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34. Mi riconoscete?

Zadok

Lentamente, Jayden si svegliò.

La bocca era impastata del dolce sapore di visioni meravigliose, che la avevano cullata per tutta la notte.

I suoi occhi pieni di sonno si aprirono sul volto che aveva popolato i suoi sogni.

Le sue labbra si tesero in un dolce sorriso: Evander era proprio accanto a lei.

Nel vedere quel sorriso, Zadok si sentì smarrito. Aveva dimenticato che le pillole, oltre a provocare vuoti di memoria, concedevano a chi le assumeva parecchie ore di serenità in cui ogni incubo veniva trasformato in un bel sogno ed ogni disgrazia era velata da una visione edulcorata, dando l'illusione della più spensierata e soddisfacente felicità.

In quel momento Zadok avrebbe dato qualsiasi cosa perché Jayden fosse immune al loro effetto.

Come poteva dirle ciò che aveva fatto...?

«Evander, tu sei qui...» mormorò lei, dolcemente.

Zadok non si fece sfuggire lo sguardo stupito di Xhen. A quel nome, l'endar aveva alzato lo sguardo su di lui, sorpreso.

Zadok sostenne il suo sguardo per qualche istante, indagando quali pensieri passavano nella mente del giovane veradriano. Non ci riuscì.

Abbassò lo sguardo su Jayden e le disse:

«Principessa Jayden, sono Zadok. Mi riconoscete?».

Jayden socchiuse gli occhi ed inclinò la testa di lato.

Poi, d'improvviso, li sgranò per la confusione. Si sollevò a sedere e si guardò attorno, smarrita. Vide le pareti metalliche modulari del ristretto abitacolo della navetta di salvataggio e, quando le riconobbe, mormorò:

«Cosa ci faccio qui? Che cosa è accaduto? Io... non ricordo...».

Zadok alzò lo sguardo su Xhen, nella vana speranza che quest'ultimo subentrasse al suo compito di rivelare alla principessa ciò che era accaduto, ma comprese che End Xhen non aveva alcuna intenzione di parlare per primo, questa volta.

Negli occhi confusi di Jayden, Zadok vide che l'effetto delle pillole non era ancora svanito: invece di essere spaventata, Jayden era solamente confusa.

«Principessa...» disse: «Devo darvi una notizia che vi farà soffrire molto...».

Jayden lo guardò senza capire.

«Come avrete intuito, ci troviamo all'interno di una navetta di salvataggio. La nave ha subito un'avaria e...» iniziò Zadok, con amarezza. Ma Jayden non lo lasciò concludere e disse:

«Non capisco. Io ero sulla nave mercantile, con mio padre. Cosa ci fate voi qui?».

«Principessa, è proprio a proposito di vostro padre, che devo parlarvi».

Jayden scosse la testa, aggrottando le sopracciglia.

«Fatemi parlare con lui» ripeté.

Zadok aprì bocca per risponderle, ma le parole gli vennero a mancare. Lei si guardò attorno alla ricerca di suo padre. Il suo sguardo vagò lentamente per tutta la piccola navetta, si soffermò sulla cabina di pilotaggio rimasta aperta, sul sedile del pilota, sul sistema di comando, sui grandi schermi, sul piccolo oblò, sulla porta mimetica che apriva sui servizi igienici, su quella più grande che chiudeva l'entrata, sul volto di End Xhen, sugli elmi dei due endar abbandonati in un angolo, sui sei sedili richiudibili dei passeggeri e, infine, si fermò su Zadok.

Quest'ultimo sostenne il suo sguardo e lei iniziò a comprendere che qualcosa di grave era accaduto.

«Zadok...» mormorò «Vi prego... ditemi dove si trova mio padre».

Zadok non dovette fingere: il suo dolore era reale ed era aggravato dal senso di colpa.

«Mi dispiace molto, principessa, ma vostro padre non ce l'ha fatta. L'esplosione era troppo vicina alla sua cabina».

Le labbra di Zadok tremarono nel pronunciare quelle parole. Quale compito ingrato gli era toccato: avvertire Jayden della morte di suo padre, che lui stesso aveva ucciso.

