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19. Gli occhi dell'angoscia


Zadok

I posti dove svolgere la ronda notturna venivano scelti ogni sera secondo un criterio casuale, ma quella volta fu Yvnhal in persona a scegliere il luogo dove Zadok avrebbe eseguito le prime esecuzioni di persona, ovvero un piccolo villaggio di contadini ai piedi della Notte Verde, l'antica foresta nel cui cuore sorgeva il Monastero delle Aquile.

Nei pressi del villaggio, c'era già da tempo un piccolo avamposto endar, dove Yvnhal voleva recarsi per verificare che gli uomini svolgessero al meglio i loro compiti.

Quello stesso pomeriggio Yvnhal, seguito da End Mida, End Sept, Zadok e pochi altri, giunse all'avamposto e vi fece irruzione senza preavviso.

Zadok non aveva mai visto un gruppo di endar così svogliati, pigri ed oziosi. Erano talmente privi di decoro, che alcuni di loro non avevano indossato l'intera divisa, o non si erano rasati i capelli, facendoli crescere in modo selvaggio. Tutto appariva trasandato e in disordine.

Zadok ne fu disgustato, ma vide che Yvnhal non ne era per nulla sorpreso.

End Sept, invece, condivideva forse per la prima volta lo stesso stato d'animo di Zadok. Con evidente disprezzo, sputò a terra e sibilò: «Questi non sono endar. Sono animali!».

«La colpa dell'ozio degli uomini va cercata nel loro comandante» ribatté Zadok.

Dopo la mattina del colloquio, fra Il Serpente Albino e La Fenice si era instaurato un rapporto teso e conflittuale, ed entrambi ribattevano a qualsiasi cosa l'altro facesse o dicesse.

Con grande disappunto di Zadok, Il Ragno non tentò affatto di riportare l'ordine nell'avamposto. Non chiese neppure di parlare con il responsabile dell'accampamento, ma, anzi, appena arrivato si fece subito pulire e sistemare un alloggio dove permanere temporaneamente per quel giorno e quella notte. Appena l'alloggio fu pronto, Yvnhal vi si ritirò e vi ricevette Zadok ed End Sept.

«Serpente, fate rimettere in ordine questo avamposto» disse, quando tutti e tre furono finalmente in un ambiente pulito e ordinato.

End Sept, con un'espressione mista di disgusto e piacere, rispose: «Lo farò splendere come uno specchio, capitano».

Con un gran sollievo, Zadok lo guardò uscire. Vederlo scomparire dalla sua visuale gli faceva sempre quell'effetto.

Anche se dubitava della giustizia dei mezzi che Il Serpente avrebbe impiegato per ripulire l'avamposto, era certo che il risultato sarebbe stato eccellente.

Ma appena End Sept mise piede fuori dalla porta, Yvnhal lo fermò:

«Un momento, Sept. Prima di mettere questi uomini sotto torchio, fate venire da me il principe» disse.

End Sept annuì ed uscì.

Zadok guardò il capitano, sorpreso.

«Capitano, avete detto che in questo avamposto c'è un principe?!» chiese, sconcertato.

«Sì, l'ho detto» rispose Yvnhal.

Zadok scosse la testa, senza capire. Non riuscì a tacere.

«Ma questo non è un posto adatto ad un principe. Neppure un contadino riuscirebbe a vivere in questo porcile...» disse, indicandosi attorno con disprezzo.

Yvnhal lo guardò un momento senza rispondere. Lo fissava con quella sua espressione indagatrice che non prometteva mai nulla di buono.

Zadok comprese di aver fatto un'osservazione di troppo.

Yvnhal gli disse: «Zadok, forse volete raggiungere End Sept ed aiutarlo a dare una ripulita».

Zadok annuì. Capì d'esser stato congedato.

Si alzò ed andò verso l'uscita, ma non fece in tempo.

Un endar entrò in quel momento dalla porta e lo urtò in pieno.

Prima ancora di alzare gli occhi su colui che aveva scontrato, l'endar esclamò: «Perdonate, signore! Non vi avevo visto!».

In quel momento, sollevò lo sguardo su Zadok e sul suo volto si dipinse la sorpresa.

Mormorò: «Zadok...!» con un tono pieno di tristezza.

Poi si zittì, ma continuò a fissarlo con la stessa immutata espressione di sgomento.

Zadok lo guardò sconcertato.

Come faceva quell'endar a ricordare il suo nome e, soprattutto, perché sembrava così negativamente sorpreso nel vederlo?L'animale totemico dell'endar era un falco. Il suo volto gli sembrava familiare, ma non ricordava dove lo avesse già visto.

