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Capitolo quattordici- sorprese

Pochi minuti prima della fine dell'ora a nostra disposizione, posai la penna sul banco e girai il foglio dell'esame, come a suggerire al professore che avevo terminato.  I miei colleghi fecero correre le loro penne sui fogli tutti spiegazzati davanti a loro. Il mio sguardo, intanto, percorse svelto l'aula alla ricerca dei suoi occhi chiari. Li incontrai quasi subito. Ian aveva, infatti, appena alzato gli occhi dal suo banco e stava volgendo il busto nella mia direzione. Avevamo una sistemazione diversa dal solito, dovuta alla sessione d'esami, quindi si trovava qualche schiera di banchi avanti a me, ma, essendo l'aula ad anfiteatro, potevo incrociare il suo sguardo senza problemi. Mi fece l'occhiolino, aprendosi in un immenso sorriso. Segno che l'esame gli era andato più che bene. Come a me. Del resto, avevamo passato tutto l'ultimo mese a studiare insieme. Era l'ultimo esame della sessione invernale, finalmente eravamo liberi.
Era fine febbraio, precisamente il ventiquattro: il giorno del compleanno di Caroline. Due delle sue migliori amiche, Christina e Maddy, avevano passato gli ultimi giorni ad organizzarle una festa a sorpresa e fui felice di dare una mano. Rifiutai l'aiuto di Ian. Non avevo intenzione che passasse del tempo con una delle sue vecchie conquiste. Christina, infatti, mi rivolgeva più volte delle occhiate divertite, ripensando probabilmente a qualche nottata passata con il mio attuale ragazzo. Io ci passavo semplicemente sopra, facendo finta di niente, ma passando la maggior parte del mio tempo con Maddy e Bonnie (quando poteva dare una mano, si univa volentieri anche lei). Il tutto era stato organizzato nella casa, o meglio reggia, della madre di Maddy. Era un importante avvocato, impegnata, in quei giorni, in una causa a New York. Non ci fu bisogno di pregarla per lasciarci la casa a disposizione, adorava Caroline. Lei e Maddy si conoscevano praticamente da sempre, ma i contatti furono interrotti quando quest'ultima si trasferì in Kansas durante il liceo, lasciando Caroline e la soleggiata Malibù.
"E' stato fantastico rivederla ad una festa delle matricole", mi aveva spiegato Maddy, mentre sistemavamo un grosso striscione con su scritto "Buon compleanno Caroline", davanti all'ingresso.
Il professor Dawson decretò la fine dell'ora, facendomi scattare sulla sedia e consegnare svelta i fogli ad un assistente, prima di sfrecciare fuori dalla classe. Ian era lì che mi aspettava. Posò un braccio intorno alle mie spalle e prese la strada della mensa.
"Quindi il piano è...?", mi chiese, ancora disorientato. Avevo provato a spiegarglielo la notte prima, ma lui aveva deciso che avevamo di meglio da fare.
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando:"Tu e Bonnie vi fate trovare a casa di Maddy", spiegai. "Mentre Christie viene a prenderci al dormitorio, con la scusa di festeggiare tra amiche. Chiaro?".
Arrivata in sala mensa prendemmo posto al nostro solito tavolo, insieme a Caroline e ai ragazzi della squadra. Lei era seduta vicino a Paul e parlava animatamente con lui, tenendo largo sul viso un sorriso d'intesa. Con Paul i rapporti si erano stabilizzati: io non lo scrutavo più con occhi accusatori e lui non mi trattava più come fossi la persona più senza cuore di questo mondo. Parlavamo di nuovo con serenità, come buoni amici. Come i miei primi mesi al Campus.
Quando mi sedetti vicino a Nick, lui mi diede una leggera gomitata sul braccio, indicando con la testa Paul e Caroline e facendomi notare il loro affiatamento e la loro complicità. Gli sorrisi, cercando di fargli capire di non preoccuparsi. Avrebbe voluto fare la sua mossa quella notte alla festa ed io tifavo per lui. Paul non poteva rovinare tutto. Lanciai un'altra fugace occhiata ai due: Caroline aveva un sorriso raggiante e gli occhi che brillavano. Non la vedevo così da mesi. Forse stavo puntando sulla persona sbagliata.
Ian mi distolse dai miei pensieri, mostrandomi un messaggio di Bonnie. Aveva inviato due foto che ritraevano lei con due look differenti e voleva sapere da me quale fosse meglio per la serata. Alzai gli occhi al cielo ridendo:"E' senza speranze", dissi a Ian, mentre gli indicavo la prima foto: in quella indossava un lungo abito color oro accollato e senza maniche, abbinato ad una giacca di pelle nera, borchiata sul colletto. Bonnie mi aveva imposto di vestirmi decentemente e di indossare un bell'abito, ma era fuori discussione che l'avrei accontentata. Avevo, infatti, già optato per un paio di jeans aderenti ed una semplicissima maglia nera con le maniche che lasciavano appena scoperte le spalle. E anche Ian mi aveva promesso di non farsi corrompere da quella pazza della sua amica.
