41. Voi gli somigliate molto
Perso nei suoi pensieri, Zadok non aprì.
L'uomo bussò di nuovo.
Per la seconda volta, Zadok non aprì.
L'uomo bussò una terza volta.
Zadok guardò finalmente l'ora e si accorse che erano le cinque e mezza. Andò ad aprire.
Quasi non credette ai suoi occhi quando vide di fronte a sé niente altri che la principessa Zora.
Rimase muto a guardarla per quelli che parvero lunghissimi minuti carichi di tensione e lei fece lo stesso.
Fu lei, la prima a rompere il silenzio.
Con un'espressione neutra, quasi fredda, gli chiese: «Siete voi End Zadok?».
Zadok rispose annuendo: «Sono io».
«End Yvnhal mi manda da voi».
«Posso chiedervi perché, principessa Zora?».
Lei lo guardò con occhi spalancati per la sorpresa: «Come sapete chi sono?».
«L'ho saputo...» rispose lui, senza riuscire a darle altra spiegazione.
Lei lo guardò di traverso.
«Mi fate entrare o no?».
«Ah, sì, certamente. Perdonatemi, principessa Zora. Entrate pure» disse Zadok, rendendosi conto d'essere privo del suo naturale autocontrollo.
Zora entrò, guardandosi attorno.
Zadok richiuse la porta alle sue spalle.
Lei disse: «Questa stanza è molto cambiata».
«Lo so» rispose lui.
«Non avrebbero mai dovuto darla ad un endar» continuò lei.
Lui non rispose.
«Non dovevano permettersi di fare questo alla memoria di mio fratello».
Zadok non riusciva proprio a capire cosa ci facesse la principessa nella sua stanza.
«Siete venuta per vedere quali cambiamenti vi hanno fatto?».
Lei si scosse dai suoi pensieri e lo fissò negli occhi con uno sguardo indagatore. «No» rispose.
Avrebbe voluto chiederle cosa fosse venuta a fare allora, ma si obbligò a rimanere in silenzio.
Per la seconda volta, si fissarono negli occhi senza dire una parola.
Fu lui il primo a parlare: «Avete detto che vi manda End Yvnhal...?».
Zora annuì: «Sono qui per darvi questa».
E, nel dir così, gli porse una lettera. Zadok vi lesse queste righe:
«La principessa Zora è autorizzata dal reggente Vlastamir a fare visita a suo padre dalle sei alle sei e mezza di questa sera, su scorta di End Zadok, che non dovrà mai lasciarla da sola con l'imperatore padre».
Zadok riconobbe la firma del reggente.
Alzò lo sguardo su Zora senza dire nulla.
Quest'ultima fece un sorriso forzato.
«Forse a voi, End Zadok, o come vi chiamate, tutto questo pare normale. Io, invece, trovo alquanto inaccettabile che io sia costretta a fare visita a mio padre solo dietro esplicita autorizzazione di mio fratello, sotto la scorta di un endar e ad un'ora prestabilita».
Zadok le indicò la sedia: «Volete sedervi, nell'attesa, principessa?».
«No» rispose lei. «Voglio farvi una domanda, invece».
«Dite».
«Avete visto mio padre questa mattina, non è così?».
«Sì, principessa».
«Io non lo vedo da molto tempo. Quando lo ho visto l'ultima volta riusciva ancora a guardarmi e a riconoscermi. Riusciva persino a stare seduto senza problemi. Ditemi, avrò una brutta sorpresa, quando lo rivedrò questa sera?».
«Non so dirvelo, principessa Zora. Oggi è stata la prima volta che ho potuto incontrare l'imperatore padre, e lo ho visto addormentato».
«Capisco» disse Zora. Dopo qualche minuto, aggiunse: «Scusate, per questa mattina. Vi avevo scambiato per un'altra persona».
«Lo so» rispose lui.
«Spero che la cosa non vi abbia recato fastidio. Non si ripeterà».
