Capitolo 6 [Prima Parte]
Sette agosto. Sabato.
La signorina Melissa sarebbe venuta a prenderlo il sette agosto.
Fino ad allora, a Sunny rimanevano undici giorni per ritrovare Maple. Ed escludere Cauchemar dall'equazione significava azzerare le sue possibilità di farcela. Lui aveva bisogno della sua guida, e della sua conoscenza della città.
Per questo lei non avrebbe mai, mai dovuto sapere la reale motivazione che aveva spinto Sunny a cercare il luogo di quella foto. Per questo non avrebbe mai dovuto sapere che lui in realtà era alla ricerca di Maple.
O che sui documenti il suo nome era Alexia.
Si lavò la faccia con energia, e si rimise indosso gli stessi vestiti del giorno prima, stavolta uscendo dal bagno ancora prima che Amanda potesse chiamarlo preoccupata. Era determinato a mangiare anche quella mattina, a mettere un'altra stellina colorata sulla sua agenda...
Ma quando arrivò di sotto, guardò la piccola pila di pancakes senza nemmeno essere in grado di alzare la forchetta.
E si sentì deluso da sé stesso.
―Che succede, campione? Non mangi stamattina?―, gli disse Harry, appena entrato in cucina. Amanda era davanti a lui, seduta al lato opposto del tavolo che contava le sue pillole per la giornata.
―Sssh!―, lo ammonì Amanda, e subito Harry cambiò espressione, afferrando il suo caffè ed uscendo dalla stanza.
Sunny non riuscì a dire nulla.
―Non lo ascoltare, non fa niente. Ti confesso che quello che non mangi tu se lo finisce lui durante i suoi spuntini di mezzanotte. Quindi non preoccuparti, non buttiamo niente―, lo rassicurò lei. E Sunny ebbe appena la forza per riuscire ad alzare lo sguardo.
―Come fai a sapere quale pillola è cosa? Come distingui le scatole?―, chiese, dimostrando interesse nel modo in cui Amanda percepiva il mondo.
Lei voltò una delle confezioni, indicando a Sunny un angolo in particolare. Avvicinandosi, lui vide alcuni punti stampati in rilievo sul cartoncino.
―Vedi? Si chiama Braille, è un codice. Ci sono dei punti rialzati, e dei punti che invece restano piatti, ed io riesco a leggere con le dita. È solo un modo differente di scrivere qualcosa, è un alfabeto. Così come tu riesci a leggere le lettere, io riesco a leggere gli spazi vuoti e gli spazi pieni.―
Sunny reclinò di nuovo la schiena sulla sedia, annuendo pur sapendo che Amanda non poteva vederlo. Ecco come faceva ad insegnare matematica. Allora i calcoli non li faceva tutti a mente, come aveva creduto Sunny fino ad allora.
―Amanda...―, la chiamò lui, d'un tratto ancora più timido di prima. ―Io sono un peso per voi?―
E forse, con quel voi Sunny non intendeva soltanto lei ed Harry. Forse intendeva dire il mondo intero.
―No, sciocchino. Questo lo pensi tu di te stesso, non noi―, rispose lei. E nella postura rilassata delle spalle, nel modo in cui gli angoli della sua bocca si erano piegati in un piccolo sorriso, Sunny si ripeté un pensiero che aveva avuto spesso riguardo ad Amanda.
Lei non è per niente come la mamma.
―E vi mancherò quando me ne sarò andato via?―, domandò ancora, spaventato dalla risposta. E con sua sorpresa, Amanda sorrise ancora di più, intenerita.
―Non preoccuparti di questo. Tu sei qui, adesso, ed è quello che conta. Siamo felici di averti qui.―
Sunny non lo sapeva che risposta si stesse aspettando, ma quella non lo lasciò affatto deluso. Abbassò gli occhi sul piatto, e sentì un lieve calore formarsi all'altezza dello stomaco, lì dove il livido era quasi del tutto sparito. Con il passare dei giorni quel tavolo, il piatto di ceramica azzurro e le candele allo zenzero sembravano sapere sempre più di casa.
E lo sarebbe stata sempre, anche se avesse dovuto lasciarla. Anche se la ricerca di Maple non gli garantiva alcuna certezza. Ma lui doveva trovarla, e lo avrebbe fatto anche se non ne avesse ricavato nulla in cambio.
E con un profondo respiro, anche quella mattina affondò la forchetta nel piatto.
Quel pomeriggio Sunny si accorse che riconoscere la sagoma di Cauchemar in lontananza gli metteva un'allegria che non sentiva da tempo. Era stato Harry ad accompagnarlo in macchina, e per tutto il tragitto Sunny aveva avuto paura che Cauchemar lo scoprisse. Cosa avrebbe pensato, se lo avesse visto arrivare nella macchina dei Todd insieme ad Harry? Ma fortunatamente, Cauchemar era un po' una ritardataria, ed il peggio non era accaduto.