Prima che Zadok potesse rispondere al nuovo venuto o fare domande, con un gesto della mano, Yvnhal ordinò:

«Andate, Fenice. E voi, venite qui: scambiamo due parole».

L'endar annuì: «Sono subito da voi, capitano Yvnhal».

Poi, rivolto a Zadok, aggiunse: «Scusate l'inconveniente. Perdonate la mia disattenzione: non si ripeterà».

Nel dir così, l'endar gli lanciò un'ultima occhiata, in cui Zadok credette di leggere un fondo di rancore. Ma era stato congedato e doveva andarsene, senza poter indagare oltre.

Nell'uscire, Zadok ebbe un'illuminazione.

Il principe che Yvnhal stava aspettando doveva essere Dalwyn, il fratello del reggente che era stato portato alla Fortezza di Confine quando aveva cinque anni e che, quindi, ora doveva essere uno degli endar di quell'avamposto disorganizzato e dimenticato dall'Impero.

Probabilmente il principe si era rivelato un endar piuttosto privo di capacità e quindi era stato inviato lì, dove sembravano concentrarsi gli scarti della Fortezza, ovvero tutti quegli endar con i quali l'addestramento aveva fallito.

Zadok si chiese se la loro visita all'avamposto non avesse come scopo proprio quello di incontrare il principe, piuttosto che quello di salvare quegli endar senza speranza. Era evidente, infatti, che qualsiasi cosa End Sept avesse fatto per dare a loro ed al loro accampamento una parvenza di decoro era di fatto inutile, perché entro un mese tutto sarebbe tornato come prima, se non peggio.

Zadok decise di allontanarsi il più possibile da tutto.

Come faceva ormai sempre più spesso, si diresse verso la Notte Verde. La foresta, col suo silenzio e le sue fronde scure ed angoscianti, sembrava dare forma ai suoi incubi muti.

Dopo circa un'ora, fu raggiunto dallo stesso endar che era entrato nell'alloggio di Yvnhal mentre lui ne usciva.

Quest'ultimo interruppe i suoi pensieri:

«La Notte Verde ha un fascino potente su alcuni endar. Sospetto, anzi, che ne abbia in particolar modo su quelli di noi che sono tormentati da incubi oscuri e ricorrenti».

Zadok non rispose. Lo guardò un momento in silenzio, poi chiese: «Come sapete il mio nome?».

«Vi ho incontrato alla Fortezza di Confine».

«Non me lo ricordo».

«Oltre agli incubi, noi endar abbiamo anche molti vuoti di memoria» disse l'altro, alzando le spalle.

Zadok, per la seconda volta, non rispose.

Quell'endar non aveva paura di dichiarare di fronte a lui, braccio destro del capitano, di avere incubi ricorrenti e persino vuoti di memoria. Si irrigidì.

«Chi siete?» chiese.

«E anche se vi dicessi il mio nome, cosa cambierebbe?».

Zadok lo guardò sorpreso. Non osò ribattere.

Era vero: un nome tra gli endar non aveva alcun significato.

«Da quanto siete uscito dalla Fortezza?» gli chiese.

«Da poco più di un anno. E voi da pochi mesi, non è vero?».

Zadok lo guardò sorpreso: «Come lo sapete?».

«Non è un mistero. Il vostro nome ha fatto il giro dell'Impero».

Zadok annuì: «Lo so».

«Cos'è che vi tormenta?».

«Cosa volete insinuare...?».

«Non è difficile da capire. Siete stato a fissare la foresta per un tempo interminabile. Solo chi l'angoscia ce l'ha dentro, può fissarla così a lungo negli occhi. E gli occhi di questa foresta sono i più angoscianti che io abbia mai visto».

«Ciò che dite non ha senso» rispose Zadok, tornando a fissare la foresta.

«Questo dipende dai punti di vista» rispose l'endar al suo fianco, seguendo il suo sguardo.

«Sapete, voi un giorno, alla fortezza, mi avete confidato una cosa che forse non ricordate...» disse dopo un momento, con tono agitato.

Zadok lo guardò confuso.

Stava per chiedergli una spiegazione, quando furono interrotti niente meno che da End Sept.

Quest'ultimo, veloce e silenzioso come l'animale cui aveva rubato la pelle, era comparso dietro di loro non visto.

Il suo sibilo li riportò entrambi alla realtà: «Zadok, da questo momento ha inizio la vostra totale assuefazione alla morte».

