Capitolo nove- Cambiamenti
Paul si presentò alla mia porta alle nove spaccate, con un abbigliamento molto casual: jeans e maglietta, sotto una felpa pesante. Sul suo viso si apriva un sorriso stranamente sereno. Non sapevo quali fossero i piani per la serata, così avevo optato ad un look non troppo elegante: semplici leggins scuri, una maglia pesante e stivali. Mi diedi un'ultima occhiata allo specchio e mi voltai di nuovo verso Paul che, però in quel momento, osservava Caroline che usciva dal bagno e lo salutava.
Li studiai per qualche secondo: forse lo sguardo di Paul indugiò più del dovuto su di lei, mentre Caroline non ci fece caso, passò dritta e si sedette alla sua scrivania.
"Buona serata", ci disse, con un sorriso tirato, prima che ci chiudessimo la porta alle spalle.
"Allora, dove andiamo?", chiesi a Paul, che aveva posato un braccio intorno alle mie spalle.
Lui sorrise, ma non parlò, si limitò a guidare i miei movimenti. Fuori dal mio dormitorio, mi fece chiudere gli occhi e promettere che non gli avrei aperti fino a suo secondo ordine. Obbedii e cercai comunque di orientarmi. Svoltammo a sinistra e proseguimmo dritti, da lì intuii che non uscimmo dal Campus. Mi fece camminare per un buon quarto d'ora, poi mi fece aprire gli occhi. Corrugai la fronte: eravamo di fronte alla palestra. Non c'era niente di particolarmente romantico in una sudicia palestra. Mi voltai verso Paul con aria interrogativa e lui, ridendo, andò verso uno degli ingressi secondari. Lo seguii, guardandomi intorno un po' timorosa. Mi sentivo una ladra. Non appena fummo dentro, il buio invase i miei occhi. Tenevo stretto un braccio di Paul, mentre lui cercava di allungarsi per raggiungere l'interruttore. Quando la sala venne illuminata rimasi piacevolmente sorpresa. Ci trovavamo nello stanzino del coach della squadra di Basket. Non credevo che un luogo così piccolo e all'apparenza lurido, potesse sembrare quasi carino. Sorrisi: aveva fatto del suo meglio per farsi perdonare. Il pavimento era ricoperto da cuscini e coperte, e sopra una di quest'ultime c'era un piccolo cestino da pic-nic.
"Avrei voluto farlo all'aria aperta, ma rischiavamo di essere spazzati via dal vento", disse piano, mentre posava le nostre giacche in un angolo e mi invitava ad accomodarmi. Eravamo ormai a metà novembre, il freddo si faceva sentire, ma la stufa, lasciata accesa, aveva riscaldato l'ambiente alla perfezione.
Mi sedetti a terra, abbandonandomi sui cuscini, e Paul fece lo stesso. Afferrò il cestino e ne tirò fuori il contenuto: dei semplici panini.
Scoppiai a ridere e lui si imbronciò:"Ehi non potevo fare di più! E' già un miracolo che il coach mi abbia concesso questo privilegio", disse, mentre scartava i panini e stappava una bottiglia di vino.
Lo guardai con sospetto:"Dove hai preso questa roba?", indagai.
Lui mi guardò con fare innocente, poi sospirò:"Diciamo che devo parecchi favori da oggi", rispose e scoppiammo a ridere.
La serata trascorse così, tra chiacchiere e risate. Paul mi parlò della casa dei suoi a Boston e della residenza estiva in Francia, descrivendole nei minimi particolari. Non se la passavano per niente male. Mi raccontò degli ultimi guai che aveva combinato sua sorella minore Emily: era appena un'adolescente (aveva tredici o quattordici anni), ma ne aveva già combinate tante. Mi confessò che la mamma l'aveva beccata in atteggiamenti un po' troppo intimi con un ragazzo della nostra età.
"Capisci? Se la faceva con un ventenne!", esclamò sconvolto. Sospirai e cercai di tranquillizzarlo in qualche modo, nonostante la mia adolescenza fosse stata decisamente più movimentata.