Si salutarono da lontano, e stavolta, invece di aspettare che fosse Cauchemar a venire da lui, Sunny le andò incontro.
―Hey, ciao―, le disse, e subito a lei sembrarono illuminarsi gli occhi.
―Tu hai dormito stanotte? Io ho fatto tantissimi incubi, quel posto ieri mi ha terrorizzata. Dobbiamo tornarci qualche volta!―, esclamò Cauchemar, e mentre si avviavano dentro al centro commerciale, lei sciolse la sua parlantina.
Sunny non capì molto riguardo gli incubi di lei, ma la stette a sentire. Gesticolava molto quando parlava, e lui si concentrò molto di più sul modo in cui il suo corpo si muoveva, che sulle sue parole. Aveva cambiato il fiocco che portava alla coda, mettendone uno che aveva anche un campanello, e questo trillava ad ogni piccolo movimento. Il pelo delle sue orecchie, nero come la notte, si perdeva fra i mille riccioli scuri che aveva in testa. E ora che guardava bene, poteva vedere le vibrisse sulle sopracciglia fare capolinea dalla frangetta. Ma se non avesse saputo che erano lì, non ci avrebbe mai fatto caso. E poi... non erano brutte. Erano perfettamente normali.
Forse era così che lei vedeva le piccole membrane fra le sue falangi.
―Cosa diremo a Russell?―, le chiese Sunny, una volta che Cauchemar ebbe finito di parlare. Ormai erano arrivati alle scale mobili, e stavano scendendo di sotto. ―Vuoi raccontargli tutta la storia di come abbiamo trovato il floppy disk?―
―Mmmh... no, meglio di no. Decisamente preferirei non fargli sapere alcune cose...―, rispose lei. Adesso la sala giochi era a qualche metro di distanza da loro, e Sunny cominciò a notare che Cauchemar si stava lentamente portando ad un lato del corridoio.
―Che cosa?―, chiese Sunny, e capendo che Cauchemar non voleva farsi vedere da Russell con lui, acconsentì a mettersi in disparte.
Finirono per entrare in un negozio di giocattoli, e mentre vagavano nel reparto pupazzi, si accordarono su cosa dire a Russell.
―Non voglio che ci veda insieme perché conosce mia sorella Coraline, e... beh, se sapesse che sono uscita con te vorrebbe conoscerti e farti tantissime domande e se mi rifiutassi lo direbbe sicuramente a papà... che non la prenderebbe bene, ecco.―
Sunny annuì, non avendo però capito niente di quello che Cauchemar stesse cercando di comunicargli. ―Insomma, hai le tue buone ragioni. Quindi, che faccio? Ti aspetto fuori? E con che scusa gli chiederai di usare il computer della sala giochi?―
―Gli dirò che Coraline non mi ha permesso di usare il suo, e che ho davvero tanto tanto bisogno di internet, ecco―, propose lei.
―E se dovesse voler guardare mentre lo usi?―, chiese Sunny. Lei sembrò irrigidirsi, e la sua bocca si piegò da un lato.
―Allora sarà un tentativo fallito, sicuramente non gli dirò del floppy disk. Non è la prima volta che me lo lascia usare, solo... per favore, mentre siamo lì, fai finta di non conoscermi. Usciamo da questo negozio e disperdiamoci.―
―Va bene―, acconsentì lui, e si rese conto che l'idea di non poter vedere con i suoi occhi il contenuto del floppy disk lo rendeva nervoso. ―Ma voglio sapere tutto quello che trovi. Tutto, capito?―
Lei annuì, ed usciti dal negozio presero direzioni separate.
Sunny si fermò per un attimo davanti al negozio di caramelle, lasciando che fosse Cauchemar ad arrivare per prima alla sala giochi. All'interno del negozio c'erano principalmente bambini, molti dei quali tiravano i genitori per le maniche dei vestiti, emozionati di stare per ricevere dei dolci. Sunny sorrise, e si promise che presto ci sarebbe tornato, per prendere il grande lecca lecca vicino al bancone.
Sicuramente adesso non puoi più impedirmelo, mamma, si disse con un sorriso soddisfatto. Poi, decise di seguire Cauchemar alla sala giochi.
La vide al bancone a discutere con Russell, e per non dare nell'occhio, si mise a guardarsi in giro, cercando di captare quello che poteva della conversazione.
―Dai, ti prego, lo so che in realtà mi vuoi aiutare―, sentì dire a Cauchemar.
