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II. Prologo

«Dove... dove mi trovo? Dov'è l'Erede?».

Conor non poteva muoversi: le membra erano indolenzite e pesanti e i polmoni non riuscivano a sollevarsi, come fossero sommersi da cento metri d'acqua. Tutto il suo corpo sembrava anchilosato, congelato. 

«Mi riconosci, Rob?».
Una voce delicata, intrisa di un sentimento che Conor aveva dimenticato da tempo, lo svegliò dolcemente.

Il Lupo riuscì a mettere a fuoco il viso della donna china su di lui.
La sua pelle candida, contornata di ricci color dell'avorio.
I suoi occhi d'ambra, lucenti di lacrime.
La sua bocca sottile, arricciata in un sorriso incerto.
No, Conor non la riconosceva: non sapeva chi fosse.

«Sono io, Rob, sono Constance. Non... ti ricordi di me?».

«Io... Chi è Rob?».

La donna parve delusa. Era seduta sul letto dove Conor era sdraiato, a poca distanza da quest'ultimo.
Quasi parlando a sé stessa, disse: «Il Monaco me lo aveva detto, ma io non volevo crederci. "Gli endar dimenticano", così mi ha detto».

La donna gli porse un diario. Le sue mani erano tremanti per l'emozione, il suo sguardo era una preghiera.
Conor osservò il diario, sorpreso. La copertina era rovinata sugli angoli, arrotondati dal tempo. Strano, pensò, che fosse cartaceo: ormai nessuno usava più diari cartacei da almeno quindici anni.
Lo prese e lo rigirò fra le mani, ma senza aprirlo. Aveva dimenticato l'odore delle pagine: un profumo che apriva a ricordi mai vissuti.

«Leggilo» mormorò lei: «Ti prego».
Il Lupo guardò la donna, e si sentì trascinato dentro al vortice racchiuso nello sguardo magnetico di quegli occhi. Le iridi d'ambra sembravano contenere un passato fossilizzato.

Conor era sorpreso: non capiva nulla. Ma non poteva fare a meno di provare un timore ignoto per i segreti che quel diario racchiudeva e che presto gli sarebbero stati svelati. Le sue pagine di carta contenevano una promessa.
Ma anche un mistero spaventoso.

Aveva paura di aprirlo, ma lo aprì. 
Aveva paura di leggerlo, ma lo lesse.
La donna sorrise con amarezza, quando lui decifrò la prima riga di quella calligrafia tumultuosa ed aggraziata.

Diario di Constance Gruber, 10° giorno del Mese del Raccolto, anno triplaniano 3006.

Non sento il caldo del deserto, né la polvere secca che mi toglie il respiro, né la luce del Sole Rosso che mi ferisce gli occhi, né le urla delle madri che mi bucano le orecchie.

Non vedo i bambini di cinque anni imprigionati nella loro piccola tuta nera, né i ragazzi di quindici in lutto per la propria identità, né gli endar nei loro mantelli color dell'oblio afferrare quei bambini e quei ragazzi e portarseli dietro.

Vedo solo lui: il mio Rob.

Il momento del Test di Selezione degli endar è arrivato anche per lui. Ha compiuto quindici anni da pochi mesi: sapevamo che sarebbe accaduto. Oggi, decimo giorno del Mese del Raccolto, ogni ragazzo che abbia compiuto quindici anni ed ogni bambino che ne abbia compiuto cinque deve sottoporsi al test.
Se, fra qualche settimana, gli endar lo riterranno idoneo, lo porteranno via con loro. Per sempre.

Rob è girato di spalle, vestito di nero dalla testa ai piedi, i capelli chiari brillano sotto alla luce rossa del sole di Edresia. I suoi passi sono rigidi, e il respiro pesante.
É vicino a me, ma io lo sento così lontano...

Si volta e mi sorride. Un sorriso incerto, tremante:
«Non temere, Constance. Il test andrà bene».
E, per "bene", intende dire "male": il test risulterà negativo, e gli endar non se lo porteranno via con loro. Non può essere altrimenti perché... io ne morirei.

Diario di  Constance Gruber,  35°  giorno del  Mese del Raccolto, anno triplaniano 3006.

«Constance, vuoi diventare mia moglie?».
Gli occhi mi bruciano, il cuore mi si ferma.
Non riesco a respirare. Ma non per la felicità.
Ho paura: sono terrorizzata.
So che Loro prediligono sempre i momenti come questo per scegliere i loro apprendisti e strapparli alle braccia di coloro che li amano.

Perché, Rob?
Perché mi chiedi di sposarti in modo così plateale, sotto gli occhi di tutti, nel bel mezzo di una festa a palazzo in onore della tua nomina a Consigliere?
Hai forse dimenticato che gli endar ti sottraggono la felicità proprio quando tu stai per realizzare i tuoi sogni?

«Constance, non devi aver paura! Io non sono fatto per seguire la strada degli endar: non mi selezioneranno mai».

Forse ha ragione: forse io mi sto spaventando per nulla e loro non vogliono un ragazzo dall'anima così buona e sensibile. Cosa se ne farebbero? Loro vogliono uomini senza scrupoli, capaci di togliere la vita a chiunque solo per eseguire ciecamente un ordine.
Il mio Rob è troppo gentile, troppo altruista. Ha uno spirito di sacrificio che gli endar non potrebbero mai apprezzare. L'ho visto, con il suo fratellino minore: gli ha sempre dedicato tutto sé stesso. 

Sì. Gli endar non possono sceglierlo: Rob non è, e non sarà mai come Loro.

