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Capitolo 5


Il parco giochi abbandonato era una vera e propria città fantasma.

Cauchemar gliene aveva parlato, mentre camminavano, e Sunny aveva scoperto che era stato abbandonato in seguito ad un disastroso incendio, in cui aveva perso la vita una persona. E francamente, avrebbe tanto preferito non venirlo mai a scoprire.

Specialmente adesso che stavano per entrarci.

―Dobbiamo scavalcare?―, chiese Cauchemar, ferma davanti al cancello, fra le sterpaglie.

―Temo di sì, mi sembra l'unica soluzione. Il tuo amico che va in skateboard non ti ha detto se c'è un'altra entrata?―

―Il mio amico che va in skateboard è lo stesso di cui ti dicevo prima... e credo che tu abbia capito che non amo parlarci―, disse lei, sorridendo imbarazzata. Sunny storse la bocca, ed afferrando le grate in ferro del cancello, si preparò a tirarsi su.

Saggiò il ferro arrugginito con una scossa energica per assicurarsi che avrebbe retto, e portò un piede su una delle sbarre orizzontali. Si issò verso l'alto, facendo scivolare i palmi lungo le sbarre. Se toccare la ruggine era terribile, sentirla insinuare fra le pieghe delle sue dita ed avvertirne l'odore era ancora peggio, ma questo non avrebbe fatto da deterrente. Poi, arrivato esattamente in cima, guardò verso Cauchemar, e reggendosi forte al metallo portò entrambe le gambe dall'altra parte. Si chiese se lei sarebbe riuscita a fare lo stesso, mentre scendeva giù e tornava finalmente a toccare la terraferma.

Lei esitò, guardandolo in silenzio da oltre il cancello che li separava, e mise le mani sulle sbarre come aveva fatto Sunny. Con sua immensa sorpresa, si tirò su immediatamente, e in pochi secondi fu lì accanto a lui, atterrando in piedi fra le sterpaglie e piegando le ginocchia per attutire l'impatto.

Dove la teneva nascosta tutta quell'agilità, in quel corpicino piccolo e paffuto?

―Qui ci venivo da piccola con la mia famiglia. Io non ricordo praticamente nulla, ma mia sorella Coraline me ne parla molto spesso. Ho ricordi troppo vaghi, avrò avuto forse tre anni, quando questo posto è andato a fuoco―, raccontò Cauchemar, mentre si addentravano nel parco. L'erba era cresciuta fino ad arrivare loro alle ginocchia, e Sunny sganciò un'estremità della catena che portava ai jeans, nascondendola in tasca affinché non si impigliasse.

―Hai una sorella?―, chiese Sunny, interessandosi alla conversazione. Non gli piaceva mai molto, quando le altre persone parlavano di sé, ma Cauchemar non era affatto noiosa, e la ascoltava interessato. Non era sicuro che l'avrebbe più rivista dopo quel pomeriggio, ma voleva conoscerla.

―Sì, è più grande di me di qualche anno. Se la vedessi non diresti nemmeno che siamo imparentate.―

―Perché? Lei è uno di quei gatti tutti senza il pelo?―

―No, ma che dici!―, esclamò Cauchemar, ridendo. ―No, niente affatto. Anzi... lei è davvero bella. Se ne sta sempre in giro con i ragazzi più popolari, ha voti alti a scuola senza faticare troppo, sa sempre la cosa giusta da dire ed il momento perfetto per dirla. Lei è... la figlia che tutti vorrebbero.―

Con forse un po' troppo cinismo, Sunny si lasciò scappare una risata, e l'eco della sua voce rimbombò per le carcasse in ferro di quelle che un tempo dovevano essere state delle attrazioni. C'era un carosello, davanti a loro, al centro di una piazzetta invasa da erbacce e rampicanti. ―Scusami, ma da come la descrivi sembra proprio la figlia che mia madre vorrebbe.―

―Davvero?―, chiese Cauchemar, e la sua espressione sembrò sia sorpresa che ferita.

―Davvero. Ma purtroppo, le sono capitato io...―, disse Sunny, e con una lunga falcata, si portò al centro della piazza, avanzando in direzione della giostra. Salì sulla scala di metallo, e questa stridette orribilmente, senza però cedere. Qui, aprì le braccia più che poté, e con un gesto teatrale esordì: ―Un fallimento versione deluxe!―

Cauchemar rise, e si avvicinò al carosello senza però salirvi sopra. Mentre discendeva, Sunny si assicurò di non toccare niente, e stavolta prestò un po' più di attenzione ai gradini di metallo.