Sorrisi, chinando un po' la testa di lato, nel punto in cui le mani di Ian avevano iniziato a giocherellare con la collina che mi aveva regalato il giorno di S. Valentino. Non ero una grande appassionata di quella festa e non avevo nemmeno minimamente pensato di prendere un regalo a Ian, fino a quando Caroline non me lo fece notare. Entrai, ovviamente, nel panico. Non l'avevo mai fatto in vita mia e non mi risultava come una cosa spontanea, così optai per la prima cosa che mi venne in mente. Il quadernetto rigido, dalla copertina nera, saltò proprio in quel momento al mio occhio, quando lo abbassai verso la tracolla di Ian, aperta sul pavimento. Avevo notato che aveva iniziato a scrivere le sue canzoni in fogli sparsi qua e là, perdendoli molto spesso di vista. Okay, non era proprio un regalo convenzionale, ma i miei S. Valentino li avevo sempre passati in modo diverso. Sdraiata sull'immenso letto di Jasper, con la solita rosa rossa tra le mani.
Cacciai via quell'immagine dalla testa e portai la mano destra alla collana. Era in oro bianco ed il ciondolo rappresentava una piccola rondine, simbolo di libertà.

"Adoro questo vestito!", esclamò Caroline, mentre girava su sé stessa davanti allo specchio. Quello, con delle vertiginose decolté abbinate, era il regalo di compleanno da parte mia, di Ian e di Bonnie. Era stato rigorosamente scelto da quest'ultima, che aveva voluto accettare da parte nostra solo una conferma alla sua decisione finale. Era un mini abito bianco senza maniche, dal colletto dorato e tempestato di paillettes, di cui le scarpe riprendevano il luccichio. La guardavo divertita, mentre finivo di sistemare il trucco a Christie. Quest'ultima mi guardava con aria timorosa, quasi dispiaciuta. Sembrava sempre sul punto di volermi dire qualcosa, ma puntualmente si fermava, come se non avesse trovato le parole giuste.
Christina Taylor, secondo anno, originaria di New Orleans, alta e dalla pelle diafana. I suoi corti capelli rossi brillavano alla luce dell'abatjour e i suoi occhi verdi, sospesi in un mare di lentiggini, non incrociavano mai i miei. Parlò, quando Caroline lasciò la stanza per rispondere al telefono. Si contorceva le mani e la sua voce tremava.
"Elena...", mi chiamò.
Alzai gli occhi dalla trousse che stavo mettendo apposto. Era una ragazza bellissima, dalle curve generose e lo sguardo ammaliatore: il tipo ideale per Jasper.
Lei prese un grosso respiro:"Mi... mi dispiace...", si passò una mano dietro la nuca, visibilmente in difficoltà. "Sai... per... per essere andata a letto con Ian".
Sapevo che voleva arrivare là. Ma non ce l'avevo con lei, non potevo avercela con più della metà del Campus. Probabilmente, la prima volta che ci era andata a letto, io mi trovavo ancora in Irlanda.
"Tranquilla", le dissi, stampandomi in faccia un sorriso rassicurante. "Non stavamo ancora insieme".
Ricambiò il sorriso, guardandosi poi allo specchio stupita dal mio lavoro. Le avevo fatto un trucco semplice, ma deciso, che faceva risaltare la bellezza dei suoi occhioni. Era perfetta al naturale, non aveva bisogno di niente. Provai un forte senso di invidia nei suoi confronti, quando si alzò mostrandomi il suo corpo perfettamente avvolto in quell'abito scuro, che faceva risaltare il colore della sua pelle, altrettanto perfetta. Quella sensazione venne sostituita, nella mia mente, da una fitta di gelosia. Lei era la ragazza con cui Ian aveva passato maggior parte delle sue notti. Probabilmente non la considerava solo una bambolina con cui giocare, magari la trovava anche interessante, divertente...
Scacciai quel pensiero dalla testa e mi infilai il cappotto. Era ora di andare.
"Chi l'avrebbe mai detto!", esclamò improvvisamente Christie ridendo. "Hai fatto mettere la testa apposto a Somerhalder".
"Non mi è sembrata un'impresa così ardua", mentii, con un sorriso tirato.
Scrollò le spalle ed il suo sguardo si spense:"A me non ha mai dato retta", mormorò, prima di uscire dalla stanza.
