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Capitolo 14 [Prima Parte]

La solita, ordinaria luce dei lampioni entrava dalla finestra, e le brutte tendine rosa in tulle non riuscivano a filtrarla del tutto. Il bagliore giallastro sembrava trasformarsi in oro sulla pelle di Cauchemar, e nell'ombra sembrava che i suoi occhi brillassero di luce propria. Chissà se lei riusciva a vederci, al buio. Chissà se lei poteva vedere il disordine di quella stanza e se lo stava giudicando, pensò Sunny. 

―Mi dispiace per ieri―, disse lei, sussurrando perché nessuno, al di fuori di quella stanza, potesse sentirla. ―E mi dispiace che i Todd ti abbiano messo in punizione.―

―Perché sei dispiaciuta? Tu non c'entri niente. Non dovresti essere tu a chiedermi scusa, credimi, non potrei mai avercela con te.―

―Quindi adesso non possiamo più uscire?―, intuì Cauchemar.

―Così sembra...―, rispose Sunny, rivolgendosi al pavimento, dove aveva lasciato le proprie ciabatte. Sbuffò, ed invitò Cauchemar a sedersi sul suo letto, dopo aver cercato di rimettere al proprio posto le coperte trascinandole fin sopra il cuscino.

―Per quanto durerà la cosa?―

―Fino a quando non vengono a prendermi.―

―Cosa? Te ne vai sul serio?―, disse Cauchemar, sobbalzando. Sunny era certo di averglielo già detto, e non seppe spiegarsi subito quella reazione. ―Credevo che anche questa facesse parte delle tue bugie, prima che mi dicessi chi sei. Scusami, non avevo capito che...―

―Purtroppo è così. La disgrazia che è successa a Maple ha fatto credere ai servizi sociali che io stia per diventare pazzo, quindi mi vogliono rinchiudere in comunità. Di nuovo―, la interruppe Sunny, prendendo a camminare per la stanza.

―Ci sei già stato?―, chiese lei, con le orecchie basse.

―Sì―, rispose lui, mentre alzava i suoi vestiti dalla sedia per andarli a mettere nell'armadio. Prima che entrasse qualcun altro, non si era mai accorto di vivere in un tale disordine. ―Per ovvi motivi, mi avevano messo nel reparto femminile o come vuoi chiamarlo. Ma penso sia stato per il meglio, con i maschi sarebbe stato di gran lunga peggio.―

―Perché? Come sono le ragazze, lì dentro?―, insistette Cauchemar, e mentre Sunny prendeva l'ennesimo paio di scarpe per nasconderlo sotto il letto, la guardò dritta negli occhi, mentre si abbassava sulle ginocchia per raggiungere il pavimento.

―Non come te―, disse, e la secchezza della sua risposta sorprese anche lui. Non era quello che avrebbe voluto dire, ma era quello che gli era scappato dalle labbra.

Nessuno è come te, aveva pensato. Ma la frase era stata opportunamente riformulata nel tragitto fra il suo cervello e la sua lingua.

―Oh―, fu la risposta di Cauchemar, mentre si portava una mano davanti la bocca. ―È un peccato. Io e te andiamo d'accordo, non trovi? Siamo una bella squadra.―

―Lo siamo, ma non c'è da sorprendersi. Non è difficile andare d'accordo con te, è andare d'accordo con me ad essere complicato.―

Mmmh...―, mugolò Cauchemar, storcendo la bocca. ―Secondo me non ti rendi conto del fatto che tu alla gente piaci. Non sei così misterioso e difficile da capire come pensi di essere, ragazzo salamandra.―

―Dici davvero?―, rispose Sunny, allargando gli occhi per la sorpresa. Tornò a sedere accanto Cauchemar, rimbalzando sul materasso. ―Non sono misterioso, è solo che non sono abituato ad essere capito. Quindi non mi esprimo a prescindere.―

―A mia sorella piaci, il che ha sorpreso molto anche me. Mira ha un carattere molto dolce quindi non credo esista una persona al mondo che non le piaccia, ed Elliott ha cambiato idea su di te. Devi credere di più in te stesso, stupido.―

La frase che gli aveva detto Coraline quella sera, tirata del tutto fuori contesto, gli si ripeté in mente all'improvviso.

Non sei speciale.

E se Sunny non era speciale, allora non era strano. Allora non era un caso unico ed isolato al mondo, allora qualcuno lì fuori provava le stesse cose che sentiva lui. Se non era speciale, se anche lui era normale, allora non era solo.

Si immaginò a zonzo con loro, nel sedile posteriore del catorcio che aveva visto Mira guidare, con Cauchemar accanto ed il volume della radio al massimo, ad ascoltare qualche stazione pirata nel cuore della notte. Se quei ragazzi, che lo avevano conosciuto per sole poche ore, avevano un'opinione positiva di lui, allora forse Cauchemar aveva ragione. Forse lui alla gente piaceva.

Ed era un peccato scoprirlo solo adesso, pochi giorni prima di essere di nuovo rinchiuso all'interno di un incubo, lontano da tutti loro.

―Mi chiamerai ogni tanto, quando tornerò in comunità?―

―Potrò vederti?―, chiese Cauchemar, il viso contratto in un'espressione indecifrabile. Forse apprensione, forse tristezza.

