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Capitolo 28

Riccardo


MI svegliai quando una mano mi scosse la spalla, prima delicatamente e poi violentemente. 

-Oh alleluia. Pensavo fossi morto.- mi disse Marcello, mentre mi tiravo su a sedere.

-Ma tiè.-  feci corna, toccai il ferro della balaustra del letto e nel mentre con l'altra mi toccavo il pacco. -Gran bel risveglio, tu ed Andrea siete i maestri in questo campo, non c'è che dire.- 

-Ma si sa. Ti ricordi in vacanza? Quella secchiata è stata il top.- rise lui, ricordandosi della mia svegliata al quanto brusca, in campeggio. 

-Che simpatico. Però, posso dire di aver fatto l'ice bucket challenge, senza essermi ridicolizzato con un video.- sorrisi soddisfatto.

-Oh, il video esiste. Tranquillo.-

Aprii la bocca indignato. -Ora sappi che sono molto offeso ed esigo di vederlo. - scherzai, girando la faccia dalla parte opposta e incrociando le braccia. Facendo così vidi il visino magro di Margherita e smisi immediatamente di giocare. Solo allora mi accorsi che, dall'altra parte del letto, si trovava Anna, addormentata su una sedia.

Guardai Marcello e gli feci cenno di andare fuori.  

-Che ore sono?- gli chiesi una volta uscito. Le tende nella camera erano tirate e non si poteva capire se fosse mattina o pomeriggio. 

-E' l'una. -

Alzai le sopracciglia sorpreso. -Di già?- Erano state più o meno le quattro, quando mi ero addormentato, avvinghiato alla vita di Margherita. 

-Si. Clarissa sta  dormendo nell'hotel infondo alla via. L'ho mandata a riposare.-

Annuii e lo stomaco si lagnò, perchè il poveretto non riceveva cibo da più di dodici ore prima. 

-Vieni, ti porto a mangiare. Fanno dei panini che sono la fine del mondo.- mi diede una pacca sulla schiena e s'incamminò. Sorrisi ma non gli dissi, che già lo sapevo. 

Girammo diverse corsie e piani, prima di trovare la mensa. Non ero abituato ad orientarmi da quella parte dell'ospedale. Era esattamente come l'avevo lasciata giorni fa. Quasi rimasi deluso. Me l'aspettavo cambiata, più cupa, come il mio umore ma la realtà era che, aveva sempre quelle grandi vetrate da cui entrava la luce, in modo quasi alieno e quei allegri decori, fissi alle pareti. 

Presi una bottiglietta d'acqua ed una piadina. Ci sedemmo ad un tavolo, vicino alle finestre. L'aria era calda ma era pur sempre aria. Mi ritrovai a divorare il mio pranzo, mentre Marcello beveva il suo caffè. 

-Cavolo, amico. Sembri che non mangi da giorni.- 

-Problemi?- parlai a bocca piena, mentre mandavo giù l'ultimo boccone. 

-Si. Se poi ti rimane sullo stomaco, girati dall'altra parte a vomitare.- 

-Ma che amici simpatici che mi sono scelto.- dissi mentre aprivo la bottiglietta e ne prendevo un sorso. 

-Hai detto bene. Che TI sei scelto.- 

Feci una smorfia e alzai le spalle. -Momento di debolezza.- 

Un pugno mi arrivò sulla spalla. 

-Come stai?- 

-Bene.- risposi meccanicamente. 

-Seriamente.- 

-Un pò strapazzato. A proposito! Sai di cosa avrei voglia ora? Due belle uova strapazzate.- gli confessai a gran voce. 

-Ma sempre al cibo, pensi?-

-E' l'amore della mia vita. Non offenderlo!- 

-A proposito di amore, Alessia? Come sta?- 

E fu come se il mondo, mi fosse cascato addosso, tutto intero, in un secondo. 

Sgranai gli occhi e chiusi con un colpo secco la bocca. 

-Non dirmi che ti sei dimenticato di lei. Per favore.- mi implorò Marcello. 

-Si merda.- buttai la testa all'indietro e mi coprii gli occhi con le mani.

-Oddio. Dimmi che è uno scherzo di brutto gusto. -

- Vorrei.- la mia voce arrivava attutita, la testa era in pieno casino.

Come hai fatto a dimenticarti di lei? Devi essere proprio demente. E ora? Cosa pensi di fare? Come la trovi? A chi chiedi? Starà bene? Dove sarà? 

 Sentii il rumore di una sedia che si spostava e le mie mani si staccarono dalla mia faccia. 

-Che fai ancora qui? Sei matto?- 

Scossi con foga la testa e mi risvegliai, dal mio imbambolamento temporaneo. 