Restai qualche secondo immobile a fissare le due amiche che si ammiravano tra loro, fuori dalla porta. Christie ci aveva provato. Lo voleva con lui, forse si era innamorata e Ian l'aveva respinta. Ma puntualmente continuava ad andarci a letto. Chiusi gli occhi e presi un bel respiro, cercando di reprimere la furia nei confronti del mio ragazzo. Magari mi sbagliavo. Potevano aver troncato i rapporti non appena lei aveva provato a rivelargli i suoi sentimenti. O, molto più probabilmente, no.
Con mille pensieri che mi frullavano per la testa, non mi resi nemmeno conto che Caroline mi aveva presa sotto braccio e mi stava guidando verso la macchina di Christie.
"Quindi saremo solo noi quattro?", mi chiese un po' delusa, mentre eravamo su strada. "A Bonnie non l'hai proposto?"
"Aveva un impegno, purtroppo", mentii, fingendomi dispiaciuta.
"Ehi, dai!", esclamò Christie, cercando di tirarle su il morale. "Sarà una serata tra amiche! Non ci capitano più ormai".
Mentre Bonnie riprendeva la sua solita allegria, alzando il volume della radio al massimo, mi arrivò un messaggio di Ian. Erano pronti.
Ian's pov
Poggiato al muro, nella semi penombra, vicino a Bonnie e Luke, aspettavo che quel dannatissimo campanello suonasse. Aspettavo che Elena entrasse in quella dannatissima casa, strapiena di studenti già mezzi brilli e di sgradevole compagnia. Paul, dall'altro lato della stanza, mi fece un cenno con la testa, alzando poi il bicchiere che teneva in mano, in segno di saluto. Ricambiai, facendo ondeggiare il Margarita dentro al mio bicchiere.
Nick, poco distante da lui, lo guardava con sospetto. Aveva intenzione di dichiararsi a Caroline, proprio quella notte, ma il nostro caro Paul sembrava volergli rovinare i piani. Io, ovviamente, stavo dalla parte del mio migliore amico, ma anche da quella di Caroline.
Sospirai. Volevo bene a Paul, dopo tutto eravamo compagni di squadra, ma non me la sentivo di perdonargli quel che aveva fatto a Elena. Probabilmente, però, se avesse saputo la verità fin dall'inizio, non avrebbe nemmeno provato a sfiorarla. Oppure non sarebbe stato in grado di reggere il colpo. Improvvisamente, sentii di essere immensamente grato a Elena per aver reso partecipe solo me di quel suo grande segreto. Aveva bisogno di aiuto, di protezione... e aveva scelto me per starle accanto.
Sorrisi tra me e me. Bonnie lo notò e mi diede una gomitata, lanciandomi uno sguardo di intesta. Stava adagiata sul petto di Luke, con la testa leggermente rivolta verso di me, e sorrideva felice. Non ebbi neanche il tempo di farle una smorfia, che Maddy si stava precipitando nella stanza per intimarci a fare silenzio. La macchina si era appena parcheggiata nel vialetto. Mi scostai un poco dal muro, per vedere meglio verso la porta. L'unica luce accesa era quella del piccolo ingresso, nel quale si trovava Maddy, pronta ad accogliere le sue amiche. Dall'esterno potevamo sentire la voce di Caroline che si lamentava per l'eccessiva affluenza di macchine parcheggiate nel quartiere. Ridacchiammo tutti, portando una mano alla bocca per non far rumore.
Finalmente, quel dannatissimo campanello suonò e la festeggiata fece il suo ingresso sotto ad un coro che gridava:"Sorpresa!". Si portò le mani alla bocca, visibilmente presa alla sprovvista, mentre le sue amiche la abbracciavano. Il mio sguardo si posò immediatamente sulla figura di Elena, perfettamente avvolta in quei jeans stretti e in quella maglietta forse un po' troppo scollata. Resistetti all'impulso di andarle incontro ed aspettai che fosse lei a venire verso di me. Fortunatamente, non ci mise molto. Si allontanò dalla sua amica e spostò lo sguardo sulla sala, per cercare il mio. Quando lo incontrò, i suoi occhi scuri si illuminarono e le sua labbra si allargarono in un leggero sorriso.
"Bel cappello", mi disse, prendendo il mio accessorio e indossandolo lei. "Ma credo stia meglio a me".
La guardai, quasi incantato, e posai le mani sui suoi fianchi:"Indubbiamente", mormorai, prima di avvicinarmi alle sue labbra. Le osservai un attimo da vicino: erano leggermente arrossate, segno che le aveva mordicchiate ancora. Un pessimo vizio, ma che mi faceva capire sempre che c'era qualcosa a turbarla. Quando le sfiorai con le mie, erano fredde e leggermente spaccate, infatti dopo poco riuscii a sentire l'aspro sapore del sangue sulla lingua. Con un sospiro, mi allontanai lentamente, non prima però di averle ripulito la leggera macchia vermiglia con un altro bacio veloce. Sapevo che c'era qualcosa che la preoccupava, ma gli occhi che incontrai, subito dopo quel bacio, sembravano sereni e brillavano come poco prima.
