1. Tentativo di fuga
Diario di Evander
746° giorno veradriano
Ho deciso che terrò questo diario nella speranza che mi aiuti a conservare lucidità e memoria.
Tenere un diario, ovviamente, non è permesso. Se lo venissero a sapere, non potrei più neppure pormi il problema, perché le mie facoltà mentali non sarebbero più mie, ma loro: me le strapperebbero prima che io faccia in tempo ad accorgermene. Perciò, ho deciso di lasciare una testimonianza scritta.
Spero che chiunque trovi questo diario, lo renda pubblico. Ogni cittadino di Triplania deve sapere che io, Evander, ho fatto tutto quanto era in mio potere affinché gli endar non convertissero il principe Alekym, portando dalla loro parte proprio colui che, secondo la profezia, è destinato a distruggerli.
Vi stupirete di sentirmi parlare di Alekym in terza persona, ma, sebbene questo è il nome che mi fu dato alla nascita, io non posso dimenticare Evander. E non voglio farlo proprio ora che la mia memoria e la mia identità sono in pericolo più che mai.
Ogni giorno di più, sento i ricordi evaporare come lacrime al sole. Quando si saranno polverizzati del tutto, io mi polverizzerò con loro, perché i ricordi sono quel che fa di me ciò che sono. Persa la memoria, avrò perso l'identità. Una volta uscito da queste mura, sarò un estraneo persino per me stesso. Per cui, voglio che un pezzetto di me si salvi, ovvero questo diario.
Sono passati due anni dal mio arrivo, e ho finalmente trovato il materiale per scrivere queste righe, per cui ora cercherò di raccontare i miei primi giorni alla Fortezza di Confine.
Sceso dallo shuttle, camminai nell'ombra dei miei carcerieri. Quella del Minotauro era un'ombra dalla forma diabolica, accentuata dalle due corna che si era fatto impiantare sulla fronte. Io fissavo quelle corna con odio e, a ogni passo, respiravo a fondo, come per fare scorta di aria, cercando di trattenermi dall'impulso di uccidere il mio nemico e fuggire. Sarebbe stato un suicidio. Accanto a me, procedevano la Tigre e la Pantera. Nessuno mi guardava, e io non guardavo loro. Non sapevo neppure quanti endar avessi alle spalle.
Non avevo altro con me, eccetto la divisa dell'Esploratore Capitano, perché ero stato preso il giorno del mio diploma di laurea all'Accademia di Tridia e non mi era stato permesso di portare niente con me, né di salutare nessuno.
Arrivato a destinazione, fui gentilmente invitato a entrare nella mia futura prigione. Finii inghiottito nell'oscurità totale all'interno della Fortezza di Confine. La voce profonda del Minotauro mi sussurrò nel buio: «Procedete, apprendista». E io obbedii. Non sentivo né i suoi passi, né il suo respiro. Se mi stava seguendo, era un toro dal passo felino.
Fu in compagnia dei fantasmi del mio passato, che percorsi il lungo corridoio che mi portò dall'altra parte della Fortezza. Mi parvero ore. A ogni respiro, ripetevo i nomi di tutti coloro che avevo conosciuto nella mia vita, col costante terrore di dimenticarmi qualcuno per sempre, quasi bastasse mettere piede nella Fortezza per perdere la memoria.
Sembra ironico, lo so, ma, non appena fui entrato fra quelle mura, ne uscii: avevo attraversato tutto l'edificio solo per ritrovarmi dall'altra parte, di nuovo all'aperto. Ma non ero affatto più libero di prima. Anzi, ero due volte prigioniero. Prigioniero della fortezza alle mie spalle, e prigioniero della foresta che mi si stendeva di fronte. Ero nella foresta più pericolosa dei tre pianeti, ed avevo buoni motivi per credere che mi avessero lasciato solo a far fronte alle sue insidie. Sotto le sue fronde, il giorno non aveva alcun significato. Non per niente, la chiamano la "Notte Verde".
