Fantasma
Capitolo 44
Fantasma
-Su su, Nash-nii! Più veloce!- esclamava la piccola Ur seduta sulla schiena di uno stanco Nash.
La bambina si stava annoiando e, grazie al suo dolce faccino da angelo, era riuscita a convincerlo a giocare con lei. Cosa che, invece, sapeva bene, non saprebbe mai riuscita a fare con la fredda Llover.
La mora si trovava nella sua stanza e li osservava da lì mentre camminavano per il corridoio del piano di sopra. Erano così vivaci e pieni di vita... e poi c'era lei. Fredda come un iceberg.
-Vieni a giocare con noi, onee-chan!- la incoraggiava la dolce albina, entusiasta del suo "cavallo giocattolo".
La mora si alzò, le rifilò un -Forse dopo- e chiuse la porta. Non ebbe neanche bisogno di girarsi che aveva già capito.
"Capito cosa?", vi domandete voi.
Beh, ovvio, che c'era un fantasma con lei.
All'inizio del suo allenamento non riusciva mai a capire come distinguere gli spettri dalle persone vive. Era così difficile... Erano così uguali. Poi, col tempo e tanto allenamento, cominciò a sentire una strana sensazione quando era vicina a un fantasma e a vedere una sorta di aura intorno a loro. Per non parlare che divennero più... opachi, quasi coperti da una patina leggera. -Zia Ultear...- mormorò piano.
Allora aveva avuto ragione. Era lei la persona che l'era sembrata di vedere quando camminava con Lluvia. Era da tanto che non le appariva davanti. -Ciao Llover- le disse la donna sedendosi sul letto della ragazza e sorridendo appena, felice di essere riuscita a mettersi in contatto con lei. -Da quando hai trasferito te e i tuoi amici qui, sei molto debole. Non hai ancora recuperato gran parte dei tuoi poteri magici.-
Eppure la giovane lo sapeva già, se n'era resa conto, ovviamente. -L'importante é che il piano vada a buon fine- si limitò a dire, facendo un passò verso la sua maestra, ma fermandosi lì, quasi al centro della stanza. -Per ora abbiamo scoperto pochissime informazioni...- strinse forte i pugni facendo diventare le nocche bianche.
-Smettila di voler sempre di più. Se sforzi ancora i tuoi poteri... morirai- l'avvertì Ultear, seria.
Llover lo sapeva ma... voleva farcela. Voleva che tutti i suoi sforzi avessero un senso.
-Se morissi, tutti i tuoi amici rimarrebbero bloccati qui.-
-Lo preferirebbero- ribatté subito la Locbur, seccata da quella cosa.
-E chi non lo preferirebbe dopo essere cresciuto in un territorio continuamente segnato dalla guerra?- le domandò Ultear.
Llover li capiva... ma... -Voglio sistemare le cose. Voglio evitare la guerra...-
Ultear ridacchiò. Ciò fece alzare di scatto la testa alla maga degli spiriti. -Perc...?- l'altra non le diede il tempo di porre la domanda, che le diede una risposta.
-Evitare una guerra... assurdo- mormorò. Sembrava quasi che le stesse dando della pazza. -Il minimo che potete fare tu e i tuoi amici é avvertire i vostri genitori. Hanno ancora un anno, circa, a disposizione. Possono allenarsi ed essere preparati a ciò che succederà- spiegò, seria.
-Dirlo?!- sbarrò gli occhi la Locbur, prima che la sua maestra sparisse. La defunta maga aveva troncato il contatto per evitare che Llover usasse troppo quei pochi poteri che le rimanevano.
"Zia Ultear deve essere impazzita. Dirlo a loro... Significherebbe... affrontarla" scosse la testa.
Assurdo.
Impossibile.
Mai.
Non avrebbe mai detto a sua madre la sua vera identità. Un conto era stare nella stessa gilda da sconosciute, un'altra era smettere di fingere.
La porta si aprì dando libero accesso a Nash che aveva con sé due bottigliette di una qualche bevanda rossa. -Ur sta dormendo- le comunicò, sentendosi come se avesse vinto alla lotteria. -É davvero stancante...- mormorò per poi passarsi una mano sul volto. L'aveva stremato.
Llover annuì. -Sì, lo é. Anche se non quanto il fratello...- si lasciò sfuggire. Quelle poche parole le provocarono un brivido. Cavoli, era meglio che non si presentasse o lo avrebbe sbattuto contro un muro fino a tramortirlo. -E neanche sua sorella scherza...- continuò, facendosi seria e sembrando improvvisamente irritata.
Il biondo rise. -Non sopporti proprio nessuno dei tuoi fratellastri, eh?-
La mora si voltò, ammonendolo con un'occhiata seria e fredda. -Non siamo fratellastri. Semplicemente, dopo che mia zia venne ferita gravemente e finì in coma, mio zio Lyon lasciò la piccola Ur, appena nata, a mio padre e i suoi due figli maggiori stettero da noi per molto- raccontò. -Onestamente, non capisco cosa c'entri questo con l'essere fratellastri. Al massimo dovremmo essere cugini siccome zio Lyon é una sorta di fratello acquisito per mio padre- aggiunse.