Dopo quella piccola caduta, continuammo a parlare tranquillamente. Lui mi spronava a parlare di me, ma l'unica cosa che riuscii ad estrapolarmi fu qualche racconto della mia "vacanza" estiva a casa di mia nonna in Irlanda. Deviai le sue domande, cercando di parlare d'altro e riuscii abilmente a spostare sempre il discorso su di lui. Mi fece spazio tra le sue gambe ed io mi ci accoccolai, posando la testa sulla sua spalla.
Mi stavo per appisolare, cullata dal suono della sua voce, quando sentii le sue labbra solleticarmi il collo. Sorrisi ed aprii gli occhi che, subito, si scontrarono con quelli chiari di Paul, carichi di desiderio. Ancora un po' assonnata, lasciai che le sue labbra incontrassero le mie e si unissero in un bacio bollente. Le sue mani si spostarono dal mio viso, al collo, giù a scendere, lungo le braccia, fino ai fianchi, per farmi voltare verso di lui. Le sue labbra seguirono le stesso percorso, allontanandosi dalla bocca per spostarsi sul collo e, infine, sulla spalla sinistra, dalla quale aveva scostato la maglia. Sapevo dove voleva andare a parare ed io non me la sentivo di continuare. Mi allontanai leggermente e lui mi prese il viso tra le mani.
"Io non sono innamorato di Caroline e voglio provartelo", disse serio, prima di posare nuovamente le labbra sulle mie, con decisione. Cercai di allontanarlo, mentre le sue mani correvano veloci sulle mie gambe, fino al bordo dei leggins. Quando la sua bocca si allontanò dalla mia, provai a chiamarlo un paio di volte, con voce pacata, per farlo tornare alla ragione. Purtroppo non mi stette a sentire: le sue labbra lasciavano leggeri morsi sul mio collo. Le sue parole ancora rimbombavano nella mia testa, senza un senso vero e proprio. Con un flash, mi sembrò di essere tornata a quella notte di novembre, una sera molto simile a quella che stavo vivendo. Fuori faceva freddo, la pioggia si abbatteva forte contro le finestre, rompendo il silenzio che si era creato in quel piccolo studio. Ero lì, come ogni venerdì della settimana. Lui aveva bisogno di me, ero la sua "perla", come amava definirmi. I suoi occhi azzurri, chiari e limpidi, mi fissavano con desiderio e.. ed erano identici a quelli che aveva davanti in quel momento.
Con il cuore in gola ed una scarica di adrenalina, riuscii a liberarmi dalla stretta smaniosa di Paul. Mi alzai di scatto e corsi a prendere la giacca. Paul, che era rimasto a terra, probabilmente frastornato dalla botta e dal vino, si stava alzando. Mi voltai di svelta verso la porta, facendo appena in tempo a dire:"Stai lontano da me".
Fuori aveva cominciato a piovere, una pioggia mista a grandine, che sferzava il mio corpo, appena coperto da un semplice cappotto. Cercai di ripararmi il più possibile sotto ogni tettoia che mi capitava vicino. Il rumore dei tuoni mi terrorizzava. Continuai a correre, lanciandomi qualche occhiata alle spalle ogni tanto. Ma Paul non era dietro di me e non mi stava seguendo. Sospirai sollevata, non appena arrivai davanti al dormitorio femminile. Osservai per qualche minuto la porta d'ingresso e mi si strinse lo stomaco. Non era lì che volevo andare. Mandai svelta un messaggio a Caroline, avvisandola che non sarei tornata in camera quella notte, poi spensi il telefono. Lo risposi in tasca e continuai a camminare svelta verso la meta che mi ero prefissata.
Bussai piano a quella porta. Due, tre, quattro volte. Era l'una del mattino. Probabilmente stava già dormendo. Non potevo credere di averlo fatto. Non potevo credere di essere in quel dormitorio, ma l'unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento era un abbraccio sincero. E solo lì potevo trovarlo.