Soffocando una punta di ironia, mi chiesi perché mi avessero strappato alla mia vita, ai miei amici, al mio brillante futuro da capitano d'astronave... tutto solo per darmi in pasto ai lupi prima ancora di iniziare l'addestramento.
Forse ero ancora sotto esame, e il test di selezione attitudinale non era ancora terminato. Forse volevano esser certi che il mio istinto di sopravvivenza fosse più forte dell'odio palese che nutrivo nei confronti dell'Ordine Marziale degli Endar. Non volevano rischiare che io mi lasciassi morire appena entrato alla Fortezza, sprecando le loro preziose energie su una causa persa. Dovevano assicurarsi che preferissi vivere come endar, piuttosto che morire come Evander.
Un sorriso amaro mi salì involontario alle labbra. Sapevo che, mio malgrado, avrei dato loro ciò che volevano: sarei sopravvissuto a tutti i costi. Non potevo lasciarmi morire, nonostante a momenti lo desiderassi, perché non sono padrone della mia vita. Il simbolo che porto tatuato sul petto è sacro. Devo custodire il mio corpo, per salvare questo marchio che odio.
A poco a poco, i miei occhi si abituarono al buio e le mie narici all'odore muffito che impregnava l'aria. Era un odore familiare. In quel momento, i ricordi sovvennero forti e vividi. Gli stessi ricordi, adesso, sono talmente assopiti dentro di me, che l'odore della foresta non sa più risvegliarli.
Mossi un passo avanti nel buio, e inciampai su qualcosa. Diedi un secondo calcio all'ostacolo e le mie orecchie ne ricavarono un sonoro rimbombo metallico. Mi chinai a tastare l'ingombro e sentii che la superficie era quasi totalmente liscia, con delle protuberanze rettangolari di diverse dimensioni. Lo raccolsi. Era leggero, ed aveva le dimensioni di un braccio umano. Una cavità cilindrica lo attraversava nel centro, per tutta la lunghezza.
Capii senza difficoltà di cosa si trattava: era un thoraken, simile a quello che portano gli endar sul braccio sinistro, ma più rudimentale, e privo di ogni abbellimento o personalizzazione estetica. Vi infilai il braccio e, come avevo previsto, mi si avvinghiò addosso, accendendosi con un suono elettronico e pungendomi una vena per ottenere informazioni dal mio corpo. Era un pagamento in sangue: il thoraken mi dava informazioni, ma ne voleva altre in cambio. Uno schermo all'altezza del polso si illuminò, rivelandomi una lunga serie di parametri, comandi e opzioni.
Mi fece sapere che ero in perfetta salute, che avevo il battito accelerato, e che il campo d'azione in cui mi trovavo aveva un tasso di pericolo molto elevato. Ovvietà che, sul momento, mi fecero quasi ridere.
Accesi l'opzione "torcia" e sospirai, guardandomi attorno. Sì, ero proprio da solo, perso nella Notte Verde.
Poco più avanti, vidi anche l'elmetto che, abbinato al thoraken, raddoppiava le sue funzionalità. Lo presi e lo sistemai sul volto: sembrava fatto su misura per me. Quando la mascherina per il naso e per la bocca era disabilitata, l'elmetto si riduceva in realtà a un visore che copriva solo un occhio, proseguendo per un breve tratto sulla nuca.
L'aver trovato il thoraken mi diede da pensare: se mi avevano fornito quell'equipaggiamento, era chiaro che non mi volevano morto. Ma, al tempo stesso, sapevano che ne avrei avuto assoluto bisogno per sopravvivere. Ciò significava che avevano davvero intenzione di lasciarmi nella foresta da solo, e chissà per quanto tempo.
Ma non sapevano che io non ho paura della Notte Verde. Non potevano neppure immaginare quale ruolo quelle fronde scure hanno avuto durante la mia infanzia. Infatti, la Notte Verde mi ha salvato la vita due volte.
