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8. End Xhen


Evander sapeva che quella volta non sarebbe stato affatto facile.

Fino a quel momento aveva avuto fortuna: tutti gli endar che aveva tentato di redimere avevano ricordato il loro passato e si erano schierati dalla sua parte contro End Yvnhal.

Quando aveva ancora a disposizione il registro, il mese precedente, ne aveva convertiti quindici, ma li aveva scelti fra coloro che credeva di riuscire a redimere più facilmente.

Ora, però, non aveva più scelta: aveva solo i cinquanta nomi di cui suo fratello era riuscito a copiare le informazioni, ed Evander voleva tentare di portarli tutti dalla loro parte al più presto.

Tuttavia, Adalwin si era dimenticato di copiare le informazioni su End Mida.

Evander ancora non riusciva a comprendere il medico endar, che restava un vero mistero per lui: aveva avvelenato suo padre, ma non aveva tradito lui. Perché?

Era così arrabbiato con il medico, che, anche se avesse Adalwin avesse copiato la sua scheda dal registro, con ogni probabilità Evander non l'avrebbe neppure letto.

Forse il tentativo di redenzione che aveva funzionato con tutti gli altri avrebbe dato qualche frutto anche con il medico endar, ma Zadok non era ancora convinto di volerci provare.

Tuttavia, era ormai evidente che il sistema non funzionava alla perfezione e che erano in realtà pochi gli Endar che erano stati davvero totalmente convertiti a quel credo.

Ma End Xhen era uno di quelli.

Di questo, purtroppo, Evander era più che certo.

Aveva avuto modo di osservarlo a lungo, di vederlo in azione, di parlarci... e tutte le volte aveva confermato a sé stesso quest'impressione, e cioè che con lui il sistema aveva funzionato davvero alla perfezione: la conversione di End Xhen era irreversibile e totale.

End Xhen era più che ortodosso: era fanatico. Il suo credo era rigido e incorruttibile, la sua fedeltà al corpo dei mantelli neri avrebbe potuto portarlo al sacrificio di sé senza nessun indugio.

Evander sapeva che ogni tentativo di fargli ricordare la sua vita passata e di riportarlo in sé era vano ed estremamente pericoloso.

Se solo End Xhen avesse voluto, avrebbe potuto denunciarlo a End Yvnhal, e a quel punto per Evander sarebbe stata la fine.

Ma Evander voleva tentare.

Non poteva rinunciare a lui.

Non voleva farlo.

Aveva scelto di fare quel tentativo proprio la notte prima delle nozze di Jayden con Vlastamir solo perché quella notte Yvnhal si sarebbe fermato nella propria stanza al palazzo imperiale e, quindi, entrare nella Torre Nera sarebbe stato meno pericoloso.

E poi, Evander aveva bisogno di allontanarsi il più possibile dalla corte e tenersi occupato per non cadere nella tentazione di fare qualcosa di stupido.

Sapeva che non avrebbe mai dovuto tentare di impedire il matrimonio perché in quel modo non avrebbe più potuto salvare suo padre. Per quanto fosse orribile, era stato obbligato a scegliere tra salvare Jayden da quel matrimonio o suo padre dalla morte, ed aveva scelto la seconda.

Contava sul fatto che Vlastamir aveva ripugnanza per Jayden al punto che, con ogni probabilità, non avrebbe mai osato toccarla. E sapeva che Jayden glielo avrebbe impedito: si sapeva difendere bene.

Evander si era giurato una cosa: quel matrimonio sarebbe stato breve, presto si sarebbe vendicato di tutti i torti che aveva subito da parte del fratello, Vlastamir sarebbe morto, e Jayden sarebbe stata di nuovo libera.

Ma, forse, stava davvero facendo qualcosa di stupido, quella notte.

Mentre si dirigeva nella stanza di End Xhen nella Torre Nera, ad ogni passo sentiva sempre più forte la consapevolezza di star commettendo un enorme errore.

Ma non tornò indietro.

Aveva pensato di andarci di notte perché per End Xhen sarebbe stato più difficile dimostrare che quell'incontro era avvenuto e che non se lo era soltanto sognato.

Ma non solo. C'era anche un altro motivo.

Le tenebre sarebbero state più evocative.