Si avvicinò al mio orecchio e, posandomi le mani sul collo, mormorò:"Mi prometti una cosa?".
Voltai di poco la testa nella sua direzione, aspettando che parlasse, e strinsi la presa sui suoi fianchi, come un invito a farla continuare.
"Non guardare Christie", aggiunse, imbarazzata.
Stava per allontanarsi, quando le mie mani si spostarono veloci sulla sua schiena per stringerla meglio. Una paura stupida la sua, un'inutile insicurezza. Quello che doveva preoccuparsi ero io. Non si era accorta che, quando avevano fatto il loro ingresso, nessuno degli sguardi dei presenti era posato su Christie, forse qualcuno su Caroline, specialmente quelli di Paul e di Nick, ma la maggior parte dei ragazzi, e non solo, in sala, aveva puntato i suoi occhi sul suo corpo e non l'aveva mollato fino a quando non mi era venuta incontro. Mi sarei dovuto armare di infinita pazienza quella notte.
Feci appena in tempo a darle un leggero bacio sulla guancia, quando Bonnie si avvicinò a noi ridacchiando.
"Posso interrompere il vostro idillio?", domandò, con un immenso sorriso sul volto.
"Per quale motivo dovresti farlo?", le chiese Elena, stringendosi di più a me.
Lei la fulminò, lanciando poi un'occhiata al suo abbigliamento:"Non mi hai ascoltata", disse seccata.
"Come sempre, no?", ribatté Elena, con un sorriso sfacciato.
Bonnie alzò gli occhi al cielo e mi diede un pugno, non proprio leggero, sull'avambraccio:"Me l'hai rovinata", sospirò sconfitta, prima di allontanarsi per andare a fare gli auguri a Caroline. Io spostai nuovamente lo sguardo su Elena, che mi osservava divertita sentendo le mie mani che si spostavano dalla sua schiena alle tasche posteriori dei suoi jeans.
"A me piacciono", mormorai maliziosamente ad un suo orecchio, scatenando il rossore sulle sue guance.
Nel corso della serata, passammo quasi tutto il tempo insieme. Elena volava da una stanza all'altra, per assicurarsi che la sua amica passasse una serata perfetta, tenendo sempre stretta la mia mano. Allontanava i bicchieri dalle mani di chi le sembrava stesse esagerando e li sostituiva con una bella fetta di torta. Si dava da fare, ma sentivo che la sua testa era altrove. Si guardava intorno, come se si sentisse osservata. Ogni tanto aumentava la presa sulla mia mano, allentandola poco dopo. Mi stava facendo diventare pazzo.
In tutta la serata, mi lasciò solo una volta. Proprio quando vide Nick avvicinarsi a me con sguardo afflitto. Quel poveretto aveva appena visto Caroline salire al piano di sopra con Paul. Elena, avendo sentito quelle poche parole, era sfrecciata su per le scale, pronta ad intercettare l'amica. Ma la vidi scendere pochi secondi dopo: missione fallita. Mi lanciò uno sguardo comprensivo, prima di dirigersi in cucina, mentre io facevo di tutto per non far perdere le speranze a Nick.
"Maledetto Paul", mormorò a denti stretti.
Sospirai, capendo benissimo come si sentiva:"Sai, mi dicono che non sappia mantenere le relazioni", gli dissi, spostando velocemente lo sguardo verso Elena, che parlava animatamente con un ragazzo del nostro corso di letteratura inglese. Lui la guardava in modo troppo insistente. Stavo per alzarmi ed andare da loro, quando la risatina di Nick mi riportò alla realtà. In quel momento, arrivò anche Christie, che prese posto accanto a me sul divano.
"Ehi!", ci salutò con un gesto della mano. Solo dopo qualche minuto, notai con che insistenza il suo sguardo si posava su Nick. La testa di lui ciondolava seguendo il ritmo di oscillazione del liquido giallognolo dentro il bicchiere. Un sorriso si allargò sul mio volto. Avevo risolto la situazione, senza nemmeno impegnarmi. Non ero mai riuscito ad affrontare i miei problemi sentimentali, figuriamoci quelli degli altri.
Fu Christie però a prendere in mano la situazione.
"Ian, non so se l'hai notato... Ma quello ci sta spudoratamente provando con la tua ragazza", mi disse, indicando, alle sue spalle, Mark che continuava a parlare e far ridere Elena. Mi alzai di scatto, facendole l'occhiolino e lei non perse tempo a prendere il mio posto e a posare una mano sulle spalle di Nick, confortandolo. Le cose non potevano che andare meglio. O forse no...