―Da quando sono il tuo baby sitter? Pagami, se vuoi usufruire del servizio―, rispose Russell, e per quella risposta a Sunny venne voglia di prenderlo a pugni.
―Ti detesto, Russell― rispose Cauchemar, e la sua espressione si imbronciò così tanto da somigliare a quella di una bambina. Russell si mise a ridere, poggiando i palmi contro il bancone per reggersi.
―Non dirmi che mi hai preso sul serio! Tieni le chiavi, stupida―, le disse, e Sunny fu sorpreso di vedergli consegnare a Cauchemar le chiavi del magazzino. ―Ma è solo perché hai beccato un giorno in cui sono solo a gestire questa topaia, hai capito? Hai cinque minuti.―
―Me ne serviranno almeno dieci, data la quantità di memoria che ha quella ruota per criceti...―, si lamentò Cauchemar, e con nonchalance si avviò verso la porta del magazzino... indisturbata.
Sunny guardò Russell, poggiato al bancone con un gomito mentre masticava una gomma, e provò una strana irritazione. Era stato così semplice convincerlo a cedere? Certo, lui era soltanto un impiegato, e probabilmente non lo pagavano abbastanza per preoccuparsi anche di tenere al sicuro l'attrezzatura sul retro, ma... era stato così semplice?
Che rapporto avevano lui e Cauchemar, e perché Sunny ne era così... infastidito?
Ma ad un certo punto, mentre era impegnato a non fare assolutamente niente, Russell sembrò avvertire lo sguardo truce di Sunny puntato direttamente su di sé. E si voltò in sua direzione senza che lui avesse il tempo di nascondersi nella penombra.
―Hey!―, disse, ed il modo in cui lo chiamò gli fece gelare le branchie. ―Allora stai veramente seguendo Cauchemar!―
E mentre avanzava verso di lui, Sunny non poté fare nulla se non indietreggiare.
―Ma voi ragazzini inquietanti di oggi non sapete fare altro se non seguire le ragazze? Che cosa pensi di ottenere? Scommetto che è da tutto il giorno che la aspetti fuori con l'intenzione di pedinarla, non lo sai che è un reato?―
Sunny cercò di trovare le parole per difendersi, ma Russell parlava così forte da aver fatto girare tutti i ragazzini all'interno della sala giochi. Ed i loro sguardi erano pesantissimi. ―Certo che lo so! E infatti non è come pensi, non mi interessa affatto quella ragazza e non la stavo assolutamente seguendo!―
―Continua così, e mi costringerai a chiamare la sicurezza, teppista.―
Ma perché?, si chiese Sunny. Perché Russell non poteva sapere che loro due si conoscevano? E soprattutto perché stava reagendo in quel modo?
―Guarda che ti sbagli―, insistette, abbastanza forte perché anche gli altri lo potessero sentire. ―Prendiamo lo stesso tram per arrivare qui, e poi non ho intenzione di pedinarla, ho sbattuto contro di lei una volta e nient'altro, è tutta una coincidenza.―
Russell contrasse la mandibola, e la sua espressione severa si sciolse appena un po'. ―Ne sei sicuro? Perché se mi stai mentendo io la sicurezza la chiamo. È l'unica parte del mio lavoro che mi piace fare.―
Sunny alzò gli occhi al cielo, lasciandosi abbagliare dal tubo al neon sopra le loro teste. Aveva l'impressione di stare parlando con un idiota. Ma ormai era costretto a rispondere.
―Certo che ne sono sicuro. Stai tranquillo, nessuno vuole toccare la tua micetta―, rispose, schernendo il modo in cui aveva sentito Russell chiamare Cauchemar.
Russell puntò le mani ai fianchi, portando i gomiti in fuori con aria severa. ―Scusa per la reazione, ma è una brutta età per le ragazze. Lei si... fida troppo, ed ha bisogno di qualcuno che allontani da lei le brutte amicizie.―
Se fai così sembri tu la brutta amicizia, venne da rispondere a Sunny, ma per sua fortuna si trattenne ed annuì. ―Certo, lo capisco. Il problema è che hai proprio sbagliato con chi prendertela, qui.―
―A forza di essere costretto a stare in mezzo ai ragazzini, un po' te li prendi a cuore―, si giustificò Russell, indietreggiando verso il bancone. Sunny non rispose, lasciando morire la conversazione.
Avrebbe voluto assistere al momento in cui Cauchemar fosse uscita dal magazzino, ma non poteva più stare lì, o era sicuro che quell'idiota la sicurezza l'avrebbe chiamata per davvero. Girò i tacchi e se ne andò fuori, decidendo che sarebbe stato meglio aspettarla davanti l'ingresso.
[...]
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