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Capitolo 19

Edmund era morto.

La notizia non lo sconvolse, quando un operatore sanitario lo informò della cosa. Si era rotto il collo impattando contro il fondo della piscina.

Ma Sunny sapeva di essere stato lui a trascinarlo lì. E soprattutto, sapeva che se il corpo di Edmund non si fosse trovato sotto il suo al momento dell'impatto, non sarebbe stato lui a rompersi il collo. Sapeva che il suo peso, per quanto esiguo, era stato la cosa che aveva condotto Edmund alla propria fine.

 "Non è colpa tua", lo aveva rassicurato l'operatore sanitario. Ed era esattamente tutto ciò che aveva bisogno di sentire.

Ci sarebbe voluto molto tempo, prima di togliersi dalla testa la convinzione di essere stato lui ad ucciderlo. E ormai non poteva più sperare di sfuggire allo strizzacervelli.

Ma poi, un'infermiera aveva aperto la tendina che copriva la sua barella, e mentre lo spostavano in reparto, gli aveva sussurrato una notizia in grado di eliminare ogni pensiero legato ad Edmund Paskov:

―Hanno ritrovato la bambina, sana e salva.―

E allora, Sunny seppe per certo che tutto, dal giorno in cui lo avevano tolto a sua madre fino al momento in cui si era buttato con Edmund in quella vasca, aveva avuto un senso. Tutto. Ogni follia, ogni scelta sbagliata, ogni atto di disobbedienza era servito a condurlo a quel momento.

Era un capitolo che si chiudeva. Sia per lui, che per tutta la cittadina. Per Harry, per Maple, e per Dave, che presto sarebbe stato sciolto dalle accuse.

C'era ancora un solo filo lasciato pendere giù dal telaio. Una trama che non era ancora stata intessuta. E quel filo venne a bussare alla porta della sua camera d'ospedale, quella sera, prima di ogni altra visita.

―Hanno detto che l'accesso era permesso soltanto ai parenti stretti. Quel folle di Harry Todd si è messo a urlare come un pazzo, quando lo hanno bloccato fuori, e allora mi sono convinta ad entrare alla faccia sua.―

Electra era ferma accanto alla porta. Dritta, distante, intoccabile. Dalla punta dei suoi tacchetti allo chignon che portava sulla testa, non c'era un solo dettaglio di lei che fosse fuori posto. Sembrava più una modella sulla cinquantina, che una madre con un figlio sul letto d'ospedale.

―Tipico tuo, mamma. Se fossi un'attrice, avresti sempre il ruolo della cattiva.―

A Sunny non importava più di tornare con lei. Dopo quello che aveva affrontato nel padiglione di quel parco giochi, non c'era niente che gli facesse paura. Aveva dato a sé stesso la prova di essere in grado di affrontare qualsiasi cosa, e se fosse rimasta, sua madre se ne sarebbe presto resa conto.

―Non credo che farebbe per me, in realtà. Però ammetto che è stato bello, avere i flash dei giornalisti puntati su di me, mentre aspettavo di entrare. Parlano tutti di te, sai? Mi hai regalato i miei quindici minuti di celebrità.―

Sunny scosse la testa, non potendo però fare a meno di spingere un sorriso ai lati della bocca. Rimase in silenzio, e seguì con lo sguardo una goccia che cadeva dalla flebo fino a raggiungere una delle vene del suo braccio.

―Ho avuto paura di perderti.―

Sunny non aveva mai, mai sentito la voce di sua madre flettersi in quel modo. Anche dopo la morte di suo padre, non l'aveva vista versare una lacrima da sotto il velo nero, anzi sembrava che si divertisse a farsi chiamare la vedova Hernandez

Eppure si erano amati. E quando i suoi occhi sconvolti si puntarono in quelli lucidi della madre, pensò che forse, forse, quella donna amasse anche suo figlio.

―Mi hai già perso, mamma―, ammise Sunny con freddezza. ―Solo non nel modo che intendi tu.―

Allora Electra fece una cosa che usciva fuori dai suoi rigidi schemi di ordine e di controllo: si avvicinò al letto di Sunny, e poggiando la ventiquattrore ai suoi pedi, ne estrasse un foglio ed una penna e si mise a scrivere qualcosa piegata su un vassoio.

―Che cosa stai facendo?―, chiese Sunny, turbato.

