Capitolo 5
Chiusi la telefonata proprio mentre varcavo la soglia dell'hotel. Salutai le ragazze alla reception e il direttore dell'albergo. Dopodiché attraversai la spaziosa e luminosa hall in direzione del mio ufficio.
Ebbi il tempo di rispondere alle numerose e-mail che erano arrivate prima che arrivasse il fattorino con i centrotavola per la signora Bennett.
Andai in sala riunioni e li posizionai ad arte insieme a piatti, posate e bicchieri sul grande tavolo ovale.
I quattro campioni erano tutti molto belli ma senza essere pretenziosi; attiravano l'attenzione ma non la distoglievano del tutto dal servizio che aveva scelto la festeggiata.
Mezzogiorno arrivò presto e la signora Bennett arrivò puntuale come un orologio svizzero. Era una donna non troppo bassa che portava bene la sua età, il viso sorridente e truccato alla perfezione, con rughe non eccessivamente marcate. Indossava un vestito azzurro, un cappotto color crema con scarpe e borsa in tinta.
"Salve signora Bennett" la salutai sorridente e le porsi la mano, "sono Lily Roberts, la vice responsabile degli eventi. Kate purtroppo oggi non potrà essere con noi, ma mi occuperò io di lei".
"Buongiorno cara" mi rispose lei altrettanto sorridente, con una stretta di mano inaspettatamente energica, "chiamami pure Annie. Signora Bennett mi fa sentire troppo vecchia, soprattutto davanti a una ragazza bella e giovane come te".
"Ma certo, Annie. E grazie, anche se non condivido appieno tutto quello che ha detto" dissi prendendole il soprabito, "vuole subito iniziare con la scelta del centrotavola o aspettiamo qualcun altro?" domandai, ricordandomi che in teoria avrebbe dovuto esserci anche il nipote.
"Oh, quell'imbecille di mio nipote è in ritardo come al solito" si lamentò Annie agitando le braccia, "pensa di potersi permettere la qualunque cosa solo perché ha un bel visino e le ragazze pendono dalle sue labbra. Ma prima o poi troverà qualcuna che lo metterà al suo posto". Che caratterino che aveva la nonnina.
"Magari ha solo avuto un contrattempo" mi strinsi nelle spalle, ma lei mi zittì con un'occhiata.
"Tesoro" ricominciò prendendomi a braccetto, "si vede che sei un'anima troppo gentile. Ricordati: solo noi donne abbiamo il diritto di poter arrivare in ritardo. Quel disgraziato, sotto questo aspetto, è più donna di tutte le squinzie che gli sbavano dietro".
Io risi a quelle parole e la condussi in sala riunioni. "Bene allora. Vuol dire che suo nipote ci raggiungerà per pranzo. Non credo che la sua presenza avrebbe fatto la differenza per quanto riguarda i centrotavola".
"Vedo che hai capito tutto dalla vita, ragazza mia" ammiccò lei, "noi donne forti non abbiamo bisogno dei maschietti" recitò con espressione trionfante prima di mettersi ad ispezionare le decorazioni sul tavolo.
La signora Bennett optò infine per la composizione adornata da rose color pesca e candele dorate. Disse che le ricordava i tramonti sulla spiaggia dove era solita passare le estati con il suo defunto marito. Dopotutto quell'esuberante vecchietta aveva anche un lato tenero e romantico. Dai suoi occhi, persi in chissà quale ricordo, immaginai che il loro doveva essere stato un amore di quelli che non tutti hanno la fortuna di provare.
Dopo una buona mezz'ora ci spostammo al ristorante. Il direttore di sala ci informò che il nipote ci stava aspettando al nostro tavolo. Vidi un ragazzo seduto di spalle. Portava una camicia bordeaux, che si tendeva sulla schiena ampia, e aveva i capelli scuri.
"Era ora che ti facessi vivo" lo rimproverò Annie con un colpetto sulla spalla. Dal suo sguardo tuttavia traspariva l'affetto che provava nei suoi confronti.
"Ciao nonna, scusa il ritardo" disse una voce profonda che mi era vagamente familiare.
Quando feci il giro del tavolo, per poco non mi venne un colpo. Non poteva essere vero.
"Dopo ti scuserai per bene portandomi a fare shopping" ribatté Annie e poi si sedette, intimandomi di fare lo stesso. "Caro, questa bellissima e dolcissima ragazza è Lily" mi presentò lei ignara, mentre io prendevo posto accanto a lei e di fronte a lui, "Lily, questo è Mark, il mio ritardatario e disgraziato nipote".