Alcuni di voi lo sospettano già, ma voglio darvene la conferma definitiva: tutta Triplania deve sapere di che razza sono i due uomini che la governano. Io so per certo che i mandanti del tentato omicidio furono Vlastamir, Yvnhal e l'Alto Profeta. Anche se non si sa che fine abbia fatto il terzo, è palese che chi ha guadagnato di più dalla mia scomparsa sono proprio l'imperatore reggente e il capitano supremo degli endar.
In ogni caso, la Notte Verde ha sventato i loro attentati due volte, e io speravo che lo facesse ancora.
Avanzai verso le viscere della foresta. Non volevo fare affidamento sui miei carcerieri: volevo contare solamente su me stesso. Pianificai ogni cosa con precisione, dando sin da subito per scontato che avrei dovuto sopravvivere da solo nella Notte Verde per giorni, se non mesi. Per prima cosa, dovevo studiare tutte le potenzialità del thoraken. Quindi, trovare l'acqua potabile, costruirmi un riparo e, infine, procacciarmi del cibo.
Il thoraken si rivelò un potente alleato: la luce e il fuoco che era capace di produrre avevano un grande potere in una foresta in cui non filtravano mai raggi luminosi. Inoltre, calcolava l'efficacia di ogni mio spostamento, avvisandomi del pericolo in agguato, monitorava i miei parametri vitali, mi forniva strumenti di vario genere, tra cui armi corpo a corpo e armi a distanza. E, soprattutto, mi segnalava ogni fonte acquifera nelle vicinanze. Senza di esso, non avrei avuto alcuna speranza di trovarle, dal momento che si trattava di ruscelli dalla vita breve: affioravano come piccole fontanelle per qualche ora, poi si ricacciavano sottoterra, inafferrabili.
Anche per il riparo non avevo problemi: il thoraken mi forniva persino quello. In pochi istanti, quell'incredibile congegno polivalente costruiva una tenda dalla forma sferica, fatta di pareti modulari composte di microscopiche cellette, che si deformavano alla pressione esterna, mutando sempre forma e tornando elasticamente in posizione iniziale. Da fuori era quasi invisibile, grazie a una superficie riflettente, mentre dentro produceva una fioca luce bianca. Se avevo addosso il thoraken, mi si richiudeva attorno senza lasciare vie di uscita, né vie di entrata. Potevo impostarne la durata massima, raggiunta la quale, le cellette si sarebbero sfaldate per farmi uscire. Di solito, lasciavo che fosse il thoraken a stabilirla in modo automatico, in base alle mie ore di sonno. Aspettavo a produrre la tenda fino a quando ero in cima a un albero: lassù i grandi predatori della foresta sembravano scomparire. Tuttavia, occorrevano ore ed energia per scalare l'intero albero e arrivare a vedere il cielo.
Il cibo abbondava: animali e piante di tutti i tipi vivevano sia alla base degli alberi, sia sul tronco, sia sulla cima. Sapevo riconoscere quelle velenose da quelle commestibili senza problemi. E, in ogni caso, il thoraken lo avrebbe fatto per me. Dopo qualche giorno, mi ero quasi abituato a quella vita, e un'idea rimbalzò insistente fra i miei pensieri. Fuggire.
A differenza di tutti gli altri affiliati endar, io avevo alcuni vantaggi di cui i miei carcerieri non potevano essere al corrente, tutti derivanti dagli insegnamenti del mio padre adottivo, che, in un lontano passato di cui solo io, sua moglie e suo fratello eravamo al corrente, fu un endar, prima di inscenare la propria morte e disertare l'Ordine Marziale. Grazie a lui, io avevo qualche speranza di ingannare i miei nemici. Decisi che avrei messo a frutto i suoi insegnamenti per tentare la fuga.
Ma c'era un grande ostacolo da risolvere: il thoraken era un mio alleato, ma era di loro proprietà. Era impostato in modo che si spegnesse oltre un certa distanza dalla Fortezza. Mi ero spinto più volte oltre quel perimetro, consapevole che, se il thoraken fosse rimasto spento troppo a lungo, gli endar sarebbero venuti a riprendermi e, forse, mi avrebbero trovato morto. Senza dubbio, quel congegno non dava informazioni solo a me, ma anche a loro. Era il loro modo di tenermi sotto controllo.