L'effetto della pillola non fu sufficiente ad attutire il colpo.

I sogni di Jayden furono sostituiti da un incubo oscuro e terrificante.

Nel panico, Jayden iniziò a respirare a fatica. Il cuore le batteva nel petto con un suono sordo che le rimbombava nelle orecchie, mentre ai suoi occhi appannati la figura di Zadok tornava ad assumere tutto l'aspetto del nemico.

«Io... non vi credo» sussurrò a denti stretti, dopo qualche istante, cercando di calmarsi. Il suo tono era duro e pieno di odio. La sua voce era spezzata da lacrime che non volevano manifestarsi. «Voi mentite» aggiunse.

Zadok non osò risponderle. Voleva darle il tempo di prendere atto di quella tragedia ed accettare la realtà.

E, mentre leggeva negli occhi di lei quella sofferenza così profonda comprese che lui non conosceva affatto il vero dolore. E neppure l'amore.

Era lì, con un ginocchio a terra, al fianco di quella donna, e non poté impedirsi di provare compassione per lei e di soffrire per le sue lacrime. Desiderò essersi ribellato agli ordini di Yvnhal: ora le lacrime di Jayden sarebbero state di gioia, non di lutto. E lui avrebbe avuto il merito di quelle lacrime, così come ora ne aveva la colpa.

Ma le parole che lei pronunciò l'istante successivo lo ferirono profondamente:

«Voi lo avete lasciato morire! Avreste dovuto portarlo in salvo! Avreste dovuto morire voi, non lui!».

Dopo un istante, Zadok mormorò:

«Lord Fang mi ha chiesto di portarvi in salvo. Ho dovuto fare una scelta. Ho affidato vostro padre ad End Maveet: come vedete, neppure lui ce l'ha fatta».

«Come lo sapete? Li avete visti morire?» ribatté lei, tra la disperazione e la rabbia. Nell'impeto, gli afferrò un braccio.

Zadok lasciò cadere il suo sguardo su quella mano delicata e tremante che lo aveva afferrato come ad implorare la verità, e non ebbe il coraggio di mentire.

«No» mormorò, pur sapendo che Xhen disapprovava quella sincerità e che la avrebbe certamente riferita alle orecchie sospettose di Yvnhal.

«Allora potrebbero ancora essersi salvati!» esclamò lei.

L'ultima speranza le bagnò gli occhi, che fino a quel momento erano rimasti asciutti.

Zadok non rispose.

Non osò toglierle quella speranza, ma, anzi, la condivise. Avrebbe davvero voluto che Lord Fang fosse vivo. E non solo per sollevare la propria coscienza, ma, piuttosto, per sollevare il petto di Jayden da quel dolore.

Tuttavia, non poteva mostrarsi compassionevole di fronte a End Xhen. Quest'ultimo osservava il suo capitano e la sua principessa e li ascoltava parlare con gli occhi e le orecchie di una spia di Yvnhal. E Zadok sapeva che nulla sfuggiva a quel giovane endar così fedele: solo la fedeltà agli endar poteva renderlo cieco e sordo.

Di scatto, Zadok si alzò in piedi e diede le spalle a Jayden.

Non riusciva a sopportare più a lungo il suo sguardo e il suo contatto.

Avrebbe voluto fuggire, ma non c'era modo di farlo: l'angusto abitacolo della navetta gli si chiudeva attorno, negandogli ogni via di fuga, obbligando lui e Jayden ad una vicinanza quasi intima.

Cercò un motivo per giustificare il proprio scatto e, per fortuna lo trovò subito: i suoi occhi caddero sul piccolo oblò che metteva sul nero universo. Si ricordò che erano fermi, a galleggiare nel nulla dell'infinito.

Attese qualche istante, prima di parlare, sperando che la propria voce non avesse registrato il tormento interiore.

Fortunatamente, quando parlò, essa era ferma e autoritaria:

«Xhen, vedete cosa riuscite a fare per far muovere la navetta».

Zadok continuò a dare le spalle ad entrambi, pensieroso.

