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Capitolo uno


Bentornati!

Vi pregherai di leggere le note in fondo, dove ci tengo a specificare alcune cose. Ma prima di ciò... Godetevi il capitolo.

Buona lettura.

Universo ramificato. È questo il nome della teoria, abbastanza antiquata, in cui ogni universo è unito l'un l'altro come un ramo, e ogni istante avviene o meno un fenomeno quantistico in un atomo che sdoppia il ramo, creando un altro universo. In sintesi, esisterebbero milioni di universi in cui probabilmente abbiamo 4 braccia, due teste, forse sappiamo volare o addirittura non esistiamo. Forse abbiamo una vita diversa, relazioni diverse, epiloghi differenti.

Forse, in uno di quegli universi, Lauren era arrivata alla porta di Camila precedendo il medico dell'ospedale che aveva curato Chris, spifferando la mera verità.

Forse, anche non esistendo, in una visione platonica, sarebbero state più vicine di quanto non fossero più.

Tre anni dopo...

«Hanno richiamato dall'agenzia?»

«Non ancora.»

«Come non ancora? Avevamo detto sette giorni. Ne sono passati otto.» Sbuffò. Consultò l'orologio. Tardi. Non c'era tempo per arrabbiarsi.

«Lascia fare, me ne occupo io. Sono arrivati tutti in sala riunioni?» Devono essere arrivati tutti, altrimenti...

«Manca solo Will.»

Porca puttana. «Chiamalo, ora. Lo sai come reagisce se qualcuno arriva tardi.» Male, molto male.

Jessie imboccò il corridoio. Avevano restaurato da poco le pareti, e l'odore di vernice stuzzicava ancora le narici. Erano stati rimpiazzati e svecchiati anche i quadri che abbellivano l'ingresso. Sicuramente le sarebbe mancato quel tremendo pagliaccio macabro che ogni mattina la svegliava più energicamente della doppia sveglia sul suo comodino. Passò dal suo ufficio per raccogliere i documenti che ristagnavano sulla scrivania. Dei passi ben cadenzati risuonarono austeri. Cazzo.

Accelerò il passo, svoltò a destra. Ebbe appena il tempo di rassettare il tailleur prima che la donna si materializzasse al suo cospetto.

«Che buon profumo, è nuovo?» La blandì, come sempre, Jessie.

«Smetterai mai di chiedermelo?» Inarcò un sopracciglio la donna, continuando a camminare, e superandola con nonchalance.

Sempre delicatissima. Alzò ironicamente gli occhi al cielo mentre la donna la sorpassava senza esitazione, imponendo la sua presenza alla stanza di colleghi che vedendola scattò in piedi.

«Buongiorno a tutti.» Salutò cordialmente, senza però degnare di un solo sguardo l'intero parterre che al contrario pendeva dalle sue labbra.

Come sempre. Sorrise fra se e se Jessie. Chi non penderebbe dalle sue labbra?

Gli occhi della donna si sollevarono sulla distesa di sguardi indirizzati su di lei. Lei si accigliò. «Will?»

«Sta arrivando.» Prese parola Jessie, l'unica che si permetteva di aggiungere qualche parola in più, avendo stabilito un rapporto amicale con la donna.

«Inizieremo senza di lui.» Disse con tono sentenzioso, prendendo autorevolmente posto sulla sua troneggiante poltrona.

Diede uno sguardo intorno. L'attenzione era focalizzata su di lei, nessuno rifiatava. Non erano intimoriti; erano estatici. E come biasimarli...

Camila Cabello era la magnate più concupita di Oslo.

La riunione volse tranquillamente al termine. Will giustificò la sua assenza con una ricompensa che la cubana non disdegnò. Era riuscito a piazzare la scuderia in una competizione embrionale. Un'idea fresca e innovativa che prometteva un podio multietnico. L'idea era quella di far gareggiare fra di loro una sola scuderia in rappresentanza del paese intero. In Norvegia vi erano due contendenti: la GelsP, e la Synchrony di Camila.

Entrambe vantavano un curriculum prestigioso, invidiato dalle altre big che al massimo arrivavano a toccare solo con la punta di un dito l'empireo delle due aziende.