Pure altri li chiamavano 'fratellastri', ma non aveva senso. Vero, lei e suo fratello avevano quasi cresciuto la piccola Ur, però ciò non significava nulla.
-Mh, per me puoi raccontarla come preferisci, ma resteranno sempre i tuoi fratellastri- il ragazzo scrollò le spalle, aprì la bottiglia e bevve. -Comunque, come mai non sei andata con Storm?- domandò.
-Non ne ho idea. La ferraia se n'é uscita con la storia che non voleva fare la babysitter a Ur e... non ne ho idea, realmente. Francamente credo che provi qualcosa per Storm- rivelò.
Per poco il mago degli spiriti stellari non si strozzò. -Eh?! C...Cosa?! Gajevy?! Parliamo della stessa tipa che smutandava il suo gemello quando avevano appena tre anni?!- urlò, sconvolto.
Llover annuì piano, aggrottando appena la fronte. Gli lanciò un'occhiata e, vedendolo con una faccia sconvolta e ricoperta di succo rosso, rise.
Lui parve da prima confuso e poi sconvolto. -Tu... Stai ridendo?!-
Non aveva idea di quando era stata l'ultima volta che l'aveva sentita ridere. Se mai l'avesse sentita...
-Non sono un mostro, rido pure io.- La mora tornò subito distaccata. Si passò una mano tra i capelli e sospirò.
-Ti dispiace non essere andata anche tu?- domandò Nash, improvvisamente serio.
Perché la guardava così?
"Sembra che voglia insinuare qualcosa..." pensò la Locbur. -Perché dovrebbe dispiacermi? Dovevo solo andare a prendere delle informazioni- gli fece notare.
"Mh... sa mentire bene anche a se stessa..." pensò il ragazzo. Si alzò e si passò un panno, che aveva trovato sul comodino, sulla faccia. -Se lo dici tu...- mormorò prima di andarse e lasciarla confusa e stranamente amareggiata.
***
Quando Storm e Gajevy entrarono nella locanda in cui soggiornavano i membri di Crime Sorciere, incontrarono Reed e Gerard che stavano per rientrare nelle proprie stanze.
-Hei Reed!- lo salutò Gajevy per poi guardare Gerard. -Tu chi sei?- domandò, non riconoscendolo a causa del cappuccio che gli copriva gran parte del volto.
Storm comprese subito. Gli bastò un'occhiata furtiva al tatuaggio dell'azzurro per capire chi fosse. -Io sono Storm- si presentò, sorridendo.
Il Fernandes accennò un sorriso. -Gerard.-
-Oh...- mormorò Evy -Rosso, potevi dirlo prima. Non é che te lo avremmo ucciso- borbottò, senza alcun tatto.
Infatti il biondo la riprese con un'occhiata. Era chiaro che era meglio che stesse zitta. Non era il caso...
Reed non le rispose e questo Gerard lo notò bene. Capì anche che c'era qualcosa che non quadrava. Sembrava... arrabbiato. Ma non con la ragazza, piuttosto con se stesso...
Tutto ciò, però, non aveva senso. Non aveva fatto nulla. Non era successo nulla.
-Siete qui per Berry, vero?- chiese semplicemente la recluta di Crime Sorciere.
-Sì- rispose la ragazza.
-Si trova sicuramente nella nostra stanza al terzo piano, quarta porta a destra- spiegò avviandosi verso il bancone per ordinare qualcosa, seguito a ruota dall'altro membro della sua gilda.
Rimasti soli, Storm si voltò verso la ragazza al suo fianco e la guardò male. -Devi cercare di avere più tatto...-
-Cosa...?- Gajevy strabuzzò gli occhi. Improvvisamente le sembrò che le mancasse aria. Si sentì... ferita.
-Devi essere delicata... soprattutto quando parli di Gerard con Reed. Lo sai che é un argomento... difficile. Ogni parola sbagliata può farlo esplodere- l'avvertì.
-Ma non ho detto nulla!- ribatté lei, sicura e irritata.
-Per te non é nulla perché non hai mai perso alcun genitore.-
Quelle parole, dette poi così duramente, spiazzarono la Dragon Slayer. Non sembrava neanche che fosse Storm a parlarle... lui non era così... non con lei, almeno.
Capì. Lui aveva perso sua madre ed era cresciuto senza un padre. Lei poteva aver detto una frase puramente ironica ma, per chi aveva sofferto per la mancanza di un genitore, o entrambi, non ci vedeva nulla da ridere nelle sue parole.
Seppur non lo diede molto a vedere... si sentì in colpa. Doveva aver fatto riaffiorare ricordi non molto piacevoli a due suoi amici. -Io... non lo dirò più- con un certo sforzo mise da parte il suo orgoglio. In seguito se ne andò verso le scale per andare da Berry.
Sì, lei era una delle poche fortunate la cui famiglia era ancora intatta.
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