Xhen rispose immediatamente all'ordine del suo capitano: si diresse verso i comandi dell'astronave e li osservò a lungo, prima di comprendere, grazie alla basica interfaccia con cui la navetta comunicava con i suoi abitanti, che i loro problemi non si limitavano allo scetticismo di Jayden.

«Capitano! Abbiamo un problema! Anzi, ne abbiamo due! Enormi!» gridò, quasi senza rendersene conto.

Zadok si girò verso di lui, sorpreso da quel tono spaventato che rasentava la disperazione.

«Parlate, Xhen».

«Qui c'è una spia rossa che dice che l'ossigeno è in riserva ed un avviso ad intermittenza che dice che il pilota automatico non funziona! Che cosa facciamo adesso?» esclamò Xhen, in preda ad una gran agitazione.

Jayden si sollevò di scatto a quelle parole, come volesse andare in aiuto di Xhen, poi parve ripensarci e rimase al suo posto, mantenendo un sacro silenzio ed incrociando le braccia sul petto, senza degnare i due endar di uno sguardo.

Zadok comprese che avevano perso anche troppo tempo e che le ore d'aria dentro a quella piccola e vecchia navetta avrebbero potuto finire presto. Forse non sarebbero neppure bastate per tornare ad Edresia.

«Cercate di calmarvi, Xhen. Troveremo una soluzione» disse Zadok.

«Ma quale, capitano?! Non possiamo comunicare con la stazione, e non abbiamo un pilota a bordo: siamo spacciati!». Xhen non si preoccupava più di nascondere la propria paura: il panico che lo aveva attanagliato era manifesto. D'altronde, tutti gli endar, si diceva, avevano paura dello Spazio e non sapevano assolutamente nulla di astronavi.

Xhen sproloquiava frasi senza significato, terrorizzato.

«Tacete e fatemi pensare un momento» gli ordinò seccato Zadok, con un gesto nervoso della mano.

Stava cercando di trovare una soluzione e quel brusio ansioso di sottofondo gli impediva di ragionare.

Xhen tacque immediatamente, speranzoso che il capitano riuscisse a risolvere il problema.

Zadok osservò i comandi con grande attenzione ed a lungo.

Poi, gli cadde lo sguardo su Jayden e la vide in quell'atteggiamento ostinato e noncurante, che gli parve piuttosto strano.

Ebbe un'illuminazione.

«Lady Jayden, voi avete qualche nozione su come si pilota un'astronave?» le chiese, con uno sguardo indagatore: aveva la sensazione che lei sapesse molto più degli endar sulle astronavi.

«Io? Perché lo pensate?» chiese lei, con uno sguardo di ingenua sorpresa che non riuscì a convincerlo del tutto.

Zadok comprese che, se Jayden sapeva pilotare una nave, per qualche motivo aveva scelto di non aiutarli. Non capiva perché lei si ostinasse in quel modo: Jayden doveva aver compreso che rischiavano la morte, tutti e tre.

«Ve lo chiedo per vagliare tutte le opzioni. Allora, ne avete?» chiese ancora Zadok, fingendo di non aver notato quel suo riserbo, per non insospettirla.

«Dove siamo diretti?» chiese lei, senza rispondere alla domanda. La sensazione nel cuore di Zadok si fece più forte.

«A Edresia, naturalmente» rispose lentamente: «Le provviste che dovevamo portare a Tridia sono andate perse nell'esplosione. Non c'è più motivo di recarsi fin là. Rispondete alla domanda, principessa».

«Ma dobbiamo avvisare l'Accademia della perdita delle risorse!» ribatté lei, ignorando nuovamente la domanda.

«L'accademia sarà avvisata a tempo debito. Ora dobbiamo tornare ad Edresia. Allora, volete dirci se...».

«Ma prima dobbiamo cercare mio padre» lo interruppe lei.

«Vostro padre...? Ma vi ho già detto che...».

«Mi avete detto che non lo avete visto morire. Dobbiamo cercarlo. Forse è riuscito a farsi espellere dalla nave prima dell'esplosione su una capsula di salvataggio».

«Capsula di salvataggio... Intendete dire quelle capsule che vanno alla deriva nello spazio e non possono neppure essere pilotate?».