Bussai un'ultima volta. Stavo per arrendermi ed andarmene, convinta del fatto che si trovasse nella stanza di qualche ragazza, quando quella dannatissima porta si aprì. Mi accolse un Ian dal viso stanco e mezzo addormentato, con indosso una maglia nera a maniche lunghe e dei pantaloni grigi della tuta. Mi guardò in silenzio, senza sapere che dire, ed io non riuscii a reggere quello sguardo. Gli andai incontro, affondando la faccia sul suo petto, stringendo tra le mani la sua maglietta e lasciando che le lacrime prendessero il sopravvento. Lui restò immobile per qualche secondo, incapace di rispondere ad una reazione così inaspettata. Quando si riprese, sentii le sue braccia avvolgermi con delicatezza e lui indietreggiare di qualche passo, così che potesse chiudere la porta. Il calore della stanza mi invase subito e, come una stupida, non pensai neanche che ero bagnata fradicia dalla testa ai piedi e stavo gocciolando sul corpo di Ian. Ma ero troppo stanca, troppo debole e troppo provata per riuscire ad interrompere da sola quel contatto. Fu un abbraccio che durò minuti e che riuscii a risanare, almeno in parte, quasi tutti i miei lividi. Fu lui ad allontanarsi e, non appena lo fece, mi resi conto della macchia umida che le mie lacrime avevano lasciato sulla sua maglia. Sospirai tra i singhiozzi e cercai di asciugare le ultime che scivolarono sul mio viso.
Ian mi guardava preoccupato, ma non proferì parola. Aspettò con pazienza che mi calmassi ed intanto andò a prendere qualcosa dentro la sua cassettiera. Mentre cercavo di riprendere il controllo, mi guardai attorno: lui non condivideva la sua stanza con nessuno e, al posto di due letti, al centro di essa ce n'era uno matrimoniale; c'era una sola scrivania, il posto che doveva essere destinato all'altra era occupato da un divano, accanto al quale c'erano un mini frigo ed un tavolino con due sedie. Erano poche le stanze singole in quel Campus e, solitamente, si trovavano agli ultimi piani dei dormitori. Io e Caroline occupavamo il secondo, mentre Ian si trovava privilegiato, in un corridoio di sole quattro porte al quinto piano.
"Vuoi farti una doccia?", mi chiese Ian, porgendomi un asciugamano e degli indumenti puliti. Lo guardai per qualche minuto, indecisa sul da farsi. Forse era il caso che tornassi nella mia stanza e non facessi sciocchezze, ma quegli occhi chiari me lo impedirono. Accettai e, a testa bassa, entrai in bagno lasciando la porta socchiusa. Sotto il getto di acqua bollente, venni scossa da diversi tremori. Mi ritrovai più volte a fissare il vuoto, preda dei ricordi. Feci tutto automaticamente, non mi resi nemmeno conto di essermi cambiata ed aver indossato gli abiti che mi aveva prestato Ian. Era tutto un po' largo, ma almeno i pantaloni potevano essere stretti con il laccio. Fissavo, infastidita, il mio riflesso allo specchio, quando Ian bussò e fece capolino con la testa nella stanza. Mi osservò di nuovo con aria preoccupata, poi si avvicinò per raccogliere i miei vestiti.
"Ne vuoi parlare?", chiese, mentre lo aiutavo a sistemarli vicino alla stufa.
Scossi la testa. Non mi andava in quel momento, forse non ci sarei nemmeno riuscita. Sarei scoppiata a piangere un'altra volta. Sentivo gli occhi bruciare.
Sorrise e mi fece cenno di seguirlo in camera. Mi porse l'asciuga capelli, che io osservai con aria stanca per qualche minuto, prima di prenderlo tra le mani. Rimasi immobile al centro della stanza con quell'aggeggio in mano, per non so quanto tempo. Ian scoppiò a ridere e lo riprese. Lo attaccò alla presa vicino al letto, sul quale si sedette. Batté la mano sopra il materasso e mi invitò a sedermi davanti a lui. Gli sorrisi e poi gli diedi le spalle. Il silenzio che si era creato, venne interrotto dal rumore del phon. Le mani di Ian si muovevano lente tra i miei lunghi capelli, facendomi quasi addormentare. Ero talmente rilassata, che non mi accorsi nemmeno quando terminò.
"Caramella?", mi chiese, poggiando sul letto una busta di orsetti gommosi.
Sorrisi e ne presi un paio. Adesso era lui ad essersi spostato di fronte a me e a guardarmi con aria perplessa. Sicuramente voleva sapere quel che era successo, ma non mi forzava a parlarne.
"Scusa se mi son presentata qui ma..".
Mi interruppe:"Non importa", mormorò. "E' successo qualcosa con Caroline?", mi chiese pacatamente.