-Ti do il resto dopo.- gli urlai, mentre correvo alla reception. 

Mi buttai a capofitto nei corridoi dell'ospedale e tornai alla recetion, felice di non trovarmi, quella simpatica segretaria della notte appena passata. 

-Salve, vorrei un'informazione.-

-Allora sei nel posto giusto. Di cosa si tratta?-

-Mi serve sapere, se una mia amica è ancora qui.- 

-Come si chiama?- 

-Alessia ..

Digitò il nome e aspettai e sperai, per quei pochi secondi, che fosse ancora dentro all'ospedale. 

-Si. Piano quattro. Su per le scale o l'ascensore, prima porta a sinistra se prendi le scale, dritto se vai in ascensore. Giri a destra, una volta entrato e dopo, dovrebbe essere in una stanza di quelle.- 

-Grazie mille.- 

Corsi a chiamare l'ascensore ma ci metteva troppo ad arrivare, quindi presi le scale. Feci i gradini a due a due, seguii le istruzioni della receptionist e mi ritrovai in un largo corridoio. 

Lo percorsi in gran fretta, guardando dentro tutte le porte aperte. Stavo per ritornare indietro e rifare il giro, quando la sentii cantare. Mi avvicinai alla soglia dell'ultima stanza e guardai all'interno. La trovai seduta su un divanetto, guardava alla finestra con aria assente, il corpo rannicchiato, le gambe strette in un abbraccio.

《 Another shot of whiskey, can't stop looking at the door.

Wishing you'd come sweeping in the way you did before.

And i wonder if i ever cross your mind.

For me it happenes all the time. 》

Mi sedetti e la guardai. Dio se era bella. Mi persi tra i suoi capelli, tra i suoi lineamenti. Aveva sempre ritenuto di avere il naso troppo grosso, non le avevo mai detto che era perfetto così. Gli occhi erano due perle luminose, la luce che entrava dalla finestra glieli rendeva ancora più brillanti.

《 It's a quarter after one, i'm all alone and i need you now.

Said i wouldn't call but i lost all control and i need you now.

And i don't know how i can do without, i just need you now. 》

Tradussi quasi simultaneamente e le parole, mi spezzarono mano a mano. Mi abbandonai a riflessioni mai fatte prima, profonde e dolcemente tristi.

Non mi resi neanche conto che la canzone era finita e ora, dove prima un sottofondo malinconico suonava, regnava il silenzio.

La guardai. Le cuffie erano sparite e così il suo ipod.

《 A volte ci dimentichiamo del vero significato e del potere che la musica ha su di noi, così come le cose che quotidianamente abbiamo sotto gli occhi. Diventano scontate, trasparenti, le conosciamo a memoria, sapremmo disegnarle senza averle davanti, sapremmo di averle e non ce ne preoccuperemmo poi più di tanto. Convinti di possederle e che niente o nulla ce le potrebbe portare via, ce ne dimentichiamo, le abbandoniamo, diventano oggetti millenari e passano in secondo piano. Ascoltiamo una canzone fino a farci stare male, fino a che non ne abbiamo abbastanza, fino a che, la magia che aveva le prime volte che l'ascoltavamo svanisce, come polvere sotto l'armadio. Altre volte l' ascoltiamo una sola volta e si va a confondere tra le altre moltitudini di sinfonie, ritmi e titoli che abbiamo. Poi ci sono quei giorni, dove la solitudine ti divora, il dolore ti conforta, che magari, capitano di nuovo. L'oggetto ovvio si trasforma in ricordi, la canzone in pensieri, perchè quando stai male riesci a vedere le cose come stanno realmente, perchè stai così male che più male non potresti stare e accetti la verità, le situazioni che prima nascondevi dietro a scuse. 》parlò senza guardarmi, consapevole della mia presenza. Non la interruppi.

《 Ho provato a spiegarmi come mai non venissi ma tutte le volte mi raccontavo bugie da sola. Così ho acceso la musica e ha parlato per me. Avevo bisogno di te, di qualcuno che mi confortasse e tutto ciò che ho avuto, è stata la telefonata dei miei, per dirmi che stavano arrivando, di non preoccuparmi, per chiedermi se stessi bene e pensa un po', avrei preferito mille volte la tua vicinanza, mi sarebbe bastata solamente quella. Non mi sarebbe servito altro, ma tu eri da lei. Ti sei dimenticato di me. Sono stata ore a cercare di capire, cosa avesse in più Margherita. E' una bambina, che conosci da un mese e poco più e io ti conosco da quando eravamo piccoli. 》 un sorriso mesto la fermò per qualche secondo. La continuai ad ascoltare senza sapere cosa dire.