«Proprio quelle. E se mio padre si trova su una di quelle, noi dobbiamo cercarlo!».

«Principessa Jayden, ascoltatemi bene. Non è stata espulsa nessuna capsula di salvataggio e le navette che sono partite dall'astronave erano solamente due. Una è la nostra, l'altra è quella dell'equipaggio. Vostro padre è morto».

«Come fate ad esserne tanto sicuro?».

«Il Thoraken ci permette di monitorare la situazione sotto diversi punti di vista: ho controllato. Un istante prima che la nave esplodesse, il thoraken non rilevava alcuna forma vivente a bordo».

«Quindi potrebbe essere fuggito prima».

«E come, principessa? Siate realista: non può essersi messo a camminare per lo Spazio, non credete?».

Jayden lo guardò sgranando gli occhi, ferita dal suo tono sarcastico.

«Non parlatemi così, Zadok! Voi non avete né cuore né sensibilità!».

Zadok si pentì di ciò che aveva detto. Si inginocchiò di nuovo a terra a fianco a lei, per guardarla negli occhi:

«Perdonate, Jayden. Non voglio infierire sulla vostra perdita. Rispetto il vostro dolore. Ma voi state mettendo a rischio la vostra e la nostra vita. Cercate di ragionare, principessa! Questa navicella presto finirà l'ossigeno. Volete morire qui, in mezzo al nulla, in compagnia di due endar che odiate, solo perché avete l'assurda convinzione che vostro padre debba essere ancora vivo? E non pensate a lui? É morto perché voi vi salvaste. E voi gettate al vento la vita per la quale egli ha dato la sua».

Xhen, che incominciava a diventare impaziente, li interruppe:

«Capitano, non abbiamo molto tempo! L'ossigeno sarà in riserva molto prima che noi raggiungiamo il satellite di Amaria: lo dice questa spia rossa».

Zadok annuì: «Lo so, Xhen. L'ho vista anche io», poi tornò a Jayden: «Allora, principessa, volete finalmente rispondere alla mia domanda? Avete o non avete nozioni su come pilotare un'astronave?».

«Volete cercare mio padre?».

«No».

«Ebbene, non ne ho nessuna» dichiarò infine Jayden, alzando le spalle.

Zadok non ne fu per nulla convinto. La guardò aggrottando le sopracciglia: «Siete... siete proprio sicura di non saper pilotare una nave?».

«Perché pensate che dovrei saperlo fare?» rispose lei. Era una domanda retorica.

«Eppure, credevo...» mormorò Zadok, confuso.

«Che cosa?» incalzò lei. Zadok notò l'agitazione di Jayden, ma non la comprese.

Perché mentiva in quel modo? Solo perché voleva che cercassero suo padre? Poteva davvero essere così testarda da morire se non riusciva ad ottenere ciò che voleva? No, non aveva alcun senso. Forse era vero: lei non sapeva davvero nulla più di loro sulle astronavi.

«No, devo essermi sbagliato» scosse la testa.

«Su cosa?» incalzò di nuovo Jayden, con lo stesso tono di prima ed un luccichio negli occhi.

«Non so per quale motivo, ma ero certo che voi sapeste farlo».

Lei attese un momento prima di rispondergli.

A Zadok parve di vedere un sorriso incresparle leggermente le labbra. Ma forse era solo un'illusione.

Jayden gli rispose: «Invece, non so nulla di astronavi. Dovrete cavarvela da soli».

«Jayden, voi dimenticate che su questa navetta, a rischiare la vita, ci siete anche voi!» rispose Zadok, seccato da quella testardaggine.

Jayden alzò le spalle, con noncuranza: «Ho già accettato il mio destino molto tempo fa. Come vi ho già detto una volta, capitano Zadok, la vostra vita è una tomba e lo è anche la mia».

«Accettate di morire senza fare neppure un tentativo?» chiese lui, sorpreso.

«Certamente. Ad Edresia mi aspetta solo una vita da prigioniera al fianco del vostro amato reggente: sono ben felice di porle fine prima che inizi! Preferirei morire qui mille volte piuttosto che sposare quell'essere dall'aspetto deforme e dall'anima putrefatta!».