«Bene, grazie a tutti. Ci aggiorniamo lunedì. Buon weekend a tutti.» Rivolse un sorriso cordiale a tutti, e poi diede le spalle allo spiegamento di collaboratori che popolavano la tavola.

La cubana si diresse verso il suo ufficio. Stava facendo il ripasso mentale delle incombenze burocratiche ancora da sbrigare. Il metodo era uguale a quello di cui si avvaleva fra i banchi di scuola. Era una tradizionalista, a quanto pareva. Doveva chiudere qualche pratica e inviare un'email per confermare i nuovi pneumatici. Chi lo avrebbe mai detto che lei, proprio lei si sarebbe impelagata con motori e cambi automatici.

«Non hai preso la tua dose di caffè stamani?» L'accostò Jessie, rimirandola torvamente ironica.

«Doppia.» Assicurò la cubana, sfogliando la pliche sotto tiro.

«Non si direbbe.» Sibilò non così sommessamente Jessie, ma Camila fece finta di non sentirla. Era così con Jessie: o si pretendeva di non ascoltare, o si indiceva una guerriglia ogni due minuti.

Abbassò la maniglia del suo ufficio e, pensando di essere invulnerabile nella sua roccaforte, si dimenticò che una porta non sarà mai efficiente come un canale sorvegliato da coccodrilli, o bodyguard se preferite.

«Non vorrei essere fastidiosa,» esordì con tono antifrastico, palesemente sicura di apparirlo, «ma non hai ancora risposto a Thomas. Penso si stia spazientendo.» Fece notare Jessie, ottenendo in cambio solo un'alzata d'occhio al cielo da parte della cubana.

«Può aspettare.» Si sedette sulla sua comoda poltrona, accavallando le gambe sotto la scrivania.

La sua attenzione era già rivolta al risma di documenti che pesavano più sul suo petto che sulla sua scrivania. Non le piaceva lasciare le cose a metà, specialmente se si trattava di lavoro, ma inspiegabilmente le capitava ogni giorno di tornarsene a casa con un buon 30% ancora da espletare. Una trappola insuperabile. Un po' come il triangolo delle bermuda, per intenderci.

«Lei mette sempre in stand-by qualcuno, signora?» Jessie tese le braccia davanti a lei, poggiando sulla scrivania di vetro.

La cubana alzò gli occhi sulla donna, carpendo la similitudine implicita a cui alludeva. Sii premurò di nascondere un sospiro, sforzandosi di abbozzare un misero sorriso.

«Solo quando non ho le idee chiare.» La sua espressione eloquentemente inespressiva, paradossalmente tramandava il concetto in maniera netta, inequivocabile.

«Poi magari l'altra parte si annoia di aspettare, non crede?» Adottò un tono più affabile, più amareggiato.

Stavolta Camila non si penò di celare alcun sospiro, e anzi! Espirò rumorosamente, tornando infine a rumore Jessie con sguardo dispiaciuto ma anche distaccato.

«Okay, non dire niente. Stavo scherzando.» La mise in guardia Jessie, alzando le mani in segno di rassegnazione.

«No, scusa, hai ragione.» Camila congiunse le mani davanti a se, assunse una postura meno sussiegosa. «È che ho sempre troppe mansioni da amministrare, rimango con l'acqua alla gola. Ti prometto che appena si sfoltirà un po' di lavoro andremo a cena insieme.» Prese una decisione seduta stante, pentita l'attimo dopo di essere stata così incosciente.

Andava bene qualche notte brava con Jessie, che non era capitata così serratamente, forse una o due volte al mese al massimo, ma sedersi davanti a due bicchieri di vino e parlare della giornata come una coppia standard... Era diverso. Lei non ne era capace. O meglio, sì, tutti ne siamo capaci, ma a volte è più comodo fingere di non esserlo.

Manteniamo i rapporti in bilico perché stiamo aspettando che qualcuno rischi di cadere e voli via, o perché qualcuno è già caduto e ora non ha più la forza di spiccare il volo.

«È da due mesi che ti chiedo di uscire.» Sbuffò impercettibile, ma rendendosi conto dell'insensibilità un po' egoista, ritrattò con un sorriso sarcastico. «Diventerò vecchia.»