《 Ho pensato che il mio problema fosse lei, poi mi sono detta che era da sciocca essere gelosa di uno scricciolo, a cui è facile voler bene. Alla fine ci sono arrivata: Io sono il mio problema. Mi addosso colpe che non ho, cerco di capire cosa c'è di sbagliato in me, non riesco mai a dire di no e tutto questo perchè non ho autostima di me o solo perchè sono semplicemente troppo buona o infantile. Nessuno mi ha mai accettato per quella che sono, i dubbi salivano e le conclusioni arrivavano e non erano mai negative per gli altri ma sempre per me. Pensavo di aver finalmente trovato una persona che riuscisse a vedere in me, quello di cui io non ero capace, ovvero tu. 》

La fermai. 《 Ed è così. Credimi. Io ti voglio bene così come sei. 》parlai senza neanche pensarci tanto e me ne pentii.

Finalmente si girò e i suoi occhi, bagnati di lacrime incrociarono i miei.

《 E' questo il punto. Semplice, banale e scontato. Non me ne frega niente se tu mi vuoi bene perchè Io ti amo. 》

E se prima il mondo mi era crollato addosso, sta volta fu l'universo intero.

《 Ma è ancora più chiaro, limpido e prevedibile, che tu invece non provi niente. Continuavo a ripetermi che non ero stata solo un giocattolo, che tutti i nostri baci, i nostri sguardi, avevano significato qualcosa, quando invece, l'unica a esserci cascata qui, sono io. E fa male, fa male essere sempre rifiutata, sempre scartata, sempre usata, lasciata con i propri sentimenti a sgretolarsi piano piano. Ma mi sono fatta furba sai? Come dice il Re Leone, dal passato puoi scappare o imparare qualcosa ed io ho deciso di restare e combattere per me, perchè nessuno lo ha mai fatto al posto mio. Ogni volta che qualcuno mi feriva era un nuovo mattone che innalzava il muro davanti al mio cuore. Sono diventata più fredda, indifferente e non andavo bene lo stesso. Poi le rare volte che ci incontravamo, le certezze solide su cui avevo fondato il muro traballavano di fronte a te ma reggevano. Avevo paura, ti odiavo per questo, perché mi facevi dubitare della mia indistruttibile corazza.

Successivamente è arrivata l'estate, è arrivata la montagna, è arrivata la vacanza al mare e sotto quel sole, i miei mattoni si sono sciolti come cera. Quel sole eri tu. Li hai sciolti, ti sei fatto strada, non so neanche io come e li hai ricostruiti ma a tuo piacimento, facendo si che mi basassi su di te e non più sulle sicurezze che avevo prima. Ti sei accomodato tranquillo dentro quella fortezza, come fosse casa tua e ieri sera, hai calpestato da solo quello che avevi costruito. 》 deglutì continuando a fatica, mentre gocce salate, scendevano copiosamente e bagnavano il collo e i vestiti.

《 E ora mi ritrovo qui, incasinata, vuota. Vorrei urlare, baciarti fino a farci sanguinare le labbra, stringerti e amarti così tanto da farti venire i brividi. Sto piangendo, mi sto mostrando vulnerabile e l'ho fatto diverse volte ma tutte queste, solo con te. Mi hai fatto impazzire e star bene come nessun'altro era stato capace fin'ora. Mi hanno dato della matta negli ultimi tempi ma solo perchè lo ero di te, poichè quando l'amore arriva così, tutto di colpo, non può far altro che esplodere e far ammattire la gente. Sono una cretina perchè tu andavi e venivi, avevi bisogno di me solo quando ti faceva comodo. Sono una cretina perchè da te voglio quello che non mi potrai dare mai, perchè ti amo ed è la terza volta che te lo ripeto. Lo sono perchè provo per te, quello che non ho mai provato per nessun'altro, perchè hai sballato tutte le mie emozioni, tutti i miei sogni, tutta me stessa e hai amplificato ogni singola cosa. Ti ho donato tutto ma non è bastato e adesso sono un mucchietto di sentimenti, troppo grandi, persino per me.

Ma d'altronde a cosa servono i sentimenti se tu li dai e non c'è nessuno dall'altra parte a prenderli, custodirli, mantenerli? 》la sua voce si era fatta quasi secca, la sua gola immaginai fosse arida.

Tante, troppe parole, mi si erano riversate addosso come fiumi in piena, che da lunghi tempi non ricevevano più acqua. Stavo annegando, bruscamente e velocemente.

Lei si alzò e se ne andò ma non la rincorsi, avevo bisogno di aria. Scappai e mi rifugiai sul tetto, a cercare di capire come mai non le avevo detto ''Ti amo anche io''.

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