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Capitolo dodici



Tu...

...

Tu...

...

Tuuu.

Segreteria tele..

Cancella. Richiama.

Tu...

...

Tu...

...

Tu...

Segreteria telefonica. La invitiamo a lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.. Beeeep.

«Camila, sono io. Sono Lauren.» Prese un sorso di whisky, la stanza era immersa nel buio, a parte per la fioca lucina emanata dal cordless. «È morto mio padre. Oggi, è morto mio padre.» L'unica intermittenza era quella del silenzio «Ha chiesto di te. L'ultima persona che abbia nominato sei stata tu, e l'ha chiesto guardandomi negli occhi.» Non traspariva emozione nel tono atono, a renderlo neutro ci pensava il whisky «Gli ho detto che non c'eri. Mi ha chiesto se tornerai. "Non lo so," ho detto, "Non lo so".» 

Stare al buio l'aiutava a sentirsi nascosta da se stessa, che era la persona che più la tormentava. Il whisky era un ottimo surrogato della setralina: molceva lo
sgomento.

«Tu gli avevi fatto una promessa, Camila. Gli avevi fatto una promessa.» Pausa. «L'avevi fatta anche a me.» Qui la voce si incrinò, ma attraverso la comunicazione non fu decifrabile intuire se fosse colpa di un nodo alla gola o di un raptus poi sedata con un sorso più copioso.

«Avevamo una promessa, tutti noi, e invece dove sei adesso? Sono mesi che non ti vedo, che non ti sento, non so nemmeno come tu stia. Non so nemmeno come stia io, e penso che tu sia la prima persona alla quale confesso di non saperlo, perché pretendo sempre che vada tutto bene, ma... Qualcosa si è rotto.»

Più che l'intestardirsi ammettendo che vada tutto bene, è la convezione di dover star bene a fregare tutti.

Stava bene per sorridere ad un mezzo estraneo, ma poi scolava mezza bottiglia di whisky. Stava bene per redarre pratiche burocratiche e rispondere a tono, ma poi si addormentava solamente con un doppio whisky. Stava bene per parlare agli altri, ma non abbastanza per rispondere a se stessa.

«Vorrei solo sapere come stai, tutto qui. Io.. Io penso che tu me lo debba, dopo tutto ciò che abbiamo passato, non credi?» Il suo unico interlocutore era il silenzio, e la sua unica problematica era che si palesava e replicava allo stesso modo. Buttò giù anche l'ultimo sorso. «Mio padre è morto, Camila, e io non faccio altro che pensare a come stia tu.» Le da sorridere per la paradossalità, ma quando attinse nuovamente al bicchiere trovandolo vuoto, ogni fibra di se gemette, qualcosa in cuor suo si agitò.

«Me lo avevi promesso, cazzo. Me lo avevi...» Si passò una mano sulle labbra, si ripeté di star calma. Le parole erano l'ultimo orizzonte.
«Lo so che, che tu non vuoi sentirmi, ma forse, forse dopo questo messaggio.. Chiamami, per favore, io... Tu...» Stava iniziando a incespicare, a boccheggiare. Dov'era il whisky quando serviva? Strinse più forte il bicchiere. Ormai ogni palliativo non occorreva più. La rabbia aveva preso il sopravvento. «Sei un'egoista, cazzo. Mio padre!  Era mio padre! Lui, lui ti voleva bene! Dove cazzo sei, Camila?! Dove cazzo...»

«La ringraziamo per aver lasciato un messaggio..»

Lauren attaccò la cornetta di botto, afferrò il bicchiere e lo scagliò alla cieca.

                                    *****

Il Sole di New York era tutt'altra storia che quello di Los Angels. Anzitutto, non scottava, non in quel periodo della stagione. Era più opaco e giocava a nascondino dietro le nuvole, a differenza dell'ardente stella che arroventava  l'oceano.

Camila si era praticamente svegliata con la tazza di caffè in mano. Nella sua camera d'albergo, vi era una macchinetta apposita. Un'ambrosia. Si era lasciata permeare dai brividi post-risveglio e li aveva levigati con il calore della bevanda e il panorama newyorkese. Era fortunata ad essere lì, lo sapeva, ma allo stesso tempo faceva fatica. La città dove aveva riposto tutte le sue speranze era la stessa che gliele aveva sottratte.

Prese un bel respiro prima di decidersi a scivolare fuori dalla coltre e affrontare la rognosa mattina che l'aspettava.

