Capitolo diciotto- Passioni e percoli
La porta si chiuse davanti ai miei occhi e così doveva fare anche il mio amore per Ian. Dovevo riuscire a dimenticarlo, per il suo bene, non potevo permettere che Jasper gli facesse ancora del male. Cercai, quindi, di mantenere un atteggiamento indifferente a tutto ciò che era accaduto. Mi voltai verso Jasper con il mio vecchio, ma sempre vincente, sorriso malizioso, fingendo che niente di Ian mi importasse, che quella di poco prima fosse stata semplicemente tutta una sceneggiata patetica per allontanarlo finalmente dalla mia vita. Sapevo che, comunque, non ci avrebbe creduto facilmente. Mi guardò, col suo solito ghigno ingannevole sulle labbra, e passò una mano sulla mia schiena, sotto la maglietta.
"Mi sei mancata, Gilbert... Davvero...", mormorò di nuovo, guardandomi dritta negli occhi.
Gli sorrisi e, con lo stomaco che si rivoltava, mi avvicinai fino a far scontrare il mio bacino col suo. Le sue labbra si schiusero in un immenso sorriso, mostrando il canino d'oro perfettamente lucido e brillante. Mi faceva venire i brividi dietro la schiena, ma cercai in tutti i modi di contenermi, fingendo di provare un minimo di fervore quando la sua bocca si incollò alla mia, iniziando una danza volgare e violenta. Durò a lungo, tra sospiri e gemiti, le sue mani che cercavano il mio corpo, le mie che volevano restare inermi lungo i fianchi, ma si dovettero spostare sul suo collo. D'improvviso, con un movimento brusco e feroce, la mia schiena si scontrò contro la scrivania e, in pochi istanti, Jasper fu sopra di me. La sua mano destra stringeva il mio viso, con forza, mentre l'altra teneva stretti entrambi i miei polsi.
Con il suo ghigno crudele stampato su un volto divertito e, allo stesso tempo, furente, si avvicinò lentamente al mio viso.
"Ma non osare farlo di nuovo", sibilò al mio orecchio. "O li ucciderò tutti quanti."
Mi svegliai all'alba. Il sole iniziava a filtrare con prepotenza attraverso le pesanti tende vermiglie. Stesa su un fianco, con le lenzuola che sfregavano sul mio corpo nudo, fissavo quel piccolo raggio di luce che sfiorava il pavimento. Vi vedevo tutti loro. Caroline ed il suo sorriso esuberante. Paul che l'abbracciava. Bonnie con i suoi occhi di cioccolato. E Ian... Ian sconvolto e perso nel bel mezzo di Manhattan. Sarebbero morti tutti, se avessi agito di nuovo contro Jasper. Non potevo. Speravo vivamente che Ian non trovasse mai quel biglietto. Doveva tornare a casa, lasciar perdere, per sempre.
Il braccio di Jasper si strinse pesantemente intorno alla mia vita. Presi un profondo respiro e cacciai indietro le lacrime che spingevano per colare sul mio viso. Con lentezza estenuante mi voltai verso Jasper. La sola vista del suo viso mi faceva venire il voltastomaco. Mi aveva posseduta per tutta la notte, senza che potessi obiettare. Era infuriato con me e sfogava la sua rabbia nei suoi gesti, sul mio corpo. Fu violento, spietato, e lo dimostravano i leggeri lividi violacei che portavo sulle braccia. Fu straziante ed interminabile. In quel momento, anche il solo voltarmi mi provocava un dolore insostenibile. Lui mi guardava con gli occhi ancora semi chiusi, profondamente assonnato. Finsi il sorriso più vero che mi riuscisse, facendolo seguire dalle parole che mai avrei voluto pronunciare ad un verme simile.
"Buongiorno...", la mia voce era flebile, stanca. Quando alzai una mano per portarla al suo viso, notai un livido rossiccio poco sopra il polso. Cercai di non farci caso e continuai con la mia farsa.
"Ho bisogno di un bagno caldo", aggiunsi cauta, mentre i suoi occhi si richiudevano lentamente. Sembrava stranamente beato, in un modo decisamente diverso da quelli che conoscevo io. Tranquillo, sereno e pronto a darmi tutto ciò di cui avevo bisogno. Infatti, annuì lievemente per darmi il permesso.
