I'm here for you
Settembre passò, lasciando posto a un ottobre particolarmente gelido e ventoso. Lasciando posto a un ottobre che alternava forti piogge a freddo da polo nord al quale i ragazzi potevano combattere solo con cappelli di lana, sciarpe e giubbotti imbottiti.
Percy aveva iniziato a coprirsi di più per andare in piscina nonostante la frequenza in quelle due settimane fredde non fosse cambiata.
Annabeth, che si era ostinata a non portarsi la sciarpa dopo che usciva dalla palestra, aveva un mal di gola pazzesco e Talia si era ben vista da non farglielo simpaticamente pesare.
In compenso al freddo, erano iniziate le partite di football che, non si sa per quale motivo, davano a tutti i ragazzi in college un forte sentimento di appartenenza, abbastanza forte perché uscissero a guardare quella ventina di ragazzi che correva con una maglietta dalle spalle imbottite e una palla sformata sottobraccio.
E, assieme al freddo, erano diventate alle chiacchiere in camera di Talia ed Annabeth, che solitamente, si concludevano con i ragazzi che si addormentavano ai piedi del letto, con il collo indolenzito e i capelli più scompigliati del solito.
Era diventato più facile, per Annabeth, lasciare che Percy la sfiorasse. Era migliorata. Si ripeteva meno di non sclerare forse perché, col passare del tempo, era lei stesse che sentiva il bisogno di toccare la sua pelle.
Ma aveva comunque paura. E non solo di Percy, ma di tutto. Sapeva che non l'avrebbe mai giudicata. Nessuno di quei quattro ragazzi l'avrebbe mai fatto e, per quanto sapesse che persino alloro avevano un inferno personale, lei non riusciva ad aprirsi. Lei non riusciva a mostrare il proprio e -cavolo- aveva così tanto bisogno di parlare che tenersi tutto dentro le stava facendo troppo male.
Far finta che la sua vita andasse bene, stava diventando doloroso abbastanza da non farla dormire la notte.
E sapeva quanto fosse sbagliato. Come sapeva che, il peggior nemico di sé stessa sarebbe sempre stato solo lei.
Ma non poteva cambiare.
Non voleva.
Forse doveva solo darsi del tempo.
Forse doveva solo accettare il suo passato prima di poterlo raccontare a qualcuno.
***
- Dunque, chi mi sa dire quali erano le caratteristiche delle opere del ciclo bretone? – domandò l'arcigna professoressa, appollaiata dietro la cattedra.
La mano di Annabeth scattò logicamente in aria e gli occhi grigi dell'insegnante vagarono blandi lungo tutta la classe nella speranza di vedere altre mani alzate. Percy sorrise, notando la difficoltà dell'insegnate e il fastidio nel concedere ad Annabeth la parola.
Lei rispose correttamente, la voce chiara e i termini corretti e Percy sorrise di nuovo consapevole che la sera prima si erano guardati un film assieme senza studiare nulla, ma Annabeth sapeva ugualmente tutto.
- Bravissima Chase – rispose l'insegnante, particolarmente annoiata. Abbassò lo sguardo sul libro e poi continuò a spiegare mentre Percy si perdeva nei ricordi della sera prima, fissando un punto nel vuoto.
"Bene, visto che so che razza di film sceglierebbero le ragazze ho portato dalla videoteca Fast&Furious, Arma Letale, Cani di paglia e Non aprite quella porta"
Annabeth rise e prese l'ultimo dei dvd che Percy aveva snocciolato inserendolo nel computer portatile e infilandosi sotto le coperte mentre iniziava. Percy si sistemò accanto a lei, certo che quella serata sarebbe andata a gonfie vele.
Venne riportato alla realtà da un paio di gomitate sul fianco e la voce stridula dell'insegnante che lo chiamava ripetutamente.
- Eh? – si passò una mano sul viso e sbatté un attimo gli occhi verdi nel tentativo di tornare alla realtà, – ok, ci sono. – disse, più a sé stesso che alla professoressa mentre nell'aula si sentivano un paio di risatine.
- Signor Jackson sarebbe così gentile da stare attento e dirci perché "L'Orlando furioso" diventa degno del suo nome?
Percy strizzò gli occhi per un attimo e si maledisse per aver preferito guardare un film piuttosto che studiare assieme ad Annabeth.