―Hai un'alta considerazione di te stesso, vedo―, commentò lei ironica. E mentre scendeva anche l'ultimo gradino, Sunny le mise entrambe le mani sulle spalle.

―È così, ma cerco di non piangerci troppo sopra. E non dovresti farlo nemmeno tu, specialmente quando ti paragoni a tua sorella. Perché lo fai? Quella è lei, non tu. Non puoi essere una persona che non sei.―

Gli occhi spalancati di lei guardarono dritti in quelli di Sunny. Tondi, larghi, gialli come l'oro. Lei si ritrasse appena, giusto il necessario perché lui la lasciasse andare, e la sua bocca si aprì per dire qualcosa.

Qualcosa che non disse. Perché subito il suo sguardo cambiò, e Sunny seppe chiaramente che un altro pensiero le era passato per la testa.

―Questo... non è quello che mi dice di solito la gente quando parlo di Coraline.―

―Perché, che ti dicono?―, domandò Sunny, mentre entrambi riprendevano la loro esplorazione.

―Di solito mi danno consigli su come essere come lei. Come truccarmi, come vestirmi, quali magazine comprare, che cosa mangiare...―

E a quelle parole Sunny, con il sorriso più serafico che riuscì ad esibire, regalò a Cauchemar un altro spassionato consiglio: ―E tu, la prossima volta che cercano di dirti come dovresti essere, rompigli il naso con un pugno.―

Lei rise di nuovo, ed i canini appuntiti le pressarono contro il labbro inferiore, in un sorriso così largo da far apparire le sue guance ancora più piene e tonde. Presero un sentiero privo di erbacce, e mentre camminavano, Cauchemar si appese al braccio di Sunny come di solito faceva con la tracolla della borsa.

Lui non si scostò, anzi piegò il gomito in modo da farla stare più comoda. Infondo, non gli dispiaceva averla vicino... specialmente adesso che il paesaggio si stava facendo sempre più... spettrale.

I segni dell'incendio adesso erano ben visibili, e l'immondizia lasciata lì dai teppisti cominciava ad ammucchiarsi ad ogni angolo. Le costruzioni annerite, mangiate dal fuoco, erano ricoperte di graffiti, alcuni dei quali spigolosi e terrificanti. Un grosso mostro verde era raffigurato sul lato di un edificio, e Sunny odiò doverci passare accanto. Ma guardando da lontano la ruota panoramica, finalmente, riuscì a riconoscere l'angolazione della fotografia.

E non ci volle molto perché individuasse anche il punto esatto in cui questa era stata scattata.

Lui e Cauchemar camminarono in silenzio, e dal modo in cui lei lo seguì, lui ebbe la certezza di non essere l'unico ad averlo riconosciuto.

L'attrazione dinanzi a loro era uno stupido edificio con un trenino su binari, che probabilmente consisteva in un giro di alcune stanze con marionette meccaniche. L'insegna con il nome della giostra era crollata, e parte del soffitto sembrava essere collassato su sé stesso, ma la porta che lo chiudeva sembrava troppo pesante per pensare di forzarla.

Della mascotte della foto non sembrava esserci traccia. Ed era ovvio, avrebbe dovuto aspettarselo.

―Non c'è niente―, disse Cauchemar, e sentirlo dire ad alta voce a Sunny fece quasi male. ―Cosa stiamo cercando?―

―Non lo so―, ammise Sunny. Ed era vero, infondo. Nemmeno lui sapeva che cosa avesse sperato di trovare, nel bel mezzo di un posto dimenticato da tutti. ―Ho trovato quella foto per caso, e volevo venire qui. Volevo esplorare, niente di più.―

Guardò Cauchemar da oltre la propria spalla, e lei si staccò lentamente da lui, guardando dinanzi a sé.

Avanzò verso la struttura, e nel rendersi conto di non averla più accanto Sunny si sentì solo, piccolo ed indifeso contro quel luogo così grande e vuoto. Ma poi...

Poi Cauchemar si piegò e raccolse qualcosa da terra, tenendolo fra due dita all'altezza dei propri occhi.