Mi alzai lentamente dal letto e, completamente nuda, mi diressi nel suo bagno privato. Era qualcosa di immenso, con una gigantesca vasca idromassaggio al centro. Nell'aria aleggiavano profumi esotici ed inebrianti, quasi ti stordivano, ma erano violentemente piacevoli. Rispecchiavano perfettamente chi li aveva scelti. Avvicinai un asciugamano alla vasca e mi immersi nell'acqua bollente. Non fu proprio un sollievo per i miei lividi, ma era quello di cui avevo bisogno per rilassarmi, per cercare di sentirmi a mio agio almeno un minimo. Non potevo credere di averlo fatto. Ero ritornata al punto di partenza, con scarse possibilità di fuggire nuovamente. Ero in trappola. Se avessi anche solo ribattuto a qualunque cosa avesse detto Jasper, Caroline avrebbe potuto morire. E Paul. Bonnie. Ian. E chissà chi altro poteva avere nella sua lista. Chissà se era a conoscenza del fatto che avessi ancora una nonna. Scossi la testa con forza, intimandomi di non pensarci. Non potevo vivere costantemente nel terrore che lui potesse ucciderli. Dovevo rivoltare la situazione a mio favore. Dovevo parlare con Jasmine. Dovevo capire se quell'uomo senza cuore avesse un punto debole. Dovevo trovarlo e distruggerlo.
I miei pensieri furono interrotti dall'ingresso di Jasper nella stanza. Mi raggiunse in silenzio, sempre con il sorriso beato che gli avevo visto pochi minuti prima. Indossai svelta la mia maschera.
"Di buon umore, noto con piacere", dissi, lasciando andare la testa sul bordo della vasca.
"Abbastanza", rispose lui.
Sentivo il suo sguardo addosso, ma non alzai la testa. Almeno fino a che la stanza non si riempì di un profumo diverso, nuovo, più caldo. Con la coda dell'occhio, vidi un uomo posare un vassoio, strapieno di invitanti cornetti caldi, sul bordo della vasca, vicino al mio braccio. Lanciai un'occhiata veloce a Jasper, che mi sorrideva soddisfatto, probabilmente per la sorpresa appena riuscita.
"Meglio della colazione a letto", affermai con malizia, cercando di trattenere tutto il disgusto che mi provocava sentire il suo piede che sfiorava la mia gamba destra. Sorrisi forzatamente alle sue avance e addentai uno di quei cornetti ripieni di cioccolato. Erano squisiti. Ne avrei mangiati a decine se fossi stata lì con Ian, ma dovetti trattenermi e tornare alle mie vecchie abitudini. La crema al cioccolato mi impiastricciò il viso e Jasper non ci pensò due volte ad accettare quello che gli era sembrato un palese invito, e non solamente la mia sbadataggine. Si avventò sulle mie labbra, posando le mani sui miei fianchi e trascinandomi sopra di sé, dando nuovamente inizio ad una veloce e apatica, almeno per me, unione dei nostri corpi. Finsi un sospiro di piace di seguito al suo, per convincerlo che fosse l'uomo più affascinante e potente che fosse entrato nella mia vita. Quando mi lasciò andare ed uscire dalla vasca, notò i lividi sulle braccia. Rabbrividii nel sentire la sua mano che li sfiorava.
"Mi dispiace, Gilbert...", mormorò e mi sembrò davvero dispiaciuto.
Lo guardai inizialmente sorpresa, poi indossai svelta un sorriso per rassicurarlo:"Non ti preoccupare", dissi sbrigativa. "Qual è la mia stanza?", aggiunsi, mentre mi spostavo nella sua, per riprendere le mie cose.
Jasper, dietro di me, si lasciò andare ad una leggera risata. Mi voltai, incuriosita e perplessa. Sorrideva felice, sì quella era proprio felicità, mentre indossava i suoi immancabili jeans scuri e la t-shirt bianca.