Zadok annuì: «Non c'è alcun bisogno che vi scusiate, principessa Zora. Conosco già la situazione».
Lei lo guardò sorpresa: «La conoscete?!».
«Sì: voi avete creduto ch'io fossi un uomo di nome Evander, che conoscevate parecchi anni fa. Ma la principessa Jayden vi ha messo al corrente del fatto che io non sono quell'uomo e che anche lei aveva preso questo abbaglio la prima volta che ci siamo incontrati, un mese e mezzo fa».
«Sì» rispose Zora con tristezza. «Voi gli assomigliate moltissimo».
«Sono le sei, ormai. Se volete seguirmi, principessa Zora, vi condurrò dall'imperatore».
Zora annuì e lo seguì.
«E pensare che avevo tanto desiderato che Evander conoscesse mio padre...» mormorò fra sé Zora, ma non abbastanza piano perché Zadok non riuscisse a sentirla. Tuttavia, Zadok fece finta di nulla e proseguì.
Gli endar che sorvegliavano la porta li fecero passare non appena Zadok mostrò loro la lettera di Vlastamir. Uno di loro gli passò un vassoio colmo di cibo. Zadok lo prese e iniziò a seguire la lunga scalinata.
Più volte si girò a vedere se Zora aveva bisogno di aiuto, ma capì che quella scalinata non le metteva paura e non sembrava neppure affaticarla.
Appena furono entrati nella stanza dell'imperatore, Zora gettò un grido pieno di dolore e di spavento.
Zadok comprese che da quando Zora lo aveva visto l'ultima volta l'imperatore doveva essere cambiato molto, e, naturalmente, in peggio.
Il vecchio aprì gli occhi.
Per poco, Zora non svenne alla vista del povero vecchio padre malato. Gli si gettò al fianco piangendo: «Padre mio, cosa vi hanno fatto?! Chi vi ha ridotto così!».
Un lampo di lucidità passò sugli occhi spenti del malato, mentre la voce gli usciva in un debole sussurro a modulare con difficoltà le poche sillabe che componevano il nome di sua figlia.
Zora gli pose un bacio bagnato di lacrime sulla fronte, mentre il vecchio imperatore la guardava con dolcezza:
«Mi siete mancata molto, figlia mia. Temevo di non riuscire a vedervi ancora una volta!».
«No, padre, non ditelo! Non ditelo!».
Zadok cercò di appiattirsi il più possibile contro il muro, sentendo di essere estremamente fuori posto.
Il vecchio non si accorse subito della sua presenza, ma, quando lo vide, con voce debole, gli chiese: «E voi, chi siete?».
Zadok fece un passo avanti e si inchinò. Ignorò la consegna che gli era stata data di non parlare al vecchio imperatore e rispose:
«Il mio nome è Zadok, mio signore».
«Siete un endar...?».
«Sì».
«Conoscete mio figlio Dalwyn?».
«No, mio signore».
«Vi manda Vlastamir?».
«Sì, mio signore».
«Capisco» rispose tristemente l'imperatore, rivolgendosi di nuovo verso la figlia: «Figlia mia, non devi piangere. Sto bene. Tu, invece, come stai?».
Lei lo guardò con voce spezzata.
«Padre, perché? Perché vi fanno questo?».
Lui la guardò dolcemente e, invece di risponderle, le disse: «Sei stata via per tre lunghi anni, due mesi e quattro giorni, bambina cara».
Zadok non credeva alle sue orecchie. L'imperatore aveva contato con precisione ogni giorno in cui era rimasto lontano dalla figlia?!
Allora la sua mente non era priva di lucidità come si diceva in giro!
Era così sorpreso di vederlo parlare, che non riuscì più a riprendersi dallo sconcerto quando lo vide anche mettersi a sedere. Il movimento gli costò fatica, ma il vecchio si fece forza e non si lasciò sfuggire alcun gemito.
Sembrava molto diverso dall'uomo che Zadok aveva visto quella mattina.