Scossi la testa e lui continuò:"Con qualche altra ragazza del dormitorio?".
Negai ancora e, d'improvviso, qualcosa in lui si accese:"Che ha fatto?", chiese serio, senza nemmeno nominarlo. Sospirai rumorosamente e, con un singhiozzo, cercai di ricacciare indietro nuove lacrime. Lui mi lanciò un'occhiata comprensiva e mi abbracciò. Sprofondai tra le sue braccia e mi liberai ad un altro pianto. Quando le lacrime cessarono, mi passai la mano sulla guancia destra e, contemporaneamente, lui fece lo stesso con l'altra. Sorrisi e mormorai un impercettibile "grazie".
"Puoi restare qui, anche perché fuori piove", mi disse. "Ma io non dormirò sul divano".
Mi scappò una leggera risatina ed annuii. Non potevo di certo sfrattarlo dal suo letto. Era abbastanza grande per entrambi. Presi un bel respiro, cercando di cacciare via i brutti pensieri, e mi infilai sotto le coperte. Rimasi a fissare il soffitto per qualche minuto, fino a quando il materasso non si abbassò sotto un secondo peso. Mi voltai e vidi Ian nella mia stessa identica posizione. Gli sorrisi e mimai un altro "grazie" con le labbra, poi gli diedi le spalle, accoccolandomi sotto le coperte. Il sonno mi trovò quasi subito.
Il fastidioso suono di una sveglia penetrò nelle mie orecchie troppo presto. Sentivo di essermi appena addormentata. Alzai di poco la testa, frastornata, per raggiungere il cellulare sul mio comodino ma non lo trovai. Non trovai neppure il comodino. Mi rigirai a pancia in su, confusa, e, con quel movimento, urtai qualcuno. Ian, accanto a me, emise uno strano mugolio e si stiracchiò.
Mi alzai di scatto.
Ian.
Mi ero completamente dimenticata di essere corsa nella sua stanza la notte scorsa. Chiusi gli occhi e mi diedi dei leggeri colpetti alla fronte, dandomi ripetutamente dell'idiota. Nei momenti di debolezza non ero davvero in me. Non cercai nemmeno di ricordare cosa mi aveva spinta ad andare lì, non avevo bisogno di rivangare la sera precedente. Paul era stato... era stato un emerito idiota.
Chiusi gli occhi e strinsi i pungi, lasciandomi andare di nuovo all'indietro sul letto. Questo fece scattare Ian, che si alzò di botto guardandosi intorno disorientato. Mi scusai imbarazzata e lui si voltò verso di me.
"Ehi Gilbert!", esclamò, alternando un sorriso ad uno sbadiglio. "Stai bene?".
Annuii, evitando il suo sguardo ed alzandomi. La sua vicinanza mi stava dando alla testa. Presi i miei vestiti dalla sedia vicino alla stufa ed indicai il bagno:"Ti dispiace?", gli chiesi, prima di entrare.
Scosse la testa e, dopo aver preso sigarette ed accendino, si diresse nel piccolo balcone della stanza. Pure il balcone aveva il fortunato!
Mi sistemai meglio che potei e mi rinfrescai, cercando di dare una bella apparenza a quel che sembrava il mio cadavere. Legai i capelli e, senza neanche riguardarmi allo specchio, uscii dal bagno e cercai Ian con lo sguardo. Era ancora fuori. Feci capolino con la testa, fuori dalla porta a vetri, e lo chiamai.
Mi sorrise, spense la sua sigaretta e tornò dentro con me.
Mi grattai il braccio sinistro, imbarazzata:"Ehm.. Grazie per stanotte, davvero", mormorai. "Ora vado a cambiarmi altrimenti faccio tardi".
Lui continuò a sorridermi, quel maledetto sorriso.. così dannatamente perfetto, ammaliante, contagioso. Spostai lo sguardo, per evitare di rimanere incantata.
"Ma io voglio una ricompensa!", esclamò e, con aria scaltra, mi porse una guancia, picchiettandoci sopra, facendomi intendere che voleva un bacio.