"Questa sarà la tua stanza, da ora in poi", rispose, dopo qualche minuto, avvicinandosi a me. Inchiodò i suoi occhi nei miei, immobilizzandomi a terra. Le cose non si mettevano per niente bene. Posò le mani sulle mie braccia, accarezzandole, e sorrise ancora.
"Non ho intenzione di perderti di nuovo", disse serio, prima di incollare le sue labbra alle mie per un bacio leggero, dolce, quasi piacevole, estremamente lontano dai suoi soliti. Lo guardai sorpresa, mentre si allontanava col sorriso compiaciuto sulle labbra. Indicò un vestito nero a mezza manica, posato su una sedia, e mi disse di raggiungerlo nella sala principale quando fossi stata pronta.
"Son cambiate tante cose da quando te ne sei andata", sussurrò, prima di uscire dalla stanza.
Mi guardai intorno, preoccupata. Non avevo idea del perché dovessi stare proprio nella stanza con lui. Guardai lo zaino con ansia. Chissà se aveva scoperto la pistola. Sentii il cuore iniziare a battere all'impazzata, il respiro farsi sempre più corto. Chiusi gli occhi e cercai di tornare in me. Indossai il vestito, che arrivava poco sopra la metà della coscia, e le scarpe abbinate. Pettinai i capelli all'indietro, lasciandoli sciolti, perché così piacevano a Jasper. Uscii velocemente dalla stanza, facendo rimbombare il rumore dei tacchi in un silenzio quasi innaturale. Mi guardai intorno, sperando di vedere le solite facce che occupavano il piano con me e Jasper: magari Jasmine o Lorenne. Ma niente. Continuai spedita verso la sala. La porta era chiusa, ma sentivo chiaramente un leggero brusio. Sempre più perplessa, aprii lentamente la porta e, con mio grande stupore, erano tutte là. Le ragazze di Jasper. Erano davvero cambiate le cose. Solitamente, l'ingresso in quella stanza era consentito solo a me, Jasmine e Lorenne. Queste, quando mi videro, si illuminarono in un ampio sorriso mesto. Non sapevo se fossero felici di vedermi o fossero arrabbiate con me, per essere scappata. Ma, del resto, Jasmine aveva tentato di aiutarmi, quando Jasper mi stava disperatamente cercando. Avevo davvero bisogno di lei, per riuscire nel mio piano. Le avrei salvate. Tutte quante.
"Gilbert!", esclamò Jasper, seduto sulla sua solita poltrona. Mi fece segno di avvicinarmi ed accomodarmi sulle sue gambe. Riluttante, obbedii.
"Jasmine, perché non le presenti le nuove amiche?", chiese distrattamente, mentre mi accarezzava il collo. Sussultai quando sfiorò la collanina di Ian. Ascoltai distrattamente quella che potevo considerare una mia alleata, mentre spiattellava nervosamente i nomi di alcune ragazze che non conoscevo. Tra loro mi saltò all'occhio solo una ragazzina, doveva avere all'incirca tredici anni. Abbassai lo sguardo, quando i suoi innocenti occhi color nocciola incrociarono i miei. La mano di Jasper si posò sulla mia coscia e mi dovetti appellare a tutta la pazienza che avevo in corpo per non allontanarlo da me e gridargli in faccia quanto mi disgustasse. Quindi gli sorrisi e avvolsi le mie braccia intorno al suo collo, mentre lui ne posava una sulla mia schiena.
"Noi due abbiamo dei piani per oggi", sussurrò al mio orecchio, prima di stamparvi un bacio.
Quando mi trovai a bordo dell'auto di Jasper, seduta sul sedile del passeggero, non trovai le parole. Non ero pronta ad una svolta simile. Non ero mai uscita dal quartiere. Non mi ero mai addentrata nella città, tantomeno al fianco di Jasper. Non capivo cosa stava succedendo. Non avevo neanche fatto in tempo a chiedere informazioni a Jasmine, Jasper mi aveva trascinata via dalla stanza troppo presto.
Lanciai un'occhiata incuriosita a Jasper, che stava al volante, attento agli ingorghi che si stavano formando davanti a noi. Sorrideva, sereno e spensierato mentre si dirigeva verso un parcheggio sotterraneo poco lontano dalla Fifth Avenue. Aggrottai le sopraciglia, quando mi venne ad aprire la portiera e mi prese la mano.