Zora disse: «Non mi hanno lasciato venire a trovarvi prima, padre mio! Se solo avessi saputo che eravate così peggiorato... sarei venuta molto prima, padre! Sarei venuta subito!».
«Lo so, figlia mia. Ma non temere, l'importante per me è che tu sia sempre felice, ovunque tu sia. Sono fiero della mia piccola esploratrice dello Spazio. Almeno, lassù, tuo fratello Vlastamir non ha alcun potere».
Zadok ascoltò quelle parole con sgomento.
Non riusciva quasi a credere alle proprie orecchie.
Si ricordò che aveva un compito e si fece avanti con il vassoio.
L'imperatore lo guardò e sorrise:
«Vlastamir ha cambiato il suo cameriere. Ne sono felice. Il Serpente Albino mi dava i brividi. Vieni pure, ragazzo, porta qui il vassoio».
Zadok non riusciva a comprendere nulla di quella situazione. Sempre più sconvolto, obbedì. Portò il vassoio di fronte all'imperatore, e Zora glielo prese dalle mani: «Lasciate fare a me, Zadok».
Zadok le lasciò il vassoio. In quello stato di confusione mentale, non avrebbe avuto la forza di ribattere neanche se lo avesse voluto.
«Padre» disse Zora tenendo il vassoio in mano senza darlo all'imperatore e guardandolo con disgusto e paura: «Non dovreste mangiare queste cose...».
«Non posso stare a digiuno, figlia mia. Non otterrei un migliore risultato».
«Ma almeno non bevete!» esclamò lei, disperata. Poi, tirando fuori da sotto le vesti una bottiglia, aggiunse: «Bevete da questa bottiglia: vi ho portato dell'acqua!».
Ma l'imperatore allontanò quella bottiglia con un dolce gesto della mano e, sorridendo, disse: «Se non bevessi, mi inietterebbero la medicina a forza, Zora. Non abbiamo scampo. Vedi quell'endar laggiù: lui ha avuto ordini precisi da tuo fratello di farmi bere ogni goccia di quella medicina e di non andarsene senza essersi assicurato che io l'abbia ingoiata tutta, dal primo all'ultimo sorso. Non se ne andrà fino a che non lo avrò fatto» e, nel dir così, l'imperatore prese il bicchiere dal vassoio e lo bevve tutto d'un fiato.
«No! Questa roba vi sta uccidendo!» mormorò Zora in lacrime di rabbia.
Zadok rimase immobile, come pietrificato.
Cosa stava succedendo?!
Spostò lo sguardo da lei al vecchio imperatore, senza capire.
Nessuno faceva caso a lui: proprio come se fosse invisibile, cieco e sordo.
Zora disse: «Padre! Io devo fare qualcosa! Troverò il modo, ve lo giuro!».
«Certo, Zora, lo so» rispose il vecchio, sempre sorridendo: «Ora raccontami di te, dei tuoi successi. Voglio sapere tutto quanto!».
Zora volle obiettare, ma il vecchio imperatore le mise una mano sulla bocca per farla tacere: «No, Zora. Abbiamo poco tempo e voglio sfruttarlo al massimo. Voglio sapere della tua vita. Sei felice?».
«Sì, padre. Sono felice...» mormorò Zora, che felice non sembrava affatto.
«Raccontami ogni cosa!».
«Ecco, mi hanno promossa primo ufficiale biologa, da quando, due anni fa, siamo finalmente riusciti a trovare il modo di atterrare sul pianeta di cui vi avevo parlato, ricordate? Quello con le grandi riserve d'acqua, su cui non eravamo riusciti a scendere alla spedizione per la tesi di laurea, e al quale ho potuto dare un nome di mia scelta...».
«Evander 315!» esclamò sorridendo l'imperatore.
Zadok alzò di scatto gli occhi sull'imperatore, esterrefatto. Un pianeta portava il nome di Evander?! Perché la principessa aveva voluto dargli proprio quel nome?! Zadok guardò la principessa confuso, ma lei evitò il suo sguardo, e tenne fisso gli occhi sul padre.