Dovevo scoprire come sfruttarlo, senza che esso sfruttasse me. Per fortuna, in accademia, avevo ottimi voti in elettronica. Ma occorreva molto tempo per studiare il modo di resettare il thoraken, e non sapevo quanto ne avessi davvero a disposizione. In più, potevo star certo che, appena avessero compreso il mio piano, mi sarei ritrovato rinchiuso, o addirittura morto. Non dovevo sottovalutare il mio nemico.
Mi diedi tempo, e feci ogni cosa con molta attenzione. Dapprima cercai di impedire al thoraken di rilevare – e, quindi, anche di rivelare – la mia posizione. Ma era una cosa infattibile. Compariva sempre la stessa dicitura: "Modifiche disabilitate. Per abilitarle, inserire la chiave a cifratura. Altrimenti, annullare l'operazione, o l'intero sistema si distruggerà automaticamente tra dieci – nove – otto – sette...". Al che, ero costretto ad annullare. La chiave era costituita da venti cifre numeriche: era impossibile indovinarla. Senza di essa, non potevo resettare il thoraken, né cambiare le impostazioni permanenti. Dovevo trovare un altro modo.
Pensai che, se non potevo impedire al thoraken di sapere dov'ero, potevo però impedirgli di sapere dov'esso stesso era: potevo manomettere il suo sistema di riferimento. In tal modo, il thoraken non avrebbe saputo più orientarsi nella foresta, e avrebbe scambiato il nord per il sud, l'est per l'ovest, proprio come un ago di bussola impazzito. Per raggiungere questo risultato, non c'era bisogno di alcuna chiave a cifratura: bastava rimuovere meccanicamente dalla scheda di controllo il microsensore dell'orientamento. E, se mi andava di fortuna, gli endar avrebbero pensato che si fosse danneggiato accidentalmente.
Contavano sul fatto che nessuno sarebbe stato così autolesionista da manomettere la propria bussola in una foresta come quella. In effetti, era da incoscienti. Non potevano immaginare che qualcuno sapesse orientarsi tra quelle fronde anche senza bisogno di una bussola. Ma io avevo ormai imparato una cosa fondamentale, e cioè che i ruscelli zampillanti a intermittenza dal sottosuolo della foresta erano parte di un unico fiume sotterraneo. Seguendo quello, sarei arrivato per forza di cose da qualche parte, senza tornare costantemente sui miei stessi passi.
Senza dubbio, appena avessero notato il malfunzionamento del sensore, sarebbero venuti a prendermi. Ma prima avrebbero dovuto cercarmi. Inoltre, io avrei seminato numerose false piste, mettendo e rimuovendo il sensore mentre mi trovavo in diverse posizioni a grande distanza l'una dall'altra.
Sperai che, in questo modo, il thoraken non avrebbe più saputo riconoscere il perimetro confinante segnato dagli endar. Altrimenti, una volta oltrepassato quello, si sarebbe disattivato e, senza di esso, avrei dovuto proseguire con le mie sole forze, che decisamente non erano sufficienti per sopravvivere nel cuore della Notte Verde. L'unica speranza era che il perimetro agisse sul microsensore di rilevamento del thoraken, e non come una barriera antienergetica generale.
L'unico modo per saperlo sarebbe stato fare una prova, ma non ne ebbi la possibilità.
Come potete indovinare, non sono riuscito a fuggire.
Sono ancora qui dentro, rinchiuso fra queste mura, costretto ad affrontare un duro addestramento per diventare proprio ciò che ho sempre odiato e disprezzato più di ogni cosa al mondo: un endar.
Ma non furono gli endar a sventare la mia fuga, fu qualcun altro.