"Che facciamo?", gli chiesi, senza nascondere la mia perplessità, mentre ci incamminavano verso le strade affollate. Agli occhi di un estraneo, potevamo anche sembrare una bella coppia. Innamorati. Ma la realtà era ben diversa e stringere la sua mano non faceva che aumentare il mio disgusto. Non sapevo cosa aveva in mente e il suo silenzio mi stava distruggendo. Accanto a noi sfilavano decine di negozi più chic di tutta la città, con la coda dell'occhio notai, in lontananza, Tiffany&co.
Il braccio sinistro di Jasper si posò intorno alle mie spalle e avvicinò leggermente il suo viso al mio:"Facciamo shopping, Gilbert!", esclamò. "Per te".
Lo guardai stupefatta, mentre mi trascinava dentro ogni singolo negozio lasciandomi libera scelta su qualunque cosa avessi intenzione di comprare. Avevo un milione di domande da porgli, ma sapevo che l'avrebbero fatto infuriare. Dovevo tenerlo buono, era dell'umore giusto per concedermi tutto quel che volevo. Quindi l'occasione per parlare da sola con Jasmine era ormai dietro l'angolo, o meglio dietro l'ennesimo camerino. Lo feci impazzire. Sfilai davanti ai suoi occhi, cercando di sfoderare il sorriso più sexy che mi riuscisse, i movimenti più sinuosi, gli sguardi più maliziosi. E ci riuscii alla grande.
Mi trattò come una principessa. Non fu volgare, non tentò di fare sesso nel primo bagno pubblico che ci capitò a tiro. Non mi toglieva gli occhi di dosso, era come incantato da me, dal mio guardarmi intorno in una città in cui avevo vissuto per anni, ma che non avevo mai avuto l'occasione di vedere per davvero. Probabilmente mi stavo comportando da bambina, ma quel pomeriggio fu speciale nonostante qualche piccolo inconveniente. Jasper mi lasciò qualche minuto da sola, seduta al tavolino di un bar non troppo lontano da Tiffany, nel quale entrò. Avevo l'occasione di scappare, ma non lo feci. Sapevo che mi avrebbe ritrovata e, quella volta, non mi avrebbe perdonata così facilmente. E, ancor peggio, poteva trovare i miei cari e ucciderli. Aveva detto che l'avrebbe fatto e lui manteneva sempre la parola. Così restai seduta lì, con un disgustoso cappuccino tra le mani, ad attenderlo. Non si fece aspettare più di tanto. Tornò con una di quelle famosissime scatoline azzurrine tra le mani. Lo guardai sospettosa, mentre me la porgeva e mi faceva segno di aprirla. Conteneva una semplicissima collanina in oro bianco, con un grande punto luce alla base. Niente di speciale, solo qualcosa di incredibilmente costoso. Improvvisamente, mentre rigiravo la catenina tra le mani, compresi il motivo di quel regalo e portai svelta la mano destra al collo.
"Cerchi questa?", la voce divertita e, al tempo stesso, irritata di Jasper mi fece alzare lo sguardo. Teneva alzato davanti al mio viso il regalo di Ian. La mia collana. La piccola rondine brillava alla luce tenue del sole pomeridiano. Presi un grosso respiro e cercai di mantenere la calma.
"Un po' pacchiana... Ma carina", continuò, rigirandosela tra le mani. "Non credo ti importi più, quindi posso tenerla io... O sbaglio, Gilbert?".
Il mio sguardo valeva più di mille parole, probabilmente. Stava cercando di farmi cedere. Di farmi ammettere che quel che stavo facendo, quel che ero in quel momento, era tutta una menzogna. Ma non gli avrei dato quella soddisfazione.
"Perché non la getti via?", gli chiesi, fingendo noncuranza.
Ridacchiò:"Sarebbe troppo facile", mormorò, alzandosi e prendendo tutte le buste che avevamo accumulato in quella giornata di shopping. Giornata, fortunatamente, finita.