«Lo sei già.» La canzonò Camila, incassando l'espressione esterrefatta della donna che, sì, la fece sorridere.

Jessie era una bella donna, intelligente e simpatica. La sua slanciata altezza le permetteva di sfoggiare un paio di tacchi e apparire seducente solo per la linea filiforme delle sue gambe. I capelli color miele erano arricciati sulle punte, qualche colpo di sole naturale li sfumava in qualche zona. Gli occhi attenti e vispi erano di un celeste trasparente, diafano. Era stata Jessie che inizialmente l'aveva sostenuta nei cavilli più sconvenienti, dove Camila affogava in un bicchier d'acqua. E indubbiamente l'aveva fatta ridere molto in un periodo in cui aveva solamente voglia di gelato e sonno. Trovarle un difetto era difficile. Camila a volte scherzava dicendo che nemmeno con un microscopio si sarebbe potuto scovare un'imperfezione nelle sue cellule. Con un microscopio no, ma con il suo cuore si.

«Torno a lavoro, altrimenti il capo si arrabbia.» Ammiccò Jessie, depositando una carezza sulla mano della cubana che reciprocò con un sorriso forse troppo rigido.

«Oh, fammi sapere se preferisci carne o pesce, così magari ci organizziamo.» Sembrava voler concretizzare quell'opportunità velata che Camila aveva messo imprudentemente in ballo.

«C'è bisogno di chiederlo?» Arcuò un sopracciglio, provocando una risata fragorosa da parte della donna.

«Più tempo passi con me, più diventi simpatica.» Aprì la maniglia della porta, ma si voltò giusto in tempo per registrare lo sguardo sinistro della donna. Soffiò un bacio con la mano verso di lei e uscì, lasciando dietro di se una scia di profumo pungente e un po' di malinconia.

Camila si afflosciò contro lo schienale della poltrona. Avrebbe voluto un drink, in quel momento. Un negroni o un Martini, magari. Ma vigeva la regola che in ufficio non poteva transitare alcol. Sapeva che non reggeva bene le sostanze alcoliche, e sul lavoro doveva rimanere costantemente vigile. Una massima che veniva meno quando varcava la soglia del palazzo, girava le chiavi nel cruscotto e si dirigeva verso casa dove Dinah -sua effettiva coinquilina a tutti gli effetti adesso- l'attendeva con qualche cocktail elitario o qualche birra scadente.

E fu così anche quella sera. Camila rincasò con qualche decina di minuti di ritardo sulla tabella di marcia. Dinah stava guardando una partita in tv, forse baseball o football, non ricordava. Ciò che invece rammentava bene, era il rutto clamoroso con cui la polinesiana l'accolse.

«Ciao anche a te.» Non si scandalizzò Camila, che avendo già praticamente vissuto qualche anno in sua compagnia non si risentiva di niente ormai.

«La birra è in frigo!» Additò la polinesiana, ma si premurò di addurre: «Anche se non ci sarebbe bisogno di preservarla, dato che questo posto è un frigo di per se.» E con "questo posto" non si riferiva alla casa, ma alla città intera.

La polinesiana aveva qualche problema di adattamento ambientale. La vita mogia di Oslo non poteva competere con quella frenetica di New York, il che abbatteva il morale dell'amica. Ma su quello poteva sorvolare, perché aveva un'immaginazione fervida e riusciva quasi sempre a improvvisare una serata all'insegna del divertimento. Era il clima che non tollerava. O meglio, come soleva dire lei "È il clima che non tollera me." Decisamente New York raggiungeva picchi atmosferici molto bassi, ma niente in confronto a quelli norvegesi. I primi giorni pareva di esser finito in una cella frigorifera, ma man mano ci si abituava alla galaverna sulle fronde degli alberi e i cumuli di neve alti fino al battente della porta. Ma non Dinah. Non Dinah.

«Perché non torni in America? Ti ho già detto che per me è ok.» Camila glielo ribadiva ogni giorno. Non le piaceva veder l'amica sconsolata, e lei era convinta di potercela cavare benissimo da sola.

«In America non ho amiche milionarie che mi fanno comprare la birra con la loro carta di credito.» Ammise spudoratamente, concentrata sullo schermo, unica fonte di luce nell'appartamento.

