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Capitolo 2

Il giorno seguente passai buona parte del pomeriggio a prepararmi per la grande serata.

Avevo cercato in tutti i modi di convincere Alexa che non avrebbe avuto bisogno di me quella sera. Alla fine non ebbi scampo di fronte al suo nervosismo e allo sguardo preoccupato di Beth, che aveva deciso di venire a prepararsi da noi prima di andare al locale.

Ero tornata a casa dal lavoro abbastanza presto e non troppo stanca, e dopo un'ora che le mie rompiscatole personali mi assillavano mi ero chiusa in camera per avere almeno un po' di privacy e sistemarmi in santa pace.

In quel momento ringraziai il cielo di avere la fortuna di beneficiare del bagno in camera e maledissi i miei genitori per avermi trasmesso la loro innata gentilezza verso il prossimo.

Non avrei mai potuto dire di no alle mie amiche, altrimenti mi sarei sentita tremendamente in colpa. Neanche se tutto ciò significava venire meno alla promessa che mi ero fatta tre mesi prima, ovvero quella di concentrarmi solo ed esclusivamente sulla mia carriera lavorativa fino all'autunno successivo. Ed eravamo solo a fine Marzo.

La causa scatenante che mi aveva portato a una decisione così drastica era avvenuta qualche mese addietro e non poteva che essere stato il disastro che qualsiasi ragazza temeva più di ogni altra cosa: una delusione d'amore.

Tutto era iniziato al mio primo anno di università a Leeds, quando avevo conosciuto Adam, studente del terzo anno, bello e intelligente, con un futuro assicurato come avvocato, e che sembrava perdutamente innamorato della sottoscritta. Avevamo passato insieme quasi tre anni, felici come non mai in ogni aspetto della nostra relazione. Conoscevamo le rispettive famiglie e avevamo anche dei progetti per il futuro.

Avevamo infatti deciso di trasferirci insieme a Londra e tutto sembrava andare secondo i piani fino a una settimana prima della partenza, quando Adam mi aveva annunciato che non sarebbe più partito. Aveva ricevuto un'offerta per un lavoro stabile in un importante studio legale a Leeds stesso e non se la sentiva di cambiare città e rischiare per un semplice posto da stagista.

Mi era crollato il mondo addosso, ma non avrei mai rinunciato al sogno di una vita intera. Avevo lavorato duramente per ottenere il mio posto di vice responsabile eventi in un lussuoso hotel di Londra e avrei faticato ancora di più pur di mantenere il nostro rapporto anche a distanza.

Così facemmo e all'inizio funzionava anche: ogni weekend, a turno, uno dei due andava a trovare l'altro e tutto ciò sembrava fare bene alla nostra relazione.

Con le vacanze di Natale alle porte, tuttavia, scoprii che tutto questo valeva solo per me. Quella settimana volevo fare una sorpresa ad Adam, così avevo anticipato il rientro a casa per le vacanze di qualche giorno; avendo da un po' di tempo le sue chiavi di casa, mi ero fatta trovare di sera nel suo salotto in un abito succinto comprato apposta per l'occasione e una bottiglia di vino costoso.

Appena avevo sentito il rumore delle chiavi nella serratura, mi ero piazzata proprio davanti alla porta. Ero pronta a buttarmi sul mio ragazzo, ma ciò che avevo visto mi aveva sconvolta: Adam era avvinghiato ad una ragazza, la quale, in maniera febbrile, gli stava baciando il collo e sbottonando la camicia.

Per la seconda volta in tre mesi mi era caduto il mondo addosso.

Quando si era accorto della mia presenza, Adam aveva anche avuto il coraggio di provare a dire che non era come sembrava e che mi avrebbe potuto spiegare, mentre la ragazza non faceva una piega né sembrava imbarazzata per essere stata scoperta.

Non appena il bastardo aveva intuito quanto fosse nei guai, aveva cominciato a scaricare la colpa su di me, accusandomi di aver rovinato tutto andando in un'altra città per inseguire dei sogni irraggiungibili.

A quel punto ne avevo avuto abbastanza di tutta quella situazione e dopo lo shock iniziale, aveva prevalso un senso di rabbia mista a delusione; soprattutto perché credevo nell'amore vero, quello puro, sensibile e incondizionato vicino al quale ero cresciuta grazie ai miei genitori. Non avrei mai creduto di poter soffrire così tanto proprio a causa dell'amore che credevo io e Adam condividessimo.

