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9. Io cesserò di esistere

Diario di Evander

1798° giorno veradriano

Sono passati due anni da quando ho scritto l'ultima riga su queste pagine.

L'ultima volta che ho preso in mano il diario è stato il giorno del discorso del Ragno. Da quel momento, le mie energie si sono assottigliate. Ho deciso che il mio volto non sarebbe mai più comparso su quel maledetto schermo. Non sarei stato più il "Migliore Affiliato". Mai più.

E ci sono riuscito. Non sono neppure fra i primi cento.

Il mio punteggio è calato a vista d'occhio, man mano che perdevo intenzionalmente ogni competizione e ogni simulazione.
So che non è stato un comportamento intelligente.

Wyn è molto arrabbiato con me. Credo di averlo deluso. Fa quasi fatica a rivolgermi la parola: lo infastidisce il fatto che ho mollato. Crede che io abbia dimenticato la nostra promessa. Dice che avrei dovuto approfittare dell'occasione, e fare ogni cosa in mio potere per restare primo in classifica per sei mesi consecutivi, così, al termine di quei sei mesi, sarei finalmente uscito dalla Fortezza, e, per di più, con ben sette anni di anticipo su chiunque altro prima nella storia dell'intero Ordine Marziale degli Endar! Sarei stato il primo affiliato a uscire dalla Fortezza dopo solo tre anni di addestramento.

Avrei dovuto ascoltarlo, ma non ce l'ho fatta. Era troppo per me. Non potevo sopportare il mio volto su quello schermo. Non riuscivo a riconoscermi: ogni volta ch'esso prendeva il posto del volto del Ragno, io lo odiavo a tal punto da provare nausea. Ogni volta che scendeva in classifica, invece, mi sentivo sollevato.

In ogni caso, credo che, anche se ci avessi provato, non ce l'avrei fatta comunque: i ragazzi sono diventati ancora più competitivi. Sono gli acerrimi nemici gli uni degli altri. Certamente, mi avrebbero soffiato il primo posto a tutti costi.

Per restare primo in classifica, avrei dovuto fare cose di cui mi sarei pentito per sempre. Avrei dovuto diventare spietato, perdere ogni umanità.

E così, ho preferito chiamarmi fuori da questa oreibile gara, e lasciar agli altri tutti i primi cento posti in classifica.

Anzi, tutti i primi mille.

Ora sono il milleduecentotrentaquattresimo.

L'ira del Minotauro è stata senza precedenti.

Ogni giorno, mi minacciava di portarmi in punizione se il mio nome non fosse salito di dieci posti. E lo faceva davvero, finché lo stesso responsabile, senza neppure preoccuparsi che io non lo sentissi, fu costretto a dirgli che, facendomi subire il trattamento punitivo così spesso, avrebbe finito per friggermi il cervello.

Non ho più nulla per cui lottare. So che, ormai, non uscirò più di qui. Ci ho rinunciato. Le mie energie si sono spente: non ne ho più neppure per comporre queste poche riflessioni sulla carta.

Neppure adesso ho voglia di scrivere, ma mi sono obbligato a farlo: voglio stilare un elenco di tutte le persone che hanno fatto parte del mio passato e che non voglio dimenticare.

Perché credo, infatti, che qualcuno manchi all'appello.

Ho la sensazione che ci siano già riusciti: che mi abbiano mutilato la memoria.

Spero che chiunque manchi non sia un nome di grande importanza. E spero che non sia più d'una persona.

Non posso andare a rileggere le pagine precedenti alla ricerca di altri nomi, in questo buio totale. E poi, se anche avessi luce, lo struscio della carta mi tradirebbe. Tuttavia, forse scrivendo fisserò un po' più a fondo nella memoria ciò che è sul punto di volatilizzarsi. Voglio un ultimo appiglio a cui aggrapparmi, prima che la memoria diventi un gigantesco buco nero.

Jonathan, ex End Conor, ex Lord Robert, mio padre adottivo.

Avevo anche una madre? La logica mi dice di sì. Ma non riesco a ricordare.

Jayden, lei non voglio e non posso dimenticarla.

Zora, mia sorella.

Kaleb, fratello di Jonathan, preside dell'Accademia.

Pochi nomi. Troppo pochi. Qualcuno deve mancare per forza. Ma chi?


Diario di Evander

2088° giorno veradriano

Sono quasi sei anni che sono qui.

L'addestramento ne dura circa una decina, ma non avranno alcun bisogno di altri quattro anni per controllarmi come un automa.

Ci sono già riusciti. Mi hanno azzerato.

Non sento più alcuna appartenenza per nessuno dei miei tre nomi.

Non c'è alcun nome che significhi me, che identifichi ciò che sono. Forse... perché non sono più niente.

Mi hanno svuotato di ogni essenza, hanno resettato la mia mente, rimosso la mia personalità, cancellato la mia unicità.