- Per Angelica – suggerì Annabeth.
- Per un ragazza – ripeté Percy, non ricordandosi il nome mentre altre risate risuonavano per l'aula.
L'insegnante sbuffò, certa che quel ragazzo fosse ormai un caso perso, – potrebbe mettere il tutto in una frase e aggiungerci qualcosa?
Percy strinse i pugni.
- Voleva sposare Angelica ma lei amava un altro uomo, Medoro, che ha sposato al posto suo e alla fine lui è uscito di senno per colpa sua – suggerì ancora Annabeth mentre il moro faceva di tutto per ricordarsi ciò che gli aveva detto l'amica, senza molto successo.
- Lui voleva sposare questa ragazza ma lei si è messa con un altro e lui è impazzito invece di trovarsi un'altra, mettendo in ridicolo l'intera figura maschile del 1500 – concluse Percy, mentre Annabeth si sbatteva il palmo della mano sulla fronte, rassegnata al fatto che lui non sarebbe mai stato accomodante verso gli insegnanti.
La professoressa sorrise con la stessa gentilezza di una Furia e incrociò le mani, ricche di anelli appariscenti, sul piano in legno chiaro della scrivania, – ma che brillante spiegazione, ammetto che io non avrei saputo fare di meglio – si inumidì le labbra sottili e puntò gli occhi grigi in quelli verdi di Percy che non aveva intenzione di abbassare o cedere lo sguardo a quella megera, – non trova che con la sua ignoranza anche lei, signor Jackson, stia mettendo in ridicolo l'intera figura maschile?
Chiudi quella cavolo di bocca.
- Io trovo che i ragazzi come te, Perseus Jackson, siano davvero ignoranti, sai? – berciò la professoressa.
E i ricordi lo investirono con la stessa potenza di un'onda di sette metri. Lo travolsero, stringendogli lo stomaco, aumentando i battiti del cuore proporzionalmente alla sua rabbia.
Tentò di controllare il respiro, stringendo i pugni, evitando gli occhi cattivi dell'insegnante che avrebbe soltanto peggiorato i vani tentativi di calmarsi.
Respira.
-Allora, Jackson? - incalzò lei, con un sorriso cattivo che le stendeva le labbra sottili. - Non pensa anche lei di essere ignorante?
Ignorante.
Chiudi quella cavolo di bocca.
- Non mi chiami ignorante – intimò, gli occhi ridotti a due fessure e puntati senza paura in quelli dell'insegnante. Quella sorrise, quasi oltraggiata dalla velata minaccia di un diciannovenne.
- Perché non dovrei chiamarti ignorante se semplicemente sei un ignorante?
Quei due o tre cocchi dell'insegnante risero, e Percy respirò con più difficoltà, stringendo i pugni talmente tanto che le nocche sbiancarono.
Doveva uscire.
Doveva andare via da lì.
Non poteva controllarsi, non ce l'avrebbe mai fatta.
Non con la testa che era ferma ad anni prima, in un salotto che puzzava di salsa scaduta, sudore e birra.
Non quando una voce più aspra di quella della sua insegnante era pronta a dirgli quando fosse stupido.
Chiudi quella cavolo di bocca.
- Parli tanto di degrado maschile, di Orlando che ha messo in ridicolo voi uomini – disse, enfatizzando l'ultima parola, – quando sono ragazzi ignoranti come te che stanno rovinando la nuova generazione, mettendo assieme un paio di parole in croce e sperando che possano andar bene. – Fece una pausa protendendosi oltre la cattedra, – non trova signor Jackson, che siano ignoranti come voi a rovinare la società?
Il battito di Percy era salito fin troppo, i pugni tremavano per la rabbia e il respiro si era fatto più corto. Voleva alzarsi e spaccare la sedia in testa all'insegnante, ne avrebbe accettato le conseguenze, e non se ne sarebbe pentito per nulla al mondo.
Non esisteva nient'altro. Esisteva l'insegnante che continuava a schernirlo senza ritegno ed esisteva la rabbia che non avrebbe di certo esitato a sfogare in palestra.
O su di lei.