E Sunny sentì il cuore accelerare sempre di più.

Era un sacchetto, una piccola busta trasparente piegata su sé stessa, che Cauchemar stava srotolando con cura. Sunny corse verso di lei, e dovette fare uno sforzo per combattere l'istinto di strapparglielo dalle mani.

Il primo oggetto che venne fuori Sunny non lo riconobbe subito. Sembrava un pezzo quadrato di plastica nera, con una parte di metallo opaco, ma il secondo...

Il secondo oggetto gli strizzò il fiato fuori dai polmoni.

Era un elastico per capelli. Ma non era un semplice elastico per capelli, quello un tempo era stato il suo.

Quello che aveva usato per legare la treccia di Maple.

―Guarda, è un floppy disk―, gli disse Cauchemar, identificando l'oggetto che Sunny non aveva riconosciuto. Lui rimase pietrificato, ed il suono dei suoi battiti superò quello dei suoi pensieri. ―Secondo te... dovremmo prenderlo?―

―Sì, sì, prendili entrambi―, rispose affrettato. Avrebbe voluto agguantare l'elastico, ma si trattenne. Non avrebbe saputo giustificare l'improvviso interesse in quell'oggetto così insignificante, ma se Cauchemar aveva intenzione di tenerlo al sicuro... allora avrebbe lasciato che fosse lei a prenderlo.

―Stai pensando a quello che penso io, vero?―, chiese lei, senza però aspettare risposta. ―Vuoi vedere cosa c'è dentro il floppy disk.―

―Assolutamente sì, usciamo da qui e vediamo di scoprirlo―, disse lui, fingendosi emozionato. In realtà, dentro di sé aveva soltanto un'infinita sensazione di vuoto e panico, ma si impose di controllarsi.

Cauchemar si mise entrambi gli oggetti in borsa, e subito si diresse in direzione dell'uscita. ―Vediamoci di nuovo alla sala giochi, posso convincere Russell a farci usare il suo computer. So tormentarlo fino a farlo cedere, fidati di me.―

―Domani?―, chiese Sunny. E mentre camminavano, pregò che Cauchemar gli prendesse di nuovo il braccio. Perché si sentiva la testa svuotata e le gambe gli tremavano, perché aveva bisogno di conforto più di ogni altra cosa.

―Sì, perché no? È estate, sono libera sempre―, disse lei. Ma stavolta, prese a camminare un passo più avanti a Sunny, e lui tornò a sentirsi solo, piccolo e terrorizzato.

Le costruzioni mangiate dal fuoco erano mostri pronti a collassare su di lui, le attrazioni erano carcasse, ed i graffiti gli sembravano vivi ed ancora più terrificanti.

Non disse nulla, ed i suoi pensieri presero a vagare liberi e selvaggi all'interno della sua testa. Così feroci da accavallarsi fra di loro, così forti da essere dolorosi da ascoltare. Ma poi, giunti di nuovo davanti al grande cancello all'entrata, fu Cauchemar a spezzare il silenzio.

―È stano, non credi? È come se chiunque abbia lasciato in giro quella foto lo abbia fatto per un motivo. È come se stessimo volutamente seguendo una pista. Secondo te è una caccia al tesoro?―

E nel realizzare quel concetto, Sunny afferrò le sbarre del cancello con più foga di prima, e si obbligò a scavalcare nel minor tempo possibile. ―C'è solo un modo per scoprirlo―, rispose ridacchiando nervosamente. Dovevano andarsene subito di lì. Dovevano andarsene adesso.

Perché se Cauchemar aveva ragione, se davvero qualcuno stava tracciando loro una pista da seguire, allora quel qualcuno sapeva che loro erano lì. E per tutto il tempo che avevano passato lì dentro, erano stati in pericolo.

L'unico che poteva aver messo lì quegli oggetti era il rapitore di Maple. Ed aveva lasciato nel sacchetto l'elastico per essere certo che Sunny sapesse che era lui. Lui aveva rischiato di fare la fine di Maple, ed avrebbe potuto trascinare Cauchemar con sé.

Era questo quello in cui si stava cacciando? Stava partecipando al gioco di un sadico criminale? E se per caso avesse perso, quale sarebbe stato il prezzo da pagare?

Ma soprattutto: aveva altra scelta, oltre quella di continuare a giocare?  

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