Dopo avergli mollato un sonoro ceffone e aver lanciato uno sguardo carico di ribrezzo alla ragazza che fino ad allora si era limitata ad osservare in silenzio, avevo lasciato le chiavi dell'appartamento sulla mensola vicino alla porta d'ingresso, avevo preso giacca e borsa ed ero uscita, dirigendomi verso casa dei miei genitori, situata a pochi isolati da quella di Adam.

Ero riuscita a camminare a testa alta e a trattenere le lacrime finché mia madre non aveva aperto la porta di casa: un lampo di compassione e tristezza era passato nei suoi occhi così uguali ai miei. Dovevo avere proprio un pessimo aspetto in quel momento.

Avevo passato la notte rannicchiata nel letto della mia vecchia stanza, a piangere ininterrottamente fino al mattino seguente. I miei fantastici genitori erano stati ancora più comprensivi e amorevoli del solito: a turno mi avevano consolata e abbracciata come solamente loro avrebbero potuto fare.

Mia mamma mi aveva rassicurata, dicendomi che prima o poi avrei trovato qualcuno che mi avrebbe amato talmente tanto da mollare qualsiasi cosa pur di stare con me. Mio padre invece mi aveva giurato che, se solo avessi fatto un cenno, sarebbe andato, parole sue, a prendere a calci nel sedere quel povero idiota.

Era stato tutto ciò che avevo bisogno di sentire e questo mi permise di cadere esausta in un sonno profondo e senza sogni.

Due giorni dopo il mio arrivo a Leeds ero riuscita ad assumere un'aria decente, che avevo mantenuto fino alla fine della mia permanenza lì, in modo che i miei genitori non si preoccupassero troppo. Per fortuna ero dovuta rientrare al lavoro un paio di giorni prima di Capodanno, e proprio durante il viaggio di ritorno avevo preso la decisione di ritirarmi a vita privata almeno fino ad Ottobre. Forse mia mamma aveva ragione: per me a quanto pareva non era ancora arrivato il momento di incontrare l'amore della mia vita.

Una cosa della quale però non avevo tenuto conto durante il mio tentativo di riprendere in mano le redini della mia vita e del mio cuore, era il fatto che la mia nuova coinquilina stesse per aprire un club insieme a sua cugina di lì a qualche mese.

Erano ormai passati quasi tre mesi e adesso mi trovavo nel bagno di camera mia a mettere più make up di quanto avessi usato nell'ultimo periodo. Fortunatamente avevo ereditato da mia mamma, di origini italiane, una carnagione naturalmente abbronzata, quindi non ebbi bisogno del fondotinta e misi solo un velo di fard. Per quanto riguarda gli occhi, ero un po' arrugginita ma mi venne un effetto sfumato abbastanza discreto e misi un rossetto rosso scuro alle labbra.

Inizialmente avevo pensato di piastrare i capelli, però alla fine li avevo lasciati al naturale e ora ricadevano in morbide onde fino a quasi metà schiena. Non lo avrei mai ammesso ad alta voce, ma li adoravo in quella maniera.

Indossavo un vestito nero abbastanza scollato che arrivava a metà coscia, ma non troppo osè dato che non volevo esagerare. Completavano il look un paio di décolleté rosse, in abbinamento al rossetto, e una pochette dello stesso colore.

Prima di uscire dalla stanza, diedi un ultimo sguardo al grande specchio a figura intera sul muro accanto alla porta. Ovviamente non ero una top model, ma non ero niente male. Era da un sacco di tempo che non mi vestivo così per uscire e non ero più abituata a vedermi così... bella.

Sfoggiai un enorme sorriso compiaciuto e andai a raggiungere le mie amiche, che mi stavano aspettando davanti all'ingresso.

Appena le vidi sgranai gli occhi. "Chi siete voi e che fine hanno fatto le mie amiche?" domandai stupita, con sottile ironia.

Alexa e la cugina erano già stupende di loro, ma quella sera erano davvero di una bellezza senza eguali.

La mia coinquilina portava un abito dorato scintillante della stessa lunghezza del mio e non troppo stretto; il trucco, il cui colore richiamava quello del vestito, era leggero ma molto adatto a lei; ai piedi aveva delle scarpe dal tacco vertiginoso, abbinate alla borsetta.