Zadok si morse la lingua per non ribattere. Dopo qualche istante, si rialzò e dichiarò, determinato:

«Ebbene, allora, lo farò io».

«Che cosa?!» esclamò sconcertata Jayden.

«Piloterò io questa navicella ad Edresia» ripeté lui, sempre più determinato.

«Come, capitano?! Voi sapete pilotare una nave?» esclamò sorpreso Xhen.

Zadok guardò i comandi e li sfiorò con una mano, leggendo le etichette che erano scritte su ognuno di essi, poi mormorò:

«No».

«E, allora, come pensate di riuscirci?» chiese Xhen, preoccupato.

«Non lo so. Ma tenterò lo stesso».

Zadok si sedette sulla poltrona girevole del pilota. Osservò l'interfaccia e le spie rosse intermittenti che segnalavano il malfunzionamento del pilota automatico e l'approssimarsi dell'ossigeno al livello critico.

Per un momento, gli prese un senso di panico. Lui non aveva idea di cosa fare: non sapeva a cosa servissero tutti quei cursori, quei pulsanti e quelle leve! Cosa avrebbe fatto? Non era forse più rischioso, quel suo tentare a caso? Avrebbe potuto commettere qualche errore che avrebbe segnato la loro fine.

Poi alzò lo sguardo sullo schermo che dava sullo Spazio.

Il suo sguardo si perse in quelle tenebre infinite costellate di piccoli punti luminosi e, all'improvviso, il panico cessò. Si sentì infondere di un senso di potenza nuovo, che non aveva mai provato prima. Nonostante la situazione, si sentiva perfettamente calmo e lucido. Persino... felice.

Tornò a guardare i comandi di fronte a lui e, ad uno ad uno, essi iniziarono ad acquisire un senso: Zadok comprendeva la gerarchia fra quei comandi, intuiva il valore di quei cursori, immaginava la funzione di quelle leve.

Sì, poteva riuscirci.

Trattenendo il respiro, si mise all'opera.

Dietro di lui, comprese che anche Xhen e Jayden si erano avvicinati e non si perdevano nessuna sua mossa, col fiato sospeso.

Un rombo li avvisò che i motori si erano messi in moto ed uno scatto in avanti della navicella per poco non buttò a terra l'arciere e la principessa che, curiosi, erano rimasti in piedi accanto al pilota.

Xhen si rimise in equilibrio, esclamando con gioia:

«Capitano! Ce l'avete fatta! La nave si è mossa!».

Zadok, senza staccare gli occhi dalle proprie mani inghiottite nei guanti di pelle nera degli endar che si muovevano esperte fra i comandi, mormorò:

«Questi comandi non mi sembrano difficili. Credo di avere una predisposizione naturale» e, nel dir così, non riuscì a reprimere un sorriso. Quel sorriso stupì lui per primo: non si ricordava di aver mai sorriso da quando aveva memoria.

Jayden, proprio dietro di lui, sussurrò:

«Voi... vi ricordate come si fa?!» la sua voce era emozionata.

«Che cosa intendete, principessa?» chiese Zadok, preoccupato dal proprio sentimento d'estasi, che non comprendeva.

«Nulla. Dimenticate ciò che ho detto» disse lei, scuotendo la testa, ma con un gran sorriso. Pur non guardandola, Zadok notò quel sorriso: esso si era riflesso negli schermi di fronte a lui.

«Complimenti capitano! Siete davvero un ottimo pilota!» Xhen batté le mani, sollevato e felice. Aveva ridimensionato la sua stima di Zadok e lo ammirava ora nel vederlo pilotare un'aeronave, più di quanto non lo avesse ammirato in passato nel vederlo combattere, organizzare condanne a morte o torturare i ribelli per estirpar informazioni. In fondo, queste cose erano tipiche degli endar: tutti le sapevano fare, chi più chi meno, ma pilotare un'astronave... nessun endar ne era capace e, soprattutto, nessuno glielo aveva mai insegnato.

Jayden, risentita senza motivo di quell'ammirazione che Xhen non si preoccupava di nascondere, rispose con sarcasmo:

«Finché si tratta di dare una spintarella, sarebbero capaci tutti!».

