Capitolo ventidue
La mattina in cui si sarebbe svolto l'incontro con il CEO della Cadillac, Normani chiamò la cubana agli albori. Non era ancora sorto il sole, che l'appartamento fu invaso dalla suoneria assordante.
Camila balzò a sedere, afferrò lo smartphone convinta che fosse la sveglia -visto che aveva un'unica suoneria per qualunque applicazione- e si stupì di leggere il nome di Normani sullo schermo.
«Pronto?» Rispose con tono sovranamente confuso.
«Camila, bbbu...Eccì! Buongiorno.» Tossì la collega, arrochita.
Camila storpiò la faccia in un'espressione rattrappita «Ahia, qualcuno ha dimenticato di non avere più quindici anni.» La schernì, venendo rimbrottata dalla donna dall'altra parte della cornetta.
«O forse lavoro troppo.» Ipotizzò Normani, strappando una risata a Camila che la fece grugnire.
«Vabbè, a proposito di lavoro, ti chiamo per questo.» Riassunse Normani, che capì di essersi impantanata nelle sabbia mobili della beffa «Lauren oggi deve incontrare il CEO, te lo ricordi?»
«Come dimenticarlo.» Confermò Camila.
«Bene, perché... Eccì! Ma vaffa.. Eccì! Eccì! Cazzo.» Si soffiò il naso Normani, tossicchiando gravemente «Dicevo. Dovevo accompagnarla all'appuntamento e farle un breve resoconto di ciò che su cui abbiamo lavorato in queste settimane, ma in queste... in queste... Eccì! Appunto. In queste condizioni non posso andarci. Puoi, puoi... Eccì! Puoi sostituirmi?» Riuscì finalmente a chiudere il discorso, soffiando sonoramente il naso.
«A che ora?» Domandò Camila, osservando l'orologio. Le sei e quaranta.
«Alle otto in ufficio.» Illustrò Normani, tranquillamente.
«E me lo dici adesso?!?» Urlò la cubana, zompando fuori dal letto come una saltatrice in lungo.
«Grazie mille, ciao!» La salutò energicamente Normani, che per un momento non parve affatto malata.
Camila si fiondò in doccia, poi, in intimo, preparò la colazione e stese i panni sul letto. Mentre consumava la colazione, controllò le email, dopodiché tornò in bagno per lavarsi i denti. Si vestì, si truccò e chiamò un taxi.
Quando lasciò l'appartamento, erano le sette e quaranta. Doveva ancora affrontare il traffico newyorkese, gli automobilisti inconsulti e i semafori avversi. Non era detto che sarebbe arrivata in orario, anche se si era appellata ad ogni forza divina e non per garantirsi un buon tempo.
Disse al tassista di pigiare sull'acceleratore e giustamente lui rispose "Ma dove vado? C'è la coda, non vede?". Camila sbuffò "Faccia una strada alternativa", "Non ne esiste una", "Senta, sono di fretta. La prego", "Vuole un po' di musica?", "No, io voglio una strada alternativa!", "Siete sempre tutti di fretta", "Ci stiamo muovendo, vada, per favore", "Ma dove andate così di fretta? Ma cosa fate tutto il giorno? Mah", "La prego, ci stanno passando avanti, potrebbe... ecco fatto, sorpassati. Grandioso", "La vuole un po' di musica o no?", "Metta questa dannata musica!".
Alla fine arrivò con cinque minuti di ritardo. Zampettò faticosamente, a causa della gonna che le inguainava le gambe, e piombò nell'ufficio di Lauren senza bussare.
«Ci sono! Scusate il ritardo!» Annunciò a gran voce e trafelata.
Lauren era seduta su una di quelle poltrone in pelle che affacciavano sullo skiline. Stava già bevendo qualcosa, sicuramente d'alcolico, con le gambe accavallate e la faccia scura. Non le piacevano i ritardatari.
«Scusate il ritardo.» Ribadì la cubana, portando una mano sul diaframma indolenzito.
«Il doppio nome non consiste nella doppia persona.» Le fece notare caustica la corvina, poggiando il bicchiere sul vassoio.
Si alzò lentamente dalla poltrona, indossando una postura superba come fosse un vestito d'alta moda «Normani?»
«È malata, mi spiace. Mi ha avvertita poco fa.» Si giustificò Camila, ancora ferma sulla soglia, con il fiato corto.
«Ho capito. Vabbè, non c'è tempo per un resoconto adesso.» Afferrò il cappotto e lo indossò, tramandando una folata di profumo alle narici della cubana.
Chanel? No. Forse Acqua di rose? Buono, ma soprattutto... familiare.
«Mi riferirai i dettagli in auto, andiamo.» La corvina la superò a passo spedito.