Evander sapeva che molto spesso sono le cose più concrete che agiscono sui sensi a risvegliare i ricordi: per questo non aveva dimenticato di portarsi dietro anche alcuni elementi che avrebbero potuto aumentare le quasi nulle possibilità di riuscita di quel tentativo.

Il buio non era il suo solo alleato: appena fu nella stanza, Evander diede fuoco ad una torcia di legno ammuffito imbevuto di un liquido infiammabile e rischiarò appena la stanza. Anche quella torcia, il suo odore e la sua debole luce avrebbero forse aggiunto qualche probabilità in più.

A quella luce, che Evander gli mise di fronte agli occhi, End Xhen si svegliò. Quando aprì gli occhi ancora pieni di sonno e vide di fronte a sé il suo capitano, scattò in piedi, convinto di essere stato svegliato per qualche missione urgente.

Evander lo rassicurò: «State tranquillo, End Xhen, l'impero non è in pericolo e non ha urgente bisogno di voi. Sono io, io soltanto, che ho urgente bisogno di parlarvi».

«Capitano, sono ai vostri ordini!» rispose prontamente End Xhen.

«Sono venuto a parlarvi in totale segretezza per una questione molto delicata e pericolosa che ci coinvolge entrambi. Volete ascoltarmi?».

«Certamente, capitano, parlate!».

«Per prima cosa, devo farvi alcune domande».

«Sono pronto».

«Queste domande sono di difficile risposta e potrebbero mettere in crisi la vostra lealtà al sistema».

«State tranquillo, capitano. Niente e nessuno potrà mai mettere in crisi lamia lealtà!».

«Lo so» disse cupo Evander. «End Xhen, voi ricordate il vostro apprendistato?».

«Sì, mio capitano».

«Sin dal principio?».

«Sì, capitano» rispose End Xhen senza indugiare.

«Ne siete assolutamente certo?».

«Senza ombra di dubbio, capitano!».

«Bene, allora ricorderete anche l'isolamento, non è così?».

«Quale isolamento, capitano?» rispose End Xhen, piuttosto confuso da quella domanda che non si aspettava.

«L'isolamento di parecchi mesi con il quale incomincia l'addestramento di ogni endar. L'isolamento in cui ogni apprendista viene gettato appena raggiunta la Fortezza di Confine».

«Io non ho subito nessun isolamento. Sono più che certo di questo, capitano» disse End Xhen e, nello sguardo, come nelle parole e nel tono di voce, dimostrava la più piena sicurezza di sé e delle proprie convinzioni.

«End Xhen, quanto mi dite è impossibile e contraddice quanto scritto sui registri della Fortezza, a cui io ho avuto accesso».

«Come dite, capitano? Non vi capisco».

«Dico che anche voi, come me, come End Yvnhal e come ogni altro affiliato, avete subito quell'isolamento. Il vostro è durato sette mesi e sei giorni. Il mio otto mesi e ventitré giorni».

«Se voi dite che è stato così, così deve essere stato, capitano» disse End Xhen, riconciliandosi con quella scoperta senza alcun problema.

Evander capì che non ne era rimasto affatto toccato.

«Non vi turba sapere di esservi completamente dimenticato di una cosa simile?».

«Perché dovrei turbarmi, capitano?». L'ingenuità e la spontaneità con cui quelle parole furono pronunciate diedero un'ulteriore conferma a Evander di ciò che temeva: stava perdendo il suo tempo e mettendo a rischio i suoi piani per nulla.

Ma, ancora una volta, continuò: «Dovrebbe turbarvi, End Xhen, perché, se avete dimenticato una cosa come questa, potreste aver dimenticato mille cose anche mille volte più importanti. Dovrebbe turbarvi scoprire che non solo la vostra memoria di ciò che eravate prima è completamente cancellata, ma che anche la vostra memoria da quando siete entrato alla Fortezza non è priva di buchi. Dovrebbe turbarvi scoprire che la vostra memoria non è affatto vostra e che voi non ne avete alcun controllo».

«Capitano, io mi sottometto ai miei superiori ciecamente: affiderei loro la mia vita senza alcuna obiezione ed ho affidato loro la memoria per lo stesso motivo».

Evander sospirò. Ma ancora una volta non volle darsi per vinto.

Dopo qualche secondo aggiunse: «Avete risposto bene».