Beth invece aveva optato per un look più deciso, con un tubino blu elettrico che le fasciava perfettamente la parte superiore del corpo fino alle ginocchia, accessori argentati e ombretto nero, dello stesso colore dei suoi capelli, che faceva risaltare ancora di più i suoi occhi verdi.

"Ah ah, molto simpatica" ribatté Alexa mentre la cugina mi faceva un occhiolino d'approvazione dopo avermi squadrato dalla testa ai piedi. "Su adesso andiamo" aggiunse subito dopo, "il taxi è già sotto che ci aspetta".

Ci infilammo tutte e tre cappotti e sciarpe per proteggerci dal freddo che ancora regnava sovrano in città e ci avviammo fuori dalla porta.

Circa venti minuti più tardi, quando varcammo la soglia del Jewel già traboccante di gente, rimasi sbalordita.

L'ultima volta in cui ero stata lì i lavori non erano ancora terminati e nelle ultime due settimane le mie amiche avevano reso il locale più bello di quanto risultasse nei progetti.

Davanti a noi si estendevano circa quattrocento metri quadrati di superficie, tra interno ed esterno sul retro, per adesso non era ancora aperto al pubblico; qualunque cosa trasudava eleganza e classe smisurate: dagli eleganti bar situati l'uno di fronte all'altro ai lati opposti del grande stanzone, ai lampadari tempestati di pietre preziosi; dalla spaziosa pista da ballo circondata da tavolini e sedie laccati nero lucido su tre lati e un impianto dj di ultima generazione sopraelevato rispetto al resto, alle divise nere e argentate dei dipendenti.

Davanti al bancone di uno dei bar trovammo ad aspettarci Luke, il manager, con quattro calici di champagne, pronto per brindare con noi alla grande apertura.

In completo scuro e cravatta argentata abbinata a quelle degli altri dipendenti, Luke ci salutò con un sorriso a trentadue denti che si trasformò in un ghigno nervoso non appena i suoi occhi si posarono su Beth.

Quei due avevano un rapporto strano e ambiguo per i miei gusti: erano pronti a sbranarsi per delle sciocchezze assurde, ma dieci minuti dopo tornavano ad essere amici inseparabili. A volte sembravano fratello e sorella, se non fosse che in più di un'occasione avevo sorpreso Luke guardare Beth con uno sguardo negli occhi che non aveva nulla a che vedere con l'amore fraterno.

"Signore" urlò Luke per sovrastare la musica, che era molto travolgente ed adatta all'atmosfera del Jewel, "prima di occuparci di lavoro, ci meritiamo un bel brindisi!".

Dopo aver brindato e scambiato qualche commento sulla serata, i miei amici si dedicarono ai loro doveri e io colsi l'occasione per fare il giro completo del locale, fermandomi spesso a chiacchierare con amici o conoscenti che erano venuti all'apertura.

Circa due ore e qualche drink più tardi, tornai al bar più vicino alla pista da ballo, dove fui raggiunta da una Beth alquanto indaffarata.

"Hai visto Luke?" mi chiese aggrottando la fronte.

"Poco fa ha detto che stava andando a controllare che in magazzino filasse tutto liscio" risposi indicando la direzione in cui era andato.

"Mannaggia!" sbruffò lei, "Alexa sta parlando con i giornalisti e io devo andare ad occuparmi dei tavoli, a quanto pare stanno facendo un disastro con le prenotazioni".

"Avete bisogno di una mano?" non potei fare a meno di offrirmi, notando l'agitazione della mia amica.

Il volto di Beth si illuminò all'istante e mi abbracciò. "Oh tu sì che sei una buona amica" mi disse sciogliendo l'abbraccio, mentre io alzavo gli occhi al cielo. Lei si girò verso il barman e si fece dare una bottiglia d'acqua ghiacciata, che mi porse subito dopo. "Porta questa a Mark" mi ordinò indicando la postazione del dj, "fagli avere da bere ogni mezz'ora. Acqua, succo di frutta, Coca-Cola. Quello che vuole ma niente alcol, non voglio avere ulteriori problemi questa sera". Un attimo dopo si stava già dirigendo verso l'ingresso del locale.

Scossi la testa divertita e mi avviai verso la consolle. Le lamentele del giorno prima di Alexa si insinuarono nella mia mente. Perlomeno il combinaguai donnaiolo era bravo nel suo lavoro visto che in quel momento stava facendo ballare gran parte dei presenti.

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