Lauren aveva indetto una riunione con i capisaldi dell'azienda. Chelsea era degradata in secondo piano, e si era sobbarcata l'impegno di telefonare personalmente ad alcuni sponsor. Camila avrebbe semplicemente dovuto restare nell'ufficio di Lauren a sorvegliare il tecnico che avrebbe messo mano al computer della corvina. Non era molto propositiva ad affidare i suoi documenti virtuali dopo aver subito un attacco hacker e ora una fuga di notizie, ma si rendeva conto che era il primo passo da compiere per sviscerare una delle domande principali: la notizia è partita dall'azienda o siamo stati hackerati di nuovo?

Intanto la cubana contattò un Uber, infine abbottonò il tailleur (che non metteva da un po' e che doveva ammetter aver patito la mancanza), e scese le scale.

Il fermento automobilistico non era cambiato di una virgola. Stessi gli insulti, stesse le minacce, stessi i clacson. La cubana rintracciò il suo Uber, fornì l'indirizzo e scrisse due veloci messaggi. Il primo a Dinah, per sapere come stesse andando. Il secondo a sua mamma e Sofia, per lo stesso motivo. Il tassista, un ragazzo giovane dall'accento argentino e gli occhi simpatici, dovette riconoscerla per via dei cartelloni pubblicitari di un tempo o forse per le locandine raffiguranti lei e Lauren, ma comunque le chiese come stesse andando la sua carriera, se pensava di aver trovato la sua strada o se era vero che la fama ci spetta solo per quindici miseri minuti nella vita. Camila rispose semplicemente "Ho cambiato progetti".

Si fece lasciare qualche isolato più indietro, dato che l'ingolfo stradale non permetteva scorciatoie e Lauren non ammetteva ritardi. La cubana andò dritta verso i tornelli, strisciò il badge che Lauren le aveva assegnato, e si intrufolò all'ultimo momento in un ascensore che nessuno si premurò di fermare, ma anzi: furono seccati. Camila ormai non badava più ai musi lunghi dei broker o alle smorfie delle investitrici. Era vaccinata al malanimo aziendalista.

Impiegò dieci minuti per arrivare in cima, visto che il viavai proliferava ad ogni piano.

Non fu spontaneo e indolore, come lei pretese di apparire, attraversare l'atrio. Vigeva una discrezione ligia all'apparenza, che in parole povere significava "Faccio finta di non vederti così pass bene e posso spettegolare di te senza che venga sospettato." Più o meno era una legge. Detto ciò, Camila avvertiva qualche osservatore più smaliziato, altri pedestremente fedeli al trattato di riservatezza e spettegolo, ma non si curava né dei primi né dei secondi.

Accennò ad un sorriso alle segreterie e proseguì indisturbata fino all'ufficio di Lauren.

La cubana era sicura che avesse già lasciato lo studio, valutando la sua impeccabile rigorosità tempistica, ma invece la trovò a riordinare qualche documento, pronta quasi ad andare.

Lo sguardo della donna incontrò il suo, al che la cubana sobbalzò: «Oh, mi dispiace. Non pensavo fossi ancora qui.» Annaspò.

«Stavo giusto per andare.» Le sorrise la corvina, aggiungendo un gesto lesto della mano al suo tono rassicurante.

«Va bene, posso anche tornare dopo...» Si strinse nelle spalle la cubana, macinando un espediente papabile.

«Ma no, figurati, ho quasi fatto.» Con un altro gesto della mano la invitò ad entrare.

Camila tentennò. Non si sentiva a suo agio, non ne conosceva la fonte, ma dentro di se vi cresceva una malerba. «Ok,» trasse infine, richiudendo lentamente la porta.

La corvina era troppo concentrata a raccogliere la presa di documenti per avvedersi dello straniamento della cubana. Camila sostava in mezzo alla stanza, stringeva la borsa davanti a se e dondolava lievemente con spalle e sguardo, guardando tutto ma osservando niente.

Come era solita fare quando si imporporava, distoglieva l'attenzione mentale su altro. Una canzone, un libro, una riflessione, un quadro... Qualsiasi distrazione era una via di fuga proficua per eludere l'imbarazzo.

Mentre la cubana canticchiava dentro di se un testo ascoltato indirettamente alla radio, la corvina incappò casualmente nel riverbero purpureo ed elettrico della cubana. Corrugò la fronte, notando che gli occhi dell'altra non si posavano mai su di lei, anche se, quasi certamente, ne avvertivano l'improntitudine.

Lauren aprì bocca nel vano tentativo di sciogliere la tensione, ma ne spirò solo un sospiro conscio. L'unico modo effettivo per andarle incontro, paradossalmente, era andarsene.