«Avete intenzione di mettere alla prova la mia fedeltà, capitano?» chiese End Xhen, con tono offeso. Cercava di spiegarsi la ragione di quelle domande ed era giunto alla conclusione che quella potesse essere l'unica sensata. Ma il fatto che i suoi superiori avessero messo in dubbio la sua fedeltà lo offendeva, perché egli considerava un motivo di onore mantenere una condotta più che ortodossa.

Evander fece un triste sorriso: «Non nutro alcun dubbio sulla vostra fedeltà, End Xhen. Assolutamente nessuno».

«Allora capitano vi confesso che non comprendo il motivo della vostra visita» disse End Xhen, con un certo orgoglio.

«Vedete, qui non si tratta né della vostra memoria né tanto meno della vostra lealtà. Si tratta delle mia memoria e della mia lealtà».

«La vostra lealtà, capitano?!» End Xhen rimase sconcertato a quelle parole.

Evander disse: «Esatto, io sono venuto qui stasera per parlarvi della mia memoria e per dirvi che, contro la mia volontà, io ho ricordato qualcosa del mio passato».

«Del vostro passato, capitano? Intendete, alla Fortezza?».

«No, intendo prima. Prima della Fortezza».

«Capitano!» esclamò sconvolto End Xhen.

«É così. Io ho ricordato cose che non avrei dovuto ricordare. E sono venuto a parlarvene».

«Capitano,» disse End Xhen con una punta di risentimento e di rabbia: «Mi dispiace molto per ciò che vi è successo, ma non comprendo lo stesso per quale motivo abbiate scelto di venire a parlare di questo proprio a me».

«Ebbene, sono venuto da voi perché il passato che io ho ricordato vi riguarda».

«Me, capitano?» esclamò End Xhen, umiliato.

«Sì, End Xhen. Il passato che io ho ricordato non è soltanto mio, ma anche vostro».

Dopo una lunga pausa, End Xhen, con un evidente sforzo su sé stesso per mantenersi calmo, disse: «Capitano, mi sento in dovere di chiedervi di non dirmi altro, perché ciò che mi avete detto fino ad adesso è sufficiente perché io tema un vostro tradimento, un tradimento in cui io non voglio avere niente a che fare e, se avrà un seguito - espero vivamente di no perché in voi ho sempre riposto la massima fiducia e tutta la mia ammirazione -, sarò costretto a fare rapporto al nostro comune capitano End Yvnhal o allo stesso Imperatore».

«Se voi vorrete, uscirò da questa stanza. Ma, prima di andarmene vi dirò un'ultima cosa».

End Xhen non rispose.

Evander continuò: «Sapete che nel codice d'onore del corpo al quale apparteniamo è scritto che, qualora la fede di uno degli affiliati cominci a vacillare ed egli si rivolga ad uno o più dei suoi compagni in cerca di aiuto, questi ultimi hanno il dovere di fare tutto quanto è in loro potere per aiutare il loro compagno o saranno altrimenti considerati corresponsabili della sua disgrazia o del suo tradimento qualora la prima sfoci nel secondo?».

End Xhen rimase negativamente sorpreso a quelle parole. Conosceva bene il codice, ma non riusciva a ricordarle.

«Io non ricordo di averlo letto» disse.

Evander finse di arrabbiarsi. Aveva ancora una certa autorità, e doveva sfruttarla per farsi ascoltare fino in fondo: «State mettendo in dubbio le mie parole, End Xhen?» disse.

End Xhen capì che era andato contro ad uno dei suoi superiori e che anche quello poteva considerarsi un tradimento. Fece marcia indietro: «Assolutamente no, mio capitano».

Evander disse: «Allora negate la mia richiesta d'aiuto, adesso?».

«Siete pur sempre il mio capitano, vi ascolterò».

«Dovreste essere fiero che io sia venuto da voi, End Xhen, e che non sia andato da End Yvnhal. Invece, eravate vicino a negarmi l'aiuto che vi chiedo».

«Vogliate perdonarmi, capitano. Io... ho commesso un errore. d'ora in avanti non negherò più ciò che vorrete chiedermi».

«Va bene. Adesso, ascoltatemi».

«Sì, capitano».

«Ebbene, End Xhen, voi e io abbiamo un passato in comune» fece una pausa, perché quelle parole avessero effetto.