Senza accorgersi di nulla, l'imperatore continuò: «Ricordo bene, figlia mia! Sono molto fiero di te: il tuo contributo alla salvezza del nostro mondo è maggiore di quello di qualsiasi altro su questo pianeta. Ma non mi hai mai detto perché hai voluto che il pianeta da te scoperto portasse questo nome...».
«Era il nome di un grande amico, padre. Se non fosse stato per lui, che era il nostro capitano, quel giorno, e per la sua decisione di fare marcia indietro... ora io non sarei qui a parlare con voi. Quel capitano mi ha salvato la vita. E l'ha salvata a Jayden, ad Allen e a tutto l'equipaggio. Ma il giorno stesso della sua laurea, quel capitano che ho così ammirato ed al quale ho voluto bene come ad un fratello è morto, e io non potrò mai dimenticarlo...».
Zadok non riuscì a distogliere gli occhi da lei mentre ascoltava quelle parole che lo ferivano e, al tempo stesso, gli creavano un calore nel cuore cui non sapeva dare un nome.
La situazione gli sembrava surreale, e iniziò a domandarsi se non stesse sognando.
Zora fece una pausa. Poi riprese: «Sono trascorsi dieci anni da allora, e abbiamo impiegato tutto questo tempo soltanto per attrezzare al meglio gli scudi dell'aeronave. Finalmente ci siamo riusciti: siamo scesi su quel pianeta. Ed era proprio come avevo detto io, l'abbiamo trovata: la più grande risorsa d'acqua dolce di tutto l'Impero conosciuto! Occorreranno molti anni prima di poterla sfruttare, ma è una scoperta grandiosa: la migliore degli ultimi cinquant'anni. Mi hanno inserito negli Annales delle grandi scoperte. Con me, sulla mia stessa nave, c'erano anche gli amici di cui ti ho parlato: Allen, Yan... Tutti tranne Jayden, naturalmente: lei non è potuta venire. Ne è molto dispiaciuta, ma è felice per me. E non vi ho detto di Allen: è cambiato. Non è più il ragazzo cocciuto che voi probabilmente ricordate... Ci siamo innamorati... Vorrei tanto potervelo fare conoscere adesso, l'uomo che è diventato. Ma non lo faranno mai venire a trovarvi! E non ci permetteranno mai neppure di stare insieme!».
«Oh, Zora, vedrai che troverete il modo, ne sono certo! Figlia mia, mi hai riportato la gioia! Se sapessi tuo fratello altrettanto felice, potrei finalmente morire in pace. Se potessi togliermi la vita, definitivamente, una volta per tutte, lo farei... Ma la mia morte farebbe salire Vlastamir sul trono e questo... questo non deve accadere!».
«Padre! Padre! Non dovete dire così! Vedrete che risolveremo ogni cosa!».
«Sì, certo, bambina mia. Sei sempre così fiduciosa... Sai nulla di Dalwyn?».
«Purtroppo no, padre. So soltanto che è uscito dalla fortezza quasi due anni fa e che ora è stato mandato il più lontano possibile da Edresia. Non so dove lo abbiano mandato. Ho fatto in tempo a vederlo una volta sola da quando è uscito dalla Fortezza... Era molto felice di vedermi. Non sembrava un endar: era buono, non era come gli altri. Voi lo avete incontrato?».
«Sì, è venuto da me quante volte ha potuto, nel tempo che ha trascorso a corte. Mi ha raccontato molte cose. Mi ha detto che aveva un amico, alla Fortezza, a cui era molto legato. Non mi ha voluto dire il suo nome, ma mi ha raccontato che è stata la sua felicità. Anche lui, dopo tutto, ha avuto un assaggio di felicità, nonostante tutto quello che Vlastamir gli ha fatto passare...! Ma ora vai, bambina mia. La nostra mezz'ora è trascorsa. Se ritarderete, potrebbero aver una scusa per non farti tornare».
