Capitolo quindici
Ciao ragazzi.
So che è tardi, ma pubblico adesso perché ho appena finito di scrivere e ci tenevo che domani mattina aveste il capitolo.
Buona lettura!
Camila capiva per la prima volta che cosa provasse un poliziotto davanti ad un uomo con la pistola. Toglierle il bicchiere? Provare a parlarci? Avvicinarmi o restare defilata? Assecondarla o ammonirla? Erano farraginosi pensieri, variabili incalcolabili. Ricordati di tenere la sinistra, rifletté anche, ricordando il consiglio spassionato di Normani.
Lauren si afflosciò contro la poltrona, mantenendo però spalle rigide e sguardo teso sul bicchiere. «La Cadillac non si fida più di noi. Ha detto che era la nostra seconda chance e l'abbiamo sprecata.» Non sembrava nemmeno la sua voce tanto era meccanica e indecifrabile.
«Va bene, ci parleremo poi.» Minimizzò Camila, sperando di aver imboccato il sentiero giusto. Sempre che ne esistesse uno.
«Non c'è niente di cui parlare.» Inspirò profondamente Lauren, irritata oltremodo dal falso ottimismo della cubana. Incredibile come un bicchiere possa cambiare le carte in tavola.
«Non è colpa tua, Lauren.» Sospirò, mantenendo lo sguardo fisso su di lei, anche se l'altra pareva quasi ignorare la sua presenza.
Un sorriso sarcastico e del tutto contrario tagliò il fascio di luce che precipitava sul suo volto, distorcendone per qualche istante la simmetria. Non è colpa tua, non è colpa tua...
«Poco fa non la pensavi così.» Mormorò, spezzando le corde statiche del buio.
La cubana riempì i polmoni d'aria, ripiegò leggermente la testa in avanti e schiuse la bocca, senza saper bene cosa dire. La verità.
«Solo perché hai delle colpe, non significa che qualsiasi male sia tua responsabilità.» Specificò Camila, che sì, lo faceva per consolarla, ma credeva fermamente nella sua affermazione.
«Non faccio niente di buono, e lo sai meglio di me.» La mano si allungò verso il bicchiere. Il cuore della cubana ebbe un sussulto. Tornò a respirare solo quando le dita dell'altra si fermarono sul bordo sbeccato, giocherellando con esso.
«Hai detto di voler migliorare, no? Lo stai facendo.»
Per la prima volta Lauren involò lo sguardo sulla cubana. Si leggeva qualcosa nel suo sguardo ombroso e cupo che non aveva alcuna traduzione positiva. Qualcosa stava cambiando. Camila avvertì quel ribaltamento nitidamente, come quando il vento soffia più forte.
«Tu non sei stata disposta a perdonarmi per tre anni, e adesso vuoi salvarmi?» Un tremolio oscillava sotto il suo labbro inferiore.
La cubana trasse un ampio respiro. Inchiodò i suoi occhi a quelli di Lauren e scosse impercettibilmente la testa, ma non disse niente.
«Che c'è? Non rispondi?» Si alterò la corvina, respingendo nuovamente le spalle contro lo schienale. Stavolta il suo sguardo era molto più altezzoso e addolorato. «La verità è che probabilmente nemmeno ti frega un cazzo di me, ma hai bisogno di salvare te stessa e tutte quelle stronzate varie.» Un suono monocorde evidenziò l'astio nelle sue parole.
Camila alzò lo sguardo al soffitto. Ecco il momento in cui il sospettato smette di puntare la pistola alla propria tempia per rivolgerla verso colui che gli sta tendendo una mano. Non sa distinguere più se la comprensione sia artificiale o meno, se l'interesse abbia un secondo fine o no, e così si difende come può.
«Farò finta di non aver sentito. Adesso, per favore..» Replicò con calma la cubana, ma la collerica Lauren l'anticipò.
«Certo! Perché tu fai sempre finta di non sentire, di non vedere. È la cosa che ti riesce meglio, no?» Alzò il tono la donna, minacciando la stabilità di Camila di collassare da un momento all'altro. Stentava a riassestare gli architravi della pazienza.
«Lauren, vorrei che tu mi dessi il bicchiere e che...»