Alzai gli occhi al cielo:"Sempre il solito, eh?", chiesi, mentre mi avvicinavo a lui, un po' timorosa. Posai le labbra sulla sua guancia e, con la coda dell'occhio, lo vidi chiudere gli occhi. Sorrisi e mi allontanai piano, avendo prolungato anche eccessivamente quel momento.
"A dopo, Gilbert", mi disse, facendomi l'occhiolino, prima che mi chiudessi la porta alle spalle.
Uscii di fretta e a testa bassa da quel dormitorio, sperando che nessuno facesse caso a me, tenendo ben nascosto il viso tra i capelli. Mi diressi velocemente al dormitorio delle ragazze.
Sapevo cosa mi aspettava, non appena avrei varcato quella soglia. Quindi non mi stupii, quando mi trovai Caroline davanti al naso con le braccia incrociate ed un'espressione che esprimeva tutto il suo disappunto. La superai senza neanche guardarla e mi diressi verso il cassettone, a cercare dei vestiti adatti per la giornata che dovevo affrontare. Optai per un lupetto color crema, dei jeans neri e degli stivali. Mentre Caroline iniziava il suo sproloquio, sistemai i capelli meglio che potei: la pioggia li aveva resi mossi ed informi. Fermai una ciocca dietro l'orecchio e mi voltai ad ascoltare quel che aveva da dirmi la mia amica.
"Perché diavolo hai spento il cellulare? Dove diavolo eri? Con chi diavolo eri? Dov'è Paul? Ma sei impazzita? Non ho chiuso occhio per colpa tua! Tu...", disse, puntandomi un dito contro. "Tu sei un'irresponsabile! Un solo misero messaggio! Potevi chiamarmi, no? Giuro, Elena che potrei ucciderti in questo momento".
Ascoltai in silenzio la sua ramanzina ma, quando decisi che si stava dilungando troppo, la fermai.
Lo dissi tutto d'un fiato:"Paul si è comportato da emerito idiota. Ho passato la notte con Ian".
Il colore del viso di Caroline passò da un rosso rabbia intenso, ad un bianco cadaverico. Mi fissava con sguardo vacuo, tenendo la bocca semi aperta, pronta a dire qualcosa.
"Tu.. tu sei andata a letto con Somerhalder?", chiese e il suo tono di voce era appena un sussurro.
La guardai con occhi sgranati, poi scoppiai a ridere:"Ma che stai dicendo?!", dissi, tra le risate.
Al suono delle mie risate sguaiate, la mia amica si riprese, assestandomi un bello schiaffo sul braccio. Le spiegai la situazione e lei, dopo una serie di continui insulti su Paul ed elogi a Somerhalder, mi abbracciò.
"Non volevo buttare le mie preoccupazioni su di te, proprio adesso", mormorai sulla sua spalla, riferendomi alla recente, anzi recentissima, rottura con Matt.
Lei, per tutta risposta, mi diede un leggero pizzicotto su un fianco:"Sei una stupida", disse piano. "Ma forse la miglior stupida che conosca".
Il nostro abbraccio fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta. Lasciai che Caroline finisse di prepararsi, presi la borsa ed andai ad aprire.
Rimasi piacevolmente sorpresa nel trovarmi davanti quei famosi occhi color ghiaccio.
"Ian!", esclamai, senza nascondere il mio stupore. "Che ci fai qui?"
Lui mi guardò con il sorriso stampato in faccia, il suo solito sorriso strafottente ma che, in quei giorni, aveva smesso di essere così irritante. Indossava i suoi soliti jeans scuri con i risvolti sulle caviglie, abbinati, quella mattina, ad una camicia altrettanto scura e chiusa fino all'ultimo bottone e, infine, un cappello nero. In mano teneva l'immancabile giacca di pelle.
"Ti accompagno", mi disse e sentii lo sguardo di Caroline su di noi. Mi voltai un secondo nella sua direzione e notai che sorrideva e annuiva impercettibilmente: mi stava incitando ad andare.
Sospirai e mi rivolsi di nuovo a Ian con un sorriso. Lui mi fece segno di precederlo, salutò Caroline e chiuse la porta. Lo guardai, mentre indossava la giacca, aspettando una spiegazione.
Lui mi osservò di rimando, poi, capendo, scrollò le spalle:"Non so cos'ha fatto Paul, ma non era roba da poco", disse serio. "Quindi tu oggi stai con me".