―Non lo so―, ammise Sunny, scuotendo la testa. Il suo sguardo andò alle proprie mani, abbandonate sul ventre. Le sue dita erano abbastanza distanziate da far vedere le membrane fra di esse, e sembravano attendere che Cauchemar colmasse quegli spazi con le proprie. ―Ma ti confesso che sarebbe bello.―

Lei sospirò, e mentre il petto le si abbassava, anche la sua testa compì il medesimo movimento. Si stava reggendo al bordo del materasso, come se avesse paura di poter cadere giù da un momento all'altro. Non disse nulla, e rimasero qualche istante in silenzio, mentre una macchina passava di fronte la casa dei Todd, illuminando la piccola stanza con la luce dei fari.

Dando un'occhiata al videoregistratore, Sunny controllò l'orario ancora una volta. Il piccolo display segnava le due e trentacinque, e splendeva di una piccola luce verde, composto da alcune stanghette che si univano geometricamente fino a formare dei numeri. Adorava gli orologi digitali, e la maniera che avevano di contenere così tante cifre in così poche linee. Gli ricordavano una mostra d'arte alla quale aveva assistito da piccolo. Gli ricordavano suo padre.

―Hai mai visto una di quelle mostre minimaliste fatte solo di luci? ―, disse, spezzando il silenzio che si era creato fra lui e Cauchemar.

―No. Che intendi dire?―, chiese lei confusa. Sunny si alzò, indicando con le braccia l'intera stanza.

―Una volta sono stato in questa galleria, divisa in diverse stanze grandi più o meno così―, disse, e con il movimento delle mani cominciò a sezionare lo spazio. ―E dentro ognuna di queste stanze erano state montate delle luci al neon. Questo, e nient'altro. E lo spazio era dipinto di luce.―

Wow―, commentò lei, lasciando che un sorriso le sfuggisse ai lati della bocca. ―Sembra meraviglioso.―

―Lo era, credimi―, assicurò Sunny, muovendo la testa con energia. ―Io ero piccolo così quando l'ho vista. A quanto pare, ne ho parlato per così tante settimane che ad un certo punto mio padre ha deciso di regalarmi un tubo al neon per la mia stanza. Lo aveva gelatinato di blu, ed ogni volta che lo accendevo con le serrande chiuse, mi sdraiavo nel letto e fingevo di essere sott'acqua.―

―Sunny―, lo chiamò lei per nome, facendosi all'improvviso seria. Esitò, cacciando fuori un altro sospiro, come se avesse paura di quello che stava per chiedergli. ―Dov'è tuo padre, adesso?―

Sunny rimase in silenzio per qualche istante, avvertendo uno strano fastidio all'altezza del petto. Non era Cauchemar ad infastidirlo, né la domanda che gli aveva posto. Quello che non lo rendeva tranquillo era l'impressione di stare parlando di qualcosa di troppo delicato, di troppo personale, e che se lo avesse detto a qualcuno, avrebbe in qualche modo mancato di rispetto a suo padre. Come se anche solo condividere il ricordo con qualcuno, potesse danneggiarlo.

La mamma non aveva mai parlato di lui, dopo la sua morte. E come conseguenza adesso Sunny credeva che il modo più rispettoso di ricordare qualcuno fosse non ricordarlo affatto, e parlarne sembrava impossibile.

―Sono tre anni che non c'è più―, disse, e la sensazione di disagio divenne una voragine nel momento stesso in cui quelle parole attraversarono le sue labbra. ―Leucemia, se te lo stessi chiedendo.―

Il silenzio scese ancora una volta fra di loro, e l'orologio digitale del videoregistratore lampeggiò per segnare il passaggio dei minuti. Cauchemar esitò, ma ancora una volta, la sua mano raggiunse quella di Sunny, facendo scorrere le dita in mezzo alle sue. Era in momenti come quelli, che lui si rendeva conto di quanto lei fosse coraggiosa, e quanto quel contatto lo facesse stare bene. Se fosse dipeso da lui, il loro rapporto non sarebbe mai arrivato a diventare così stretto, e nel realizzare quel pensiero si chiese se forse il suo modo di fare non fosse troppo freddo nei confronti di Cauchemar.

In momenti come quelli, si rendeva conto che lei aveva bisogno di lui tanto quanto lui aveva bisogno di lei.

―Forse non è la stessa cosa, ma... credo di sapere come ti senti―, disse Cauchemar, e la sua mano strinse un po' di più quella di Sunny. Di solito non era questo quello che la gente diceva quando lui parlava di suo padre, di solito era soltanto un singolo mi dispiace, seguito dal silenzio. Sunny non sapeva nemmeno che cosa avrebbe voluto sentirsi dire, ma mi dispiace non lo faceva sentire ascoltato, né compatito. Avvertiva soltanto la sensazione di far pena alle persone, e non c'era niente di più umiliante dell'essere il ragazzino problematico che fa pena alle persone.

―Davvero?―, rispose lui, con sincera curiosità. Non voleva sfidarla, ma se Cauchemar era abbastanza coraggiosa da mandare avanti quella conversazione, Sunny voleva vedere dove l'avrebbe portato. Perché, in cuor suo, sapeva di avere un immenso bisogno di parlarne, e cercare di riparare a quel muro di silenzio che sua madre si era costruita attorno in quegli anni.

―Non è una cosa che dico a molti, ma... Coraline non è la mia unica sorella―, ammise, e nella pausa che corse fra quella frase ed il resto del racconto di Cauchemar, Sunny avvertì il cuore stringersi in una morsa.

Ma stavolta non era il suo di dolore, quello che stava provando. Aveva ricevuto un frammento del dolore di Cauchemar.

[...]

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