La corvina afferrò il bicchiere e lo scagliò contro la parete. A destra, proprio come aveva detto Normani. Ci fu un'esplosione di vetri che inondò il pavimento, una detonazione in piena regola. La cubana socchiuse appena gli occhi, ma non fece una piega, mentre Lauren scattata in piedi trafelata.
Le palpebre della cubana si schiusero di colpo, trafiggendo Lauren con una carica del tutto diversa. Ok.
«Dovresti essermi grata,» esordì a denti stretti la cubana, «grata di averti parato il culo. Se ho fatto finta di niente, è stato solo per non denunciarti.» La sua ira affluiva al petto e defluiva nei pugni, ermetici.
«Invece avresti dovuto denunciarmi!» Urlò Lauren «Avresti dovuto denunciarmi, Camila! Sarebbe stato più leale che sparire e lasciarmi a combattere da sola!» Il suo viso si era accaldato, ogni muscolo del suo corpo tremava, comprese le parole.
«E pensi di esser stata l'unica a "combattere da sola?"» Camila era ad un passo dal crollo, lo sentiva in ogni asse che scricchiolava, nell'intonaco che si crepitava.
«Tu te ne sei andata mentre mio padre moriva!»
«Tu l'hai ammazzato mio padre!!» Gridò la cubana, stavolta gesticolando furiosa e assumendo lo stesso colorito cremisi dell'altra.
La notte infiltratasi dalla finestra andava dilaniandosi nell'irregolarità dei loro respiri. Si slogavano i minuti negli sguardi avversi, si ribellavano le parole nell'attesa delle prossime, che tardarono ad arrivare.
«Io so di aver sbagliato, Camila, ma non sapevo nemmeno che fosse tuo padre quando...»
«E che cosa cambia? Che cosa cambia, Lauren?» Scosse la testa la cubana, suggerendo la muta risposta. «Solo perché poteva essere il padre di qualcun altro credi che io ti avrei perdonata più facilmente?»
Lauren rimase a fissarla. Forse in tutti quegli anni non aveva capito le vere radici del dolore della cubana. Il loro humus non era prosperato nell'astio individuale, ma nell'indignazione generale del suo gesto. Non era arrabbiata perché c'era suo padre su quell'auto; era arrabbiata perché Lauren aveva ucciso un uomo, senza dargli speranza alcuna.
«E pensi che solo perché io ho fatto l'errore più grande della mia vita, tu sia perdonata per non aver mantenuto la promessa a mio padre?» Lauren era chiaramente furibonda, non con Camila, ma con se stessa. Nemmeno lei credeva fino in fondo a ciò che diceva, ma aveva bisogno di dirlo, perché era tutto ciò che Camila le aveva negato per tre anni. «Lui se ne è andato chiedendo di te, e tu non c'eri.»
«Non potevo esserci.» Replicò duramente la cubana, senza lasciar intercorrere nemmeno un secondo di pausa.
«Non potevi? Non volevi, Camila.»
«Come cazzo potevo venire al funerale di tuo padre quando tu non hai nemmeno riconosciuto le tue colpe per il funerale del mio, di padre?» Aveva una voce più pacata. Non riusciva mai ad urlare quando qualcosa la feriva davvero.
Lauren inspirò profondamente, tese la braccia sulla scrivania e incassò il capo verso il basso. Camila rimase immobile al centro della stanza, senza muovere un muscolo, senza batter ciglio.
«Ti ho lasciato dei messaggi.» Riprese lentamente Lauren, ancora lunata sulla scrivania.
«Li ho ascoltati.» Rimbeccò.
«Perché non hai richiamato?»
«Perché non volevo sentirti.»
Lauren sorrise sardonica. Ecco che si preparava alla prossima stoccata. Camila era già in posizione. «Non volevi sentirmi perché eri impegnata a scopare con quella.»
«Non volevo sentirti perché mi avevi distrutta, Lauren. In tutti i modi.» Non c'era più tempo per le vie di mezzo. Il dolore non ha vie di mezzo.
«Anche tu, Camila.»