Fece per spostare indietro la sedia ed alzarsi quando una mano piccola dalle dita sottili si insinuò nel suo pugno, facendo sì che le dita di entrambi fossero incastrate perfettamente. Annabeth gli strinse forte la mano, accarezzandogli il dorso con il pollice, con dolcezza, nella speranza di calmarlo. E fu in quel momento che il battito di Percy decelerò, ritornando regolare e quando l'insegnante finì di inveire contro di lui, si scoprì di non importargliene assolutamente, fintanto che le dita di Annabeth erano intrecciate alle sue.
***
Percy si portò i pugni chiusi davanti al viso prima di caricare il destro e colpire il guantone che avvolgeva la mano di Luke.
- Così – incitò il biondo, – forza, bello.
Gli occhi verdi di Percy si ridussero a due fessure e colpì in sequenza: pugno destro, pugno sinistro. Controllò la respirazione mentre i ricordi di quella mattina si facevano vividi nella sua mente facendo sì che i suoi colpi fossero ancora più forti.
Pugno destro, pugno sinistro.
La mano destra di Luke andò a colpirlo alla testa ma lui si abbassò in tempo per schivarla e colpì il guantone dell'amico con l'ennesimo, potente pugno.
Si portò le mani chiuse al viso per un secondo prima di ritornare a colpire mentre Luke lo incitava e lo coglieva di sprovvista cercando di beccarlo al viso e costringendolo ad acuire al massimo tutti i sensi.
Ormai era diventato meccanico: pugno destro, pugno sinistro, schiva, pugno destro.
Ma Percy ne aveva bisogno, aveva un bisogno fisico di buttare un po' della frustrazione che portava dentro di sé in quei pugni e più colpiva forte, più un pezzo di un passato che non voleva ricordare, se ne andava. Tirò un altro pugno, grugnendo e maledicendosi per esser stato ancora una volta schifosamente debole, abbastanza perché quei ricordi del cazzo lo potessero ancora condizionare così tanto.
- Forza Percy! – Luke lo incitò ancora, spingendolo a colpire più forte mentre si muovevano intondo e i muscoli del moro si flettevano di continuo, chi per colpire, chi per schivare e caricare.
Annabeth si fermò in quel momento voltandosi verso l'amico e beccandosi in piena mascella un cazzotto da Talia.
- Aaaii – gemette per un secondo mentre l'altra ragazza rideva e le chiedeva scusa senza molta convinzione. Annabeth si scordò del dolore mentre osservava quanto i pugni di Percy erano forti in quel momento. Non aveva mai caricato così tanto, non aveva mai avuto quell'espressione di odio negli occhi. C'era qualcosa che non andava, e quel qualcosa non andava da quando quell'idiota della loro professoressa di letteratura aveva parlato a vanvera, toccando tasti che per Percy erano ancora notevolmente taboo.
Talia la affiancò, osservando il suo migliore amico e la furia cieca che gli percorreva il corpo.
- Perché è così? – domandò ad Annabeth senza però staccare gli occhi da Percy.
La bionda non rispose subito, solo un paio di secondi dopo, non prima di essersi stretta la base della coda. – E' nervoso da stamattina, la professoressa l'ha chiamato ignorante.
Talia strinse le labbra e assottigliò lo sguardo, chiudendo talmente tanto i pugni che le nocche sbiancarono. Percy odiava venir chiamato così, lei lo sapeva benissimo, ma avrebbe potuto spiegarlo ad Annabeth?
Si portò un ciuffo ribelle sfuggito alla treccia dietro l'orecchio e poi diede un colpetto alla spalla di Annabeth, facendola uscire dalla sua sorta di trance.
- Forza, Bionda, riprendiamo a combattere, sono carica – respirò forte saltellando e l'amica tornò a rivolgerle lo sguardo solo dopo aver osservato i pugni furiosi di Percy per un altro paio di secondi.
***
- Ehi, Rocky Balboa – chiamò Talia, correndo leggermente per affiancare Percy che si stava dirigendo chissà dove, sul prato verde del college.
- Faccia di Pigna – fece lui di rimando, beccandosi un pugno alla spalla che lo fece sbandare. Rise divertito tornando alla stessa distanza di prima da Talia, che stava già protestando per quel soprannome che le era stato affibbiato all'asilo.
- Dio, Percy! Per quanto ancora mi chiamerai così?