Mark, appena rivolse l'attenzione su di me, sgranò gli occhi sorpreso, riconoscendomi. "Dolcissima?" chiese ironico, alzando un sopracciglio. Annie lo guardò confusa.
"Temo che ci conosciamo già, Annie" provai a spiegarle.
La donna sorrise ma subito dopo aggrottò la fronte. "Aspetta, non dirmi che hai osato fare i tuoi porci comodi con questa povera ragazza" lo accusò.
Mark, per tutta risposta, si mise a ridere. "Oh no, nonna, non ti allarmare, non lo farei mai" si difese guardandomi.
Indecisa se ritenermi offesa o fortunata, passai al contrattacco. "Stia tranquilla, Annie, ci conosciamo proprio perché non gli ho permesso di fare i suoi comodi" affermai. Nell'ultima ora avevo imparato a conoscerla un po' e sapevo che mi avrebbe lodata per averlo messo in riga almeno per una volta. Lanciai un'occhiata soddisfatta a Mark, che mi stava fissando furioso.
"Brava ragazza. Non ti concedere mai troppo facilmente" si complimentò la nonna con me.
Io sgranai gli occhi: non avevo messo in conto il fatto che le mie parole potessero portarla a pensare proprio 'quello'.
Mark si mise a tossire; evidentemente non se lo aspettava nemmeno lui. "No, nonna" ripeté ancora, "Lily non intendeva quello".
Annie si stizzì. "Sarò anche vecchia ma non sono mica rimbecillita, giovanotto. E neanche stupida. Lo so che voi ragazzi ormai pensate solo a quello".
Non riuscivo a credere che la prima cliente importante che affrontavo da sola senza Kate stesse parlando di sesso a tavola. Provai a dire che in questo caso Mark aveva perfettamente ragione, ma Annie mi zittì con un gesto della mano e cambiò discorso, chiamando il cameriere per farci portare da bere.
Sia io che Mark ci lasciammo andare a un sospiro di rassegnazione. Si prospettava un lungo pranzo.
Per fortuna Annie monopolizzò l'attenzione per quasi tutta la durata del pasto, parlando degli argomenti più svariati: dagli ultimi preparativi per la sua festa ad aneddoti che riguardavano sia Mark sia il resto della famiglia.
Io mi limitai ad ascoltare e a parlare solo quando era strettamente necessario, cercando di carpire più informazioni possibili.
Mark invece chiacchierava tranquillo con sua nonna e sembrava una persona completamente diversa rispetto a quando lo avevo incontrato al Jewel. Certo i suoi occhi azzurri avevano sempre quel non so che di inquieto e arrabbiato che li rendeva ancora più profondi ed intensi.
Ogni volta che Annie veniva distratta dall'arrivo di un cameriere, sorprendevo Mark a voltarsi verso di me. O meglio, era lui che sorprendeva me che lo stavo fissando. Tutte le volte, io abbassavo istintivamente lo sguardo sul mio piatto o prendevo un sorso d'acqua. Avevo come la sensazione che se avessi concesso ai suoi occhi di agganciarsi ai miei, mi sarei persa in quelle profondità e non sarei riuscita ad emergerne facilmente.
Fra un'occhiata furtiva e l'altra, eravamo finalmente arrivati al dolce. Ci vennero serviti ben otto assaggi, tra fette di torte, tortini e mousse. Era il momento che aspettavo con trepidazione, data la mia golosità. In particolare, amavo il cioccolato in tutte le sue forme, quindi nel momento in cui assaggiai la mousse ai tre cioccolati andai letteralmente in estasi per qualche secondo, chiudendo gli occhi. Mi sfuggì persino un debole mugolio di piacere e quando tornai alla realtà mi accorsi che Mark mi stava guardando, o meglio studiando, interessato. In imbarazzo, mi concentrai sul resto dei dessert che avevo ancora dentro al piatto.
"Ecco, vedi Mark" esordì Annie, "una ragazza che mangia con gusto e senza vergogna. Vuol dire che è sicura di sé e non ha paura di mostrarsi per quella che è. Non come tutte quelle poco di buono con cui ti ostini ad accompagnarti".
Io rialzai la testa e non potei evitare un ghigno divertito e compiaciuto al tempo stesso, mentre a Mark andò di traverso un pezzo di torta.
"Nonna, ma che dici?" chiese lui appena si riprese.
"Solo la verità, caro mio" rispose Annie e poi si voltò verso di me con una luce maliziosa negli occhi, "che ne dici di provare a uscirci insieme? Magari potresti inculcargli un po' di buonsenso e capirebbe che non ha più vent'anni e che è ora di trovarsi una ragazza seria".
