Sostegno
Capitolo 51
Sostegno
Era bello ammirare la città di Magnolia da un punto piuttosto alto. Era piena di colori, suoni, odori...
Era piena di vita.
Un luogo fantastico dove vivere.
Storm fece un sorriso dolce-amaro a quel pensiero. Avrebbe voluto essere cresciuto in quel clima tanto sereno... Però, beh, le cose erano andate molto diversamente.
La collina migliore dove ammirare uno simile spettacolo, era la stessa che era stata il luogo della rivelazione fatta a Laxus. Per quanto fosse stato un momento non piacevole, era stato l'unico nella sua vita in cui si era, per un attimo, sentito legato al padre.
-Diavolo, ci ho preso, sei qui- disse Gajevy spuntando da dietro la boscaglia che si estendeva a circa due metri e qualcosa dietro il biondo. -Credevo che non ti piacesse questo luogo dopo ciò che é successo qui- borbottò avvicinandosi a lui con le mani sui fianchi. Sembrava innervosita, ma lui, conoscendola da tanto, sapeva che era semplicemente in ansia per quello che avrebbero dovuto rivelare, di lì a poco, ai loro genitori in quell'epoca.
-C'è un bel panorama- si limitò a dire lui.
-Hmm...- Gajevy, in teoria, avrebbe dovuto sembrare incazzata (visto che, inspiegabilmente, lo era con lui, un po'), ma con il suo aspetto minuto, pareva voler tenere il broncio come una bambina, senza riuscirci. -Dovresti smetterla di metterti da parte- disse lei, con un tono di voce che esprimeva irritazione e anche un pizzico di preoccupazione.
Quella frase... Lei davanti a lui in quella posizione...
Non era proprio cambiata.
La Redfox era sempre rimasta fedele a se stessa.
Si ritrovò a pensare alla Gajevy di un tempo. La piccola bambina che lo aveva strappato alla solitudine.
L'aveva vista di sfuggita qualche volta quando erano piccini, ma si erano parlati veramente soltanto a nove anni. Vivendo in un'epoca dove si veniva uccisi, senza alcuna pietà, a vista, erano costretti a nascondersi e cambiare sempre luogo, soprattutto loro, siccome maghi. Avendo del potere magico, attiravano le guardie del mago oscuro come i bambini vengono adescati dai dolciumi.
Esistevano dei piccoli posti, creati da una manciata di maghi a testa, che servivano come rifugio per chiunque ne avesse bisogno. Essi non erano altro che piccoli spiazzi di terra dove alcune persone, di solito senza magia, venivano nascoste alla vista dei nemici da alcuni maghi che univano le proprie energie magiche al fine di creare una sorta di illusione visiva che depistava le guardie di Zeref.
La prima volta che lei gli aveva rivolto la parola, lui era seduto con la schiena contro un grande albero, caduto al suolo a causa, probabilmente, di qualche lotta, e se ne stava in silenzio a leggere il segreto diario dalla copertina rosa che sua madre custodiva gelosamente e che gli era stato dato subito la morte di Mirajane.
In un attimo, si era ritrovato coperto da un'ombra sconosciuta e aveva alzato lo sguardo dal libro che raccoglieva diversi dati su quelle che sua madre aveva etichettato come "coppie che staranno sicuramente insieme". Gajevy aveva una mano sul fianco, mentre l'altra era impegnata a tenere in aria l'oggetto strappato via al bambino, e un'espressione irritata che nascondeva bene un po' di preoccupazione. -Dovresti smetterla di metterti da parte- gli aveva detto anche quella volta.
Aveva, in seguito, messo in mostra il libro rosa e poi lo aveva alzato il più possibile, cossiché lui si mettesse in piedi per riprenderlo. -Vieni a giocare con me e quello stupito di mio fratello, Diavolo- disse prendendogli una mano e quasi trascinandolo via. Lui non era riusciuto a replicare in alcun modo, sorpreso. In genere, alcuni dei pochi bambini che incontrava, non volevano mai giocare con lui. Lo ritenevano colpevole della guerra solo perché era un mago, anche se lui era solo un neonato quando questa era iniziata.
-Diavolo...?- aveva sussurrato, sorpreso e curioso di un tale appellativo. Nel frattempo, la bambina gli aveva ridato ciò che gli aveva sottratto.