- Finché non mi dimenticherò dell'epico giorno dove la forte e impavida bambina Talia Grace ha avuto uno scontro frontale contro un albero – e serrò le labbra nella speranza di non ridere, ma poi, il divertimento ebbe la meglio e dopo che uno sbuffo fuoriuscì dalle sue labbra, attaccò a ridere sul serio, piegandosi in due e tenendosi lo stomaco con le braccia.
Talia riuscì a soffocare una risata ma non un sorriso e diede un'altra spinta giocosa a Percy che in quel momento, decise di smettere di ridere per la sua incolumità, – sei davvero uno stronzo – berciò Talia e Percy rise di nuovo, avvolgendole le spalle con un braccio e attirandola a sé.
- Lo so che mi vuoi bene – le stampò un bacio sulla guancia e la mora gli mollò un pugno al fianco, seppur accoccolandosi a lui pochi secondi dopo.
- Ti salva quello – camminarono così per un po', prendendosi in giro come quando erano bambini, prima che Talia decidesse di affrontare l'argomento serio della giornata. – Come stai? – domandò, diretta come al solito e maledicendo pochi secondi dopo la demenza che l'aveva spinta a mettersi una felpa leggera mentre il giubbotto con la pelliccia rideva nell'armadio.
Percy si passò una mano tra i capelli neri, sorridendo e sbuffando contemporaneamente, – hai parlato con Annabeth?
- si – ammise senza giri di parole Talia, – mi ha detto dell'uscita di merda di quella testa di cazzo della Harvey.
Percy si guardò per qualche secondo le scarpe, sempre tenendo Talia stretta a sé e poi sorrise, – ti rendi conto di aver detto più parolacce tu in una frase che io in diciannove anni di vita?
Talia lo guardò pochi centimetri più in basso di lui e assunse una finta espressione triste, – bu-uh-uh – pianse, prima che la sua espressione tornasse quella dura e decisa di sempre, – non provare a cambiare argomento con me, tesoro. Ho chiesto come stai, e non cercare di evitare un'altra volta la domanda.
Percy sorrise, grato di aver ritrovato un'amica come Talia, e continuarono a camminare, senza una meta ben precisa. – Ho scaricato in palestra.
- Non è quello che volevo sentire.
- Sto bene, Talia, dico sul serio, ma la maggior parte delle volte il passato è più forte di quanto creda e questo mi fa sentire debole.
Talia inchiodò i suoi occhi blu elettrico in quelli verde mare di Percy e gli batté due pacche sulla spalla, – ma tu sei debole.
- 'Fanculo.
- scherzo, prima donna – lo prese in giro Talia alzandosi lievemente sulle punte per dargli un bacio sulla guancia, – voglio una risposta alla mia domanda.
Percy sorrise ancora, il freddo gelido di metà ottobre che gli andava nelle ossa, – Non lo so come sto. Ecco la mia risposta. Non ho idea se sto male, se sto bene, se sono felice, se sono triste. Sono sia triste che felice, sto sia bene che male anche se non so come questo sia possibile.
Talia posò la testa sul petto di Percy mentre continuavano a camminare, – le cicatrici fanno male quando vengono aperte, in tutti i sensi – e gli passò una mano sulla bassa schiena facendo rabbrividire Percy.
Stettero zitti per un attimo mentre camminavano prima di andare a cena e cercare qualcosa di vagamente commestibile da mangiare.
- A si, tu, razza di porca con gli ormoni impazziti – esordì Percy mentre Talia alzava la mano e trillava un:"presente!" facendo ridere il suo amico, – che stai combinando con Luke?
La mora sbuffò stringendosi nella felpa nera e leggera, – non sto combinando niente, è questo il problema.
- siete mai stati da soli insieme?
- non per più di qualche minuto e non.. – alzò la voce per evitare che Percy la potesse interrompere, – e non ho intenzione di uscirci da sola. Luke è il classico ragazzo che si porta a letto la prima che le capita.
- e tu sei quel tipo di ragazza! Siete fatti per stare assieme!
Talia gli mollò un pugno allo stomaco, – ma finiscila – mentre lui rideva e tornava a stringerla un po' di più a sé, capendo al volo la sua amica, nonostante fossero anni senza vedersi.
- Non penso che Luke ti farà soffrire – mormorò quasi Percy mentre Talia scuoteva la testa con un sorriso un po' triste.