Un grido strozzato arrivò alle mie orecchie. Mi voltai immediatamente verso la cucina, avendo riconosciuto quella voce. Fortunatamente, solo in pochi l'avevano notato. Mi precipitai nell'altra stanza, cercando Elena con lo sguardo. Se ne stava in disparte, con Bonnie che cercava di riportarla alla realtà, scuotendola leggermente per le spalle. Ma lei non la degnava minimamente di uno sguardo. Continuava a fissare un foglietto che teneva nella mano destra, con occhi sgranati, mentre con l'altra si reggeva al muro. Mi avvicinai e presi il posto di Bonnie davanti a lei. Aveva lo sguardo vacuo e il respiro accelerato.
"Elena!", esclamai, portando una mano sul biglietto, per interrompere il suo contatto visivo con esso.
Lei alzò lentamente il viso e io posai svelto le mani sulle sue guance.
"Che succede?", le chiesi preoccupato. Bonnie e Maddy dietro di me spiegavano quel che era accaduto a Luke, che raccoglieva un fiore gettato a terra. Entrambe sembravano visibilmente scosse dalla reazione di Elena. Ma io, probabilmente, avevo capito e quello non faceva che aumentare la mia angoscia. Non poteva essere. Eppure...
L'unica risposta che ricevetti da lei, mentre mi passava il biglietto che teneva tra le sue mani tremanti, fu:"Jasper...".

Elena's pov
Maddy mi era venuta incontro, per aiutarmi ad uscire dalla spiacevole situazione che si era creata con un mio compagno di corso. Sentivo lo sguardo di Ian addosso e cercavo di comportarmi nel modo più sereno possibile, sviando ogni tentativo di flirt. Solo mentre mi allontanavo da Mark, infinitamente grata a Maddy, notai che da un po' Christie aveva preso posto accanto a Ian su uno dei divani del salone. Stavo per raggiungerli, quando Bonnie mi intercettò. Reggeva tra le mani una piccola carta da lettere e una peonia. Il colore intenso di quei petali mi accecò, era quasi innaturale. "Elena, me li hanno dati per te...", mi spiegò, mentre mi porgeva il tutto. Amavo i fiori, ma non ne avevo un bel ricordo. Conoscevo solo una persona che amava parlare attraverso essi e aveva una vera e propria fissazione. Ne avevo ricevuti tanti nel corso della mia adolescenza e sempre da una sola persona. La mano che reggeva il fiore iniziò a tremare e questo cadde a terra. Ne conoscevo perfettamente il significato: rabbia. Sentivo lo sguardo preoccupato di Bonnie addosso, mentre aprivo il piccolo foglietto piegato in due. Mi bastò guardare anche solo la prima lettera, per riconoscere l'elegante e sobria grafia.
Tre semplici parole:"Bella festa, Gilbert".
Non mi accorsi nemmeno del leggero grido che avevo lanciato e tantomeno delle mani di Bonnie che si agitavano sulle mie spalle. Avevo occhi solo per quel messaggio. Era lui. Era qui. Nessun muscolo del mio corpo riusciva a reagire, solamente il cuore. Lo sentivo battere all'impazzata, terrorizzato, come se volesse fuggire al posto mio. Cercai di calmarmi, di riprendere il controllo di me ed evitare di attirare gli sguardi curiosi dei ragazzi intorno a me. Ancora imprigionata nel mio terrore, riuscii a sentire delle mani più grandi e calde sostituirsi a quelle di Bonnie sulle mie spalle. La voce di Ian arrivò debole alle mie orecchie, quasi attutita. La sua mano coprì il biglietto, per impedirmi di guardarlo ancora. Quando alzai lo sguardo, incontrai immediatamente i suoi occhi vellutati. Le sue mani calde si spostarono sulle mie guance e, in quel momento, ripresi tutto il coraggio che era scivolato via dal mio corpo. Le mie mani ancora tremavano, così come i miei occhi che cercavano di cacciare indietro le lacrime, ma riuscii comunque a pronunciare quell'unica parola... quell'unico nome.
"Jasper...".
Lo dissi con un filo di voce, per paura che il diretto interessato potesse sentirmi. Il biglietto mi era stato consegnato da Bonnie, quindi lei doveva averlo per forza visto. Lo spiegai con calma a Ian, mentre lui mi abbracciava per cercare di farmi rilassare. Non appena mi staccai, lui si voltò immediatamente verso Bonnie e la tempestò di domande.
"Chi te li ha dati?!", le chiese, quasi gridando, indicando il biglietto e il fiore.