Ma allora perché nei suoi occhi c'è un sorriso amaro?
Perché le sue mani tremano mentre stringono le mie?
Perché mi ha chiesto di sposarlo con tanta fretta?
Abbiamo solo quindici anni: è troppo presto.

Lo leggo nei suoi occhi: la mia paura è anche la sua.
Ma lui sa qualcosa che io non so.
Sa che il suo test non è andato male: è andato bene.
Non gli leggo sorpresa negli occhi, quando il suo sguardo sorvola oltre le  mie spalle, catturato da qualcosa che si muove nell'ombra in fondo alla sala.

Non gli leggo sorpresa, quando la voce cavernosa dell'endar dichiara:
«Robert, siete stato scelto per servire l'Imperatore. Da questo momento voi  intraprenderete la strada dell'endar».

Ma io... Io sono sorpresa. Sono pietrificata.

Gli endar me lo stanno portando via, lui, l'unica mia felicità da quando mia madre è impazzita e mio padre è morto. L'unica ragione della mia vita.
Io non posso permetterlo.
«Voi non potete farlo! Non potete portarmelo via! La sua vita...».
Cado in ginocchio.
«... la nostra vita doveva ancora iniziare».

Di fronte a me non c'è più nessuno: la sala è vuota.
É come se gli ultimi momenti fossero finiti in un buco nero: dimenticati.  Proprio come il ricordo di me verrà presto cancellato dalla mente di Robert.

«Io non so cosa crediate di ottenere, signora».
Conor chiuse con violenza il diario. La sua voce tremava di rabbia. Cercò di trattenersi, ma non riuscì ad impedirsi di dirle tra i denti: «Credo di aver compreso ciò che vi siete messa in testa. E ve lo dico subito: io non sono il vostro Robert, non lo sono mai stato e mai lo sarò».

La donna rimase immobile, arrossendo per l'umiliazione, come se lui l'avesse appena schiaffeggiata in piena faccia.
«Che voi lo crediate oppure no» disse, rigida: «La verità è una sola. Questo diario mostra i ricordi che voi avete rimosso. I ricordi di una vita che avete condiviso con me».

«Mi avete scambiato per un altro» disse lui, alzando le spalle e restituendole il diario, fingendo indifferenza.

Lei si ribellò. In fretta, voltò le pagine del diario e gli indicò una riga verso la fine, puntandovi il dito.
«Leggete qui. E, se queste pagine non vi convincono, allora rinuncerò per sempre ad aprire la porta della vostra memoria che gli endar hanno chiuso a chiave!».

Diario di Constance Gruber, 8° giorno del Mese dell'Eclisse, anno triplaniano 3019.

Lui mi passa davanti. Vedo il suo volto, a pochi metri dal mio, e lo riconosco immediatamente.
Lui no. Lui non mi riconosce. Mi guarda, ma non mi vede. 
Per Lui, io sono solamente una delle tante pendolari della metropolitana di Endaria.

Sapevo che aveva fatto ritorno da qualche mese: suo fratello ha tentato di mettermi in guardia, ma io non ho voluto ascoltarlo.
Non volevo più sentir parlare di Lui. Per me, Lui era morto. O meglio,  aveva subito una sorte peggiore della morte: era diventato un fantasma tormentato, privato di memoria e di identità, e vagava per il mondo alla ricerca di qualcosa che aveva perduto per sempre.

Ma, quando lo vedo di fronte a me, rimango lì: investita da un turbinio di emozioni, come una roccia del deserto endariano sotto alla tempesta di sabbia. E non posso impedirmi di notare ogni minimo cambiamento.
I capelli biondi sono scomparsi: ora, la pelle chiara sul suo capo è ricoperta  di tatuaggi scuri, che simulano la peluria di un lupo. I suoi canini sono appuntiti. Le unghie delle sue mani sono affilate.
Attorno al suo occhio sinistro, un tatuaggio tribale ricorda un lupo veradriano che ulula al Triskele di Triplania.
"Conor, il Lupo Grigio" lo chiama il suo compagno endar.

É diverso. É un altro.
Ma i suoi occhi... I suoi occhi sono rimasti gli stessi.
Gli occhi di Rob.

«D'accordo» disse Conor, terminando di leggere e chiudendo con calma il diario. Passò una mano sulla copertina ruvida del libro, a solleticare i polpastrelli sovrappensiero: «Forse, questo corpo, un tempo, ha ospitato il vostro Rob. Ma dovete farvene una ragione, signora: il corpo è un guscio vuoto, un abito. Chiunque può riempirlo. Ed ora sono io, il suo abitante: io ed io soltanto. Conor, il Lupo Grigio».

Constance parve non aver udito le sue parole, né compreso il loro significato. Rimase in silenzio, senza muoversi, guardando il Lupo Grigio fisso in volto con occhi sgranati, secchi fino a bruciare.

Solo dopo qualche momento, si scosse. Raccolse il diario dalle mani dell'endar e annuì in segno che aveva compreso ogni cosa.
Mise il raccoglitore delle proprie memorie perdute dentro ad una borsa di lana grigia. Si alzò, oscillando, e tenne le braccia aperte e i palmi distesi per ritrovare una sorta di equilibrio.

Poi, si allontanò dal letto dove Conor era sdraiato.
Prima di uscire dalla stanza, tuttavia, si girò verso di lui e, con tono secco, disse: «Sì. Me ne farò una ragione. Ma voi dovrete farvi una ragione del fatto che da questo momento io sarò vostra moglie, e che io, voi e il principe vivremo come una famiglia nella stessa casa per il resto della nostra vita. Alekym ha bisogno di una madre».

Detto questo, Constance uscì, chiudendosi la porta legnosa alle spalle.

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