Camila si appoggiò contro lo stipite dopo che fu passata, a riprendere ossigeno. Dopo pochi istinti la raggiunse nella hall, dove stava impartendo le direttive relative alla conduzione dell'ufficio in sua temporanea assenza. Le due assentivano e annuivano come Umpalumpa.
Lauren si rassettò il bavero e si incamminò verso l'ascensore, seguita dalla cubana.
Quando le porte si richiusero ed entrambe furono sigillate al suo interno, Lauren guardò Camila, aspettando che sciorinasse un reportage accurato.
«Oh, si.» Si riprese la cubana, intuendo quello che taciturnamente le stava chiedendo la corvina «Allora, abbiamo analizzato tutte le strategie e paragonato le tecniche amministrative al loro modo operativo e...» Mentre Camila parlava e parlava, i suoi occhi erano fissi su quelli di Lauren.
Si sentiva in soggezione in uno spazio così ristretto assieme alla donna. La sua autorità, la sua incombenza, ma anche solo il suo portamento erano un grido di sensuale austerità. Non sapeva se esserne più intimidita o attratta. Un cocktail d'emozioni che dava alla testa.
Lauren non batteva ciglio, granitica in uno sguardo inespressivo e una maschera imperscrutabile. Camila non poteva fare a meno di pensare che fosse ineffabilmente bella. Davvero, davvero... bella.
Lauren si schiarì la voce, rassettò il bavero e scosse appena il cappotto sulle spalle, esalando dal tessuto un afflato di profumo.
Familiare. Inspirò Camila, beandosi delle particelle inebrianti. Dannatamente familiare.
Le porte si riaprirono. «Quindi ci siamo concentrate su quali vantaggi e svantaggi fornisse un'approccio metodico, ma abbiamo optato per questa sistematicità affinché risaltasse il pugno di ferro, ma...»
Intanto si spostarono dalla hall alla strada, immettendosi dentro una Mercedes guidata da autista personale. Lauren istruì sulle coordinate, poi tornò ad ascoltare, con le mani in grembo e le gambe appena piegate, la parlantina florida della cubana.
«Non è semplice sapere quanto sbagliato è giusto fosse il nostro ragionamento, ma interfacciando le prospettive crediamo che l'economia aziendale possa...» Proseguì diligente la cubana, ancora intrappolata nel dedalo cromatico che screziavo lo sguardo della corvina.
Lauren era statuaria nella sua composta bellezza, ascoltava attentamente e annuiva ogni tanto. Sembrava prestar attenzione solo ai discorsi lavorativi, mentre Camila si anfanava molto per restare concentrata e non deviare l'attenzione sulle labbra di Lauren.
«Questo è quanto.» Esalò la cubana, riprendendo fiato.
«Bene, grazie.» Lauren annuì un'ultima volta, poi virò lo sguardo verso il finestrino e per tutto il resto del tragitto non fiatò.
Camila non era timida o facilmente volubile, ma in vicinanza di Lauren si sentiva sempre a disagio o comunque riusciva a innervosirla. Tanto è che, anche quando non la segnava di un minimo contatto visivo, la cubana continuava a torturarsi le mani, già madide.
Si era ripetuta che l'avvenenza della donna, la sua posizione insigne, il modo agile con il quale conquistava tutti, insomma vantava un pedigree invidiabile che probabilmente le suscitava un complesso d'inferiorità, ed era per questo che le guance si accaloravano e le mani si imperlavano. Doveva essere questo.
«Signorina, siamo arrivati.» Proferì ossequiosamente l'autista.
«Vada pure più avanti, abbiamo il permesso.» Lo esortò Lauren, ricevendo un breve cenno del capo.
La macchina si introdusse nel parcheggio privato. Dopo i dovuti controlli, vennero lasciati transitare liberamente. Posteggiarono a fianco ad una Toyota bianca.
Scese dall'auto e richiuse la portiera. L'eco dei tacchi riecheggiò nell'androne sconfinato, risuonando sordo.
La cubana stava osservando davanti a se, indecisa su come doversi comportare, quando la corvina si genuflesse e bussò al finestrino oscurato della cubana.
Camila abbassò il vetro «Si?»
«Dovresti scendere ora.» Le fece notare, praticamente invitandola trasversalmente ad unirsi all'incontro «Siamo già in ritardo. Scendi o no?»
«Oh, certo..» Camila armeggiò con la maniglia, aprendo la portiera malamente.
Lauren venne schiacciata nel pertugio fra la porta, aperta da Camila, e la fiancata dell'altra macchina. La cubana emerse dall'abitacolo, ritrovandosi ad un palmo dal viso di Lauren. Non aveva calcolato la distanza.