Camila slacciò i tacchi, stappò la birra e schioccò la lingua contro il palato. «Beh,» iniziò, avvicinandosi all'amica, «nemmeno in Norvegia hai amiche milionarie.» E con un colpo secco le spostò le gambe, comodamente appoggiate sul tavolino. La superò e si mise a sedere accanto a lei. «Io non sono milionaria da un po'.»

«Forse non lo sei stata per un po', ma ora sicuramente sei tornata nell'élite.» Fece notare la polinesiana, alzando la birra in segno di vittoria.

«Non lo sei stata per un po',» rimarcò la cubana, sommessamente, ingollando un sorso di birra.

Dinah fece scattare la testa verso di lei, abbastanza contenuta. Si mise a titillare il bordo della lattina, mordendosi la guancia intera. Cazzo.

«Intendevo dire...»

«So cosa intendevi dire», La precedette Camila, leggermente altera. «Che secondo te ho sbagliato a restituire due milioni di dollari alla diretta interessata.» Tracannò un sorso più lungo del solito. «Beh, ti ricordo che erano macchiati del sangue di mio padre.»

L'appartamento piombò in un silenzio sepolcrale. Dinah osservò a lungo il profilo della cubana, perennemente puntato verso la tv ma chiaramente altrove, poi abbassò lo sguardo e sospirò. «Mi dispiace. Intendevo dire che la tua azienda sta andando forte, sicuramente adesso ti starai rifacendo.» Mormorò un po' affranta, ancora con il batticuore per l'indolenza con la quale aveva toccato l'argomento.

«Sicuramente.» Le sorrise Camila, mettendole una mano sul braccio, come per dirle "non preoccuparti".

La squadra per cui tifava Dinah vinse, anche se Camila non ricordava di che sport si trattasse. Rimasero a discorrere del più e del meno, senza calarsi in conversazioni di massiccia importanza. All'incirca verso mezzanotte la cubana la salutò e scivolò nell'invitante coltre.


                                     *****

Circa due settimane dopo, venne comunicato a Camila che la gara per accedervi alla competizione si sarebbe svolta sabato pomeriggio, a Sandvika. Erano tutti un po' in fermento, come se avessero dimenticato che per festeggiare dovevano prima tagliare il traguardo in testa. Non era semplice. La GelsP era ben attrezzata, aveva già concorso in tornei prestigiosi, a discapito della cubana che, avendo inaugurato l'azienda solo da un anno, non aveva avuto la stessa fortuna. Ovviamente era pronta a lottare con le unghie e con i denti, com'era solita fare in qualsiasi circostanza, ma era anche conscia di partire nettamente svantaggiata.

Quel sabato pomeriggio era una giornata ariosa e soleggiata. Non tanto "soleggiata" da poter uscire senza sciarpa e guanti, ma abbastanza per evitare di attorcigliare la sciarpa al collo.
La cubana aveva persuaso Dinah ad unirsi a loro. La polinesiana non amava i motori e tantomeno la lana, ma colse l'occasione come un momento di felicità per Camila, e decise di non svilirlo.

Alle quattro del pomeriggio Jessie passò a prendere entrambe. Dinah e Jessie avevano instaurato un rapporto amore-odio, ma non il genere di relazione sarcastica e affettuosa che la polinesiana aveva coltivato con Normani. Il loro era proprio e vero amore o proprio e vero odio.

Durante il tragitto Camila sparlò in continuazione. Si vedeva che era nervosa, ma era un bene. Significava che ci teneva, e questo non avveniva cosi frequentemente. Sia Dinah che Jessie l'assecondarono, rassicurandola o prendendola in giro, che era la miglior medicina per il patogeno della cubana, soprannominato anche "ansia".

Sopraggiunsero all'autodromo in poco tempo; la guida spedita di Jessie e l'assenza di traffico per strada avevano giocato un ruolo chiave.