E comprese che End Xhen era effettivamente turbato e colpito. Poi, riprese: «Io e voi prima d'essere stati fratelli alla Fortezza, fummo migliori amici fuori delle sue mura. Veniamo dallo stesso villaggio, al limitare esterno di Veradria. Si tratta di un modesto ed umile villaggio di contadini, il cui nome è Eythien. Voi eravate uno dei migliori giovani arcieri del villaggio. Eravate molto amato e molto popolare. Io, invece, ero un orfano, adottato da due contadini che non avevano una buona fama fra la gente del villaggio. Per la mia condizione di orfano e per la mia pelle rossa da edresiano, io ero segregato e venivo continuamente umiliato dai miei e vostri coetanei. Neppure i loro genitori potevano soffrire la mia presenza. Io cercavo di farmi un amico, ma non riuscivo mai in questa impresa. Voi foste l'unico a trattarmi con riguardo, l'unico ed il primo dei miei amici al villaggio. Ma anche da voi feci molta fatica a farmi accettare. Avvenne un giorno che ci ritrovammo da soli nella Notte Verde, tu e io, ad affrontare un lupo veradriano. Ne uscimmo vivi, e tuo padre appese la testa imbalsamata del lupo sulla porta della tua stanza. Diventammo amici, e passammo le nostre giornate insieme a studiare e allenarci. Ci promettemmo che ci saremmo aiutati a realizzare i nostri rispettivi sogni. Il tuo era diventare un arciere e vincere il torneo di Tridia, il mio era diventare Esploratore Capitano. Ma il destino volle diversamente. Ci separò. Tu vincesti il torneo e vedevi già il tuo sogno realizzarsi ma, quando prendesti in mano il trofeo, comparvero loro, ovvero gli endar, per portarti alla Fortezza di Confine. Confesso che li odiai, perché mi portavano via il mio unico amico. Ero certo che non ti avrei mai più rivisto e che tu avrei perduto per sempre. Ma mi sbagliavo. All'Esame Finale dell'Accademia aeronavale dove trovai il coraggio di andare solo perché tu avevi creduto in me, ottenni un punteggio così alto da attirare l'attenzione degli endar. Sia io che te avevamo ormai realizzato i nostri sogni più grandi, ma entrambi ce li vedemmo portare via dagli endar. Loro vollero condurmi alla Fortezza, nonostante io avessi superato l'età massima di ben tre anni. E, alla Fortezza, avremmo potuto ritrovarci ma non fu possibile: né io né te avevamo più alcun ricordo dell'altro. Soltanto un giorno, quando mi fu chiesto di combattere contro di te, tu improvvisamente ricordasti ogni cosa. Io stavo per toglierti la vita, come mi era stato ordinato. Ma non lo feci perché, anche se non ricordavo chi fossu, non mi sarei mai perdonato un simile delitto. Gli addestratori sottoposero entrambi ad ogni trattamento possibile per fare in modo che quell'improvviso ritorno di memoria e quella disobbedienza non si ripetessero mai più. Ma, come vedi, il sistema con me non ha mai funzionato alla perfezione: la mia memoria si ribella ai loro trattamenti e ritorna ogni volta essi tentino di cancellarla».

End Xhen guardò Evander con un misto di sconcerto e preoccupazione.

Dopo un momento, con un sorriso in cui si leggeva piena fiducia, disse: «Non temete, capitano, sono certo che i prossimi trattamenti avranno maggiore effetto e risolveranno il problema».

Evander rimase immobile a quelle parole. Esse ebbero un effetto su di lui che, tuttavia, non trasparì sul suo viso.

Nascose il grande dispiacere che la risposta di End Xhen gli aveva recato.

Cercò ancora una volta di rimanere avvinghiato alla speranza che qualcosa nell'animo di End Xhen gli facesse ricordare: «Sono certo che futuri trattamenti saranno più efficaci. Probabilmente, al loro termine, non potrò più ricordare il profondo legame di amicizia che ci legava quando eravamo due umili contadini liberi di amare questa vita e questo mondo... neppure se lo desiderassi con tutto il cuore».

End Xhen non batté ciglio.

Evander comprese che non c'era più nulla da fare.

Deluso e rassegnato, si alzò e disse: «Grazie per il vostro aiuto, End Xhen. Addio».

E lasciò la cella dell'amico di infanzia, convinto che non lo avrebbe riabbracciato mai più.

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