―Rinuncio alla tua custodia―, rispose lei a denti stretti, firmando furiosamente al di sotto di un paragrafo. ―Ti piace questo foglio? Me lo ha dato quell'idiota incapace della tua assistente sociale.―

Sunny guardò gli occhi della madre rimbalzare fra una riga e l'altra del documento, e si chiese se quello che stava facendo avesse valenza legale, in assenza di un avvocato, chiusa all'interno di una stanza d'ospedale. Forse non era questo ad avere importanza, in quel momento. Forse quella era solo la sua teatrale ed improvvisa maniera di dimostrargli qualcosa.

Ma c'era dell'altro. Era stata Melissa, a darle quella copia. In qualche modo, lei era dalla sua parte.

―Stammi a sentire, pesciolino lesso: io non ti capisco. Ti guardo negli occhi adesso, e non vedo nulla della bambina che ho cresciuto―, ammise Electra, con il cappuccio da cobra che si allargava, incorniciandole la testa.

―Forse quella bambina non è mai esistita, mamma―, rispose Sunny, glaciale.

―Lo so. Ed è una cosa che non posso arrivare a comprendere. Mi capisci?―, ammise lei, e Sunny non riuscì a credere di averle sentito pronunciare quelle parole. ―Ho fallito come madre. E temo il giorno in cui non vorrai neanche più guardarmi in faccia.―

Sunny non rispose, e guardò due lacrime cadere dagli occhi di sua madre, per infrangersi sul lenzuolo bianco.

Il ricordo di una giornata d'estate, quando lui era ancora piccolo ed il loro rapporto non aveva ancora iniziato ad incrinarsi, gli tornò alla mente. E rivide sua madre sulla spiaggia, con gli occhiali da sole sotto l'ombrellone, a leggere un libro più grade e forse più pesante della sua testa.

Rivisse quel momento perché allora, con lo sguardo distratto e con la coscienza di un bambino, ricordava di aver pensato com'è bella, la mamma.

E quello era lo stesso pensiero che gli solcò la mente, a vederla con le guance rosse e le lacrime agli occhi accanto al suo letto d'ospedale.

―Forse però... se mi allontano da te, se smetto di considerarti come una mia proprietà... allora forse potrò capirti, potrò conoscere chi tu sia davvero. Non posso più essere tua madre, ma forse una zia lontana. Vorrei soltanto non perderti del tutto.―

Sunny in quel momento non seppe se qualcosa dentro di lui si fosse rotto, o si fosse risanato. Non riuscì a dire nulla, ma annuì. Annuì, e le bende attorno la testa gli tirarono la ferita, ma lui ignorò il dolore.

Electra raddrizzò il busto, ed indietreggiando sui tacchetti, recuperò la propria rigidità. Inspirò, e in un attimo, il suo volto recuperò la severità di sempre, e fu come se non avesse mai pianto. Come se il suo cuore di ghiaccio non fosse capace di provare alcuna emozione.

―Allora è deciso. Ci vedremo di nuovo... a data da destinarsi. Addio, Sunny.―

Mentre Electra chiudeva la porta, Sunny sentì un sorriso spingere ai lati delle proprie guance. E ad ogni nuovo passo che ticchettava per i corridoi, una nuova lacrima scivolava giù dai suoi occhi.

Presto entrarono anche i Todd e la signorina Melissa, con un altro tipo di contratto fra le mani, fornito da lei stessa. E mentre li guardava firmare sotto il suo consenso, Sunny pensò che era davvero stato divertente, essere legalmente orfano per cinque minuti.

Sul tardi, gli infermieri lasciarono entrare anche i suoi amici, e Sunny poté di nuovo abbracciare Cauchemar, concedendole di sedersi sul suo letto come la sera prima. I Todd mostrarono fieri il contratto d'adozione a chiunque varcasse la porta, e per qualche ragione Mira ne fu tanto interessata da volerlo leggere tutto.

Coraline lo guardò piangendo tutto il tempo, sorridendogli, ma senza dire una parola. A nessuno, più di lei, poteva far male la verità su Russell. E quando Elliott le poggiò la mano sulla spalla, lei la strinse con rabbia, sfogando tutta la frustrazione per aver concesso il suo affetto ad un bugiardo, a qualcuno che non era mai esistito.

In quella camera d'ospedale, con la pioggia che batteva feroce fuori dalle finestre, tutto era perfetto. Forse una parte di lui era davvero morta in quella piscina, realizzò Sunny. Era morta solo per permettergli di lasciarsi i propri mostri alle spalle, di poter vivere davvero.

Il giacinto aveva messo le proprie radici.

Aveva superato l'inverno, ed era pronto a fiorire.

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