«No, padre! Non posso andarmene e lasciarvi così!».
Senza risponderle, il vecchio si rivolse a Zadok: «Endar Zadok, come avete detto di chiamarvi, vorrei che voi portaste fuori mia figlia adesso».
Zadok era svuotato di ogni energia vitale.
Ciò che aveva visto e sentito in quell'intera giornata era stato decisamente troppo, per lui.
Privo di una propria volontà, obbedì alle parole del vecchio imperatore. Prendendo il vassoio con un gesto meccanico, disse a Zora:
«Principessa, ho l'ordine di scortarvi alla vostra stanza. Se volete seguirmi...».
Piangendo, Zora si lasciò portare via dalle braccia del padre. Seguì Zadok fuori della stanza e, anzi, lo precedette giù per le scale.
A metà di quella ripida discesa, però, si bloccò e si girò a guardarlo.
«Voi dovete saperlo» esordì.
Zadok la guardò senza capire.
Lei, con rabbia, continuò: «Voi dovete sapere ciò che gli state facendo! Forse Vlastamir non ve lo ha detto, o forse vi ha detto il contrario! Ma la verità è che, se voi vedete mio padre malato, è solo per colpa del veleno che voi gli porterete ogni sera ed ogni mattina! E se aveste ancora un briciolo di umanità... Se foste ancora l'uomo buono e coraggioso che eravate un tempo e che io ammiravo e stimavo con tutta me stessa... Se voi foste ancora Evander, sono certa che non potreste mai avvelenare consapevolmente il vostro imperatore, o un qualsiasi essere umano, solo perché vi è stato ordinato da un uomo privo di scrupoli e di buoni sentimenti, malvagio fino al punto di uccidere suo padre! Se le mie parole non hanno alcun significato per voi, allora dimenticatele come sapete fare così bene. Ma, se ne hanno uno, allora pensateci. Vi chiedo solo questo!».
Nel dir così, Zora, senza attendere una risposta, si diresse verso l'uscita. Zadok la seguì.
Non sapeva cosa pensare di ciò che aveva visto e sentito: non aveva capito quello che era successo. Non riusciva a ragionare lucidamente.
Si sentiva stretto fra due fuochi, e non sapeva da quale fosse meglio lasciarsi bruciare.
Chi aveva ragione?
Lady Zora o Yvnhal?
Vlastamir o l'imperatore padre?
Era vero che lo stavano avvelenando o quella era solo una medicina? Avrebbe dovuto continuare a somministrargliela con il rischio di avvelenarlo, oppure avrebbe dovuto smettere con il rischio di lasciarlo morire di malattia?
Zadok era stato subito propenso a credere all'imperatore, ma poi aveva ricordato che era malato e pazzo, in preda ad allucinazioni. Poteva aver distorto la realtà nella sua mente fino al punto di credere suo figlio Vlastamir capace di avvelenarlo. E, se davvero Vlastamir voleva la sua morte, perché lo aveva tenuto in vita così a lungo?
Zadok non riusciva a darsi una risposta.
Scortò Zora alla sua stanza in silenzio.
Zora vi entrò senza girarsi neppure.
Quella sera stessa, meno di tre ore dopo, avrebbero dovuto rincontrarsi al ricevimento indetto in onore del ritorno della principessa.
Ma con quale coraggio Zadok avrebbe potuto guardarla e parlarle?
Zadok tornò nella sua stanza e desiderò ardentemente avere almeno una di quelle pillole che Mida gli aveva negato.
Si rimise a fissare la finestra, sperando di schiarirsi le idee.
Ma quando tre ore dopo fu uscito dalla sua stanza, aveva le idee, se possibile, ancor più confuse di prima.
Appena si richiuse la porta alle spalle, vide di fronte a sé Jayden insieme a Zora. Si erano fermate vedendolo uscire e lo stavano fissando, entrambe con gli occhi arrossati dal pianto. Lo ignorarono e lo precedettero verso la sala del banchetto.