Si diressero verso la postazione 2, dove risiedeva il loro team. Camila aveva nominato Carlos e Victor come piloti scelti. Entrambi stavano facendo dei giri di prova quando pervennero alla "stalla", ma i meccanici le assicurarono che era tutto in perfetto ordine, che le macchine filavano lisce e che entrambi i prescelti erano determinati e lucidi. Dopo quella breve capatina, la cubana si diresse assieme alle altre sue verso le tribune. Non vi era la calca, essendo entrambe le aziende abbastanza conosciute, ma non troppo chiacchierate. Però vi era più affluenza del previsto. Qualcuno riconobbe Camila e le chiese qualche foto, altri nemmeno la calcolarono. La fama, come aveva già imparato in America, è un attimo.

«Ho dimenticato il telefono in macchina. Posso andare a prenderlo?» La distrasse dai suoi pensieri Dinah, che aveva già la mano schiusa di fronte allo sguardo scettico di Jessie.

«Ti pregherei di richiuderla con i sistema di sicurezza, grazie.» La donna fece cadere riluttante il mazzo di chiavi nel palmo della polinesiana che, sardonicamente, fece una reverenza e le diede le spalle.

Jessie scosse la testa e sbuffò leggermente, guadagnando una frase di conforto da parte della cubana.

«È così con tutti, o quasi.» Il sole le invalidava la vista, così portò una mano sulla fronte per osservare la pista di fronte a lei. Mancava poco.

«Lo so, bisogna saperla prendere. Sarà per questo che siete amiche.» La punzecchiò Jessie, ma stavolta incassò solo uno sguardo di sguincio e un blando sorriso. Poi lo sguardo della cubana tornò a contemplare il circuito.

«Beh,» cambiò argomento Jessie, «sei almeno fiduciosa per questa gara?» Tentò di intavolare una conversazione, chiaramente impacciata ma risoluta.

«No, affatto.» Rispose sinceramente la cubana, mentre osservava i piloti prendere posto sulla linea di partenza.

«Dovresti imparare a fidarti delle persone, sai?» Ovviamente scherzò Jessie, ma la cubana la rimirò con sguardo quasi neutro eppure così pesto, come se dietro quegli occhi si nascondesse un pozzo. Jessie si sentì ingenua.

«Se perdiamo la gara, domani sbrighi tu tutte le incombenze in ufficio.» Stipulò la cubana, sorvolando.

«Andata! Ma se vinciamo, ti porto a cena fuori domani.» Ribaltò la situazione Jessie, premendo Camila in contropiede.

Intanto Dinah era tornata al suo posto e ora pretendeva di non sentire, ma in realtà aveva le orecchie drizzate.

«Preparati a perdere.» Le strinse la mano Camila, sigillando il patto.

Intanto la bandiera a scacchi sventolava in alto, osservata attentamente da tutti gli occhi adunati sugli spalti. Camila tornò a guardare di fronte a se, senza alcuna speranza in tasca. Anche Jessie rimirava la pista, ora più che mai trepidante.

Dinah fece cadere le chiavi sul grembo della ragazza, e in tono sprezzante disse: «Credo di aver dimenticato di chiuderla.»

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Spazio autrice:

Ciao a tutti.

Ho iniziato con calma questa parte della storia perché penso ci sia tanto da dire. Ovviamente Camila ha cambiato paese, lavoro e vita. Penso che sia stata la cosa più saggia, perché altrimenti fra lei e Lauren sarebbe andata ancora peggio. In più, dentro di se Camila l'ha fatto per "proteggere" la reputazione di Lauren, sapendo bene che istintivamente l'avrebbe giustamente denunciata. Ha cambiato per voltare pagina, ecco. In più serviva a me, perché ricominciare dopo un mese dal litigio sarebbe stato inutile. Come ho scritto nella storia, ha restituito i soldi alla ditta di Lauren. Ma allora come si è potuta permettere di pagare l'azienda che ora dirige? Non L'ho scritto per non appesantire la narrazione, ma in pratica ha usato i soldi maturati dalle sue quote, quindi soldi "puliti", per così dire.

Adesso, pian piano, torneremo nel vivo della storia. Ci sono ancora tante novità, che spero che vi piaceranno. Credetemi che c'è ancora tanto da scoprire, e tanti nuovi incastri da raccontare. Spero siate pronti! 😉

Un grazie speciale a martylovedems  per questa copertina meravigliosa.

A presto.

Sara.

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