Arrivato al perimetro oltre il quale il thoraken avrebbe dovuto smettere di funzionare, vidi di fronte a me un uomo avvolto in un mantello grigio composto dello stesso materiale modulare della tenda prodotta dal thoraken. Non vedevo il suo volto, perché era nascosto da una reticolo di cellette riflettenti. Lui vedeva me, ed anche io vedevo me: il suo volto rifletteva il mio.
Quell'uomo mi incusse più terrore degli stessi endar. Era fermo sul perimetro con una mano alzata, come ad impedirmi di fare un passo avanti.
«Alekym non oltrepasserà questa soglia e tornerà indietro».
Il terrore si impadronì di ogni mia cellula. Quell'essere conosceva la mia identità. Un'identità che non avevo rivelato a nessuno, eccetto tre persone: Jonathan, Constance e Reymond. Ma nessuno dei tre poteva celarsi oltre quella maschera. I miei genitori adottivi erano morti, mentre Reymond... Che si trattasse di lui? No, non era possibile. Reymond era entrato alla Fortezza di Confine quattro anni prima di me: non poteva essere già diventato un endar! E poi, gli endar non si vestivano in quel modo.
«Alekym non oltrepasserà questa soglia e tornerà indietro» ripeté, vedendo che io non mi muovevo.
«Chi siete?!» esclamai.
«La vostra antitesi» disse.
«Voi non temete gli endar» riprese colui che si era definito il mio nemico peggiore. «Ma temete me. Perciò, tornerete indietro».
«Chi siete?» ripetei.
«L'Alto Profeta».
E così, avevo appena incontrato l'Alto Profeta, detto anche "Il Senzavolto", l'uomo che ha dato il via ad ognuna delle disgrazie che hanno segnato la mia vita. La rabbia prese il posto del terrore.
«Siete dalla parte degli endar? Volete uccidermi? Credevo che lasciaste a loro il lavoro sporco, come avete fatto con il principe Alekym quando era solo un bambino, non è così?».
«Non ho mai voluto la vostra morte. Mi sarete più utile da endar. Perciò, tornate indietro».
«Perché mi volete fra le schiere dei Mantelli Neri?».
«Se voi non diventerete endar, l'Umanità intera soffrirà per causa vostra. Voi siete una minaccia».
«Non vi credo. Voi non avete affatto a cuore la sopravvivenza dell'Umanità».
Stavo mentendo a me stesso: comprendevo che, se aveva detto quelle parole, il profeta doveva sapere che in qualche modo mi avrebbero fatto l'effetto voluto. E, infatti, considerare la possibilità di essere una minaccia per l'Umanità mi ferì e mi mise in ansia, anche se sono certo di costituire una minaccia molto di più nei panni di un endar, che non in quelli di un principe che tutti considerano il salvatore del popolo.
Non poter vedere l'espressione del volto del profeta mi preoccupava, ma non più delle sue parole: «So cosa vi state chiedendo. State pensando che io ho impiantato nella vostra mente il pensiero di essere una minaccia per tutti col solo scopo di farvi abbandonare ogni proposito di fuga. State pensando che, se io oggi non fossi intervenuto, voi sareste fuggito e che, quindi, il Destino non è scritto. Ebbene, c'è un solo Destino per voi, Alekym. Ed è diventare la Nemesi, sì. Ma non il giustiziere, né il vendicatore, né tanto meno il punitore dei tiranni. Voi sarete la nemesi di voi stesso, il nemico. E non potete impedire questo Destino. Io vi sto solo evitando la via peggiore, ma il punto d'arrivo è uno solo, ed è ineluttabile. Tornate indietro, Alekym. Diventate endar, e non mi rivedrete mai più. Rifiutatevi, ed io sarò costretto a togliervi ciò che ha più valore per voi».
«Fatelo pure. Tanto non c'è più nulla, che abbia valore per me».
«Dimenticate Evander».
Sussultai. Quell'uomo sapeva tutto di me. Conosceva il mio passato e, forse, conosceva davvero anche il mio futuro: Sapeva che avevo più a cuore il primo, del secondo.