Gajevy non gli aveva neanche rivolto la parola e aveva continuato a camminare. -Quando leggevi, prima, avevi uno sguardo da vero mostro. Sembravi uno di quei diavoli dentro i libri che la mamma mi legge sempre prima di andare a dormire- gli aveva rivelato. -Non so cosa stessi leggendo, ma ti fa uno strano effetto.-
Storm l'aveva osservata in silenzio e si era lasciato trascinare con assoluta facilità. Aveva delle mani così piccole e magre... Seriamente aveva pensato che sembrava così fragile che avrebbe potuto spezzarsi in qualunque momento. -Come ti chiami?- gli aveva chiesto lei, per poi fermarsi davanti a una casa in condizioni non affatto brutte.
-Storm.-
-Io sono Gajevy- lo aveva informato aprendo la porta. -Un giorno sarò una fortissima Dragon Slayer come il mio papà e prenderò a calci in culo il Mago Oscuro- dicendo ciò, aveva stretto forte un pugno e messo su una faccia che faceva trasparire gran parte della sua determinazione.
-Gajevy, non parlare più così!- aveva urlato una donna da chissà quale stanza della casa per poi borbottare qualcosa di incomprensibile ai due bambini.
-Non far caso a mia mamma, rompe un sacco.- Sbuffò. -Prendiamo quel pappamolla di mio fratello e andiamo a divertirci.- Sorrise, correndo in seguito in una stanza. -Sai fare delle facce spaventose, farai il cattivo- gli aveva comunicato a gran voce.
Storm non sapeva esattamente cosa stesse succedendo, ma la compania della bambina non gli dispiaceva affatto. Era molto più aperta e spontanea di lui. -Gajevy...? Ma io voglio leggere questi libro, lasciami...!- Solo qualche attimo dopo essere entrata nella stanza, la blu uscì trascinandosi un bambino all'incirca della loro stessa età.
-Lui é Kin. Non sa far nulla, ma ci serve qualcuno che faccia il buono- lo aveva informato tranquillamente.
Per quanto possa sembrare stupido o banale, fu così che Gajevy lo salvò. Non lo fece semplicemente giocare con lei e Kin, gli diede la possibilità di uscire dal suo guscio, trovare uno scopo nella sua vita e, soprattutto, non gli permise di cadere vittima delle ombre che lo stavano già facendo crollare nell'abisso.
Storm sorrise e si alzò. -Già, hai ragione- disse annuendo. Le accarrezzò la testa, spettinandole così i capelli colorati.
Lei corrugò la fronte, non capendo. -Che ti prende? Sei inquietante quando fai queste cose strane. Stai sorridendo.-
Il biondo si passò una mano tra i capelli. Quei ricordi... Lo facevano sempre sentire meglio, più leggero. -Andiamo. Abbiamo una cosa importante da fare.-
***
Perché Reed stava lavando i piatti nell'appartamento in cui viveva lei con gli altri?
E poi, soprattutto, cos'era quello strano silenzio?
Perché nessuno era in casa, a parte loro? Dove erano finiti? Fino a mezz'ora prima erano tutti riuniti lì...
Llover strinse forte la gonna del suo vestito magenta. Quel giorno, aveva già voluto affrontare quella discussione, ma non ci era riuscita pienamente. -Scusa- pensò ad alta voce, senza rendersene conto. Cos'aveva fatto...?
Il rosso si girò verso di lei, asciugandosi le mani con uno straccio. -Non hai fatto nulla per cui tu debba scusarti.-
"Sì, invece" pensò, frenando l'orgoglio. Doveva imparare a metterlo da parte.
Con i sentimenti non era proprio un asso, eh? Beh, in fondo non esiste la persona perfetta. Pure Reed aveva dei difetti, il problema era che Llover non riusciva a trovarli. Non era molto bravo con i sentimenti, e allora?
Era davvero un difetto?
-Tu mi hai ringraziata per essermi presa cura di te mentre eri in coma. In verità, l'ho fatto perché mi sentivo in colpa. Mia mamma voleva ferire me, non te, e tu ci sei andato di mezzo.-
Cadde il silenzio. Sentiva gli occhi marroni di lui che la fissavano, ma non aveva la forza di alzare lo sguardo. Era così egoista... L'avrebbe odiata?