Lei sembrò disorientata e anche un po' spaventata. Mi dispiaceva vederla così, ma avevo bisogno di sapere se Jasper fosse davvero in città o avesse mandato uno dei suoi squallidi leccapiedi. Sentii di nuovo la paura montarmi dentro, all'idea di essere stata nuovamente a pochi metri da lui.
Mentre Ian cercava di spronare l'amica a ricordare il volto del ragazzo, io mi guardai intorno senza notare niente di strano. Se era stato lui, doveva essere già andato via. Voleva torturarmi. Sarebbe stato troppo facile uccidermi subito. Non era nelle sue abitudini. Voleva vedermi soffrire e potevo solo immaginare cosa mi aveva riservato per il futuro.
La voce di Bonnie mi fece riacquistare attenzione, posai immediatamente gli occhi su di lei. Gesticolava, mentre descriveva l'aspetto di quell'uomo misterioso:"Era alto, più o meno quanto te Ian...", disse, rimettendo in ordine le idee. "I capelli erano biondi, ma di un biondo piuttosto scuro, corti... Ah e gli occhi! Aveva degli occhi chiarissimi, inquietanti... credevo mi avrebbe traformata in pietra".
Strinsi il braccio di Ian:"Andiamo via", mormorai.
Era lui. Jasper mi aveva trovata.

Non riuscii a tranquillizzarmi, fino a quando non fummo nella camera di Ian al Campus. Lì, sola con lui, mi sentivo decisamente più al sicuro. Non appena si chiuse la porta alle spalle, mi gettai contro la sua schiena, stringendo forte le braccia sul suo ventre. Sentivo il pianto bruciare in gola, ma riuscii a controllarlo. Non volevo mostrarmi così debole. Volevo che capisse che potevo farcela, che potevo affrontare Jasper, anche se la paura mi stava divorando. Quel messaggio non lasciava la mia mente nemmeno per un secondo. Sentivo le sue labbra, che pronunciavano quel soprannome, ad un centimetro dal mio orecchio e il mio stomaco si contorse.
Le mani di Ian si posarono sulle mie e le strinsero, mentre lentamente si girava nella mia direzione. Mi guardava cauto, temendo probabilmente una qualsiasi mia reazione. Ma non l'avrei fatto più preoccupare. Mi sarei comportata come niente fosse in sua presenza. Quando ero con lui non mi riusciva di pensare ai miei problemi. Mi bastava sfiorare una sua mano per sentirmi completamente al sicuro. Con lui accanto mi sembrava di essere lontana dalle minacce di Jasper. Ma sapevo anche che non potevo coinvolgerlo in tutto ciò. Se la situazione fosse degenerata, avrei dovuto pensare alla svelta ad un modo per proteggerlo. Ma non quella notte. Quella notte la volevo solo nostra.
Mi avvicinai piano alle sue labbra, sfiorandole una volta... poi una seconda... una terza... Fino a quando lui non mi interruppe.
"Elena...", stava sicuramente per aprire l'argomento ed io non avevo la minima intenzione di affrontarlo.
Gli posai due dita sulle labbra, così che le chiudesse, e lo avvicinai a me quel tanto che bastava per annullare totalmente la poca distanza che c'era tra noi. Portai le mani sotto il colletto della sua giacca e gliela sfilai, seguendo il profilo delle sue spalle. La feci scivolare a terra, mentre le mie mani continuavano la loro corsa lungo la sua schiena. Ne seguii il profilo perfetto, mentre con gli occhi non abbandonavo i suoi. Mi guardavano incerti, ma desiderosi. Brillavano, sfiorati appena dalla fioca luce che illuminava la stanza. C'era qualcosa di inspiegabile in quegli occhi, così simili ai miei ma così incredibilmente diversi. Sembravano sempre lucidi, ma non come quando hai un principio di febbre o stai per avere una crisi di pianto. Era una lucidità diversa, positiva. Era emozione. Erano occhi carichi di emozioni. In vita mia, non avevo mai visto occhi così espressivi, così caldi, così... rassicuranti. Sembravano quasi accoglierti in un abbraccio che sapeva di "casa".
Erano l'esatto opposto di quelli di Jasper. Quei gelidi occhi pungenti, sempre sulla difensiva, sempre rabbiosi.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani che, dopo aver lasciato cadere a terra la maglietta di Ian, stavano armeggiando con il bottone dei suoi jeans scuri. Sentivo gli occhi inumidirsi e non riuscii ad impedire a qualche lacrima di sfuggire al mio controllo.