Tornammo all'auto in un silenzio furioso. Almeno da parte mia. Jasper continuò a portare quel fastidioso sorriso strafottente sul volto. Aveva tra le mani forse l'unica cosa che mi faceva ancora sentire vicino il legame con Ian. Aveva tra le mani la mia più grande debolezza. La rabbia che provavo in quel momento nei suoi confronti era quasi impensabile. Dovevo trovare al più presto la sua debolezza, anche se una parte di me sapeva di averla già trovata. Solo non voleva crederci. Non poteva essere.
Jasper non poteva essere geloso di me. In effetti lo era sempre stato: ero la sua perla. Ma non in quel modo. Non nel modo in cui poteva esserlo un innamorato.
Ian's pov
Fortunatamente Jasper aveva avuto il buon senso di non portarmi via il portafoglio. Potei così trovare un alloggio per la notte a basso, bassissimo prezzo. Probabilmente avrei dormito con dei ratti, ma non importava in quel momento. Dovevo trovare il modo di aiutare Elena. Non poteva essere lei quella che mi aveva lasciato per tuffarsi tra le braccia di Jasper. Invece, era proprio lei. Credeva di salvarmi così, di strapparmi dalle grinfie di Jasper, sacrificandosi al mio posto. Detestavo quando voleva fare tutto di testa sua. Quando voleva essere un'eroina. E, poi, che fine avevano fatto Bonnie, Caroline e Paul? Non riuscivo a credere che non l'avessero seguita per impedirle una simile follia.
I pensieri si accumulavano sempre di più, nonostante cercassi di allontanarli col gelido getto d'acqua della doccia. Era l'unico modo per alleviare anche il dolore alla spalla. Fortunatamente ero troppo stanco per pensarci ancora a lungo. Mi addormentai ancora bagnato e avvolto dall'asciugamano.
Mi svegliò un incessante bussare alla porta. Chi diavolo poteva essere? Oltre allo squallore dell'ostello, dovevo beccarmi pure la maleducazione del proprietario? Avevo pagato per stare lì fino alle undici di quella mattina ed erano solo le nove e mezza. Mi alzai svogliatamente, cercando di tenere su l'asciugamano ed andai ad aprire. Quando posai la mano sulla maniglia uno strano terrore percorse la mia schiena. E se fosse stato Jasper? Ma non poteva essere, aveva quel che voleva, io non gli servivo più a niente. O forse sapevo troppo e non poteva lasciarmi andare così facilmente. Presi un grosso respiro e spalancai la porta. Gli occhi che mi trovai davanti mi fecero crollare: quella leggera sfumatura celestina macchiata d'ansia. Bonnie.
Non appena mi inquadrò, mi lanciò le braccia al collo.
"Oh grazie al cielo", mormorò, nascondendo il viso sulla mia spalla. Alle sue spalle, Paul e Caroline mi guardavano sollevati.
"Dov'è Elena?", mi chiese quest'ultima, in ansia come non mai.
Sospirai e li feci accomodare nella stanza. Raccontai per filo e per segno quel che era successo, da quando Jasper mi aveva rapito, fino all'arrivo di Elena e al suo piano così idiota per portarmi in salvo. Finii con lo spiegare come mi avevano gettato in mezzo alla strada, attenti a non farmi capire dove si trovasse quel dannatissimo palazzo. Non avremmo mai ritrovato Elena.
Sconfitto e con il vociare dei miei amici in sottofondo, andai in bagno a cambiarmi. Indossai svogliatamente i vestiti che mi aveva procurato Jasper, avrei preferito girare in mutande. Sospirai e sistemai le tasche dei pantaloni. Qualcosa, in una di quelle posteriori, mi dava fastidio. Quando infilai le mani in queste ultime, qualcosa sfiorò le mie dita. Un pezzo di carta. Uscii dal bagno con gli occhi sulle poche parole scritte sopra la carta spiegazzata. Un indirizzo, un nome, poche indicazioni.
"Chi è Andy Nicholls?", chiese Caroline, strappandomi il foglio dalle mani.
"Qualcuno che ci aiuterà", dissi con un enorme sorriso sulle labbra, ormai sicuro che il piano di Elena non si fosse concluso del tutto.
"Dovrebbe essere qui", disse Bonnie, mentre svoltava l'ennesimo angolo con la cartina in mano.