«Oh, mio Dio!» Esplose la cubana, lanciando le braccia in aria e voltandosi di spalle, ridendo per il nervoso. Raccolse la testa fra le mani e dovette respirare a lungo prima di tornare a guardarla. «Tu non hai il diritto di replicare così, va bene? Credi che non sappia di averti fatto male? Certo che lo so! Ma credi che per me sia stato facile? No, non lo è stato. Puoi biasimarmi per aver avuto la speranza di andare avanti? No, non puoi, non te lo permetto! Se me ne sono andata è stata per proteggerti. Se me ne sono andata è stato per lasciarti vivere in pace. Me ne sono andata prima per te, poi per me. Sono tornata per me stessa, Lauren, anche se non credevo che ti avrei rivista mai, ma sì, sto cercando di salvarmi. Però questo non significa che non abbia già provato a salvare a te.» Chiarì la cubana, senza più forza per infuocarsi.
Lauren deglutì. Le mani serrate sulla scrivania si schiusero, un gesto emblematico che raccontava tutta la disfatta del suo ardore e l'insediamento del pesante dolore. Si vede quando il fardello del furore mitiga in una nebbia negli occhi.
«Mi sarebbe bastata una chiamata. Una sola chiamata. Una chiamata Camila e avrei saputo tutto di te. Tutto. Avrei potuto sborsare qualsiasi cifra per trovarti, per venire da te. C'ho pensato tante volte, veramente tante, ma non l'ho fatto mai. Mai. E sai perché? Perché ti ho lasciata andare, sperando che fosse il giusto modo per ritrovarti. Te ne sei andata, così, senza dirmi niente, senza nemmeno mandarmi a fanculo, lo avrei accettato molto più volentieri. Lo so che ti avevo fatto male, lo so benissimo, ma ho visto il tuo gesto come un voler uccidere me per riscatto. Ho lasciato trascorrere tutto quel tempo solo perché pensavo che annientandomi ti saresti salvata. Quindi non credere che non abbia provato a redimermi solo perché non ti ho scritto, perché è esattamente così che ho cercato di aiutarti: mettendo da parte il mio egoismo.»
Ora che la notte aveva disvelato tutte le angosce che per anni avevano colmato e simultaneamente allungato le distanze: volava il pensiero sul letto del mare, ma si perdeva fra le pieghe dei venti, senza mai toccare il cielo.
«Non posso credere che tu non ci abbia mai pensato.» Sibilò Lauren, forse più rammaricata che irosa.
«Lauren, non riuscivo a vedere il meglio di te in quel momento, non volevo vederlo.» Camila mosse un passo, un po' incerto, infatti non ne azzardò altri.
«Non volevi vederlo perché eri impegnata con Jessie.» Quello fece male.
Fece male anche se non era mirato a far male. Lauren non voleva ferire Camila, ma tutta quella rabbia che aveva maturato dentro aveva bisogno di scaricarla, e sapeva che quello avrebbe aggravato la situazione
«Non è vero.» Ringhiò a denti stretti, sperando che la luce fluorescente non rischiarasse anche il suo tumulto.
La mano di Lauren agiva senza posa e senza criterio, ora schiacciandosi ora serrandosi. La lama di luce affettava il profilo della corvina a metà, basso e remoto.
«Non posso pensare che tu sia andata a letto con lei.» Quando si apre un forziere si svuota fino all'ultimo doblone. Se si sigillasse prima di aver raccolto anche l'ultimo tesoro, si rimarrebbe con l'amaro in bocca.
Camila trattene il fiato. Non sapeva cosa rispondere, non era nemmeno sicura che fosse giusto, risponderle.
«Io non ho avuto nessuno, dopo di te.» Proseguì Lauren, sfiorando per la prima volta quei cieli che i loro pensieri non avevano avuto la forza di lambire.
«Io volevo andare avanti, Lauren. La verità è che io meritavo di andare avanti e meritavo di essere felice.» Proferì senza giri di parole, convinta di ciò che diceva.
«Anche io volevo andare avanti, ma poi tornavo sempre da te.» Fece una pausa, un sorrisetto sarcastico. Afferrò il secondo bicchiere rivolto all'ingiù, e stappò la bottiglia, versando il whisky all'interno. «Da te, o dall'alcol.»