Aggrottai la fronte, al pensiero di dover passare ogni lezione con Paul. Io e Ian ne avevamo solo una in comune, come poteva pretendere di "tenermi sott'occhio"?
Sospirai sconfitta e lo affiancai lungo il corridoio, stringendomi bene nella sciarpa, prima di uscire. Tra di noi non ci furono parole mentre raggiungevamo l'edificio dove si tenevano le nostre prime lezioni. Ci fu solo un suo gesto, completamente inaspettato, che mi fece rivoltare lo stomaco. D'improvviso, mentre ci avvicinavamo ai primi gruppi di studenti, avvolse le mie spalle con un braccio e mi attirò a sé. Più che al suo gesto, che mi aveva comunque leggermente disorientata, badavo più agli sguardi della gente. Eravamo di nuovo al centro dell'attenzione di tutti. Abbassai gli occhi ed accelerai il passo, facendo sveltire anche Ian.
Una volta dentro l'edificio, ci separammo, non prima che che lui mi salutasse con un bacio sulla guancia. Mi sentii avvampare e corsi svelta verso l'aula della prima lezione.
Entrai un po' timorosa e mi sistemai in uno degli ultimi banchi, cosa che non facevo mai e questo mi fece guadagnare altre occhiate di sospetto. Ero in ritardo, quindi la sala era praticamente piena. Mi guardai intorno velocemente, alla ricerca di Paul. Lo trovai in uno dei primi banchi, vicino alla finestra. Aveva la testa bassa e gli occhi fissi sui suoi appunti. Spostai l'attenzione sul professore e cercai di concentrarmi sulla lezione. Ovviamente, non ascoltai una parola. Continuai a scarabocchiare frasi su un foglio stropicciato, sperando prendessero un vero e proprio significato prima o poi.
La lezione sembrò interminabile e mi sentii più volte osservata, ma non alzai lo sguardo dal mio foglio. Quando il professore decretò la fine delle due ore, scattai in piedi e mi fiondai fuori dall'aula. Camminai talmente svelta e senza guardare, che non mi accorsi di chi mi stava davanti, andandogli contro.
"Gilbert, guarda dove metti i piedi", mi disse Ian ridendo.
Alzai lo sguardo stupita:"Che ci fai qui?".
Lui fece roteare gli occhi, esasperato:"Mi farai questa domanda tutto il giorno?", chiese, mentre riposizionava il suo braccio attorno alle mie spalle.
Sorrisi a testa bassa ed insieme ci incamminammo verso l'aula di letteratura inglese. Camminavo fissandomi i piedi, per non vedere quel che accadeva intorno a noi, e mi feci quindi guidare dai movimenti di Ian.
D'un tratto si fermò, proprio in mezzo al corridoio. Alzando lo sguardo, notai che intorno a noi non c'era nessuno, tutti erano a lezione. Tutti meno uno.
Paul.
"Elena ho bisogno di parlare con te", disse, con tono basso e piatto.
Lo guardai senza rispondere. Non notai nessuna espressione sul suo viso, nessun segno di stanchezza per una notte passata a rimuginare su quel che aveva fatto, nessuna luce negli occhi. Niente.
Feci un passo indietro, cercando di nascondermi dietro la figura di Ian, decisamente più esile e slanciata della sua.
"Non mi va, Paul", mormorai.
Lui fece un passo avanti, facendo così scattare Ian nella sua direzione. Paul si fermò e sorrise amaramente. Mi guardò dritta negli occhi, poi scosse la testa:"Del resto è quello che hai sempre voluto, no?", disse con tono aspro e tagliente. "Aspettavi solo un pretesto".
Senza aggiungere altro, si voltò ed entrò nell'aula. Ian, dopo qualche minuto di esitazione, fece qualche passo verso la porta. Vedendo che non lo seguivo, si voltò nella mia direzione.
Lo guardai negli occhi, per dei secondi che sembrarono interminabili, cercando di trattenere le lacrime. Lui si avvicinò e posò entrambe le mani sulle mie spalle, facendole poi scivolare sulle braccia e mi strinse forte a sé. Sentii la testa svuotarsi completamente ed il cuore scaldarsi.
"Andiamo via", mormorai.
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