Improvvisamente, Ian fermò le mie mani, che avevano iniziato a tremare. Le fece ricadere sui miei fianchi e portò le sue sul mio viso. Posò le sue labbra sulle mie lacrime, seguendo la silenziosa scia che avevano lasciato, fino ad arrivare alle mie labbra. Le nostre bocche si congiunsero in un bacio salato, pregno di sentimenti silenziosi, di parole che avrebbero voluto uscire con un grido.
C'era paura da parte mia. Amore dalla sua.
Fu lui ad interrompere il contatto tra noi. Mi accarezzò i capelli e, raccolte le sue cose da terra, si diresse in bagno, socchiudendo appena la porta. Rimasi a fissare le poche mattonelle che riuscivo ad intravedere, fino a che non scorsi i piedi di Ian entrare nel box doccia.
Sospirai e mi diressi verso il cassetto, dove sapevo ci fossero i soliti indumenti che indossavo quando ero lì. Li guardai per qualche secondo, poi lasciai perdere e restai con indosso solo gli slip e una canottiera. Sentivo un caldo insostenibile, causato dall'ansia che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Per cercare di distrarmi, spostai l'attenzione sullo stereo: al suo interno c'era ancora il cd che avevo prestato a Ian qualche giorno prima. Era del mio gruppo preferito, i Keane. Ancora non mi aveva fatto sapere se gli era piaciuto, ma il fatto che fosse all'interno dello stereo era un buon segno. Sorrisi e, conoscendolo a memoria, selezionai la mia traccia preferita. Restai ad ascoltare la canzone con gli occhi chiusi, sognante, canticchiando di tanto in tanto, mentre mi legavo i capelli in un alto chignon improvvisato. La musica riempiva la stanza ed ogni fibra del mio corpo, estraniandomi totalmente dalla realtà. Succede così, quando la musica tocca le corde dell'anima. E' come la carezza di una madre, nel mio caso di una nonna, quando cerchi conforto. E' quella mano che ti sfiora i capelli durante la notte, se hai un brutto sogno. E' il bacio sulla fronte della persona che ti ama. E' la tua cura.
Verso la fine, due braccia si intrecciarono intorno ai miei fianchi. Sorrisi, solleticata dalla barba di Ian che sfiorava il mio collo. Le sue labbra erano posate sul lobo del mio orecchio destro. Si mossero piano, leggere, a ritmo di musica, per poi canticchiare le ultime strofe della canzone. Era forse la prima volta che lo sentivo cantare così chiaramente. Era una canzone non adatta a lui, si sentiva, ma la rese speciale. Credeva in quelle parole, come ci credevo io.
Il suo respiro era caldo sul mio collo.
"A turning tide
Lovers at a great divide
why d'you lie
When I know that you hurt inside?".
Le sue mani viaggiavano sul mio ventre, sollevando lentamente la leggera canottiera. Quando questa cadde a terra, la canzone era terminata e Ian aveva spento lo stereo. Ma ripeté comunque le ultime parole, in un sussurro. Mi fece voltare verso di lui. I miei occhi erano puntati nei suoi.
"For a lonely soul, it seems to me that you're having such a nice time
You're having such a nice time..." , mormorò, posando le labbra sulle mie palpebre. Obbedii.
"For a lonely soul, it seems to me that you're having such a nice time
You're having such a nice time"
E mi lasciai andare. Mi abbandonai alla fusione dei nostri corpi, all'unione delle nostre mani, dei nostri gemiti che convogliavano in un solo sospiro di piacere e di amore. Mi lasciai intrappolare dalla forza ammaliatrice degli occhi di Ian, combattendo contro l'impulso di abbassare lo sguardo imbarazzata. Restai senza fiato di fronte al suo sorriso e le parole mi morirono in gola, quando cercai di rispondere alla sua dichiarazione. Riusciva sempre a cogliermi di sorpresa e quelle parole non me le aspettavo. Valevano più di cento "ti amo".
"Non ti lascerò mai sola... Mai.", mormorò, prima di abbandonarsi al suo ultimo sospiro, che aveva seguito il mio piacere.
Si separò da me, ma io tenni stretta la sua testa in un abbraccio. Avvicinai le labbra al suo orecchio e mormorai quelle poche, ed insignificanti in confronto alle sue, parole:"Ti amo".

"Quindi ti è piaciuto il cd", lo interrogai, dopo qualche minuto di voluto silenzio. L'attrazione che emettevano i nostri corpi faceva più rumore di mille parole. Mi strinsi meglio nel piumone, avvicinandomi a lui. I nostri nasi si sfioravano.
Ian sorrise, mostrando i suoi perfetti denti bianchi:"Non male", affermò. "Ma c'è di meglio".
Aggrottai le sopraciglia e mi imbronciai, sentendo definire la mia band preferita "passabile".
"E sentiamo... quale sarebbe questo meglio?", gli chiesi stizzita, incrociando le braccia al petto.