- È diciannove anni che rischio e mi sono sempre fatta male – sospirò forte, aprendosi per la prima volta dopo anni, con qualcuno. Dio, Percy era così importante, speciale e fondamentale per lei. - Io sono così.. Sono così.. Sono stanca. - disse, come se si fosse appena liberata di un peso enorme che le gravava sul petto.
Percy la avvicinò a sé e le accarezzò il polso sinistro avvolto per metà da una fascia nera in tessuto, – è successo molte volte?
Per la prima volta che qualcuno le prendeva il polso, Talia non lo levò, anzi, lo lasciò alle carezze dolci di Percy, carezze che le mancavano come l'aria.
- Un po' troppe – inchiodò i suoi occhi blu elettrico in quelli verdi di Percy, mentre entrambi si fermavano al limitare del college, – quando sei sola ti sembra l'unica soluzione.
E a quel punto, il moro la avvolse in un abbraccio, talmente spontaneo e giusto per quel momento, che se Talia fosse stata anche solo un po' più sensibile, si sarebbe messa a piangere. La abbracciò facendo sì che lei seppellisse la testa nel suo petto e gli stringesse delicatamente la felpa tra i pugni, piccoli e forti allo stesso tempo. Respirò il profumo del suo shampoo, così diverso da quello di Annabeth e le lasciò un bacio sulla nuca mentre Talia, per la prima volta da quando aveva lasciato New York, si sentiva a casa.
- Mi dispiace non esserci stato – le mormorò, – anche io ho avuto bisogno di te, in questi anni. Ho sempre e costantemente avuto bisogno di te in questi anni – confessò mentre la notte calava lentamente sul college.
Talia si allontanò il tanto che bastava perché si potessero guardare negli occhi senza però sciogliere l'abbraccio, – tutti hanno bisogno di me, sono troppo speciale.
Percy rise e le posò le labbra sulla guancia lentigginosa, delicatamente, prima che lei potesse fare il giro e saltargli sulla schiena, esattamente come facevano quando erano bambini.
***
In piscina faceva un freddo cane e appena Percy si spogliò la sua pelle venne cosparsa inesorabilmente di brividi. Sorrise però, certo che in acqua, sarebbe passato tutto, come al solito.
Si tuffò, posizionandosi sul pavimento e guardando la superficie, gli occhi verdi ben aperti, finalmente nella loro dimensione, e per la prima volta da quando era in college, lasciò che il passato lo avvolgesse senza problemi.
"Il piccolo asino ignorante. Sei stato espulso da un altra scuola" lo sbeffeggiò Gabe mentre la sua combriccola del poker rideva in modo divertito e sguaiato.
Un Percy dodicenne strinse i pugni affondandoli nelle tasche posteriori dei jeans. Avrebbe perso e per quello non doveva dar modo a quel tricheco nel corpo sbagliato di prendersela con lui.
"Sei deluso da te stesso, ignorante?" domandò di nuovo Gabe mentre gli amici attorno al tavolo ricoperto da una tovaglia verde ridevano ancora più forte di prima, facendo rovesciare la salsa wacamole.
Percy non rispose di nuovo. I ragazzi glielo avevano raccomandato, doveva mantenere la calma più assoluta e attaccare solo quando sarebbe stato anche in grado di difendersi.
"Vieni qui, ignorante"
Percy si avvicinò, la rabbia che gli montava nel petto magro e i pugni che tremavano dalla voglia che aveva di picchiare Gabe.
I compagni di poker stettero zitti per un secondo mentre il tricheco osservava Percy con occhio attento. Poggiò le carte sul tavolo, attento che i suoi compari non le vedessero e si sfregò i salcicciotti che lui si ostinava a chiamare dita, sulle ginocchia coperte da vecchi jeans logori.
"Io odio gli ignoranti e tu sei il primo degli ignoranti, sai Percy?" rise sguaiatamente e il bambino strinse ancora di più i pugni nel tentativo di calmarsi. "E tu, caro piccolo ignorante" disse Gabe piano, "sei il primo tra gli ignoranti".
Lo schiaffo che seguì quelle parole, fu abbastanza forte da mandare Percy a terra.
Uscì velocemente dall'acqua, seppur fosse certo che ci sarebbe potuto rimanere un altro po' se non avesse avuto la malsana idea di pensare, pensare come al solito in modo esagerato.
Dio, il suo era senza dubbio una vera e propria forma di masochismo.
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