Drizzò la schiena, si schiarì la voce e unificò le irregolarità squadrate del mazzo di carte con un colpo deciso sulla scrivania. «Bene, io andrei. Avverto il tecnico che sei arrivata.» Sorrise il più disinvolta possibile, credendo che un accenno involontario alla sua esitazione sarebbe stato aggravante.

«D'accordo, sarò qui.» Letteralmente, perché la cubana non si mosse dal punto x finché Lauren non richiuse l'uscio alle sue spalle.

A quel punto tirò un sospiro di sollievo, affossò le spalle e si sentì libera di muoversi all'interno dell'ufficio senza preconcetti invalidanti.

Poggiò la borsa sulla sedia; respirò. Strusciò le mani madide contro la gonna; si guardò attorno. Fece un breve giro di ricognizione nei pressi della libreria; inspirò. Si voltò di scatto quando la porta si aprì. Sorrise.

«Buongiorno,» tese educatamente la mano all'uomo prestante di fronte a se.

«Oh, salve. Buongiorno a lei.» Reciprocò con un manieroso sorriso lui, e un'altrettanta salda stretta.

Camila gli illustrò il problema, anche se già era al corrente di tutto. Lauren le aveva specificato che Dennis, il ragazzo ora seduto sulla poltrona della corvina, era un prestigiatore del computer, ma non solo. Era un collega fidato da tanti anni ormai, anche suo padre aveva lavorato a sua volta per Mike, e la madre di Dennis era una cara amica di Clara. Si fidava di lui, il che era insolito ma vero, e quindi aveva pregato Camila di fare altrettanto.

Conosceva la cubana, e la cubana conosceva quel mondo. Non si faceva più ingannare da quel substrato di gentilezza ed eleganza che non era latore di armonia, ma bensì falda protettiva del reale fondale.

La cubana tentò di farsi piacere fin da subito Dennis, e doveva ammettere che non fu difficile instaurare una conversazione ricettiva grazie allo spirito spigliato del ragazzo, ma fu una vera impresa dover fare i conti con la ritrosia insita in qualsivoglia persona estranea... e non.

Era consapevole di aver subito un grave danno al "modulo di rifornimento" della fiducia. Non c'era certo bisogno di biasimarla o domandarsi perché.

Restarono chiusi in ufficio per qualche ora. Dennis smanettava sulla tastiera seguendo le stringhe di numeri con sguardo reattivo. Allo stesso modo Camila setacciava gli scatti cadenzati delle sue pupille. Alla fine dei salmi, Dennis diede il suo insindacabile verdetto: nessuno aveva manomesso il sistema di sicurezza dall'esterno. La minaccia doveva esser partita altrove, da dentro l'azienda, presumibilmente.

Camila strinse la mano dell'uomo, stavolta con meno rigidità e più affabilità. Appena Dennis uscì dalla stanza, Camila si accasciò contro la poltrona collocata di fronte alla scrivania. Aveva la testa pesante, come se avesse letto lei quel papiro di incomprensibili numeri. Si versò un bicchiere d'acqua (che aveva sostituito il whisky) e si rinfrescò. Non vedeva l'ora di andare a casa e...

La serratura scattò nuovamente. Stavolta era la corvina, che dopo una riunione, due aggiornamenti, tre tete a tete con qualche investitore più dubbioso si era finalmente liberata dalle magagne.

«Va tutto bene?» Domandò la corvina registrando la posizione fiacca della cubana.

«Si, sto solo aspettando di toccare il cuscino.» Sospirò. Fece un ultimo sforzo e schiuse le palpebre, trovando la figura della corvina seduta dirimpetto. «A te?» Restituì la cortesia.

«Tutto bene anche a me.» Sorrise facendo sfarfallare il rossetto cremisi.

La cubana non ci credeva molto, ma annuì. Espose un breve reportage sugli esiti di Dennis, e  Si alzò. Inforcò la giacca, imbracciò la borsa e chiese a Lauren se avesse bisogno di altro.

«No, ma chiamerò una vecchia conoscenza stasera e domani scopriremo se la notizia è partita dalla mia azienda o meno.» Spiegò Lauren, senza chiedere niente, ma la cubana rispose comunque:
«Ci sarò.»

«Buonanotte, Camila.»

«Buonanotte.»

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Spazio autrice:

Ciao a tutti!

Questo è stato un po' un capitolo di passaggio, solo perché non voglio catapultarvi dentro una catastrofe senza nemmeno un "preambolo" (prendete la definizione catastrofe alla leggera 😂).

La chiamata iniziale è stata fatta da Lauren ovviamente anni prima. Ho voluto inserirla perché in questi capitoli si parlerà di Mike e sarà un punto focale di una discussione che intercorrerà fra loro.

Grazie mille!

A presto.

Sara.

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