La corvina era immobile, aspettava pazientemente che la cubana si allontanasse per poter richiudere la portiera e liberarsi, ma Camila non faceva altro che "mordersi la coda", inceppandosi nei momenti, incespicando nei passi.
«Camila.» La richiamò in mezzo a quella pantomima Lauren.
«Si?» La cubana si voltò di scatto, frustando la faccia della corvina con la cascata di capelli.
Lauren chiuse gli occhi, inspirò profondamente, e attinse a tutta la calma sulla quale poteva ancora fare affidamento.
«Vai avanti, la chiudo io la portiera.» Decretò, parlando con tono asciutto ma chiaramente seccato.
«Si, certo.» La cubana obbedì agli ordini, francando finalmente Lauren dalla posizione ingabbiata in cui l'aveva costretta.
Finalmente riuscirono a raggiungere l'ascensore, salirono al piano sopraindicato. Intanto Camila ribadì nuovamente il sunto del sunto sul lavoro svolto. Vennero poi accolte da una segretaria che le scortò personalmente attraverso un corridoio tempestato di ritratti dai fondatori, i piloti, i volti famosi e premi, onorificenze eccetera.
Lauren era a suo agio, o almeno si evinceva questo dalla sua passeggiata disinvolta e dall'espressione distesa, mentre Camila forse era un po' troppo rigida e anche molto ammaliata, ma non del tutto sorpresa; si stava abituando alla sontuosità di quegli uffici.
«Prego, è pronto a ricevervi.» Consentì la biondina, tornando scodinzolante verso la sua scrivania.
Lauren bussò ed entrò, venendo accolta da un sorridente Joshua. Si era informata su di lui, molto bene. Sempre conoscere l'avversario prima di affrontarlo.
«Lauren Jauregui in persona. Quale onore.» Fece una riverenza teatrale, baciandole il dorso della mano.
«Piacere mio.» Sorrise statica e forzata la corvina, ritraendo la mano prima che potesse restare un attimo di più fra le dita inanellate di quell'uomo.
L'attenzione di Joshua planò sulla cubana, che accennò un sorriso timido. Lui dovette intendere che non era un personaggio di rilievo, così circoscrisse il suo saluto ad un cenno del capo.
Simpatico. Lo canzonò la cubana, sospirando sommessamente.
«Prego, sedetevi.» Riacquisì il suo savoir-faire, accompagnando con la mano le donne sulle poltrone rotonde al cospetto della scrivania in mogano.
«Allora, Derik mi ha detto di aver avuto uno scambio redditizio con una tua dipendente. Immagino sia lei.» Joshua indicò la cubana, che prontamente Scosse la testa in segno di diniego, ma prima di poter aprir bocca venne preceduta da Lauren.
«No, ma è una mia stretta collaboratrice, assieme all'altra con la quale avete già interloquito.» Chiarì la corvina, notando come l'uomo annuisse ad ogni parola, quasi fosse un tic o un automatismo serioso.
Sembra un Bobble Head. Per poco Camila non scoppiò a ridere.
«Allora, le premesse sono buone, talmente tanto buone che sento precettato dal mio dovere. Vorrei approfondire le vostre proposte, chiaro che investire o collaborare non sia mai così semplice, quindi mi prenderò il mio tempo per rifletterci.» Espose subito le sue carte l'attempato Joshua, senza illudere o ingannare nessuno. Era interessato agli affari, solo a quelli, tutto il resto erano futilità superflue.
«Certo, ovviamente lo capiamo. Le ho portato anche un contratto, ciò che siamo disposti ad offrire e a cedere. E anche ciò che non siamo disposti ad offrire e a cedere.» Sottolineò incorruttibile Lauren, con quel tono che non ammetteva repliche.
A Joshua piacevano le donne determinate, soprattutto se sfoggiavano il loro polso da dietro un volto tanto apprezzabile. Gli ricordavano sua madre.
Sorrise, afferrando i documenti che la donna fece scivolare sul legno lucido.
«Bene, gli darò un'occhiata a breve.» Gli sfogliò sommariamente, poi aprì il primo cassetto della scrivania e gli segregò all'interno.
«Mi faccio risentire fra una settimana, può andar bene?» Si alzò in piedi, abbottonando la giacca di velluto che gli ricadeva vezzosamente sui polsini.
«Certo. Non aspetteremo oltre, però.» Lauren lo disse solo per non sembrare disperata, per sottintendere che non avesse bisogno del suo aiuto, ma che fosse quasi un privilegio che lo avesse eletto.
Joshua sorrise ancora. Quella donna gli piaceva, ma prima di tutto veniva la sua azienda. Sperava davvero di trovare un accordo sul contratto.
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