«Intanto, ci siamo mossi. E non certo grazie a voi!» ribatté Xhen, offeso, con l'intenzione di difendere il proprio capitano.

«Vedrete cosa succederà se finiamo in un campo di asteroidi!» esclamò Jayden, sempre più arrabbiata.

Zadok non si lasciò mettere in soggezione: «Farò del mio meglio anche in quel caso» rispose.

«Ecco! Avete sentito, principessa?!» esclamò Xhen, con trionfo.

«Non avete idea di cosa significhi atterrare con uno di questi trabiccoli!» dichiarò Jayden, alzando le spalle.

Xhen avrebbe voluto ribattere, ma, questa volta, Zadok fu più veloce: si girò con gli occhi socchiusi in uno sguardo indagatore e chiese: «E voi, invece, Jayden? Voi ne avete un'idea?».

Jayden fece un veloce passo indietro, in modo che la sua immagine non si riflettesse più sugli schermi.

Poi disse: «Vi dicevo solo di non farvi illusioni».

«Non ne ho nessuna. Andate a riposarvi e lasciate che mi concentri sui comandi».

Sorpreso di quella obbedienza che non si sarebbe mai aspettato, Zadok vide la principessa annuire ed andarsene.

Xhen, invece, rimase accanto a lui.

Ma Zadok gli ordinò di vegliare su di lei e questi fu costretto a lasciare il posto al suo fianco, a malincuore.

Zadok aveva il timore che Jayden stesse nascondendo qualcosa, ma non poteva occuparsene di persona perché doveva stare dietro ai comandi.

Passarono tre ore, che Zadok trascorse torturato da pensieri che non volevano dargli tregua.

Dopo un po', incominciò a sentirsi stanco, colto da una pesante sonnolenza.

Per poco non sussultò, spaventato, quando la voce di Jayden sussurrò accanto a lui:

«Zadok, come sono arrivata su questa navicella senza rendermene conto?».

Non si era accorto della sua presenza: Jayden si era avvicinata silenziosamente e si era seduta al suo fianco.

Zadok aspettò un momento, prima di risponderle, raccogliendo a sé tutte le proprie energie, che pareva si fossero dileguate.

«Eravate addormentata» disse poi, guardando fisso davanti a sé.

«Mi avete portata voi?» chiese lei, sorpresa.

«Sì».

Jayden tacque un istante, poi disse:

«Io non ho il sonno così pesante. E non ho neppure preso una botta in testa, da perder conoscenza in quel modo. Se voi... mi aveste anche solo toccata, io mi sarei svegliata subito».

«La vostra cabina mancava di ossigeno, avevate... perso conoscenza» Zadok parlò lentamente: ogni parola gli usciva a fatica, sentì che gli occhi gli si chiudevano, suo malgrado.

Jayden lo guardò diffidente:

«E voi non avete sofferto la mancanza di ossigeno?».

«Dimenticate... che sono un endar... e noi endar... abbiamo molte risorse tecnologiche dalla nostra parte».

«Forse è come dite voi, ma non ne sono convinta».

Zadok non rispose. Si sentiva debole, affaticato. Non ne capiva il motivo. «Che cosa... mi succede?».

Lei ignorò quella domanda, e gli disse: «Sapete, c'è una cosa che continuo a chiedermi. Come ho fatto a dimenticarmi in blocco tutta la giornata di ieri?».

Zadok trasse un profondo respiro: faceva fatica a parlare. Si sentiva il cervello annebbiato. «Deve... essere stato... il trauma» mormorò, debolmente.

«No, Zadok. La mia memoria funziona alla perfezione, non è come la vostra, che dimentica a comando. Voi mi nascondete qualcosa» disse lei, con voce ferma.

Zadok ne fu sorpreso. Jayden sembrava stare benissimo, mentre lui sentiva che il respiro veniva a mancargli, gli occhi gli si chiudevano per effetto di un'improvvisa stanchezza.

«Io.. non... che cosa... mi avete... fatto, Jayden?».

Zadok perse conoscenza.

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