare la panna al di fuori della coppa. Alle altre due arrivarono due fette di torta.

Ma Jenna... lei prese soltanto del succo d'arancia. E Sunny vide i cubetti di ghiaccio all'interno venire smossi dalla cannuccia, mentre la ragazza li faceva girare all'interno del bicchiere. Solo guardandolo, poteva sentirne il sapore, e la conseguente acidità di stomaco.

Perché un tempo era stato lui, al posto di Jenna. E di quei bicchieri ne aveva bevuti parecchi, mandandoli giù piano e mai prima che anche l'ultimo cubetto di ghiaccio si fosse sciolto. Perché c'erano regole, regole per tutto, regole immaginarie che si imponeva da solo per essere sempre, sempre sicuro di non stare perdendo il controllo. 

[...]

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