L'Alto Profeta aggiunse: «Dimenticate Zora».
Il mio corpo si paralizzò, a sentire il suo nome. «Lasciate fuori mia sorella da questa storia!».
«E dimenticate Jayden».
Lanciai un grido di rabbia: «Non oserete far loro del male!».
«Prima di ucciderle, rivelerò loro la verità su di voi. Dirò che siete Alekym, e che non avete mai avuto il coraggio di diventare il salvatore che il popolo osanna tanto. Jayden morirà con rabbia, disprezzo ed odio nei confronti di Evander, quando saprà che non avete cercato di salvarla dal matrimonio con vostro fratello Vlastamir. Io e voi sappiamo che non avreste potuto far nulla, rivelando la vostra vera identità: i tempi sono troppo immaturi. Se l'aveste fatto, sareste morto. Ma lei non lo sa, non vorrà capire».
L'idea che le persone che avevo amato di più nella mia breve vita morissero sapendo che avevo mentito loro per tutto il tempo era atroce. Ma sperai che il profeta volesse solo spaventarmi: «Voi mentite. Non potete ucciderle! La morte di due principesse imperiali modificherà certamente il destino di Triplania!».
«Ve l'ho detto: la fine è già scritta. Ma sì, lo confesso: toglierle di mezzo creerà qualche problema. Il quadro futuro dell'Umanità si complicherà non poco. Tuttavia, voi me ne creereste infinitamente di più, sia da morto che da fuggitivo. Perciò, vi do la mia parola: se proseguirete oltre questo perimetro, troverete ad aspettarvi le salme di tutte le persone che vi sono più care».
«Voi non potete...!».
Ma sapevo che poteva.
Poteva eccome. Quell'uomo aveva il mondo ai propri piedi. Pochi sapevano della sua esistenza, mentre lui sapeva tutto di tutti. Aveva potere ed influenza su chiunque, perché conosceva il passato ed il futuro di ogni singolo individuo. Teneva i fili del destino fra le mani.
Era rimasto nell'ombra per sedici anni, ed era ricomparso di fronte a me come un fantasma, sapendo che mi avrebbe trovato lì, in quel preciso punto della foresta e in quel preciso momento. Era venuto solo per me, per obbligarmi a diventare endar.
E ci riuscì. Mi costrinse a tornare indietro e a non tentare mai più di fuggire dalla Fortezza di Confine.
Prima che io mi piegassi alla sua volontà, e tornassi verso la Fortezza, l'Alto Profeta mi richiamò: «Alekym, voglio che sia chiaro. Voi sapete bene che non potete morire. Quindi, vedete di non gettare la vostra vita al vento. O altri ne subiranno le conseguenze al posto vostro».
Dannati profeti, e dannate profezie! Perché la specie umana ha dovuto mutare, producendo il gene della preveggenza? Esso ha causato solamente danni: basti pensare al sogno profetico che mia madre fece prima di morire nel darmi alla luce. É stato la causa di tutto. Forse è proprio a causa di questo gene, che l'umanità è giunta così vicina all'estinzione, esaurendo ogni risorsa del pianeta Terra, e portando così vicini all'implosione i pianeti Amaria e Veradria. E poi, chi può dimostrare che il destino profetizzato da questi mutanti non sia altro che un'enorme bugia, solo per ottenere il potere di governare le masse?
Spazio autrice
Carissimi lettori, benvenuti!
Se qualcuno di voi conosce già il nostro Evander, sa bene quanto sia spaventato dalla possibilità di trasformarsi in un endar e perdere ogni ricordo dei propri amici e della ragazza che ama...
Ma il primo tentativo di fuga verrà sventato nel prossimo capitolo. Da chi? Non si sa... Grosso mistero. Ma forse, il secondo tentativo andrà in porto e Jayden e Evander potranno ricongiungersi...
Oppure, gli endar, questi esseri disumani e incredibilmente potenti, avranno di nuovo la meglio?
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