Zadok tentò invano di fermarle. Una parte di lui desiderava ardentemente far loro delle domande. L'altra parte, però voleva negare ogni cosa e dimenticare.
Per il momento, lasciò che vincesse la seconda.
Solo così credeva che avrebbe potuto far fronte alla serata che si prospettava assai lunga e difficile.
Quando entrò nella sala del banchetto, dietro alle due principesse, si ritrovò di fronte una marea di persone e quella vista gli fece venire un malessere alla bocca dello stomaco.
Yvnhal lo raggiunse subito e, naturalmente, pensò di presentargli i nuovi arrivati.
Lo prese per un braccio dicendogli sottovoce: «Venite, Zadok: venite a conoscere gli amici ribelli della principessa Jayden».
E mentre lo diceva, Yvnhal lo trascinava dietro di sé senza rendersi conto che Zadok avrebbe desiderato essere lasciato in pace fermo dov'era.
Yvnhal si arrestò soltanto quando ebbe di fronte coloro che voleva presentargli.
Zadok guardò quel piccolo gruppo di persone dapprima con occhi pieni di stanchezza, appannati e quasi ciechi. Poi, con occhi sgranati dalla sorpresa, come allucinati. Ognuna di quelle facce gli sembrò familiare. Ognuna fece scattare in lui un flashback.
Yvnhal glieli presentò uno per uno:
«End Zadok, vi presento la principessa Zora, sorella del nostro imperatore Vlastamir. E accanto a lei c'è Allen Kilik Valt, generale delle truppe aerospaziali. Questo invece è suo padre, Lord Kaleb Valt, preside dell'Accademia Aeronavale. Infine, il medico di bordo, Yan Jay Jano. Voi già conoscete Lord Cassian Fang, padre della nostra futura imperatrice Jayden. Signori e signore, vi presento il mio futuro successore, End Zadok, La Fenice».
Lord Cassian annuì con tono serio: «Sì, ho già avuto questo piacere».
Ognuno si voltò a fissare Zadok con un'espressione fredda e piena di odio. Ma su due di loro un'ombra passò veloce: Yan e Kaleb.
Entrambi lo fissarono con un'espressione di intensa tristezza: lo stesso sguardo che Zadok vedeva negli occhi di Jayden e di Zora quando lo guardavano.
Zadok comprese che anche loro lo avevano identificato come l'endar che aveva preso il posto di questo Evander che, a quanto sembrava, era un estraneo soltanto per lui. Distolse veloce lo sguardo da loro, ma sentì i loro occhi puntati addosso.
Con voce priva di espressione, disse: «Felice di conoscervi».
Allen fu il primo a parlare, con una rabbia che non riuscì a nascondere: «La vostra fama vi precede, futuro successore di End Yvnhal. Abbiamo visto le vostre imprese in diretta. Inutile dire che non c'è uomo del popolo che non vi conosca per nome».
Lord Kaleb guardò il figlio scuotendo la testa. Ma né lui, né Yan, né Zora dissero altro. Continuarono invece a fissarlo con un'espressione che mise Zadok molto a disagio.
«Se volete scusarmi...». Chinò appena il capo e si allontanò da loro il più possibile. Yvnhal lo seguì e gli diede una pacca sulla spalla: «Ve l'ho detto, che sono dei ribelli. Niente di più naturale, la freddezza con cui vi hanno salutato alla notizia che sarete il mio successore. Non fateci caso, Zadok. Dovrete abituarvi a quell'espressione negli occhi di coloro che vi guarderanno quando sarete al mio posto. Fidatevi di me. Dopo domani annuncerò che vi ho scelto come mio successore in una cerimonia in vostro onore e allora vedrete, se quel che vi dico è vero».
Zadok pensò che dovesse aver ragione: Yvnhal era, in fondo, il suo mentore, l'unico di cui potesse davvero fidarsi. Ma aveva bisogno di risposte e avrebbe cercato di trovarle a tutti i costi.
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