Paul, accanto a me, corrugò la fronte:"Non mi sembra un quartiere raccomandabile", disse, guardandosi intorno. Non aveva tutti i torti. Doveva essere una delle strade più malfamate della città, eppure davanti a noi si ergeva una piccola gioielleria. Una gioielleria, in un postaccio simile che vedeva attraversare le strade solo le pantegane, destava qualche sospetto. Era quello il posto, lì doveva esserci Nicholls. Avanzai deciso, lasciando gli altri indietro, ed entrai nel negozio senza pensarci due volte: una stanza rettangolare di pochi metri quadrati, dal pavimento in finto parquet e le vetrine decisamente troppo sporche. Al mio ingresso, gli occhi dell'uomo dietro al bancone si posarono su di me. Sembrava giovane, non doveva avere più di trentacinque anni. Il suo sguardo mi fece intendere che sapeva già chi fossi, ma che fosse decisamente sorpreso di vedermi lì.
"Dov'è Gilbert?", chiese mentre si alzava, sembrava leggermente intimorito. Restò dietro al bancone, con le mani posate su di esso, in tensione.
Abbassai lo sguardo, mentre sentivo la porta scricchiolare alle mie spalle.
"E' rimasta con quello, non è vero?", chiese ancora Nicholls, osservando con scrupolo Caroline che camminava avanti e indietro guardando le vetrine. Annuii e mi avvicinai, mostrandogli il biglietto che mi aveva fatto avere Elena. Lo guardò per pochi secondi, per poi ridacchiare sommessamente. Sembrava conoscere Elena così bene, aveva capito che era rimasta con Jasper solo dal mio sguardo e adesso aveva anche capito le sue intenzioni. Alzò nuovamente lo sguardo su di me, per poi posarlo sui miei amici, facendoci segno di seguirlo dietro al bancone. Spostò una vetrina e ci condusse all'interno di quella che sembrava essere un'altra stanza. Quando varcai la soglia, restai senza parole. Era piena zeppa di armi, di ogni tipo, alcune non le avevo mai nemmeno mai viste.
Nicholls non si fermò nemmeno a guardarle, proseguì dritto ed aprì una seconda porta, che dava sul retro. Bonnie intravide la sua macchina.
"Grazie a Dio!", esclamò, mentre correva all'esterno. Frugò nella borsa per qualche minuto e poi tirò fuori la chiave di riserva. Nicholls gliela prese dalle mani, facendole intendere che sapeva qualcosa. Aprì la portiera dal lato del passeggero e si chinò verso il cassetto del cruscotto. Trafficò per qualche minuto e poi si voltò verso di noi: un biglietto, identico al mio, ed una pistola tra le mani.
"Ne ha conservata solo una", disse, meditando. "Deve aver pensato che saresti venuto da solo", aggiunse, rivolto a me. Bonnie alzò gli occhi al cielo e Caroline sbuffò, facendo sorridere Paul.
"Non puoi procurarcene altre?", chiese Bonnie decisa, mentre io iniziavo a leggere quella che sembrava a tutti gli effetti una lettera.
A quel "Caro Ian" tutto intorno a me si spense, il battibecco in atto tra Bonnie e Nicholls divenne solo un ronzio ed il continuo vociare di Caroline e Paul era praticamente inesistente. Quelle due parole, scritte in modo svelto e disordinato, mi fecero battere il cuore all'impazzata. Avevo bisogno di lei o rischiavo di impazzire. Cercando di mantenere un certo contegno, continuai nella lettura.
"Non credo ci possano essere parole per spiegare quanto mi dispiace, quanto mi faccia schifo, il fatto di averti cacciato in questa situazione... So di aver detto di non volerlo fare, di tenerti al sicuro, ma ho bisogno di te. Ho bisogno che mi aiuti ad uscire. Ho bisogno che mi aiuti ad uccidere Jasper."