Sono un guscio vuoto, che essi riempiranno a loro piacimento.

Ed io non so più se ciò che dico e faccio nasce da me o mi è stato impiantato da loro. Forse, sono diventato incapace di libero arbitrio.

Ecco ciò che sono riusciti a fare.

Ciò che mi tiene ancora legato a una qualche consapevolezza di me è soltanto una briciola di memoria. Quando anche questo rimasuglio sarà spazzato via, io cesserò d'esistere.

Sono come un albero nel vortice di un tornado, attaccato a terra solo da una radice che sta per spezzarsi.

Non mi chiedo cosa sarà di me, perché domani non ci sarà nessun me.

Evander non esisterà più, Alekym non è mai esistito, Zadok non ha alcun significato: è solo un endar come tanti, ma con un segreto da nascondere. Ovvero, un marchio indelebile sul cuore: il tatuaggio dell'erede. Chissà come se la caverà a nasconderlo, quando si sarà dimenticato il suo significato e non ne capirà le origini. Forse, non vivrà a lungo neppure lui: appena gli endar avranno visto il marchio sul suo petto, lo toglieranno di mezzo e negheranno la sua stessa esistenza. E, così, neppure lui sarà mai esistito. Probabilmente, sarebbe meglio così. Altrimenti, Zadok diventerà tutto ciò che Evander odiava, tutto ciò che Alekym era chiamato a distruggere.

Chi mi ha chiamato "Nemesi" ha avuto ragione.

Ma non sono l'incarnazione della giustizia vendicatrice che ripara i torti e punisce i tiranni. Non sono tutto questo, no. Non sono quel tipo di nemesi. Sono quello che ha detto l'Alto Profeta. Sono il nemico. Sono il peggior nemico dell'Impero di Triplania. Sono la nemesi di me stesso.

Ho solo una pagina a disposizione questa notte, perché da domani non esisterò più.

Queste poche facciate di diario sono tutto ciò che rimarrà di me dopo oggi.

La punizione che mi sono attirato nella foresta darà il colpo fatale a Evander, che morirà una volta per tutte, insieme ad Alekym e a ciò che egli rappresenta.

Ma devo scrivere ciò che è accaduto oggi, perché, visto che io non potrò più farlo, vorrei che qualcuno lo ricordi per me.

Ho saputo di un nome che mancava all'appello.

Reymond.

Non ricordo assolutamente chi sia, né quale sia la nostra storia insieme. Non ricordavo neppure di averlo dimenticato.

Non sapevo della sua esistenza fino ad oggi, quando, nella foresta, mentre io stavo per ucciderlo, lui mi ha sussurrato: «Evander, ti prego, non farlo! Sono io, Reymond, non mi riconosci?».

No, non lo riconoscevo. No sapevo chi fosse. I suoi lunghi capelli biondi, il suo volto bianco da veradriano, la sua bassa statura non mi dicevano nulla.

Ma lui conosceva me, o meglio Evander: lo ha chiamato per nome.

Fino a un momento prima, il duello si era svolto come sempre: entrambi eravamo sotto l'effetto della droga e non avevamo freni. Ci avevano spinto così bene a dare il peggio di noi che eravamo arrivati al punto di combattere lungo il bordo di un pantano, quelle trappole fatali della foresta che, come sabbie mobili, ti inghiottono e ti soffocano senza pietà. Il gioco era diventato farvi cadere dentro l'avversario.

Ero così assorbito nel duello, che non mi sarei mai fermato, neppure se davanti a me ci fosse stato Wyn: la droga che mi hanno dato questa volta era molto più forte del solito.

E anche il mio avversario non sembrava avere alcuna intenzione di cedere. Ma io ho avuto la meglio.

Finché, proprio mentre stavo per infliggergli il colpo fatale, una bacca rossa è esplosa al nostro fianco, spruzzandoci addosso un liquido giallastro e appiccicoso, dritto in faccia. Non so perché, questo evento ha magicamente interrotto l'effetto della droga: ci ha fatto tornare in noi. Eravamo lì a fissarci negli occhi, inorriditi da noi stessi, a chiederci cosa stessimo facendo...

E lui mi ha riconosciuto.

I suoi occhi si sono illuminati nel vedermi e, nonostante io stessi per ucciderlo, lui ha sorriso.

Ma il sorriso è durato poco. Poi ha compreso ogni cosa.

Ha capito che io non sapevo chi fosse, e mi ha rivolto uno sguardo che non potrò mai dimenticare: era lo sguardo di chi abbia appena perso per sempre il proprio miglior amico, o meglio, lo sguardo di chi sta per perdere la vita a causa di una persona che ama.

Non potevo ucciderlo!

Ma l'istruttore endar era lì: ha visto e sentito tutto.

E mi ha ordinato di uccidere il mio avversario.

Me lo ha ordinato.

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