«Smettila di fare la bambina, Lauren.» Si surriscaldò la cubana, ricordandosi per la prima volta che sì, la corvina aveva una pistola, ma anche lei ne aveva una nella fondina. Era il momento di estrarlo.
La corvina serrò la bocca della bottiglia, la ripose sul vassoio d'argento, e approssimò il bicchiere all'altezza del petto.
«Mettilo giù, Lauren.» Impose la cubana, sperando di essere ascoltata, ma la corvina circumnavigò lentamente la scrivania, si pose di fronte ad essa, con il bicchiere in mano, allungata dalla sua stessa ombra.
«Allora va' da lei.» Gesticolava con il bicchiere in mano con la stessa padronanza pacata con cui un uomo maneggia un'arma. «Lei è migliore, lei è ciò che io "non sono stata". Perché non vai da lei? Eh?! Andiamo, forza! Che cosa ci fai qui? Perché non te ne vai? Eh?! Vattene!»
Camila avvertì qualcosa montarle dentro, un impulso cieco che non aveva niente a che vedere con i suoi sentimenti o con i ricordi passati; era un istinto primordiale che si scatenava come un acquazzone durante agosto.
«Tu non hai il diritto di dirmi che cazzo devo fare!» La cubana avanzò minacciosa, puntandole il dito contro, lasciando che a parlare fosse quel carburante che si infiammava ad ogni passo. «Non hai nessun diritto di decidere per me chi debba amare!»
La cubana di trovava adesso abbastanza vicina per sfilarle il bicchiere e scaraventarlo contro la parete, e lo fece, senza alcun tentennamento.
«Prima mi togli tutto l'amore e poi decidi anche a chi debba affidarlo di nuovo?» Camila le diede una spinta, leggera, ma abbastanza inaspettata per innervare l'impeto.
«Ma non lo vedi, Camila?» Stavolta era lei quella placida. I loro occhi si incontrarono a metà strada, su un marciapiede dissestato. «Sto cercando ancora di salvarti, nonostante ti ami ancora.»
La cubana rimase ad osservarla, assorbì quelle parole come una spugna. Fece ciò che il pensiero da quando nasce: si slanciò senza preavviso.
Le labbra di Camila cozzarono passionalmente con quelle di Lauren, mentre le mani della corvina saettarono sui i suoi fianchi, sulla sua schiena, sulle sue spalle. Non aveva toccato nessun'altra perché nessun'altra sarebbe stata Camila.
Quest'ultima avvinghiò le braccia al suo collo, si fece più vicina. Il calore perforava i loro ansiti. Lauren fece scorrere la lingua sul labbro inferiore della donna, ne succhiò avidamente ogni segmento, mentre le dita della cubana di inabissavano nella sua criniera.
Lauren ghermì la cubana e la fece volteggiare, mettendola a sedere sulla scrivania. Le sue labbra si erano già precipitate sul suo collo, mentre quelle di Camila baciavano al vento la corvina mentre boccheggiava.
La mano di Lauren era già in mezzo alle sue gambe, e Camila percepiva il suo centro pulsare sempre più incontrollato. Lauren strusciava le dita attraverso la stoffa, mentre Camila gemeva nel suo orecchio, attorcigliata a lei ansimava ad ogni contatto. I suoi muscoli erano uno spasmo di piacere per lei.
Lauren tornò a baciarla, caldamente e incondizionata come piaceva a lei. A loro. La corvina l'avvicinò a se, ma in quel preciso istante Camila la spinse di nuovo, stavolta con più determinazione e nessuna rabbia, solo tanta paura.
La cubana anelava forsennatamente, disordinata e con lo sguardo basso stringeva la scrivania. Lauren rimase inerte. Anche il suo respiro era caotico, e aveva dannatamente bisogno di sentirla nuovamente vicino, ma non avrebbe osato provarci.
«Non posso, Lauren.» Le si incrinò la voce, ma quando alzò lo sguardo non vi era emozione nei suoi occhi. «Non posso.» Scese con un balzo dalla scrivania, raccolse le sue poche cose e se ne andò il più in fretta possibile.
La corvina rimase subissata in un silenzio che era saturo di mancanze e di baci ancora non dati.
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