Scossi la testa. "Mi dispiace, ma non credo di essere adatta a questo compito" declinai gentilmente l'offerta e lei inclinò la testa da un lato. Sperai che non mi chiedesse altre spiegazioni, ma per mia fortuna Mark decise di intervenire.
"Ehi, voi due, smettetela di parlare come se non fossi qui" ci rimproverò Mark e poi sospirò scocciato per rivolgersi solo ad Annie, "ti prego nonna, non ti ci mettere anche tu. C'è già Lidia che ogni giorno mi tende delle imboscate".
"Ah, Lidia" replicò Annie, "lei sì che sa come renderti la vita un inferno".
"Già, una vera tortura" annuì lui rassegnato.
Era la prima volta che nominavano questa Lidia e mi ritrovai a pensare a chi potesse essere: forse un'amica di famiglia che cercava di far colpo su di lui? Se così fosse stato, non stava funzionando.
"Tesoro, mi hai sentita?" chiese Annie con voce squillante, riscuotendomi dai miei pensieri, che sembravano aver preso una piega piuttosto insolita.
Mi schiaffeggiai mentalmente e imposi a me stessa di concentrarmi meglio sul mio lavoro, senza ulteriori distrazioni.
"Come, scusi?" chiesi di rimando. Con la coda dell'occhio intravidi Mark che si sforzava di rimanere serio.
"Potrei parlare con lo chef?" si informò Annie, "era tutto molto buono ma vorrei parlare con lui. Vorrei perfezionare giusto alcuni dettagli riguardo ad un paio di portate e vorrei sapere qualcosa di più del vino".
"Ma certo" risposi con un sorriso cordiale e chiamai il cameriere, dicendogli di far venire da noi lo chef Paolo per discutere del menù.
"Lily, Mark voleva vedere la sala della festa" continuò poi l'esuberante nonna, mentre tutti e tre ci alzavamo dal tavolo per spostarci al bar, "fagli vedere come sarà sistemata: tavoli, sedie, pista e tutto il resto. Così si fa un'idea di tutto quello che gli servirà" mi ordinò e io repressi l'impulso di rispondere con il saluto militare, dato il tono di voce che aveva usato.
In quel preciso istante arrivò Paolo, un omone alto e robusto, e Annie si mise immediatamente a parlare con lui, prendendo in mano le redini della conversazione anche con il povero chef. Dopo un po', vedendo che io e Mark eravamo ancora lì, ci intimò di andare via con un cenno della mano.
Mi sembrava di avere a che fare con la mia di nonna: stessa personalità scoppiettante ed entrambe si facevo obbedire da chiunque. Era praticamente impossibile non voler bene a persone del genere, anche se ti comandavano a bacchetta e non accettavano repliche quando non lo ritenevano necessario.
"Se vuoi seguirmi" dissi a Mark e gli feci strada verso l'ascensore per andare all'ultimo piano dell'edificio. Mi sorpresi per la professionalità con cui ero riuscita a rivolgermi al ragazzo più irritante che avessi mai conosciuto.
Una volta dentro, ci posizionammo in silenzio ai lati opposti della cabina, tanto lontani quanto lo spazio ristretto ci consentiva, e io schiacciai il pulsante per salire.
Appena le porte si chiusero, feci per lanciargli una rapida occhiata e un sorrisetto di circostanza.
Peccato che lui avesse pensato di fare esattamente la stessa cosa.
Nel preciso istante in cui i nostri occhi si incontrarono, i sorrisi di entrambi si spensero immediatamente sulle nostre labbra.
Come avevo previsto, rimasi inevitabilmente agganciata al suo sguardo intenso.
Nessuno dei due accennava a interrompere quel contatto. Io perché non ci riuscivo proprio. Per quanto riguarda lui, non riuscivo a spiegarne il motivo.
L'atmosfera in quell'ambiente ristretto era cambiata in maniera impercettibile. La mia mente faticava a funzionare e non mi resi conto di quanto tempo rimanemmo a fissarci in quel modo.
Fui salvata dal segnale acustico che segnalava l'arrivo al piano e che mi ridestò da quella sottospecie di trance in cui lui mi aveva catturato. Non appena le porte dell'ascensore si aprirono, mi precipitai in corridoio e mi avviai verso l'enorme salone panoramico che era il fiore all'occhiello della struttura in cui lavoravo.
Non mi girai neanche per controllare se Mark mi stesse seguendo o meno; potevo sentire i suoi passi dietro di me e i suoi occhi 'su' di me.
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