Lui, per tutta risposta, senza mai far spegnere il suo sorriso, prese l'Ipod che teneva sul comodino. Infilò una cuffia nel mio orecchio destro e l'altra la tenne per sé. Posò la testa accanto alla mia e fece partire una canzone a me sconosciuta. Era italiana. Non capivo una parola, ma la musica era coinvolgente: quasi immaginai la mano che aveva suonato la chitarra. Rimasi incantata da quella melodia, cercando di capire quali parole si celassero dietro.
Quando la canzone terminò, guardai Ian con aria interrogativa, aspettando che dicesse qualcosa in proposito. Lui abbassò il volume, così da renderlo solo un sottofondo, e lasciò che le canzoni andassero in riproduzione casuale, mentre mi rivolgeva un sorriso ed iniziava a spiegare.
"E' una delle canzoni di uno dei miei cantautori italiani preferiti", iniziò. "Lucio Battisti".
Mi guardò, sperando che una scintilla si accendesse nelle mia mente, ma io gli feci capire, con un gesto del capo, che non avevo idea di chi fosse. Alzò gli occhi al cielo, beccandosi un pizzicotto sul braccio, e continuò.
"E' morto quattordici anni fa, ma si sa che, quando la musica ti entra dentro, è per sempre. Le sue canzoni sono immortali. Questa, in particolare, parla del suo amore per una ragazza slava. La ricorda, ricorda i momenti passati insieme, prima che lui, con la sua auto, varcasse il confine dello Stato, lasciandola. Lei non voleva perderlo ed inseguì la macchina fino a quando le guardie del confine non le spararono. E lui ricorda, torna indietro, torna ai giorni in cui si erano amati, torna ai passi della ragazza dietro la sua auto... al colpo di fucile...", si interruppe, probabilmente immaginandosi quella scena fin troppo macabra. Chiusi gli occhi e, anche io, cercai di scacciare le immagini che si erano formate nella mia testa. Provai a trovare un diversivo.
"Dovresti insegnarmi l'italiano, prima o poi", gli dissi, tenendo sempre gli occhi chiusi.
Lo sentii ridacchiare e poi voltarsi per abbracciare il mio ventre:"Sarà divertente", fiatò sul mio collo.
"Guarda che sono una brava allieva", mormorai, lasciandomi andare a qualche sospiro, quando le sue labbra iniziarono una piacevole ed infinita tortura sul mio collo.
"Non lo metto in dubbio", ribatté piano, lasciando un leggero morso all'altezza della giugulare.
Sorrisi, mentre le sue mani si stringevano poco sotto il mio torace e le labbra si spingevano sempre più giù.
Ad interromperci fu lo squillo del mio cellulare. Alzai gli occhi al cielo. Erano le tre e mezza del mattino, la festa era ancora nel pieno del suo svolgimento. Probabilmente Caroline era appena uscita dalla stanza da letto in cui si era segregata con Paul e si stava chiedendo dove fossi. Risposi, senza guardare il display, e Ian si lasciò ricadere sul suo cuscino sbuffando.
La voce dall'altra parte della cornetta mi fece trasalire.
Jasper.
"Piaciuta la sorpresa, Gilbert?".
Era come me la ricordavo: glaciale. Immaginai all'istante il gelido sguardo che l'avrebbe accompagnata, se ce l'avessi avuto di fronte.
Ian, che aveva notato il mio repentino cambio d'umore, afferrò di scatto il cellulare e lo lasciò andare sulle lenzuola, dopo aver attivato il vivavoce.
"So che sei in buona compagnia adesso...", continuò, facendomi lanciare un'occhiata carica d'ansia a Ian. Come diavolo aveva fatto ad avere il mio numero? "Non voglio rovinarti la serata... Volevo solo sentire la tua voce...", la parlata era strascicata, come al solito. Era come se volesse caricare d'angoscia ogni singola parola. "Ci vediamo presto, comunque... Sogni d'oro, Gilbert".
La chiamata terminò. Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere, ma non credo l'avrei fatto anche se l'avessi avuto. Ero completamente divorata dalla paura. Lo sguardo di Ian verso il mio cellulare era carico d'odio. Lo prese e lo scagliò nella poltrona davanti al letto, accogliendomi subito dopo tra le sue braccia.
Dormimmo poco quella notte: il mio sonno era continuamente disturbato dagli incubi. Mi svegliavo di soprassalto, facendo, di conseguenza, allarmare Ian che provava in tutti i modi a calmarmi. Ma non c'era alcun modo per riuscirci. Fingevo di calmarmi, per poi tornare a farmi straziare dal terrore.
La tortura di Jasper era appena agli inizi.
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Come sempre lasciatemi un commento per sapere se vi piace... Kiss Kiss

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