Altro tuffo al cuore. Di diversa natura, però. Era.. stupore. Non potevo crederci. Voleva ucciderlo. Porre fine alla sua tortura. E io non avrei potuto che appoggiare quella sua decisione. Aveva bisogno di me ed io avevo bisogno di lei, non potevo lasciarla nelle grinfie di Jasper. Sotto quelle poche parole, si trovavano delle indicazioni. Prima fra tutte: come raggiungere il palazzo. Sorrisi vittorioso, un altro nodo sbrogliato. Era descritto nei minimi dettagli, soprattutto i piani inferiori, dato che io conoscevo solo l'ultimo. Mi suggeriva di prendere le scale antincendio. Infine, alla base del foglio, un messaggio per Andy: gli chiedeva di darmi tutto l'aiuto possibile, di farlo per lei, anche se l'amore è una brutta cosa. Restai perplesso, leggendo quelle ultime parole, ma passai svelto il biglietto a Nicholls. Lo scorse velocemente, come aveva fatto col precedente, e poi alzò gli occhi al cielo. Rientrò svelto nella stanza delle armi e sparì dentro un piccolo ripostiglio. Ne uscì pochi secondi dopo con altre tre pistole tra le mani. Le porse a Bonnie, Caroline e Paul e li osservò attentamente mentre le impugnavano. Bonnie era esperta: quando aveva vent'anni, andava al Poligono col padre e i fratelli, quindi Nicholls non poté che complimentarsi. Paul si comportò più o meno come me, pronto ma non completamente a suo agio. Caroline fu la peggiore, non sapeva neanche da parte iniziare. Andy provò a darle qualche dritta, ma non appena le sue mani sfiorarono i fianchi di lei, Paul cercò di delineare il suo territorio.
"Mani a posto, amico", disse, fulminandolo e facendo ridacchiare soddisfatta Caroline.
Andy alzò gli occhi al cielo e si allontanò di qualche centimetro, continuando a spiegare le regole base. Impiegò pochi minuti, poi si concentrò per spiegarci meglio le indicazioni per arrivare al palazzo. Bonnie si offrì di pagare le armi, ma lui si rifiutò categoricamente. Ci fece cenno di uscire e ci salutò con un semplice:"Buona fortuna". Sembrò non voler aggiungere altro, almeno in presenza degli altri. Quando furono tutti a bordo dell'auto di Bonnie ed io restai fuori per ringraziarlo, mi posò una mano sulla spalla e fece un mezzo sorriso:"Non voleva farlo, lo sai", mormorò, riferendosi molto probabilmente a Elena. "Sei probabilmente il suo primo amore. Fai come dovrebbero fare tutti i grandi amori: salvala".
La macchina di Bonnie si fermò, sotto parecchi sguardi indiscreti e minacciosi, davanti a quella che sembrava una vecchia palazzina. Allungai il collo fuori dal finestrino, per vedere se riuscivo ad intravedere l'ultimo piano, magari per riconoscervi qualcosa del luogo in cui avevo passato quegli ultimi giorni. Ma fu inutile. Lasciai andare la testa sul sedile e presi un grosso respiro.
"E' assurdo", mormorò, scuotendo la testa.
"Ma dobbiamo farlo", dissi secco. "Per Elena".
Uscii svelto dalla macchina, prima che la parte più fifona di me avesse qualche ripensamento. Gli altri mi seguirono a ruota. Ci guardammo negli occhi per qualche minuto. Caroline stringeva forte la mano di Paul, mentre Bonnie teneva ben salda la pistola, lanciandosi qualche fugace occhiata alle spalle. Ci stavamo cacciando in una situazione dalla quale non sapevamo se mai saremmo usciti, aveva ragione Elena. Ma quel che lei non sapeva era come si comportavano gli amici, quelli veri, nei momenti di difficoltà. Avremmo fatto di tutto per lei. E quell'atto lo dimostrava, del resto era praticamente un suicidio.
"Vi direi di restare qui, ma so già che non mi ascoltereste... Quindi muoviamoci!", dissi sbrigativo, iniziando a camminare il più vicino possibile al muro. Elena, nella lettera, aveva scritto che avrebbe sparato contro le telecamere davanti al portone di ingresso. E così aveva fatto. Jasper non aveva ancora avuto il tempo di farle riparare.
Il portone. Rimasi un attimo paralizzato. A quello non avevo pensato. Come avremmo fatto ad entrare?