Panico.
Seppur nascondesse tanti sentimenti sotto una maschera di freddezza, il pensiero di essere odiata da lui le fece provare un terrore inspiegabile.
Perché?
Perché?
Perché?
Non doveva provare simili emozioni. Era un gran sbaglio perdere il controllo. "Tutta colpa di Kin e il suo piano..." pensò, stringendo di più il suo vestito.
Strano che il suo vizio non gliel'avesse fatto scomparire, lasciandola con solo il costume nero che teneva sotto.
-Ho scelto io di essere colpito al tuo posto, quel giorno- iniziò lui, distogliendo gli occhi da lei appena i loro sguardi si incontrarono. Alle sue parole non aveva potuto frenare l'istinto di volerlo vedere. Vedere il suo sguardo mentre diceva delle parole così... Così... Rasserenanti.
-R...- sussurrò, frenandosi appena lo sentì riprendere la parola.
"Devi restare fredda. Devi restare fredda. Devi restare fredda."
Seppur se lo stesse ripetendo come se fosse un mantra, non sembrava ascoltarsi.
"Quando ti ho vista distrutta dall'aver tua madre come nemica, ho pensato solo che ti avrei voluta proteggere. Probabilmente, l'egoista sono io. Sapevo che non ti avrebbe mai ferita gravemente. L'altro Spriggan doveva dubitare di lei e lei aveva voluto fargli vedere che non gli importava della sua famiglia. Ti avrebbe fatto solo qualche graffio, ferita alla spalla, nulla di rilevante, ma..." pensò il rosso. Non era mai stato bravo ad aprirsi ad altre persone. Era una frana con i sentimenti e le donne. Mormorò qualcosa di nonsense e si avvicinò in uno scatto a lei.
Llover sbarrò gli occhi a quel gesto. Non aveva mia visto Reed così. "Reed é sempre così serio e rigido. Lo siamo sempre entrambi... Ma come io ho dei sentimenti, deve anche lui avere un lato sentimentalista. Lui cerca di essere forte per gli altri, come me" pensò la ragazza dai capelli corvini.
Cos'era tutto quel sentimentalismo?
Lei non era la "rigida"?
-Non volevo che venissi ferita. In alcun modo- le parole di lui erano serie. Non stava giocando, non la stava prendendo in giro. Lui non era quel tipo di persona.
Perché aveva detto delle simili cose a lei? Non le meritava. Era egoista, falsa... Una persona che non meritava Reed Fernandez.
Una mano che si posava con delicatezza tra i lunghi e mossi capelli della Fullbuster e un'altra che si depositava senza alcuna malizia sulla schiena.
Reed la stava abbracciando. -Reed...-mormorò piano.
-Smettila di fingere. Piangi, grida, crolla a pezzi. Io resterò qui. Non sono bravo con le parole- ammettendo ciò, seppur la ragazza non lo vide, sul volto, sempre rigido, di lui si formò un'espressione di puro dolore -...ma non me ne andrò, ti ascolterò.-
Avrebbe voluto spingerlo via, digli freddamente che stava blaterando un mucchio di scemenze, che lei stava bene.
Ricambiò l'abbraccio e affondò la testa nel suo muscoloso petto, facendosi così cullare dal suo mascolino e rilassante odore. -Reed...- mormorò. Senza rendersene conto, era scoppiata a piangere. Dopotutto, anche lei aveva bisogno di un sostegno.
Era così piacevole potersi lasciare andare senza pensar a sostenere qualcuno.
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Hey!
Ho aggiornato abbastanza presto, spero. Questo capitolo avrebbe dovuto essere dedicato anche alla famosa chiacchierata padri e figli, ma alla fine ho voluto lasciare il posto a queste due ship. Spero che non vi dispiaccia questa mia scelta.
Oltre l'idea di base degli eventi narrati in questo capitolo, non mi convince nulla. Bah, non so, ditemi se vi piace o meno.
E ora si passa alla domanda che vi farà vincere le prossime prime 200 parole del prossimo capitolo.
Di che colore sono i capelli di Akio/ Leo Minoris?
1) Arancioni.
2) Rosa.
3) Arancioni che sfumano verso il rosa.
4)Marroni.
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