Zadok lo guardò con odio.

Il Serpente aggiunse: «E io sarò la fune che vi trascinerà nell'abisso».

Poi, prima che Zadok potesse ribattere, si rivolse all'endar e gli disse: «E voi, non sperate di concludere questa conversazione al nostro ritorno, perché quando il vostro amico tornerà sarà più endar di quanto lo non sia mai stato».

***


Le loro piccole ombre si allungavano a terra sotto alla luce della luna e gli sfioravano l'orlo del mantello.

Zadok era immobile, in panico.

I due bambini dovevano avere meno di sette anni.

Ed erano là fuori, nella notte. Avevano violato il coprifuoco.

Ma perché? Cosa li aveva spinti fuori dalla soglia di casa, verso le tenebre della Notte Verde?

Zadok li guardava fisso, con gli occhi pieni di paura, leggermente piegato in avanti.

E loro lo ricambiavano con la medesima espressione, immobili, proprio come lui. Non osavano muoversi, perché erano pietrificati dalla paura che lui gli incuteva.

Avrebbe voluto gridare loro di andarsene, fuggire, scomparire nell'ombra: End Sept non aveva fatto in tempo a vederli, avevano ancora una speranza.

Ma la voce non gli usciva.

Con un gesto brusco della mano, fece loro segno di muoversi di lì, e fuggire.

I bambini rimasero inchiodati a terra, continuando a fissarlo.

Zadok fece finta di andare verso di loro, alzando la mano destra che reggeva la spada scintillante sotto l'astro notturno di Veradria.

I bambini, finalmente, sembrarono svegliarsi dal loro incubo e, in preda alla paura, il più grande dei due fratellini trascinò il più piccolo dietro di sé in una folle corsa verso la foresta.

Ma, proprio in quell'istante, End Sept raggiunse Zadok.

La pelle liscia e bianca dell'albino, tutta dipinta a scaglie, vibrava liquida sotto i raggi lunari.

End Sept si fermò un secondo di fronte a lui, guardandolo fisso negli occhi con un sorriso di trionfo.

In quegli occhi rossi avvolti dalle tenebre, Zadok vide una furiosa sete di sangue impadronirsi del Serpente che, fulmineo, si lanciò all'inseguimento dei due bambini.

Non diede loro alcuno scampo.

Fu veloce ed esatto nei movimenti.

Prima che Zadok potesse riaprire gli occhi, che aveva chiuso per l'orrore, Il Serpente era di ritorno, e stringeva stretti i bambini di fronte a lui, come vittime sacrificali da dare in pasto al mostro.

E il mostro era lui.

Sapeva che Il Serpente non si sarebbe fermato finché lui non li avesse uccisi entrambi.

Ma Zadok non poteva farlo.

Non voleva.

End Sept mormorò: «Avanti, uccidili, endar».

End Sept non si rivolgeva a lui, ma ad una creatura assopita che giaceva dentro di lui, e che, in qualche modo, sembrò rispondere a quel richiamo.

Zadok rimase immobile.

La sua volontà era congelata.

«Se voi non lo farete, lo farò io. Ma sapete che non avrò pietà E sapete anche che, se non è questa, sarà la prossima volta: presto o tardi, voi lo farete».

"No!" gridò Zadok, crollando con le ginocchia a terra, piegato in due da quel conflitto interiore.

Ma il grido riecheggiò solamente nella sua mente: nessun fiato fu emesso dalle sue labbra serrate.

«Non temete, Zadok, questo è solo l'inizio» aggiunse Il Serpente, con un sorriso.

«Perché fate questo?!» gli chiese, sconvolto.

Il Serpente lo guardò con espressione seria: «Vedere come vi auto-distruggete mi dà un incredibile piacere. Siete come un pesce fuori dallo stagno, che si contorce senza speranza, in cerca di qualcosa che non avrà mai. Più resisterete e più a lungo io mi divertirò a guardarvi soffrire».

Quelle parole gli fecero comprendere che non aveva alternativa.

Zadok aveva preso una decisione.

Si alzò lentamente e, con espressione determinata e lugubre, dichiarò:

«Avete vinto, End Sept. Lo farò».

End Sept sorrise di trionfo.

«Ma ad una condizione. Li ucciderò, ma dove voi non potrete essere testimone».

End Sept smise di sorridere.

«Li porterò nella Notte Verde».

«E chi mi assicura che lo farete davvero?» sibilò Il Serpente.

«Vedrete i loro corpi». 

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