"Spostati Ian", Bonnie mi strattonò per un braccio e mi fece allontanare. Si mise davanti a me e puntò la pistola contro la serratura. Un unico colpo, secco e preciso. Paul e Caroline controllarono la strada per accertarsi che nessuno se ne fosse accorto. Con un semplice gesto del capo, ci fecero cenno di entrare. Dentro l'atmosfera si fece ancora più pesante. Mentre mi guardavo intorno per smascherare eventuali telecamere, Paul atterrò il portiere dandogli un colpo dietro la nuca con il calcio della pistola.
Quando si accorse del mio sguardo truce, scrollò le spalle:"Che c'è? Poteva essere armato", disse semplicemente.
"E lo era", affermò Caroline, tirando una pistola fuori dal cassetto della scrivania sulla quale l'uomo era seduto. Fece per lanciarmela, ma io la indirizzai a Bonnie, davvero molto più esperta di me, che già si stava dirigendo verso le scale antincendio. Mi accodai. Alle mie spalle Caroline e, a chiudere la fila, Paul. Sentivo i nostri respiri pesanti, mentre ci muovevamo al buio. Da quelle scale potevamo salire fino all'ultimo piano, senza bisogno di invadere gli altri piani del locale. Una fortuna in più per me. Non fidandomi completamente, continuai a setacciare i soffitti e gli angoli alla ricerca delle telecamere. Ne incontrammo soltanto una e i miei riflessi pronti mi permisero di fermare Bonnie, prima che entrasse nel raggio visivo. Fu Paul a metterla fuori uso.
Gli scalini scorrevano sotto i nostri piedi, mentre noi li percorrevamo di corsa. Arrivati all'ultima rampa, rallentammo il passo.
"Andate avanti voi due", disse Caroline, stringendo forte la mano di Paul, che annuì all'idea della sua ragazza.
Bonnie non perse tempo e si precipitò alla porta. Aprì uno spiraglio e controllò che la via fosse libera. A quel punto mi fece cenno di seguirla. Lanciai un'ultima occhiata a Caroline e Paul, che doveva essere rasserenante, ma che probabilmente peggiorò solo la situazione.
Con Bonnie, percorsi a passo svelto il primo andito, fino al primo angolo. Lì ci arrestammo entrambi. Durante il breve viaggio in macchina, tutti ci eravamo ripromessi di non farci distrarre da alcun colpo di pistola, di pensare a noi stessi e alla persona che avevamo accanto. Se ci fossimo divisi, non dovevamo correre in aiuto di nessuno. Dovevamo mantenere fede al piano e cioè raggiungere Elena il più in fretta possibile. Ma a Caroline probabilmente non fu chiaro il concetto.
Davanti a me e Bonnie si parò uno dei tanti grizzly di Jasper. Il colpo andò a centro, esattamente sul polso, per disarmarlo, ma fu forse troppo rumoroso. Sentii il grido soffocato di Caroline e i suoi passi che correvano su per le scale. Cercai di muovermi il più velocemente possibile e, mentre Bonnie mandava a segno un altro colpo all'altezza della spalla, provai a stordire il grizzly con il calcio della mia pistola, come aveva fatto Paul poco prima. Mi stupii della mia stessa forza, quando vidi quel bisonte a terra pochi secondi dopo. Adrenalina.
Bonnie mi raggiunse svelta e finimmo di corsa il secondo andito che ci separava da un altro angolo. Quel luogo era un labirinto. Nessuno ci si parò davanti quella volta. Camminammo svelti, dando le spalle al muro e puntando le pistole verso la scia di porte di fronte a noi e la fine del corridoio. Il cuore continuava a martellarmi nel petto, sembrava volermi uccidere. Sentivo la fronte imperlata di sudore e avevo le mani umide. Ad ogni passo, vedevo Bonnie innervosirsi. Aveva le mani che tremavano e gli occhi lucidi. Era scossa, si vedeva lontano un chilometro. Le posai una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. Voltò di poco la testa nella mia direzione. Stavo per dirle qualcosa, quando il rumore di uno sparo mi spezzò le parole in gola.
Un unico colpo.
Un grido.
Caroline.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro